Magistratura democratica
giurisprudenza di legittimità

Autoriciclaggio e capacità dissimulatoria della condotta

di Federico Piccichè
Avvocato del Foro di Monza e membro del Consiglio Direttivo della Scuola Forense di Monza
Commento a Cass. Pen., Sez. II, sentenza 14 luglio 2016 (dep. 28 luglio 2016), n. 33074, Pres. Fiandanese, Rel. Pardo

La sentenza, che si annota, per quanto concisa, è di sicuro interesse ed è assolutamente da condividere, in quanto fornisce una lettura interpretativa conforme al modello legale del reato descritto dall'art. 648 ter 1 c.p.. 

Il caso vede un Giudice per le indagini preliminari applicare nei confronti di due indagati la misura cautelare in ordine ai reati di furto e di utilizzo abusivo di una carta bancomat, con il contestuale rigetto della richiesta del Pubblico Ministero con riguardo al delitto di autoriciclaggio.

In particolare, l'accusa contestava agli indagati di essersi impossessati di una borsa contenente una carta bancomat e, mediante l'utilizzo di tale carta, di avere prelevato la somma di 500,00 euro, che depositavano su una carta prepagata superflash intestata ad uno dei due indagati. 

Contro l'ordinanza del G.I.P., il Procuratore della Repubblica presenta appello, che il Tribunale del riesame respinge.

Avverso l'ordinanza di rigetto, il Procuratore della Repubblica propone ricorso per cassazione dolendosi che il Tribunale non aveva ravvisato nei fatti un'ipotesi di autoriciclaggio.

La Corte respinge il ricorso escludendo la sussistenza del delitto di cui all'art. 648 ter 1 c.p..

Il ragionamento seguito dai Giudici di legittimità è il seguente.

Come prima cosa la Corte, poiché l'art. 648 ter 1 c.p. punisce, in presenza degli altri requisiti di legge, l'impiego, la sostituzione o il trasferimento in attività economiche o finanziarie di denaro, beni o altre utilità di provenienza delittuosa, osserva che la condotta tenuta dagli indagati, che si sono limitati a depositare una somma di denaro su una carta prepagata, non può catalogarsi come attività economica o finanziaria[1].

Invero, secondo la Corte, un'attività può definirsi economica soltanto se è finalizzata alla produzione di beni o alla fornitura di servizi, mentre può definirsi finanziaria se consiste nell'assunzione di partecipazioni, nella concessione di finanziamenti, nella prestazione di servizi di pagamento o nell'attività di cambiovalute[2].

Conseguentemente, atteso che la condotta degli indagati non rientra in alcuna delle suddette attività, deve essere escluso l'elemento oggettivo del reato in questione.

In secondo luogo, la Corte tiene a precisare che le condotte di impiego, sostituzione o trasferimento di beni od altre utilità commesse dallo stesso autore del delitto presupposto possono farsi rientrare nel raggio di azione dell'art. 648 ter 1 c.p. soltanto se hanno “la caratteristica specifica di essere idonee ad ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa”.  

In questo senso, allora, il versamento di una somma di denaro in una carta prepagata intestata alla stessa autrice del fatto illecito è priva di una qualsiasi “capacità dissimulatoria”.

Perché una condotta, ai fini dell'integrazione del delitto di autoriciclaggio, possa ritenersi concretamente connotata da modalità dissimulatorie è necessario che la sostituzione operata dall'autore del delitto presupposto si traduca in una “re-immissione nel circuito economico-finanziario ovvero imprenditoriale del denaro o dei beni di provenienza illecita”, con  modalità tali da oscurarne l'origine delittuosa.

Secondo la Corte, rientra nella fattispecie incriminatrice dell'autoriciclaggio la reimmissione nel circuito economico e/o finanziario del denaro o degli altri beni di provenienza illegale che sia “finalizzata appunto ad ottenere un concreto effetto dissimulatorio che costituisce quel quid pluris che differenzia la semplice condotta di godimento personale (non punibile) da quella di nascondimento del profitto illecito (e perciò punibile)”.

Come si è detto in apertura, la sentenza in esame merita attenzione in quanto mette bene in evidenza le caratteristiche strutturali del reato di autoriciclaggio.

La Corte, infatti, definisce che cosa si debba intendere per attività economica e attività finanziaria e, soprattutto, risolve il caso ricorrendo ad un'interpretazione che, per la sua aderenza al testo, riesce a cogliere “l'ubi consistam della norma”[3], rappresentato dalla reimmissione in circolo nel mercato di beni di provenienza delittuosa in modo tale da ostacolarne in concreto la tracciabilità.

In un punto chiave della pronuncia, la Corte afferma, richiamando testualmente le parole del legislatore, che le condotte di impiego, sostituzione o trasferimento dei beni, poste in essere dal soggetto autoriciclatore, devono essere capaci di “ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa”.

Leggendo queste parole, si percepisce chiaramente che per la Corte, con l'introduzione del nuovo delitto di autoriciclaggio, si è inteso perseguire non ogni reimpiego dei proventi delittuosi, ma soltanto quel reimpiego di tali proventi che sia efficacemente finalizzato al loro concreto occultamento.

Sul punto, la Corte sembra allinearsi con la Dottrina più autorevole che, nei primi commenti a caldo sul reato di autoriciclaggio, aveva già evidenziato che “proprio la modalità dell'occultamento segna un autonomo  disvalore rispetto al mero diretto impiego (senza alcuna schermatura) dei beni in ipotesi frutto di un reato in precedenza commesso”[4].

Concludendo, secondo la Corte, è punibile, ai sensi dell'art. 648 ter 1 c.p., soltanto il reimpiego cosiddetto schermato di proventi illeciti, mentre non può punirsi il reimpiego non schermato, essendo quest'ultimo inidoneo ad ostacolare, in concreto, l'identificazione della provenienza delittuosa del bene.

 


[1] Per la verità, l'art. 648 ter 1 c.p. menziona anche le attività imprenditoriali e speculative, su cui però la sentenza in esame non si sofferma.

[2] Per la definizione di attività economica, la Corte richiama l'art. 2082 del codice civile, mentre per la definizione di attività finanziaria la Corte evoca l'art. 106 del Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia.

[3] L'espressione è di MUCCIARELLI ed è tratta dallo scritto intitolato Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio, in www.penalecontemporaneo.it, 24 dicembre 2014.

[4] Anche queste parole sono prese dalla scritto Qualche nota sul delitto di autoriciclaggio, cit. Sempre all'interno di questo contributo, MUCCIARELLI precisa ancora che “proprio nella re-immissione (attraverso modalità idonee a celarne la provenienza delittuosa) nel circuito dell'economia legale si realizza la più profonda delle offese”. Allineato, sul punto, è CASCINI che, in uno scritto precedente dal titolo Due o tre cose sull'autoriciclaggio, pubblicato il 22 ottobre 2014 in questa Rivista, ha scritto testualmente: “Le operazioni di trasferimento, di sostituzione e di reimpiego del denaro provento di illecito idonee ad occultarne la provenienza sono la sostanza dei delitti di riciclaggio e di autoriciclaggio (e la ragione della pericolosità sociale di tali condotte) e meritano una autonoma sanzione”.

02/11/2016
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