Magistratura democratica
Corti europee e Corti internazionali

Il principio del ne bis in idem
nella sentenza CGUE
Aklagaren/Akerberg

La CGUE interpreta la portata del principio del ne bis in idem sulla base dell'art. 50 della Carta ed esclude che il diritto dell'Unione regoli i rapporti tra CEDU e diritto interno
Il principio del <em>ne bis in idem</em><br> nella sentenza CGUE<br> Aklagaren/Akerberg

Nota a sentenza CGUE, Grande sezione, 26 febbraio 2013, causa C-617/10, Aklagaren c. Hans Akerberg Fransson

 

1) I fatti all’origine della sentenza

Con la sentenza del 26 febbraio 2013, la Corte di Giustizia si è pronunciata su una questione pregiudizialeposta da un giudice svedese avente ad oggetto l’interpretazione e la portata del principio di ne bis in idem sancito dall’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dall’art. 4 protocollo n. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Con il rinvio sollevato ex art. 267 TFUE, il tribunale di primo grado di Haparanda (Svezia) chiedeva se l’azione penale avviata nei confronti del sig. Åkerberg Fransson per l’imputazione di frode fiscale aggravata per gli esercizi fiscali 2004 e 2005 a fronte delle false indicazioni prodotte dallo stesso, doveva essere considerata inammissibile per il fatto che il soggetto era già stato sanzionato, per i medesimi fatti, con una sovrattassa applicata dall’amministrazione tributaria e che, nelle more, era divenuta definitiva. Il giudice a quo s’interrogava, altresì, sulla compatibilità della prassi giudiziaria svedese che subordina l’obbligo di disapplicare le disposizioni interne in contrasto con i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU e dalla Carta alla condizione che tale contrasto risulti chiaramente dalle norme e dalla giurisprudenza europea. Tale prassi, come noto, trova il proprio fondamento nell’applicazione conforme proposta dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea al fine di garantire l’applicazione delle norme del diritto sovranazionale.

 

2) La competenza della Corte di Giustizia dell’UE

In primo luogo, la Corte affronta la questione della propria competenza, ribadendo che l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali dell’Unione – e per il suo tramite quindi anche i principi enunciati nella CEDU, così come interpretati dalla giurisprudenza di Strasburgo – grava sugli Stati membri solo quando agiscono nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. La tutela offerta dalla Carta ha, quindi, valenza limitata all’ambito del diritto dell’Unione.

L’individuazione dei criteri di scelta per stabilire se una determinata fattispecie debba essere considerata un caso di applicazione del diritto dell’Unione riveste particolare importanza a fronte della conseguente competenza dell’Unione ad assumere la garanzia dei diritti fondamentali in relazione alle manifestazioni del potere degli Stati membri.

Nel caso di specie, avente ad oggetto l’applicazione di sovrattasse e l’instaurazione di un procedimento penale collegate a violazioni di obblighi dichiarativi in materia di IVA, la Corte individua un nesso diretto tra la riscossione del tributo e la messa a disposizione nel bilancio dell’UE delle corrispondenti risorse ai sensi della direttiva 2006/112 del Consiglio del 28 novembre 2006 e dell’art. 325 TFUE.

Alla soluzione opposta, giungeva, invece, l’Avvocato Generale Villalòn nelle proprie conclusioni. Quest’ultimo, facendo leva sul fatto che il controllo da parte dell’UE degli atti dei pubblici poteri nazionali rappresenta un’eccezione praticabile solo nel caso in cui tali poteri attuino il diritto europeo e vi sia, altresì, un interesse specifico dell’Unione a che tale esercizio si conformi alla propria interpretazione dei diritti fondamentali, riteneva incompetente la Corte di Lussemburgo a statuire sulla questione. La mera presenza di una disciplina europea in materia di IVA – nello specifico gli artt22 della sesta direttiva 77/388 CEE e 273della direttiva 2006/112/CE – non era sufficiente, secondo l’Avvocato Generale, ad espropriare i singoli Stati del potere di sanzionare in modo autonomo le violazioni in materia fiscale e di valutarne la conformità ai principi fondamentali di matrice nazionale.

Tuttavia la Corte, senza approfondire la circostanza che le normative svedesi che costituiscono la base per l’applicazione delle sovrattasse e per l’instaurazione dei procedimenti penali in materia di IVA non sono state adottate per trasporre la direttiva 2006/112 e si presentano, quindi, solo in rapporto di occasionalità” e non di causalità con la fonte sovranazionale, afferma la propria competenza.

 

3) Il parametro per la valutazione della Corte

Al fine, dunque, di risolve le questioni pregiudiziali che vertono sulla portata del principio del ne bis in idem, la Corte prende in considerazione il solo art. 50 della Carta ed evita di esprimere un giudizio sulla necessità o meno di interpretare lo stesso alla luce dell’art. 4 del protocollo n. 7 della CEDU e della relativa giurisprudenza.

A tale importante aspetto, invece, è stato dato ampio rilievo nelle conclusioni dell’Avvocato Generale ove è stato evidenziato che, in numerosi Stati membri, l’imposizione di una duplice sanzione, amministrativa e penale, pur con la previsione espressa di modalità per evitare un effetto punitivo eccessivo, costituisce una pratica molto diffusa soprattutto nell’ambito del settore fiscale. L’importanza che rivestono gli strumenti di repressione amministrativa ha rappresentato, quindi, uno dei fattori che hanno indotto alcuni Stati membri a non ratificare il protocollo n. 7.

Alla luce di tale considerazione, si pone in rilievo l’asimmetria dell’obbligo di interpretare la Carta alla luce della CEDU e della relativa giurisprudenza stabilito all’art. 52, paragrafo 3, della Carta stessa, con la conseguenza che non è auspicabile l’equiparazione automatica dell’art. 4 protocollo n.7. all’art. 50 della Carta.

Il problema scaturisce dalla diversa portata della tutela convenzionale rispetto a quella offerta dalla Carta di Nizza dal momento che la giurisprudenza di Strasburgo, dopo alcune prime incertezze, è giunta ad affermare che il principio di ne bis in idem sancito nel protocollo n. 7 osta a provvedimenti che infliggono una duplice sanzione, amministrativa e penale, per gli stessi fatti, impedendo di avviare un secondo procedimento quando laprima sanzione sia divenuta definitiva.

La Corte, omettendo di esaminare la questione, ha dichiarato che l’unico parametro rilevante era rappresentato dall’art. 50 della Carta e ha stabilito che il principio di ne bis in idem ivi espresso non osta a che uno Stato membro imponga, per le medesime violazioni di obblighi dichiarativi in materia di IVA, una sanzione tributaria e successivamente una sanzione penale.

Spetterà al giudice del rinvio, secondo quanto stabilito dalla stessa Corte, valutare alla luce dei criteri elaborati dalla giurisprudenza europea (qualificazione giuridica, natura dell’illecito e grado di severità della sanzione), la natura penale della prima sanzione e l’effettività delle modalità previste per evitare un effetto punitivo eccessivo.

 

4) L’adesione dell’Unione alla CEDU

I giudici affrontano, poi, la prima questione pregiudiziale sollevata dal tribunale svedese ribadendo chefinché l’Unione non aderirà formalmente alla CEDU, quest’ultima non può costituire un atto giuridico formalmente integrato nell’ordinamento dell’Unione. La conseguenza di tale circostanza è che il diritto dell’Unione non disciplina i rapporti tra CEDU e ordinamento degli Stati membri né tantomeno determina le conseguenze nell’ipotesi di conflitto tra le disposizioni interne e quelle della Convenzione.

Nell’ordinamento italiano, pertanto, valgono i principi e le modalità dettate dalla Corte Costituzionale con le celebri sentenze “gemelle” del 2007, confermate dalla pronuncia n. 80 del 2011, in base alle quali il giudice ordinario che deve applicare una norma di legge interna in contrasto con un obbligo internazionale - tra cui rientra la CEDU con i suoi protocolli addizionali così come interpretati dalla giurisprudenza della Corte EDU - non potrà disapplicare la norma interna, ma dovrà sollevare questione incidentale di legittimità costituzionale con riferimento alla legge medesima, per contrasto con l’art. 117, comma 1 Cost. e – mediamente – con la norma CEDU che assumerà, pertanto, la natura di “parametro interposto” di legittimità costituzionale.

Infine, per quanto riguarda la questione sollevata in relazione alla Carta di Nizza, la Corte ribadisce che, in caso di contrasto tra le disposizioni nazionali e quelle di diritto dell’Unione il giudice dello Stato membro, inqualità di garante della tutela dei diritti offerta a livello dell’UE, deve disapplicare le norme interne. Tale potere, come viene dichiarato dalla Corte, non può essere limitato alla condizione che il contrasto risultichiaramente dal tenore della norma della Carta dal momento che, con l’introduzione di tale limite, siostacolerebbe l’esercizio dei poteri di interpretazione e disapplicazione che il diritto dell’Unione attribuisce agli organi giurisdizionali nazionali.

In conclusione, la Corte, ribadendo la propria incompetenza ad esprimere pareri consultivi su questioni generali o teoriche, ha dichiarato irricevibile la questione relativa all’opportunità di prevedere una legislazione che autorizza il cumulo di sovrattasse e sanzioni penali inflitte dallo stesso giudice, sulla base della circostanza che tale normativa non era applicabile alla controversia principale.

22/03/2013
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