Magistratura democratica
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L’ 'insensata' competenza
per territorio dell’art. 80
del Decreto Fare

di Giuseppe Tucci
Professore ordinario Università di Bari, avvocato
L’abnorme competenza territoriale esclusiva ed inderogabile sancita dalla norma e le presunte e ridicole ragioni di urgenza addotte a riguardo
L’ 'insensata' competenza<br>per territorio dell’art. 80<br>del Decreto Fare

1.- Tra le “Misure processuali“, originariamente” Misure per l’efficienza del Sistema Giudiziario e la definizione del contenzioso civile”, ora previste nel Capo IV dell’attuale testo ( artt. 75-80), l’art. 80, ex art. 75, del c.d. “Decreto Fare”, introduce purtroppo nel nostro ordinamento processuale una strana competenza inderogabile per territorio, riguardante, come precisa espressamente la sua rubrica, il “Foro delle società con sede all’estero”.

Il decreto in questione risulta già firmato, in un caldo fine-settimana del solstizio d’estate, con una fretta da patria in pericolo, che mal si concilia con la inusitata lunghezza del suo testo e con l’irresponsabile eterogeneità delle materie in esso trattate.

Per fortuna, la disposizione di diritto transitorio, che all’attuale art. 80 è dedicata, contenuta nel suo comma 5°, precisa che la disposizione si dovrà applicare “ai giudizi instaurati a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto”.

Qualora la norma, malauguratamente, non dovesse essere eliminata in sede di conversione, per la sua insensatezza, l’intero sistema della competenza per territorio del nostro ordinamento processuale, risulterebbe arbitrariamente ed assurdamente sconvolto.

Prima però di esaminare le probabili ragioni di questa strana iniziativa legislativa, l’ingenuo pratico del diritto non può non porsi la seguente domanda : con tante gatte da pelare che ha il Governo delle “Larghe Intese”, con una crisi globale, che, come dice giustamente il Santo Padre, ha radici “antropologiche”, era proprio così urgente introdurre una così sconvolgente ed insensata fattispecie di competenza territoriale inderogabile, per giunta attraverso il decreto legge, che, secondo il non ancora abrogato art. 77 Cost., giustamente richiamato dal Presidente della Repubblica, si giustifica soltanto “….in casi straordinari di necessità e d’urgenza”?

Secondo il Comunicato della Presidenza del Consiglio dei Ministri, 15 giugno 2013 n. 9, la necessità e l’urgenza del caso dipenderebbe dall’improrogabile esigenza di “Contribuire a ricostituire un ambiente d’impresa accogliente per gli investitori nazionali e internazionali fondato sulla certezza del credito”.

Proprio a tal fine- precisa il  Comunicato della Presidenza del Consiglio- si è prevista: “ La concentrazione esclusiva presso i Tribunali e le Corti di appello di Milano, Roma e Napoli delle cause che coinvolgono gli investitori stranieri ( senza sedi stabili in Italia) con lo scopo di garantire una maggiore prevedibilità delle decisioni e ridotti costi logistici”.

Il testo ufficiale del decreto legge, firmato dal Presidente della Repubblica, non è da meno, in quanto, una volta rilevato che sono stati Visti, a scanso di equivoci, gli artt. 77 e 87 Cost., si richiama alla “….straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per la crescita economica e per la semplificazione del quadro amministrativo e normativo, nonché misure per l’efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile, al fine di dare impulso al sistema produttivo del Paese attraverso il sostegno alle imprese, il rilancio delle infrastrutture,…..”.

E’, a ben vedere, un linguaggio da “Grammelot”, della nostra Commedia dell’Arte; quel linguaggio scenico, non fondato sull’articolazione in parole, ma solo su alcune proprietà di una determinata lingua ( es.: il francese), che assomiglia a un discorso, ma in realtà è soltanto un’arbitraria sequenza di suoni, magistralmente interpretato, nella storia del nostro teatro, dal grande Dario Fò.

A prima vista, la giustificazione addotta potrebbe sembrare una trovata estiva da Rigoletto verdiano, destinata a divertire un contemporaneo Duca di Mantova, ma, dopo una prima riflessione, si scopre che è uno scherzo… da prete di una delle tante leges ad personam oppure leges ad personas del nostro patrio legislatore ( il buon Ghidini, questa volta a ragione, qualora non fosse occupato con la nipote dell’ex Presidente egiziano, direbbe Lex contra personas, cioè contro gli utenti del diritto).

Solo che il Governo delle Larghe Intese, una volta deciso di percorrere un sentiero sempre impervio, come appunto quello di massacrare il Principio di Eguaglianza, poteva almeno chiedere l’aiuto e la consulenza di qualche autorevole “Zio”, che, in materia di leggi privilegio e di saccheggio del Principio di Eguaglianza, vale più di Ulpiano e Bartolo da Sasso Ferrato messi insieme.

2.- In realtà, con tutta la buona volontà di questo mondo, non si riesce a capire, per dirla con il Comunicato n. 9) della Presidenza del Consiglio, per quale ragione i Tribunali e le Corti di appello di Milano, Roma e Napoli, dovrebbero garantire agli “ investitori esteri ( senza sedi stabili in Italia)” e non agli altri comuni mortali “una maggiore prevedibilità delle decisioni”, oppure, secondo l’attuale testo del decreto legge ormai firmato, perché mai solo Milano, Roma e Napoli, Patria senza dubbio di Gaetano Filangieri e dell’attuale Presidente della Repubblica, dovrebbero dare efficienza al nostro sistema giudiziario e dovrebbero esclusivamente dare impulso al sistema produttivo del Paese attraverso il sostegno alle imprese.

I Magistrati di Bari, di Bologna e di Verona, sono forse degli affossatori del sistema produttivo? E poi: perché le decisioni di Palermo, Salerno o Bari dovrebbero essere meno prevedibili di quelle di Napoli? Chi, secondo il nostro patrio Presidente del Consiglio, garantisce sulla prevedibilità di Napoli? E ancora: perché le decisioni di Bologna ( poveri Glossatori!), Ancona, Firenze o Perugia dovrebbero essere, sempre per i sedicenti “ investitori esteri ( senza sedi stabili in Italia)”, in realtà, come riconosce oggi lo stesso decreto legge, per le “ società con sede all’estero”, come riconosce la rubrica dell’attuale art. 80, meno prevedibili di quelle di Roma?

Il patrio legislatore, che nel suo DNA ha certo esperienza a riguardo, allude forse a qualche lodo di equità, scritto da illustri giuristi ed “imprevedibilmente” saltato per illogicità e contraddittorietà della motivazione?

Infine: perché mai, a parere della Presidenza del Consiglio, la concentrazione esclusiva presso i Tribunali e le Corti di appello di Milano, Roma e Napoli delle cause- si badi bene: di tutte le cause, a prescindere dal loro contenuto- che coinvolgono gli investitori stranieri ( senza sedi stabili in Italia), dovrebbe garantire a questi ultimi, addirittura con la procedura d’urgenza, “ridotti costi logistici”?

Forse gli alberghi ed i ristoranti di Bari, Palermo, Lecce o Salerno, sono più costosi di quelli di Napoli? O quelli di Ancona, Bologna o Perugia più costosi di quelli di Roma? Le domande sono più che legittime, se si tiene presente che, nell’introdurre questa strana fattispecie a maglie larghissime di competenza territoriale esclusiva ed inderogabile, il buon Legislatore non ha certamente introdotto un rito speciale oppure delle Sezioni specializzate, ma soltanto un sedicente ed a prima vista inspiegabile privilegio non solo per gli “Investitori nazionali e internazionali”e per la “Certezza del credito” , ma, come riconosce espressamente l’attuale testo del decreto legge, per tutte le “Società con sede all’estero”, siano esse di persone o di capitali, turistiche o sportive, banche oppure società di rating.

Per fare un esempio banale, tra i tanti, se un veicolo di proprietà di una società di trasporto francese, investe un passante di Ugento (in provincia di Lecce) o di Palermo o di Messina, la malcapitata vittima dell’incidente deve andare fino a Napoli per ottenere giustizia; e ciò perché, sempre secondo il lungimirante patrio legislatore, bisogna “… ricostituire un ambiente d’impresa accogliente per gli investitori nazionali e internazionali fondato sulla certezza del credito” e garantire agli stessi “una maggiore prevedibilità delle decisioni” e “ridotti costi logistici” , o, dice oggi il testo ufficiale, bisogna “ …dare impulso al sistema produttivo del Paese attraverso il sostegno alle imprese, il rilancio delle infrastrutture…”.

Una proposta: perché non facciamo recitare il testo del decreto al sopra ricordato Dario Fò? Preso dalla sua ansia di servilismo verso presunti poteri forti, il nostro legislatore non si è reso conto di che cosa possa significare concentrare in maniera esclusiva presso i Tribunali e le Corti d’appello di Milano, Roma e Napoli le cause che comunque coinvolgano, in termini generali e totalizzanti, “società con sede all’estero”.

Evidentemente non si è reso conto che, per parafrasare un celebre contributo del caro Franco Galgano, - il quale, secondo le prospettive del nostro legislatore, avrebbe dovuto chiudere il suo prestigioso studio bolognese- , non viviamo più nell’Ottocento, in cui le dimensioni del mercato coincidevano in tutto con quelle del singolo Stato nazionale, né nel Novecento, in cui solo alcune funzioni economiche si svolgevano oltre i confini dello stesso Stato; viviamo invece in un’economia a mercato globale, in cui tutte le attività economiche hanno perduto le loro caratteristiche nazionali, perché sia le attività produttive sia le persone si sono de localizzate.

Concentrare tutto il contenzioso, in cui è comunque coinvolta una società con sede all’estero, solo su Milano, Roma e Napoli, è una pura follia, che significherebbe l’esplosione di quelle sedi giudiziarie e l’impoverimento di tutte le altre sedi nazionali, che sarebbero confinate ad un ruolo a dir poco “bagatellare”.

Purtroppo, gli stessi operatori del diritto interessati alla vicenda, e forse gli stessi Consigli degli Ordini professionali, nell’attuale disgregazione sociale, in cui è immerso il nostro Paese, difficilmente si soffermeranno sulla gravità della “Riforma”, introdotta con tanta fretta in questo fine settimana di giugno.

D’altra parte, il livello dei nostri parlamentari “nominati”, fatte salve alcune eccezioni, appare tale che spiegare alle loro menti, “..in tutt’altre faccende affaccendate”, gli effetti di una riforma sulla competenza territoriale, è come magnificare ad un cieco di nascita le bellezze dell’arcobaleno.

3. – La motivazione di per se stessa assurda, se letta con un po’ di attenzione, rivela il segreto cruccio del nostro provvido Legislatore.

A suo parere, è necessario “….ricostituire un ambiente d’impresa accogliente per gli investitori nazionali e internazionali fondato sulla certezza del credito” , oppure, come dice l’attuale testo firmato, “…dare impulso al sistema produttivo del Paese attraverso il sostegno alle imprese, il rilancio delle infrastrutture…” , evidentemente… perché qualcosa ha turbato questo idillio.

Questo spiacevole evento, come rivela l’incipit del primo comma della norma in esame nella sua ecumenica delimitazione della fattispecie ( “ Per tutte le cause civili nelle quali è parte, anche nel caso di più convenuti ai sensi dell’articolo 33 del codice di procedura civile, una società con sede all’estero…”), è rappresentato da alcune decisioni di Corti pugliesi, come Lecce, Bari, Lucera sopra tutto con riferimento all’art. 33 cod. proc. civ., Salerno e altre, in materia di derivati, o da indagini aperte da alcune Procure meridionali ( vedi Trani) sulle società di rating e di derivati a dir poco non virtuosi.

Questo intervento dei Giudici meridionali è stato provocato prima di tutto dalla politica di alcune banche, anche straniere, che, per piazzare impunemente quei derivati, hanno fatto sottoscrivere a stagnini, falegnami ed agricoltori del nord Barese un numero imprecisato di dichiarazioni, in cui gli stessi si qualificavano “operatori qualificati”.

E’ questa una prassi, che, come è noto, alcune successive Direttive comunitarie hanno giustamente stroncato, tanto che quelle stesse banche hanno il più delle volte restituito le somme indebitamente percepite prima ancora di ogni sentenza di condanna.

Se una norma come l’art. 80, ex art. 75 del c.d. “Decreto Fare”, venisse convertita in legge, sarebbe subito dichiarata incostituzionale dal nostro Giudice delle Leggi in base all’art. 25 della nostra Costituzione, secondo il quale “Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”.

Forse il nostro buon Legislatore, nel sognare nuove Costituzioni, possibilmente senza il fastidio dei bilanciamenti di poteri, sogna una Corte costituzionale più docile dell’attuale, che non disturbi le grandi intese legislative.

Dopo tutto, la storia è sempre paradossale, e, a quanto pare, i becchini del principio di eguaglianza nell’età postmoderna saranno proprio gli squallidi epigoni dei nostri Padri Costituenti.

 

24/06/2013
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