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L’emergenza economica e sociale. Le prime risposte del diritto penale

di Nello Rossi
direttore di Questione Giustizia
Il giusto allarme sui pericoli di penetrazione della criminalità organizzata nell’economia non può far dimenticare che, sul piano delle grandezze macroeconomiche, sarebbe estremamente dannoso anche un illegalismo diffuso nell’accesso al credito ed alle risorse economiche – diverse da quelle di vitale sostegno degli individui – distribuite nella crisi. Come mettere a frutto, in quest’ambito “molecolare”, la forza deterrente della norma penale? E come combinarla con i più elastici e rapidi meccanismi delle sanzioni amministrative pecuniarie?

Sommario

1. L’emergenza economica e sociale.
2. Si sta aprendo una “operazione fiduciaria di massa”.
3.Quali contrappesi alla strategia dell’affidamento?
3.1. Puntare sul sistema di segnalazione delle operazioni sospette.
3.2. La necessaria cooperazione dei destinatari degli aiuti.
4.La prima linea dell’intervento penale: gli artt. 640 bis e 316 ter C.P.
5.Una riflessione sulla peculiare struttura dell’art. 316 ter C.P.
6.Non replicare gli errori della fase 1 nel ricorso al diritto penale.

 

***

1. L'emergenza economica e sociale

La fase acuta dell’emergenza sanitaria da Covid-19 è ben lungi dall’essersi esaurita, stando ai segnali, ancora incerti, che provengono dall’andamento delle curve dei nuovi contagi, dalla riduzione dei ricoveri in terapia intensiva e dai numeri dei dimessi dagli ospedali e dei guariti.

Ma è in corso – in contemporanea alla prima – la fase economica e sociale dell’emergenza, anch’essa da indirizzare verso un “contenimento”. Non dei contagi, questa volta, ma di una diversa ed egualmente insidiosa crisi : quella sociale ed economica scatenata dall’epidemia.

Tratteggiare sinteticamente i peculiari caratteri di questa fase appare indispensabile per capire se, in essa, la forza prescrittiva e l’efficacia deterrente del diritto penale potranno giocare un ruolo – e di quale portata e natura – nel concorrere a regolare la transizione verso la ripresa dell’economia.

Accenneremo in seguito, nella parte conclusiva di questo scritto, all’uso – di volta in volta improprio o maldestro e problematico – che è stato sin qui fatto dello strumentario penalistico, nonché al sostanziale immobilismo del legislatore ed agli sforzi di una parte della magistratura nell’affrontare il cruciale problema del sovraffollamento carcerario.

Prima, però, ci sembra necessario ragionare subito su come il diritto e la giustizia penale possano presentarsi non impreparati al “tempo” economico e sociale dell’emergenza, nel quale emergeranno conflitti e questioni tali da reclamare – congiuntamente agli altri presidi necessari – anche il ricorso alla deterrenza propria del diritto penale.

2. Si sta aprendo una “operazione fiduciaria di massa”

E’ consapevolezza comune che, per fronteggiare la crisi che sta investendo tutte le economie occidentali, sarà innanzitutto necessaria una immissione di liquidità nei sistemi economici di proporzioni mai prima sperimentate e da attuare con estrema rapidità.

Solo una operazione di questa natura e portata potrà infatti consentire che la più gran parte delle imprese sopravviva alla gelata dell’economia nazionale provata, dapprima, dalla totale interruzione di moltissime attività produttive e inceppata, poi, dalle modalità di una ripresa del lavoro stentata e faticosa, se non altro per le molteplici precauzioni sanitarie da adottare nei luoghi di produzione.

Per altro verso, meccanismi diffusi di sostegno dei redditi da lavoro e di aiuti a fondo perduto ai singoli cittadini appaiono indispensabili per garantire le condizioni minime di tenuta sociale, in un contesto economico sconvolto dall’inaridimento improvviso delle fonti di guadagno per grandi masse di persone.

Nell’emergenza estrema dovrà trovare un suo spazio di applicazione “anche” il metodo dell’helicopter money, evocato in passato dall’economista Milton Friedman come metafora di una distribuzione veloce e generalizzata di aiuti, sussidi, crediti, a tutti coloro che siano privi di mezzi di sussistenza.

Occorre però capire come funzioneranno i meccanismi di aiuti e di accesso al credito destinati agli imprenditori, agli operatori del commercio, ai professionisti, ed agli stessi enti pubblici, nell’ambito delle molte misure di sostegno che andranno ben al di là della soglia di vitale integrazione dei redditi individuali e si caratterizzeranno come stimoli eccezionali per favorire la ripresa economica.

Su questo terreno il nostro governo – al pari di quelli di altri Stati europei – appare intenzionato a realizzare un’amplissima operazione di apertura di credito e di erogazione di liquidità, mobilitando a tal fine le risorse del Paese e quelle provenienti dai meccanismi messi in campo per i Paesi dell’Unione.

Ricordiamoli questi meccanismi: il Sure (Support to mitigate unemployment risks in emergency ), cassa integrazione europea che prevede disponibilità sino a 100 miliardi di euro ; il Fondo della Banca europea degli investimenti con un dotazione di 200 miliardi; il discusso Mes, nel cui ambito la complessiva disponibilità di prestiti per 240 miliardi dovrebbe essere utilizzabile pro quota nei diversi Paesi per la copertura di spese sanitarie, direttamente o indirettamente legate all’epidemia, senza richiesta di “condizioni macroeconomiche” connesse ad equilibri di bilancio da preservare nell’arco di tempo del prestito .

Oltre, naturalmente, all’atteso “fondo” per la ripresa dell’economia dei Paesi dell’Unione ed allo scudo antispread offerto dalla Banca Centrale Europea, assolutamente decisivo per il nostro Paese.

Nell’allocazione di molte di queste risorse, nazionali e sovranazionali, si profila una sorta di “operazione fiduciaria di massa”, nella quale i controlli preventivi delle amministrazioni pubbliche e degli istituti di credito dovranno essere ridotti al minimo indispensabile , per non risultare incompatibili con i tempi celeri decisivi per la resa dei meccanismi messi in atto.

Si dovrà puntare, invece, sull’affidabilità dei richiedenti e sulla veridicità di quanto affermato da chi avanza richieste di intervento pubblico, corredate da dichiarazioni e autocertificazioni della propria situazione economica, patrimoniale e produttiva.

E’ questo, in fondo, il senso ultimo della ripetuta richiesta di ridurre drasticamente - in ragione dell’emergenza – il peso della burocrazia, aprendo con larghezza a meccanismi di distribuzione essenzialmente fondati sulla responsabilizzazione di cittadini ed imprese e limitando il reticolo di adempimenti, filtri e controlli “preventivi” per l’accesso alle misure di sostegno creditizio.

Una replica – questa volta sul ben più complesso ed insidioso terreno dell’economia – della scommessa già formulata nel quadro della strategia di “confinamento” dei cittadini nelle proprie abitazioni, destinata ad essere vinta o persa a seconda dei comportamenti responsabili o irresponsabili tenuti dalla maggioranza delle persone.

3. Quali contrappesi alla strategia dell’affidamento?

Il nodo di fondo - sotteso ai provvedimenti economici messi in campo nel tentativo di arginare la crisi - è dunque rappresentato per un verso dalla correttezza, veridicità e genuinità delle richieste di accesso alle misure disposte e, per altro verso, dall’osservanza di coerenti modalità di impiego delle risorse ottenute.

E’ legittimo perciò chiedersi quali saranno i contrappesi in grado di equilibrare la necessaria “operazione fiducia” e il tipo di monitoraggio che potrà utilmente accompagnarla.

3.1. Puntare sul sistema di segnalazione delle operazioni sospette

Nel quadro della prevista distribuzione su base fiduciaria, gli operatori economici privati e pubblici fruitori delle misure dovrebbero essere sottoposti a controlli attuati in “parallelo” alle erogazioni ricevute e svolgere compiti di attiva cooperazione, nel quadro di una operazione di trasparenza del loro impiego.

A tale scopo, nel corso della crisi bisognerà puntare innanzitutto su ciò che già esiste ed ha dato sufficiente prova della sua validità nel contrasto alla criminalità economica ed al reimpiego nell’economia sana di risorse di fonte illecita.

Ci si riferisce al capillare sistema di segnalazioni delle operazioni sospette, funzionante nel quadro della disciplina di prevenzione del riciclaggio, che ha tra l’altro il vantaggio di innestarsi su di un solido terreno di scambi di informazioni e di cooperazione internazionale.

Un sistema da rafforzare e riorientare, rendendolo in grado di fornire da subito all’Unità di Informazione Finanziaria, alla Guardia di Finanza ed agli uffici del pubblico ministero indicazioni utili ad intervenire su eventuali malversazioni e sulle forme di impiego distorto dei fondi percepiti (tesaurizzazione privata, occultamento di fondi, sviamenti verso investimenti di natura puramente finanziaria a scapito della destinazione alla sfera della produzione e così via).

In questa direzione si è del resto già mossa la Banca d’Italia nelle sue Raccomandazioni dell’11 aprile, ricordando che i diversi intermediari “dovranno continuare a sottoporre la clientela a tutti gli obblighi previsti dalla disciplina in materia di riciclaggio”.

Si tratta in altri termini di valorizzare forme di vigilanza - per così “concomitanti” - alla distribuzione del supporto finanziario pubblico , che non siano fonte di ritardi o peggio di paralisi nelle progressive erogazioni ma le accompagnino sin dall’inizio, ponendo le condizioni per bloccare sul nascere sprechi , ruberie e furbizie e consentendo di focalizzare l’attenzione sulle aree del mondo imprenditoriale più a rischio di inquinamento criminale

L’esperienza accumulata negli anni dalle strutture specializzate - segnatamente l’Uif e la GdF – induce a ritenere che, per quanto il compito sia difficile, vi siano nel Paese le competenze ed i mezzi per svolgere questa necessaria attività.

I suoi primi risultati potranno mettere a nudo i percorsi illeciti seguiti, svelarne i meccanismi e le costanti, impedendone la ripetizione ed esercitando nel corso della crisi una forte azione di dissuasione e di disciplinamento.

Come si è già accennato, è a partire da una piattaforma di questo tipo che potrà essere svolta e resa più mirata anche l’azione diretta ad impedire forme di penetrazione mafiosa nell’economia attraverso il varco aperto dall’epidemia.

Da un lato, infatti, le garanzie di liquidità rapidamente ed effettivamente erogate dallo Stato potranno sottrarre gli imprenditori onesti dal ricorso a prestiti a tassi usurari o a finanziamenti di provenienza criminale, effettuati a fini di riciclaggio o di conquista delle imprese.

Dall’altro lato, verifiche e controlli - non preclusivi a priori dell’accesso al credito né diretti a limitare la libertà di azione degli imprenditori - ma selettivi e mirati all’individuazione di gravi irregolarità e di distorsioni rappresentano lo strumento di elezione per individuare e contrastare una possibile offensiva sul piano economico della criminalità organizzata nei confronti dei settori sani dell’imprenditoria.

3.2 La necessaria cooperazione dei destinatari degli aiuti

Il funzionamento di un tale sistema di verifica dovrà prevedere, per essere efficace, anche oneri di cooperazione a carico degli operatori economici che ricevono i contributi ed i finanziamenti assistiti dalla garanzia dello Stato.

Ci si riferisce a dispositivi contabili snelli ed essenziali ma di generale applicazione, volti ad attestare l’effettiva destinazione delle somme ricevute alle finalità per le quali le erogazioni sono state previste.

In altri termini alle aperture di credito della mano pubblica ed alle garanzie da essa fornite dovrà corrispondere da parte dei soggetti economici una sostanziale fedeltà e congruenza nell’utilizzazione delle disponibilità.

Fedeltà e coerenza da riscontrare ex post, ma non per questo in ritardo, attraverso controlli in corso d’opera, da iniziare e svolgere in parallelo con le prime tranche delle erogazioni, senza aspettare per tali verifiche che l’emergenza sanitaria sia cessata o almeno attenuata e stabilizzata.

Sotto questo profilo è particolarmente grave – come hanno già giustamente rilevato in un articolo apparso sul quotidiano La Repubblica dell’11 aprile i Procuratori di Milano e Napoli, Francesco Greco e Giovanni Melillo – la mancata previsione di ogni forma di “contabilità dedicata” riservata ai contributi ed ai finanziamenti straordinari, che consenta di monitorare gli impieghi e di identificare forme di sviamento a fini illeciti o comunque radicalmente diversi da quelli previsti.

Più problematico sembra invece subordinare – come proposto dai due Procuratori – l’accesso al credito agevolato ad una attestazione “ di non essere sottoposto a procedimenti per gravi delitti , innanzitutto di criminalità organizzata, corruzione, frode fiscale” .

Nel quadro delle considerazioni sin qui svolte si comprende bene il valore di quella che nell’articolo citato viene definita “una sorta di offerta reputazionale”, tale da giustificare la destinazione all’impresa di risorse collettive. E non vi è dubbio che sui soggetti non in grado di soddisfare tale requisito preventivo si debbano attivare controlli di particolare rigore in caso di finanziamenti.

Ma dar vita ad un automatismo che farebbe dipendere dalla “pendenza “ di un procedimento penale a carico dell’imprenditore - sempre suscettibile di concludersi con una assoluzione - la sorte di imprese che in assenza di liquidità sarebbero destinate all’estinzione appare una soluzione eccessiva e meritevole di essere ricalibrata su dati più stringenti e significativi, considerando , ad esempio, preclusiva del credito una pronuncia di condanna anche se non definitiva.  

4. La prima linea dell’intervento penale: gli artt. 640 bis e 316 ter cp

La giustificata enfasi posta sui pericoli di penetrazione della criminalità organizzata nell’economia non può far dimenticare che, sul piano delle grandezze macroeconomiche, sarebbe esiziale anche un illegalismo diffuso nell’accesso al credito ed alle risorse economiche da distribuire nella crisi.

Come mettere a frutto in quest’ambito “molecolare” la forza deterrente della norma penale?

E come combinarla con i più elastici e rapidi meccanismi delle sanzioni amministrative pecuniarie?

Se, come si è detto sin qui, il tratto caratteristico della fase di sostegno all’economia è quello dell’affidamento è indispensabile mettere sull’altro piatto della bilancia una significativa deterrenza - attraverso sanzioni penali o amministrative - per le violazioni della fiducia accordata.

E ciò in un crescendo che contempli comportamenti illeciti di diversa gravità: dalle omissioni di informazioni dovute, alle dichiarazioni non veritiere sino alle falsificazioni ed alle vere e proprie condotte truffaldine.

Una deterrenza effettiva, ma anche – come si dirà – dotata di un adeguata flessibilità interna che non la ancori esclusivamente alla giurisdizione penale, permettendo così di differenziare le risposte al fine di coprire un’area, potenzialmente ampia, di comportamenti illeciti.

È utile perciò concentrare l’attenzione sulle norme incriminatrici cui è possibile fare riferimento nel contrasto alle condotte illecite sin qui descritte.

Con la consapevolezza che questo terreno si gioca una partita decisiva perché la leva dei sussidi, dei prestiti e degli aiuti eserciti i suoi effetti moltiplicatori nella direzione voluta e non si disperda nei rivoli delle appropriazioni indebite, delle operazioni speculative, degli sprechi improduttivi.

Come è noto la prima linea della tutela penale volta a garantire la liceità dei comportamenti dei fruitori delle erogazioni pubbliche è oggi rappresentata dagli articoli 640 bis e 316 ter del codice penale.

La prima di queste due norme - l’art. 640 bis cp ( Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) - prevede la pena della reclusione da due a sette anni per le truffe che riguardino “ contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato , di altri enti pubblici o delle Comunità europee”.

Reato, questo, per il quale la pena edittale è stata, nel 2017, elevata rispetto a quella originariamente prevista ( che era da uno a sei anni di reclusione ) [1] e che , ai sensi dell’art . 71 del codice delle leggi antimafia[2], prevede un aumento delle pene da un terzo alla metà “se il fatto è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione personale” in atto o nel triennio successivo alla sua cessazione.

A sua volta l’art. 316 ter cp ( Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato) nel suo primo comma stabilisce : “ Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’art. 640 bis , chiunque mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere , ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute , consegue indebitamente per sé o per altri , contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo , comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato , da altri enti pubblici o dalle Comunità europee è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”.

Il secondo comma introduce poi una previsione non consueta nel nostro ordinamento penale - sulla quale ci si soffermerà di seguito - derubricando l’illecito da penale ad amministrativo tutte le volte che “la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a euro 3.999,96”, prevedendo che in tal caso, “si applica soltanto la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da euro 5.164 a euro 25.882” e che tale sanzione non possa comunque superare il triplo del beneficio conseguito.  

Come è noto la giurisprudenza di legittimità ha da tempo fissato la linea di demarcazione tra le due figure di reato, individuando il tratto distintivo dell’art. 640 bis del codice nell’induzione in errore dell’ente erogatore attraverso raggiri ed artifici.[3]

In linea di larga massima – e salvo la specificità dei singoli casi – si può dire che sussiste il reato di cui all’art. 316 ter c.p. quando l’ente erogatore non riceve informazioni dovute oppure è chiamato solo a prendere atto di dichiarazioni poi rivelatesi mendaci, di documenti falsi o di false autocertificazioni.

Si è invece in presenza della truffa ex art. 640 bis cp quando vengano impiegati artifici e raggiri al fine di neutralizzare e sviare, attraverso l’induzione in errore, le più o meno articolate attività di controllo dell’ente nella fase anteriore all’erogazione.

Con il corollario che lo stesso falso documentale, quando si inserisca nell’ambito di un più complesso meccanismo ingannatorio, può essere annoverato tra i mezzi di realizzazione della truffa aggravata.

5. Una riflessione sulla peculiare struttura dell’art. 316 ter cp

Non sembra dubbio che la struttura dell’art. 316 ter del codice penale sia per più versi imperfetta e bisognosa di un intervento legislativo se si vuole contare su di essa per un incisivo contrasto a dichiarazioni mendaci e autocertificazioni non rispondenti al vero ed ai conseguenti accessi illeciti alle risorse pubbliche.

Per potenziare un siffatto dispositivo occorrerebbe intervenire sulla misura della pena, elevandola (per una volta utilmente!), al fine di accrescere la forza dissuasiva nei confronti di forme di illegalismo diffuso.

Così come sarebbe utile rimodellare la norma, da un lato prevedendo periodi temporali (ad es. un anno) per commisurare l’importo economico indebitamente percepito che si pone come discrimine tra l’illecito penale e l’illecito amministrativo e, dall’altro, innalzando la soglia economica di 4.000 euro attualmente prevista per la sussistenza del reato.

Ad avviso di chi scrive, comunque, ciò che merita di essere valorizzato (sia che la norma resti invariata sia che essa venga modificata) è la struttura per così dire “bifronte” della fattispecie e l’elasticità e la maggiore rapidità che possono derivarne sul versante dell’intervento sanzionatorio.

La peculiarità della norma potrebbe infatti consentire di effettuare ampie e significative operazioni di screening – secondo modalità ben note e largamente praticate dalla Guardia di Finanza nelle sue attività di controllo – i cui risultati siano portati all’attenzione delle Procure della Repubblica.

Con l’effetto di consentire all’ufficio del pubblico ministero di valutarne i risultati sulla base di criteri quantitativi (l’entità delle somme indebitamente percepite) e qualitativi (le caratteristiche e la natura dei comportamenti illeciti tenuti dai percettori) , optando poi per l’esercizio dell’azione penale in relazione alle indebite percezioni di maggiore importo (e alle vere e proprie truffe aggravate) oppure per la trasmissione degli atti ai Prefetti per l’applicazione delle più rapide sanzioni amministrative nelle ipotesi minori.

Sarebbe infatti estremamente dannoso arrendersi all’idea che violazioni ad ampio spettro delle regole sulle erogazioni pubbliche non siano perseguibili in ragione del numero delle condotte illecite e dei limiti fisiologici della giurisdizione penale.

Così come sarebbe nocivo rinunciare a priori alla forza dissuasiva del diritto penale , sia pure come strumento di ultima istanza riservato alle sole condotte più gravi, mentre lo schema della norma in questione consente di modulare su di una sorta di doppia direttrice – penale ed amministrativa – la necessaria azione di contrasto.

Del resto, come si è già detto – anche in assenza di un auspicabile intervento legislativo – i dispositivi penali di cui parliamo rappresentano già oggi una praticabile alternativa a forme di rassegnata inerzia nei confronti di comportamenti illeciti particolarmente insidiosi proprio perché suscettibili di larga diffusione tra i cittadini meno scrupolosi.

6. Non replicare gli errori della fase 1 nel ricorso al diritto penale

Come il lettore avvertito non avrà mancato di osservare, le considerazioni sin qui svolte si riferiscono solo ad un segmento ristretto dell’intervento del diritto penale dell’economia che prevedibilmente nel corso della crisi verrà chiamato in causa su molti altri fronti.

Ma si tratta del segmento iniziale, ed oggi di maggiore attualità, che concerne i primi rapporti tra gli attori del mondo economico ed i pubblici poteri sul terreno dei finanziamenti e contributi anticrisi.

È fondamentale perciò un giusto approccio che eviti di replicare nella fase economica dell’emergenza Covid-19 , i non pochi errori compiuti nel ricorso al diritto penale nella fase 1.

Nel periodo dell’emergenza sanitaria, infatti, gli strumenti del diritto penale si sono dimostrati largamente inadeguati a garantire l’osservanza delle prescrizioni e dei divieti posti al fine di contenere la diffusione del contagio.

Non c’è stato operatore del diritto che non abbia immediatamente compreso – e detto – che la prima delle norme penali messe in campo per sanzionare i trasgressori delle misure di contenimento della mobilità sul territorio, e cioè l’art. 650 del codice penale ( Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità) era clamorosamente inidonea allo scopo.

E ciò sia a causa della sua irrisoria efficacia deterrente sia in ragione degli effetti di ingolfamento burocratico che la sua effettiva applicazione avrebbe prodotto nel sistema della giustizia penale.

Così che si è dovuto precipitosamente (e, va aggiunto, meritoriamente) riparare l’errore cancellando ogni riferimento all’art. 650 cp e sostituendo ad esso, per i trasgressori, le sanzioni amministrative pecuniarie, evidentemente più incisive e dissuasive della vuota “minaccia” di un reato contravvenzionale.

Un discorso meno tranchant merita certamente la norma che ha previsto per la persona in quarantena sanitaria risultata positiva al virus Covid-19 “ il divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora”, comminando , in caso di violazione di tale divieto, le sanzioni dell’arresto da 3 a 18 mesi e dell’ammenda da 500 a 5000 euro (la sanzione prevista dall’art. 260 del Testo Unico delle leggi sanitarie).

Ad una lettura più ravvicinata anche questa norma, certamente meno imbelle e declamatoria della prima, ha però suscitato interrogativi e critiche tutt’altro che gratuite.

In particolare si è rappresentata la necessità di una risposta del legislatore su alcuni punti chiave della norma incriminatrice: l’autorità legittimata ad adottare il provvedimento di quarantena; le forme e le modalità applicative del provvedimento limitativo della libertà ; le garanzie di controllo giurisdizionale rese necessarie dall’ampiezza delle restrizioni (ricordiamolo : un divieto assoluto di allontanamento dall’abitazione o dalla dimora).

Per non parlare poi del silenzio mantenuto sulle necessarie misure di assistenza alle persone positive al virus poste in quarantena, indispensabili per garantire l’osservanza effettiva del divieto imposto ed evitare di dar vita a veri e propri “stati di necessità” invocabili da reclusi abbandonati a se stessi.

La riflessione che sul tema si è sviluppata sulle pagine di questa e di altre riviste giuridiche va dunque letta non come una astratta dissertazione ignara della drammatica congiuntura che attraversiamo ma come un concretissimo contributo offerto al legislatore per evitare che, anche nell’emergenza, un uso meramente declamatorio della norma penale la trasformi in una grida velleitaria ed inascoltata.

Infine, sempre nella fase 1 dell’epidemia, il capitolo centrale dell’emergenza carceraria ha contemporaneamente messo a nudo le incertezze e l’immobilismo del legislatore e una divisione culturale profonda in seno alla magistratura .

Una vera e propria frattura tra una componente della magistratura – probabilmente minoritaria, ma evidentemente molto ascoltata da uno schieramento trasversale della politica rappresentato nel governo e nell’opposizione – che ha preferito negare l’esistenza dei rischi derivanti dal sovraffollamento carcerario (non esitando ad affermare che nelle carceri si è più protetti che all’esterno) ed un’altra componente che sta facendo tutto quello che è in suo potere per intervenire attivamente nell’universo carcerario.

Un nodo, questo, che attende di essere sciolto prima che la situazione nelle carceri degeneri.

La parziale debacle dello strumentario penalistico nella prima fase dell’epidemia – nella quale il ricorso al diritto penale ha creato più problemi di quanti non ne abbia risolti – non deve indurre a ritenere che non vi sia un assoluto bisogno della sua razionalità e delle sue modalità di disciplinamento sociale soprattutto in una congiuntura difficilissima come quella che ci attende.

Nel prosieguo della crisi e nella sua inevitabile onda d’urto sulla società e sulla economia non si potrà rinunciare alla forza ed alla ragionevolezza del diritto penale, alla sua capacità di individuare, graduare e sanzionare adeguatamente le responsabilità individuali e al tempo stesso di rivendicare la clemenza necessaria in situazioni limite.

Lavoriamo per farne buon uso.  

 

 

[1] La pena edittale è stata elevata dall’art. 30 , comma 1, della legge 17 ottobre 2017 , n. 161.

[2]   d.lgs 6 settembre 2011, n. 159.    

[3] Sulle differenze tra le due fattispecie cfr. Cass., II, n. 47064 del 21.9.2017; Cass., II, n. 23163 del 12.4.2016; Cass. II , n. 49464 del 1.10.2014 ; Cass. III, n. 2382 del 1.12.2011 .

15/04/2020
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