Magistratura democratica

Ucraina, porta d’Europa*

di Francesco Florit

Lo spettacolo devastante dell’attacco russo a Kyiv[1] e all’Ucraina risulta incomprensibile ai più ed inaspettato persino per esperti e politologi. Vediamo di affrontare alcuni punti di recente sollevati, per cercare di fare un po’ di luce. 

 

1. “Kyiv” o “Kiev”? Se potevano esservi dubbi fino ad ora, adesso dovrebbe preferirsi la prima opzione, che costituisce la traslitterazione della grafia dall’ucraino. L’altra opzione (“Kiev”) è la trascrizione in alfabeto latino dell’equivalente russo. E si dice “Ucraìna”, non “Ucràina”, poiché il nome viene da una base slava che indica un “territorio di frontiera”.

1. Premessa / 2. Il popolo russo e quello ucraino sono due facce della stessa medaglia / 3. L’intervento russo è giustificato dal genocidio di russi in corso in Donbass / 4. L’Ue e la Nato hanno “provocato” la Russia armando il “giardino di casa” / 5. Minsk I e Minsk II sono stati traditi / 6. La Crimea è parte integrante dell’Ucraina / 7. Ma l’Ucraina è una democrazia? / 8. L’Ucraina è una invenzione bolscevica

 

1. Premessa

Il titolo di questo articolo evoca, e un po’ tradisce, quello del miglior libro di storia Ucraina reperibile sul mercato: «The gates of Europe», di Serhii Plokhy, ucraino e professore di Storia dell’Ucraina all’Università di Harvard. Dalla lettura del saggio si comprende che il Paese merita quel nome per il ruolo svolto, fin dall’epoca dell’invasione dell’“Orda d’oro” (XIII secolo), di cuscinetto tra Occidente ed Oriente e, ancor più, di baluardo nei confronti del mondo asiatico. Il termine inglese (gate) dovrebbe quindi essere tradotto in “cancello” (che per noi evoca lo sbarramento, la chiusura) piuttosto che “porta” (che per noi, in questo contesto, evoca l’apertura, la disponibilità). 

Io ho vissuto per un anno e mezzo a Kyiv[2] e ho avuto modo di conoscerne storia e cultura. Senza pretese, mi propongo di rispondere ad alcune questioni recentemente evocate.

 

2. Il popolo russo e quello ucraino sono due facce della stessa medaglia

Nel discorso che ha preceduto l’invasione, Putin ha sostenuto che i due popoli sono declinazioni della stessa identità etnica e hanno un destino comune. L’argomento, formulato originariamente in un articolo pubblicato qualche mese fa sul sito del Cremlino[3], è al tempo stesso astorico e ipocrita. 

Astorico perché, se è pur vero che vi è un’origine comune (nel regno chiamato Rus’[4], con centro in Kyiv) e che per secoli hanno fatto parte dell’Impero russo, da almeno un secolo e mezzo istanze emancipatrici sono emerse in Ucraina, tanto che ha preso forma un’identità specifica, innegabilmente distinta da quella russa. L’elemento più significativo di differenziazione è la componente centroeuropea, individualista, cattolica e protestante, a fianco di quella ortodossa, ove si fondono elementi slavi, germanici (l’orgoglio per le “leggi di Magdeburgo”) ed ebraici, e che risale almeno al XV secolo. Questa componente è sostanzialmente assente nella cultura e nell’anima russa, che è collettivista, etnicamente monolitica e ortodossa.

Non mi pare, per contro, corretta la tesi di chi[5] parla di due popoli distinti, storicamente, politicamente e culturalmente diversi e inconciliabili, unificati tardivamente dall’operazione di cultural appropriation dell’origine kyiviana attuata da Pietro il Grande. A smentire tale tesi sia sufficiente ricordare che la casa regnante di Kyiv-Rus’ (i Rjurikidi) è “transitata” ed è rimasta nella Moscovia fino a Ivan il Terribile (metà del XVI secolo).

Ipocrita e contraddittorio, perché l’argomento non può essere usato per giustificare una guerra. Da quando in qua in una famiglia, se un figlio segue una strada ritenuta sbagliata, lo si ammazza invece di tentare di riportarlo sulla retta via? 

 

3. L’intervento russo è giustificato dal genocidio di russi in corso in Donbass

Questo argomento, addotto da Putin per giustificare una operazione di guerra altrimenti illegittima prima facie, è del tutto infondato ed è un pretesto dell’ultima ora. Per la parte del Donbass controllata da Kyiv (due terzi di un’area grande quanto Valle d’Aosta, Piemonte e Lombardia messe assieme), la presenza delle missioni internazionali (oltre all’Ue: Usa, Regno Unito, Giappone, Nazioni unite, Osce, etc.) ha sempre garantito imparzialità. I monitors e gli human rights experts si sarebbero fatti sentire da tempo in caso di genocidio o di violazioni significative, ma non ve n’è traccia online né io ho mai sentito alcunché in proposito, pur trattando anche di tali temi, in un anno e mezzo di esperienza nel Paese. Personalmente, posso testimoniare che vi sono, a livello governativo e di amministrazione giudiziaria, con l’aiuto dell’Ue e degli Usa, programmi di integrazione delle parti deboli (Model Court) e che il personale ucraino è attento e inclusivo nei confronti della popolazione russofona e delle minoranze. 

Non è ovviamente pensabile che una qualche forma di genocidio ai danni dei russi fosse perpetrato nelle Repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk, proclamate dagli autonomisti russofili.

 

4. L’Ue e la Nato hanno “provocato” la Russia armando il “giardino di casa”

È vero che la Ue, almeno dal 2014, ha provato ad armare l’Ucraina con armi micidiali per la Russia perché devastanti se arrivassero in territorio ex-sovietico: si chiamano democrazia, lotta alla corruzione e istituzioni di stampo occidentale. 

Quanto alla Nato, o meglio agli americani e ai turchi, che dell’alleanza sono la faccia militare, hanno effettivamente fornito assistenza militare all’Ucraina dopo il 2014, cioè dopo l’inizio del conflitto nelle province orientali e l’annessione della Crimea. Ma perché tirare in ballo la questione adesso, dopo che l’allargamento a Est è iniziato da venticinque anni e che, nel 2002, la Russia stessa era stata invitata alla «Partnership for Peace» con la Nato?

Gli storici, intellettuali o giornalisti che accusano gli Usa e la Nato di provocazione non ricordano cosa fosse la Russia alla metà degli anni novanta, ignorano la lezione del crollo dell’ideologia comunista e non considerano che ora l’unica ideologia che l’autoproclamata superpotenza russa (però con un pil inferiore a quello italiano!) rappresenta è un regime liberticida, antidemocratico e cleptocratico.

 

5. Minsk I e Minsk II sono stati traditi

Più che “traditi”, si può dire che non sono stati adempiuti. Si trattava, occorre ricordare, di accordi multilaterali siglati nel 2014 e nel 2015, con due finalità: il “cessate il fuoco” nell’area del Donbass e il riconoscimento da parte di Kyiv di una qualche forma di autonomia per le due aree “ribelli” di Donetsk e Luhansk. Soprattutto questa seconda parte degli accordi si è rivelata impraticabile per l’Ucraina, che ha compreso tardivamente che i due territori si sarebbero presto trasformati in strutture analoghe alla Transnistria, Ossezia o Abkhazia, Repubbliche sostenute dalla Russia, ai margini della legalità internazionale ma capaci di destabilizzare con l’illegalità i territori confinanti.

 

6. La Crimea è parte integrante dell’Ucraina

La Crimea non fa parte, non ha mai fatto parte dell’identità nazionale ucraina. Su questo non vi possono essere dubbi[6]. La “donazione” del 1954 non fu un atto di riconoscimento ma un atto arbitrario, e come tale dovrebbe essere considerato, dato che i territori non si trasferiscono per regalia. Su questo, e sul suo precipitato, l’annessione del 2014 (anch’essa arbitraria, sia ben chiaro: two wrongs do not make one right), l’Europa avrebbe dovuto essere più chiara ricordando che, secondo il trattato fondativo dell’Unione, nessun Paese può fare ingresso se non ha prima risolto le proprie questioni territoriali. La rivendicazione della Crimea come “bargain chip” (“moneta di scambio”) in una trattativa di lunga prospettiva non è né morale né intelligente, poiché di fatto ha bloccato il dialogo invece che favorirlo.

Per queste ragioni, in definitiva, nel 2014 nessuno ha invocato la violazione da parte della Russia del Memorandum di Budapest del 1994, con cui l’Ucraina aveva consegnato il proprio arsenale atomico alla Russia a fronte della garanzia dell’integrità territoriale del Paese.

 

7. Ma l’Ucraina è una democrazia?

Certo, da quando nel 1992 c’è stato il crollo dell’Unione Sovietica, il sistema politico e istituzionale si è trasformato. Almeno nelle ultime due tornate di votazioni, in Ucraina, i processi elettorali sono stati equilibrati e aperti. In precedenza, il sistema aveva fatto fatica a emanciparsi dal “fratello maggiore” russo, che influenzava la politica e che aveva consentito a un’oligarchia filorussa di mantenere le leve del comando, come ancora succede in Kazakistan e Turkmenistan. Ci sono volute due rivoluzioni (quella “arancione” del 2004 e quella “della Dignità”, anche detta “Rivoluzione di Maidan”, del 2014[7]) perché l’Ucraina si liberasse delle incrostazioni e perché si realizzasse un sistema partitico più o meno stabile e credibile. Ciò nonostante, una folta rappresentanza parlamentare (50 deputati sui 270 della Rada, il parlamento monocamerale) è espressione del partito pro-Russia, che ha forte radicamento nelle province dell’Est. E può accadere che un oligarca vada in televisione a vantarsi di aver qualche deputato a disposizione. Ma sono teething problems di un sistema che deve trovare la propria strada.

 

8. L’Ucraina è una invenzione bolscevica

Questo argomento è paradossale, ed è paradossale che sia stato usato da Putin, che è il frutto e il suggello del sistema, che in Russia, a dispetto del mutamento dei regimi, non è affatto cambiato (Putin e il suo Ministro degli affari esteri, Sergej Lavrov, ne sono il miglior esempio). Vero è, tuttavia, che l’Ucraina (che è grande due volte l’Italia ed è il più grande Paese interamente in Europa) è territorialmente più grande della propria identità nazionale, avendo ricompreso, per vicende storiche successive, territori i più diversi, a Ovest, Sud ed Est. Il nome stesso di “terra di confine”, rispetto a una fascia al limitare della Russia, tradisce l’origine più concentrata dell’identità del Paese. 

A prescindere da tali vicende, l’instabilità del Paese è causata da un altro fattore, questa volta interno. Esso è rappresentato dal difficile connubio (se non dall’inconciliabilità) tra le due anime dell’Ucraina: quella occidentale, basata come detto sull’individuo e su valori centroeuropei, inclusi la denominazione cattolica e l’ebraismo ashkenazita, da un lato, e quella cosacca, comunitaria, fortemente ortodossa e parzialmente russofila. La prima domina a Ovest del fiume Dnepr (Nipro), che taglia in due il Paese, mentre la seconda fiorisce a Est. Alle elezioni politiche, esse tendono a manifestarsi nelle formazioni che difendono, da un lato, il progresso, l’europeismo e la democrazia e, dall’altro, lo status quo, il conservatorismo, il nazionalismo. Non a caso, nella carta geografica mondiale divisa per religioni, disegnata da Samuel P. Huntington per il suo libro «The Clash of Civilizations», l’Ucraina appare divisa in due lungo il corso del Dnepr. Nei secoli, vi è stato un take-over della seconda sulla prima (“i cosacchi sono arrivati a Kyiv”), ma si è trattato di un processo mai completo[8]

 

*  Il presente contributo è stato pubblicato in anteprima su Questione giustizia online il 3 marzo 2022 (www.questionegiustizia.it/articolo/ucraina-porta-d-europa).

2. Dal 2020 al 2021 sono stato Head of Prosecution/Judiciary Unit della Missione EUAM a Kyiv.

3. V. Putin, On the Historical unity of Russians and Ukrainians, 12 luglio 2021, http://en.kremlin.ru/events/president/news/66181.

4. L’apostrofo rende la “s” molle, come il suono che si emette quando si invita qualcuno gentilmente al silenzio portando l’indice davanti alla bocca.

5. Massimiliano Di Pasquale, ricercatore associato dell’Istituto “Gino Germani” di Scienze sociali e Studi strategici, ucrainista ed esperto di Paesi post-sovietici, in un recente articolo di giornale.

6. Seguendo un dibattito online, un anno fa chiesi a Serhii Plokhy (cit. in apertura) se e per quale ragione si potesse sostenere la tesi della “ucrainicità” della Crimea. La risposta, articolata in tre argomenti, fu deludente, provenendo da un intellettuale rispettabile: 1) dopo il 1954, i flussi principali verso la Crimea furono attuati dagli ucraini, principali turisti nell’area (sic!); 2) a partire dal 1954, la sofferenza comune dell’intelligencija ucraina e crimea nei gulag ha formato un’identità condivisa; 3) nei secoli, tra Cosacchi e Tatari di Crimea non vi fu solo una storia di conflitti, ma anche tregue e occasionali alleanze. Ovviamente, sono argomenti che né da soli né complessivamente hanno alcun peso per determinare l’appartenenza a un Paese piuttosto che a un altro.

7. Viktor Janukovyč, il politico ucraino sostenuto dalla Russia, detiene l’originale primato di essere l’unico Presidente a esser stato “detronizzato” da ben due rivoluzioni di piazza. Le manifestazioni della Rivoluzione arancione portarono all’annullamento delle elezioni che lo avevano incoronato, con nuovo voto dal quale uscì sconfitto; Maidan, un decennio dopo, lo costrinse ad abbandonare il potere e fuggire in Russia.
Per avere un’idea dell’immagine che l’oligarchia al potere emanava, suggerisco di consultare il sito con le foto della residenza del procuratore generale dell’epoca, assaltata dai rivoltanti come emblema di corruzione: www.reuters.com/news/picture/inside-ukraines-former-prosecutor-genera-idUSRTR3FOZX.

8. Per chi volesse saperne di più sull’Ucraina, invito alla lettura di due precedenti articoli apparsi su Questione giustizia online: Le cupole di Kiev, 11 novembre 2020 (www.questionegiustizia.it/articolo/le-cupole-di-kiev); Crisi costituzionale in Ucraina: à la guerre comme à la guerre, 29 gennaio 2021 (www.questionegiustizia.it/articolo/crisi-costituzionale-in-ucraina-a-la-guerre-comme-a-la-guerre).