Magistratura democratica

Ucraina, c’è un giudice a Kyiv?

di Francesco Florit

L’incontro a Kyiv dei vertici UE con il Presidente Zelensky ha acceso le speranze di una accelerazione del processo di adesione dell’Ucraina all’Unione europea. Ma le sue istituzioni, in particolare quelle giudiziarie, sono pronte?

1. Premessa / 2. Un giudiziario in transizione / 3. Riforme a corrente alternata / 4. La Corte costituzionale, «nave sanza nocchiere in gran tempesta» / 5. L’istituzione meno credibile

 

1. Premessa

Se qualcuno si fosse chiesto un anno fa se i tempi erano maturi per l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue, la risposta sarebbe stata sicuramente negativa. Certo, il principale ostacolo era il conflitto nel Donbass, all’epoca ancora un frozen conflict. Ma anche il “sistema Paese”, cioè le istituzioni in generale, e quelle giudiziarie in particolare, non presentava condizioni tali da consentire l’integrazione. Bisognava assolutamente evitare che si riproducesse in scala maggiore quanto accaduto quindici anni prima, quando l’Europa scoprì solo dopo l’ingresso della Romania e della Bulgaria nel blocco che gli strumenti a tutela della Rule of Law nei due Paesi balcanici erano sub-standard e che le quattro libertà di circolazione che sono l’essenza dell’Unione non potevano essere adeguatamente tutelate da sistemi giudiziari corrotti e inefficienti.

Qual è la situazione del sistema giudiziario nel martoriato Paese al confine tra Europa e Asia? Cercherò di fornire alcune risposte a temi di carattere generale. 

 

2. Un giudiziario in transizione

La prima osservazione è che non si è ancora verificato pienamente, nella magistratura giudicante ucraina, quel ricambio culturale che ha caratterizzato molti giudiziari dei Paesi balcanici e dei Paesi dell’ex-blocco sovietico negli ultimi decenni. Dalla Lituania alla Romania, dal Kosovo alla Croazia, fino alla stessa Polonia, le istituzioni di garanzia hanno in generale saputo rinnovarsi e “occidentalizzarsi”: nuove generazioni di giudici, in gran parte donne, favorite dalla dimestichezza con le nuove tecnologie, dalla conoscenza di lingue straniere e dall’accesso a programmi di scambio, hanno prontamente assimilato, assieme a un linguaggio giuridico moderno, modelli culturali che li avvicinano al nostro modo di pensare, anche sul piano giuridico. Questo processo solo in parte si è verificato in Ucraina, dove una sorta di conservatorismo giudiziario e di mentalità autoprotettiva rappresentano una zavorra per le riforme, così necessarie al Paese. Non si deve dimenticare che fino al 2014 l’Ucraina, pur indipendente da un quarto di secolo, gravitava ancora nell’orbita russa, in forza di una vagheggiata fratellanza “panrussa” e di un retaggio culturale che impediva l’elaborazione di modelli culturali indipendenti. Se la prospettiva è ora cambiata, dopo la rivoluzione di Maidan (il movimento di piazza che, tra il 2013 e il 2014, ha portato alla caduta del regime oligarchico e cleptocratico del Presidente Yanukovych, filorusso) e l’arrivo massiccio di consiglieri giuridici e finanziamenti delle missioni e organizzazioni non governative europee e nordamericane, la strada è ancora lunga e tormentata. 

Ciò non deve affatto meravigliare, se si considera che la classe dei giudici si trova a dover gestire una transizione verso concetti giuridici e istituzioni largamente ignoti nel mondo comunista. La caratteristica fondamentale del giudiziario emerso dal crollo del regime comunista è la mancanza d’indipendenza intellettuale. Abituati per decenni a rappresentarsi come piccoli funzionari (a cui il capo partito, a tutti i livelli, si sentiva in diritto di telefonare – da qui le espressioni, ancora comuni, di “telephone justice” o “party justice”), ancora adesso i giudici non hanno maturato una sufficiente coscienza del proprio ruolo. Alcuni esempi possono essere utili a chiarire il concetto: (i) secondo analisi generalmente condivise, il numero di casi in cui i giudici respingono le istanze del pubblico ministero supera appena l’uno per cento; (ii) non pare esservi interesse per l’associazionismo giudiziario: è vero che la legge vieta ai giudici tanto l’iscrizione a partiti politici (come da noi) quanto ad associazioni di natura sindacale (a differenza che da noi), ma tale doppio limite non è chiaramente delineato nella Costituzione; tuttavia, alcuni colleghi interpellati sul punto non hanno manifestato alcun appetito per l’argomento, ritenendolo estraneo al loro approccio alla professione; (iii) vi sono, da più parti della società civile, accuse di corporativismo del locale Consiglio superiore della magistratura, che giunge a proteggere giudici notoriamente corrotti; alcuni osservatori stranieri denunciano il fenomeno come “judicial appropriation” (comune a diversi Paesi in transizione), una sorta di ubriacatura da eccesso di potere, derivante nella migliore delle ipotesi da incomprensione dei limiti dell’indipendenza (che, se non funzionale al servizio  giustizia, è fonte di abuso); (iv) da più parti (da USAID alla Commissione di Venezia, dai progetti Ue al FMI) si manifesta la frustrazione nel constatare, nonostante un ventennio di interventi internazionali, l’incapacità delle istituzioni locali a riformarsi e la necessità a dover mettere mano sempre agli stessi nodi, rimasti irrisolti nonostante i molteplici tentativi di riforma.

In concreto, sussistono vistose anomalie nella distribuzione dei carichi (le corti d’appello e la Corte suprema sono sommerse di casi e lavorano con organici ridottissimi) come nella progressione stipendiale (il giudice di primo grado e di appello è sottopagato - da qui fenomeni di corruzione - mentre quelli della Cassazione e della Corte anticorruzione hanno retribuzioni pari a quelle di un corrispondente collega italiano – in un Paese con un reddito medio che è un quarto di quello italiano!). Da tali sperequazioni sorgono inevitabili distorsioni, derive carrieristiche e corruzione.

Quest’ultima è endemica e “data per scontata” dal cittadino comune, che non ha alcuna fiducia nell’Istituzione giudiziale.

A fronte di tali aspetti negativi, ve ne sono di positivi: la Corte suprema, nella bellissima sede di Kyiv, guidata fino a pochi mesi fa dalla giudice Valentyna Danishevska, è un esempio di modernità; l’ufficio del Massimario, dotato di sofisticatissime tecnologie finanziate da un progetto dell’Ue, ha poco da invidiare al nostro omologo. 

 

3. Riforme a corrente alternata

I tentativi di riforma sono stati molteplici. Si è iniziato nel 2016, con la ristrutturazione della Corte suprema e il re-vetting del giudiziario. Con il sostegno dell’Unione europea, e della comunità internazionale in generale, si è proceduto alla creazione di una Corte specializzata anticorruzione (High Anti-Corruption Court of Ukraine), i cui giudici sono stati selezionati da un comitato di esperti stranieri al fine di escludere possibili influenze politiche interne. La riforma ha ripreso vigore sotto l’egida della nuova Amministrazione Zelensky che, nella prospettiva di rivoluzionare il sistema di reclutamento dei giudici, ha innanzi tutto dissolto (legge 193-IX del 7 novembre 2019) l’attività dell’organo che svolgeva le funzioni della nostra Commissione d’esame per l’accesso alla magistratura, ma che in Ucraina era costituita come organo permanente (High Judicial Qualification Commission). Con la stessa legge sono stati disposti la riduzione della metà dell’organico dei giudici della nuova Corte suprema (da 200 a 100) e il loro re-vetting, anche se avevano da poco superato uno specifico esame; sono state inoltre costituite due distinte Commissioni miste (formate da membri locali e internazionali), con il compito – rispettivamente – di procedere alla ricostituzione della nuova Commissione d’esame, in luogo di quella dissolta, e alla rivalutazione dei membri del Consiglio superiore della magistratura, invisi alla pubblica opinione per le accuse di corruzione e partigianeria.

Tuttavia, in mancanza di un chiaro disegno, queste misure sono state adottate dal Parlamento senza il carattere di una riforma generale del settore. Come osservato in un parere della Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa, «il risultato dello scarso processo legislativo» è rappresentato da «una pletora di disegni di legge in relazione ad aspetti specifici, spesso in maniera affrettata, un approccio frammentario, l’assenza di un’adeguata valutazione dell’impatto prima di proporre ulteriori cambiamenti e una generale mancanza di chiarezza. Come logica conseguenza, alcune leggi sono state successivamente dichiarate incostituzionali dalla Corte costituzionale e l’intero processo deve iniziare di nuovo». In effetti, due sentenze della Corte costituzionale dei primi mesi del 2021 hanno dichiarato illegittime parti fondamentali tanto della riforma del 2016 che di quella del 2019. 

La situazione, alla fine del 2021, era estremamente caotica giacché alla sospensione dei lavori della Commissione d’esame per l’ingresso in magistratura aveva fatto seguito il blocco delle procedure in corso, con il conseguente aggravarsi delle carenze di organico (i giudici sono 5.000 su un organico di 7.000), particolarmente acute in appello. 

A ciò si aggiunga che istituzioni internazionali (FMI e Ue) condizionavano l’erogazione di sostegno economico (si parla di diversi miliardi di dollari ed euro) a riforme strutturali che espressamente prevedessero la riforma e il re-vetting del locale Csm.

Insomma, una situazione di stallo e di confusione.

 

4. La Corte costituzionale, «nave sanza nocchiere in gran tempesta»

Si tratta di uno degli organi più compromessi, a causa di una serie di decisioni che, tra la tarda primavera e l’autunno del 2020, hanno dapprima provocato l’arresto delle riforme del sistema giudiziario e, in seguito, hanno fatto crollare il sistema anticorruzione. In entrambi i casi, si trattava di riforme ispirate dalla comunità internazionale e sostenute dal vasto movimento d’opinione sorto dalla rivoluzione di Maidan. Nella vulgata, la Corte si è posta al servizio di Mosca per seminare instabilità in territorio ucraino, nel conflitto a bassa intensità che contrapponeva dal 2014 i due Paesi slavi. Che ciò non sia solo un teorema parrebbe confermato da più circostanze: in primo luogo, i principali fautori di questa giurisprudenza “demolitoria” sono il presidente Oleksandr Tupytsky e il giudice Oleksandr Kasminin, entrambi nominati nel 2013 dall’ex-Presidente filorusso Yanukovych, rifugiatosi a Mosca dopo Maidan. In particolare, il presidente Tupytsky, colpito anche dalle sanzioni del Governo americano per pratiche di corruzione, sarebbe rimasto in servizio nonostante le indagini per corruzione collegate all’acquisto di terreni (in realtà ricevuti in dono) nella Crimea occupata dalla Russia. A conferma del teorema v’è la circostanza che a sollevare le questioni di costituzionalità sia sempre stato il partito filorusso (“Per la Vita”) capeggiato da quel Viktor Medvedčuk che abbiano visto nei giorni scorsi in televisione in tuta mimetica, arrestato per alto tradimento, amico personale di Putin (che è anche padrino della figlia del deputato) dai tempi del KGB, divenuto oligarca grazie all’appoggio del Cremlino. Il sospetto che il partito filorusso trovi quanto meno un “orecchio particolarmente attento” nella Corte costituzionale è molto forte. Occorre infatti ricordare che, per sollevare questioni di costituzionalità delle leggi non vi è un sistema “diffuso”, per via giudiziaria, come in Italia. In Ucraina, la mozione può essere presentata direttamente alla Corte costituzionale da 45 parlamentari, in ogni momento e in via “astratta”, senza riferimento a un caso concreto. Ebbene, proprio questo è accaduto in tutti i casi menzionati in precedenza, e in numerosi altri, allorché i membri del partito filorusso hanno sottoscritto en bloc le mozioni di costituzionalità, per attaccare il cuore delle riforme “europeiste” introdotte nel Paese dopo la rivoluzione di Maidan del 2014. 

Tutto ciò ha scatenato un conflitto istituzionale ad altissimo livello tra l’Ufficio del Presidente dell’Ucraina e la Corte costituzionale. Zelensky ha prima inviato la propria Guardia presidenziale (i “Corazzieri” ucraini) per impedire a Tupytsky l’accesso al palazzo della Corte costituzionale; poi, con proprio decreto, ne ha revocato la nomina a giudice della Corte, avvenuta otto anni prima. Si tratta di atti abusivi, che hanno avuto comunque l’effetto di rendere inattiva per mesi la Corte e di minare alla radice il principio della separazione dei poteri. 

 

5. L’istituzione meno credibile

Se si chiede a qualunque cittadino ucraino, in patria o all’estero, se vi sia corruzione nelle corti, la risposta sarà invariabilmente positiva, condita con qualche aneddoto personale. Secondo l’opinione comune, la corruzione affligge ogni livello, dal cancelliere per ottenere l’iscrizione del fascicolo, al giudice per ottenere l’anticipazione dell’udienza o, naturalmente, la vittoria nella causa o l’assoluzione. Il fenomeno è talmente diffuso che le associazioni di imprenditori e alcune organizzazioni internazionali avevano richiesto, nel corso del 2021, l’introduzione di corti miste, con giudici internazionali, tanto nel settore amministrativo che nelle corti commerciali. 

Il Csm ucraino non svolge un ruolo sufficientemente deciso per contrastare il problema. In un caso notorio (quello del giudice Pavlo Vovk, presidente della principale corte amministrativa del Paese, la tristemente nota Pecherskyi Administrative Court), pur a fronte di evidenti, gravissimi e reiterati comportamenti corruttivi (documentati con telefonate e filmati postati dagli investigatori su Youtube) il Consiglio ha evitato di adottare qualsivoglia provvedimento, con la scusa di infondati e pretestuosi rilievi formali. Dinnanzi al clamore popolare causato da tale atteggiamento autoprotettivo, nell’impossibilità di rimuovere il giudice corrotto, alcune forze politiche sono giunte al punto di proporre, con disegno di legge, la soppressione della Corte amministrativa di Pecherskyi. 

In un altro caso, noto popolarmente come quello del “giudice della bottiglia” (quella usata per sotterrare nel giardino di casa il bottino della corruzione), l’inerzia aveva consentito al giudice Mykola Chaus, accusato di aver ricevuto illecitamente 150.000 euro, di trovare rifugio in Moldavia. Dopo una latitanza durata cinque anni, l’epilogo ha avuto rilevanza internazionale un anno fa, quando i servizi segreti ucraini hanno rapito il fuggitivo a Chișinău, riportandolo a Kyiv a fronteggiare le accuse di corruzione.

A guardare con occhi disincantati, il quadro complessivo è desolante. Le riforme, una volta introdotte, debbono esser rese efficienti nonostante una classe giudiziaria che spesso vive la propria funzione come privilegio e con arroccamento su posizioni indifendibili. 

La via giudiziaria all’integrazione europea è allo stato costellata di difficoltà. 

Purtroppo, la straordinaria forza morale, il coraggio e la dignità che il popolo ucraino sta dimostrando in questi giorni non sono garanzia della futura capacità di superare quelle difficoltà.