Magistratura democratica

Violenza sessuale e tratta in relazione all’invasione dell’Ucraina*

di Maria Grazia Giammarinaro

Violenza sessuale e tratta sono componenti strutturali di tutti i conflitti. L’invasione dell’Ucraina crea situazioni di vulnerabilità che, soprattutto tra le profughe, possono condurre alla tratta. Occorre dunque agire rapidamente per prevenirla.

1. Lo stupro come arma di guerra e la «Conflict Related Sexual Violence» / 2. Il nesso fra conflitti, tratta e grave sfruttamento / 3. La tratta come CRSV e come crimine contro l’umanità / 4. Le molteplici vulnerabilità dei minori nel contesto dei conflitti / 5. Violenza sessuale e rischi di tratta in relazione all’invasione dell’Ucraina

 

1. Lo stupro come arma di guerra e la «Conflict Related Sexual Violence»

Il corpo femminile è stato usato nei conflitti recenti, e certamente a partire dalla guerra nella ex-Jugoslavia, come una vera e propria arma di guerra. Lo stupro sistematico delle donne e le gravidanze forzate sono stati strumenti utilizzati con freddezza per realizzare piani di pulizia etnica e per fiaccare il senso di identità degli individui maschi del gruppo avversario. ISIS/Daesh ha fatto del corpo delle donne Yazidi, sequestrate, usate come schiave sessuali per remunerare i combattenti, vendute sul mercato globale del sesso, una sorta di bottino di guerra da usare anche come fonte di finanziamento. Boko Haram in Nigeria ha probabilmente venduto nello stesso modo tante ragazze sequestrate nei villaggi e nelle scuole. In ogni caso, le notizie di stupri e di varie forme di sfruttamento e violenza sessuale hanno sempre accompagnato le cronache di guerra in relazione agli oltre 50 conflitti in corso globalmente. 

Anche a seguito dell’advocacy compiuta dalle organizzazioni di donne dopo le atrocità commesse in Bosnia, nello Statuto di Roma della Corte penale internazionale, adottato nel 1998, sono stati introdotti tra i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra lo stupro, la schiavitù sessuale, la prostituzione forzata, la gravidanza forzata, la sterilizzazione forzata e altre forme di violenza di gravità comparabile. Ancora, tra i crimini contro l’umanità è stata inserita la riduzione in schiavitù anche nel contesto della tratta di esseri umani. 

I crimini di violenza sessuale perpetrati durante la guerra nella ex-Jugoslavia sono stati giudicati d-al Tribunale ad hoc per la ex-Jugoslavia (ICTY). In un documento preparato da quella corte nel 2010, in attuazione della risoluzione 1960 del Consiglio di Sicurezza, si afferma che la metà dei capi d’accusa del Tribunale riguardava atti di violenza sessuale, e la maggioranza di tali accuse aveva portato a condanne non soltanto degli esecutori materiali, ma anche, per complicità o per responsabilità di comando, di comandanti di centri di detenzione, di comandanti militari intermedi come di quelli posti al vertice della catena gerarchica di un esercito, o di autorità civili locali e centrali, perfino di quelle poste al vertice dell’organizzazione statale. Notizie analoghe provenivano dal Tribunale per il Ruanda (ICTR) e dalla Corte speciale per la Sierra Leone[1].

Le guerre contemporanee prendono di mira soprattutto i civili e, tra questi, le donne sono colpite da forme di violenza efferate, declinate secondo il genere e di particolare potenza, in quanto volte a distruggere la coesione delle comunità avversarie. Occorre peraltro ricordare che le vittime di violenza sessuale sono spesso colpite da uno stigma che impedisce loro di sentirsi ancora degne di far parte della propria comunità. Si tratta di processi disgregativi le cui conseguenze durano a lungo, anche dopo la fine delle ostilità.

Le Nazioni Unite hanno adottato un’ampia nozione di «Conflict Related Sexual Violence» (CRSV) che comprende stupro, gravidanza forzata, sterilizzazione forzata, aborto forzato, prostituzione forzata, sfruttamento sessuale, tratta, schiavitù sessuale, circoncisione forzata, castrazione, nudità forzata o qualunque altra forma di violenza sessuale. La nozione si riferisce a qualunque fatto di violenza sessuale contro donne, uomini, ragazze o ragazzi, che si verifichi in situazione di conflitto o di post-conflitto, direttamente o indirettamente connessa con il conflitto stesso, o ad esempio nel contesto di una repressione politica[2]. Dalle notizie di questi ultimi giorni sulla guerra in Ucraina emerge sempre più chiaramente che i civili vengono colpiti in modo sistematico. Non sorprende dunque che tra le tante atrocità commesse dall’esercito russo vi siano le violenze sessuali, denunciate anche dal Presidente Zelensky nel suo intervento al Consiglio di Sicurezza dell’Onu il 5 aprile scorso[3].

 

2. Il nesso fra conflitti, tratta e grave sfruttamento

La tratta e il grave sfruttamento sono connessi a tutti i conflitti recenti. Si tratta non già di un’eventualità, ma di un aspetto sistematicamente connesso alle cause e alle conseguenze di qualsiasi conflitto[4]. La guerra è un moltiplicatore di tutti i fattori di vulnerabilità che possono sfociare nella tratta o in gravi forme di sfruttamento. Sono a rischio soprattutto le donne, non certo perché siano un gruppo ontologicamente debole o vulnerabile, ma perché, occupando una posizione subordinata nelle gerarchie di potere, in molti Paesi hanno un limitato accesso alle risorse sia economiche sia culturali, e sono colpite da varie forme di violenza di genere, tra cui la violenza domestica e sessuale, che può indurle a emigrare in condizioni di insicurezza. Inoltre, la vulnerabilità dipende da fattori intersezionali che interagiscono con il genere, tra cui la nazionalità, la provenienza etnica o geografica, lo status sociale. Durante un conflitto, tutti questi fattori di vulnerabilità sono esacerbati e altri elementi addizionali concorrono a determinare una situazione di rischio. Il conflitto porta con sé la crisi del principio di legalità, il malfunzionamento delle istituzioni, e favorisce l’impunità. La paura degli attacchi e dei bombardamenti sui civili costringono molte/i a prendere decisioni immediate sulla partenza, affrontata senza le necessarie informazioni e in condizioni di insicurezza che sarebbero inaccettabili in tempi normali. 

Spesso coloro che fuggono da una zona di guerra devono avvalersi dei servizi di facilitatori che, in cambio di una remunerazione generalmente esosa, consentono loro di attraversare irregolarmente uno o più confini. Talvolta, la cifra iniziale non basta a pagare l’intero percorso migratorio e, a un dato momento, i facilitatori chiedono altro denaro. Il debito che così viene artificialmente formato, e poi incrementato durante il viaggio, è il meccanismo attraverso il quale la persona coinvolta si ritroverà alla mercé di uno o più trafficanti a seguito di successive “vendite”, e sarà costretta a lavorare in condizioni degradanti e senza salario per ripagare il debito. Per le donne, spesso, questo meccanismo dà luogo allo sfruttamento sessuale, ma anche a gravi forme di sfruttamento lavorativo, soprattutto in agricoltura e nel lavoro domestico.

Il rischio di tratta è grave anche per le “internally displaced persons”, costrette ad abbandonare le loro città e a trasferirsi in altre zone dello stesso Paese, stimate in circa 40 milioni a livello globale. Il rischio di tratta è particolarmente grave per sfollate/i e profughe/i perché esse/i perdono le proprie reti di protezione, familiari e sociali. In questa situazione, le donne possono essere indotte ad accettare proposte di lavoro all’estero o proposte di matrimonio fatte da estranei, dei quali non hanno alcuna possibilità di valutare l’affidabilità, e che presentano le loro offerte come un’occasione di salvezza dalla guerra. 

La criminalità organizzata si arricchisce nelle situazioni di conflitto e trasforma in business lo sfruttamento delle vulnerabilità create o esacerbate dalla guerra. I gruppi criminali prendono di mira le popolazioni più povere, quelle che cercano di sopravvivere in una situazione di completo abbandono, proponendo per esempio di affidare loro i figli, bambini o adolescenti, e assicurando che provvederanno alla loro educazione, ma in realtà con l’intenzione di sfruttarli nell’industria del sesso, nella prostituzione forzata, nella servitù domestica o nelle attività criminali di vario genere, tra cui furti, coltivazione di cannabis o traffico di stupefacenti. 

 

3. La tratta come CRSV e come crimine contro l’umanità

La tratta è inclusa nella definizione di «Conflict Related Sexual Violence» (CRSV), e deve essere considerata tale anche quando è commessa non direttamente da gruppi armati, ma da gruppi criminali che approfittano del crollo istituzionale e dell’impunità diffusa, o delle vulnerabilità delle persone che cercano di lasciare la zona di conflitto. Questa è la situazione, per esempio, di molte persone che fuggono da zone di conflitto come il Sudan, la Repubblica Democratica del Congo (RDC), Il Nord-Est della Nigeria, il Corno d‘Africa. Considerare la tratta come CRSV ha tre importanti implicazioni. In primo luogo, occorre ancorare la strategia anti-tratta a un approccio di diritti umani e di diritti delle donne in particolare, mentre l’approccio prevalente a livello globale è quello repressivo e di polizia. Gli Stati e i sistemi di peace-building e peace-keeping devono applicare l’intera gamma dei diritti umani come una transformative roadmap, finalizzata a ridurre le vulnerabilità, ivi comprese le strategie contro la discriminazione di genere, la persecuzione, la tortura, la violenza sessuale e domestica, lo spossessamento di beni fondamentali come conseguenza del cambiamento climatico, delle politiche post-coloniali e dei conflitti. Infine, la prevenzione della tratta deve essere integrata nell’agenda politica del Consiglio di Sicurezza «Donne, pace e sicurezza» (WPS)[5], uno strumento molto potente per contrastare la rappresentazione delle donne nei conflitti come esclusivamente vittime, mostrandone la capacità di diventare soggetti attivi nei processi di peace-building e peace-keeping[6].

La tratta, in quanto inclusa nello Statuto della Corte penale internazionale tra i crimini contro l’umanità come fattispecie di riduzione in schiavitù, deve essere inclusa nello spettro dell’azione repressiva volta a combattere l’impunità per i crimini perpetrati nel contesto di un conflitto. Purtroppo, l’impunità per i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità resta diffusa e quasi sistematica nei conflitti seguiti a quelli della ex-Jugoslavia e del Ruanda, per i quali sono stati istituiti tribunali internazionali ad hoc. Il caso più recente di impunità è quello della Siria, a causa della mancanza di giurisdizione della Corte penale internazionale[7].

Lo stesso scenario non dovrebbe però ripetersi per l’Ucraina, poiché, nonostante né la Federazione Russa né l’Ucraina abbiano ratificato lo Statuto della Corte penale internazionale, l’Ucraina ne ha accettato la giurisdizione nel 2014 ed ha reiterato l’accettazione senza limite di tempo nel 2015. La Corte ha dunque giurisdizione sui crimini di guerra, sui crimini contro l’umanità e sul genocidio commessi da chiunque sul territorio dell’Ucraina. Il procuratore Karim Asad Ahmad Khan ha tempestivamente aperto un’indagine su quei crimini in relazione al conflitto in corso. La Corte non ha, invece, giurisdizione per il crimine di aggressione, poiché i cosiddetti “emendamenti di Kampala” allo Statuto di Roma la circoscrivono entro limiti molto ristretti[8]. Per procedere per il crimine di aggressione – e, dunque, per incriminare direttamente Vladimir Putin e i più alti vertici statali – occorrerebbe istituire una corte internazionale ad hoc

 

4. Le molteplici vulnerabilità dei minori nel contesto dei conflitti

I conflitti e le crisi umanitarie espongono i minori alla tratta e ad altre forme di sfruttamento. In molte zone di conflitto le ragazze sono preda di violenze sessuali e sfruttamento sessuale. In occasione delle crisi umanitarie, bambini e bambine che hanno perduto la famiglia sono spesso costrette/i a offrire servizi sessuali per sopravvivere. Le ragazze sono indotte a sposarsi in cambio di un rifugio, un passaggio o protezione. Quando emigrano da soli, spesso dopo che la famiglia ha pagato un’ingente somma per il loro viaggio, e spesso utilizzando i servizi di facilitatori senza scrupoli, i minori sono soggetti a violenza e sfruttamento, usualmente ingannati sull’ammontare del debito che devono restituire per proseguire il viaggio. Le ragazze sono sfruttate sessualmente in centri di detenzione temporanea, come accade abitualmente in Libia. Molte di loro vengono sfruttate sessualmente nei Paesi di transito per coprire i costi del viaggio, per il quale vengono richieste cifre ingenti. Ad esempio, per viaggiare irregolarmente dalla Grecia a Londra, i facilitatori chiedevano nel 2016 circa 9.000 sterline. Nella stessa area, alcuni minori che si fingevano adulti venivano sfruttati sessualmente per pagare un passaggio che costava dai 5.000 ai 7.000 euro[9]. Ci sono anche indizi di sfruttamento sessuale di ragazzi afghani in viaggio, la cui forma più comune è lo stupro da parte di trafficanti e loro amici. 

Vivendo in una sorta di limbo per prolungati periodi, senza alcuna possibilità di scolarizzazione, senza nutrimento adeguato né accesso al sistema sanitario, cercando di restare invisibili per non essere scoperti dalle autorità di immigrazione e deportati, i ragazzi e le ragazze che tentano di fuggire dalle aree di conflitto diventano sempre più disperati e vulnerabili. Tuttavia, anche quando viaggiano con la famiglia, i minori possono essere vittime di gravi forme di sfruttamento. Spesso sono costretti a lavorare per provvedere alle necessità della famiglia, perché i minori trovano più facilmente piccole occupazioni nell’economia informale, o perché i genitori non possono lavorare legalmente nel Paesi di transito. Ad esempio, Unicef riporta la situazione di minori siriani, di cui 2,5 milioni sono rifugiati nei Paesi limitrofi[10]. Molti lavorano presso fattorie, nella manifattura o nell’edilizia, e sono preferiti dai datori di lavoro perché pagati meno degli adulti, in condizioni che possono qualificarsi come lavoro forzato. Inoltre, le ragazze sono spesso mandate a lavorare irregolarmente dalle famiglie poiché è meno probabile che vengano intercettate dalle autorità di immigrazione. Una volta raggiunto il Paese di destinazione, i minori possono andare incontro alla detenzione amministrativa (come avviene, in moltissimi casi, al confine tra Messico e Stati Uniti), a lunghe procedure per la riunificazione familiare – sempre che esse siano percorribili – ed hanno un accesso limitato ai servizi sociali e all’istruzione. Molti minori che viaggiano da soli accumulano un debito che dovranno poi restituire attraverso il lavoro forzato in agricoltura o in barche da pesca. 

I casi sopra riportati, che documentano le vulnerabilità dei minori in connessione con i conflitti, dovrebbero essere presi in considerazione dalle autorità dei Paesi di transito e di destinazione, ivi comprese quelle italiane, allo scopo di prevenire tratta e sfruttamento, che, più che costituire un rischio, sono ormai una certezza con riferimento a tutti i minori che cercano di fuggire dalle zone di conflitto. 

 

5. Violenza sessuale e rischi di tratta in relazione all’invasione dell’Ucraina

Molte atrocità commesse dall’esercito russo contro i civili, di cui si è avuta notizia dall’inizio dell’invasione e ancora in questi giorni, fra cui il bombardamento del Teatro di Mariupol e l’efferato eccidio di Bucha, sono giuridicamente qualificabili come crimini di guerra e crimini contro l’umanità in base allo Statuto di Roma della Corte penale internazionale[11]. L’ex-procuratore della Corte penale internazionale per la ex-Jugoslavia, Carla Del Ponte, ha chiesto l’emissione di un mandato d’arresto per Vladimir Putin[12]. Fra gli altri crimini, il New York Times ha dato notizia di donne stuprate dai militari russi[13]. L’Ansa ha pubblicato la notizia di una donna ucraina stuprata ripetutamente davanti al suo bambino e poi deceduta[14].

L’abuso e la violenza sul corpo femminile, ancora una volta, diventano simboli di possesso del territorio e di umiliazione del nemico. Purtroppo, come abbiamo imparato dall’esperienza delle guerre precedenti, la violenza sessuale alimenta il cd. ciclo della violenza. Speriamo non accada ancora, ma in altre situazioni di conflitto le donne, dopo l’esperienza traumatizzante dello stupro, non sono riuscite a sentirsi ancora parte della propria comunità e hanno deciso di partire esponendosi al rischio della tratta. 

Vulnerabili alla tratta sono sia le donne sfollate internamente sia quelle che emigrano verso altri Paesi. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni stima che, al 16 marzo, erano quasi 6,5 milioni le internally displaced persons in Ucraina, come conseguenza diretta della guerra in corso. Il 13,5% ha già avuto una precedente esperienza di trasferimento coatto durante il conflitto del 2014-2015. Il 53% sono donne, molte delle quali incinte o in fase di allattamento o con bambini piccoli; molti sono gli anziani, i disabili e coloro che sono affetti da malattie croniche[15]. Al 18 marzo, più di 4,2 milioni di ucraine/i avevano trovato rifugio in altri Paesi europei. In queste situazioni, gli aiuti umanitari assumono anche la valenza di una protezione contro i rischi di tratta e di grave sfruttamento.

Sia per quanto riguarda gli sfollati interni sia per quanto riguarda i rifugiati in altri Paesi, vi sono seri timori, soprattutto con riferimento alle donne e ai minori. Il Gruppo di esperti sulla tratta del Consiglio d’Europa (GRETA) ha lanciato l’allarme sui pericoli che corrono le persone in fuga dal conflitto in Ucraina[16]. La decisione assunta dalle istituzioni dell’Unione europea, con la normativa sulla protezione temporanea per i/le cittadini/e ucraini/e che fuggono dalle zone di guerra, se da una parte fa emergere una palese discriminazione nei confronti di profughi/e provenienti da Paesi terzi che sono parimenti in guerra e che non godono dello stesso trattamento, dall’altra assicura almeno alle/agli Ucraine/i certe condizioni di sicurezza[17]. È noto che sono soprattutto le donne con figli piccoli a fuggire dal Paese, poiché gli uomini validi devono unirsi all’esercito. Esse non sono costrette, come tante altre profughe di altri Paesi, a servirsi di facilitatori interessati per attraversare i confini illegalmente. Non mancano, tuttavia, segnali di allarme. 

È ancora troppo presto per valutare se vi siano casi di tratta in Ucraina e tra coloro che lasciano il Paese. Tuttavia, da diverse fonti giungono notizie preoccupanti su minori che viaggiano da soli e di cui non si hanno più notizie. Se è vero che la situazione di guerra ha potuto ostacolare le comunicazioni, è pur vero che i minori in viaggio senza la famiglia sono soggetti particolarmente vulnerabili, e che i rischi di tratta e sfruttamento sono seri. 

In Germania, in dieci casi, sono state aperte indagini penali. L’informazione, confermata anche dall’organizzazione tedesca anti-tratta “KOK”[18], è stata data da Der Tagesspiegel il 29 marzo scorso[19]. A Berlino migliaia di profughe/i arrivano alla stazione ferroviaria, dove talvolta ricevono offerte sospette di alloggio. Sono stati intercettati uomini di 50 anni e più, che hanno avvicinato giovani donne che viaggiavano da sole o con bambini, offrendo una sistemazione per dormire; si teme che possa trattarsi di un inganno per abusarle sessualmente o costringerle a prostituirsi. Le segnalazioni provengono dalle organizzazioni umanitarie ovvero dalle stesse donne avvicinate in modo sospetto. Per fortuna la polizia federale tedesca si è subito attivata, avvertendo su Twitter, con messaggi in tedesco, russo e ucraino, di avvisare la polizia in caso di approcci sospetti. In un caso l’indagato di 55 anni, che aveva avvicinato giovani donne offrendo un passaggio per Amburgo, era già noto alla polizia per abusi sessuali. Al fine di proteggere meglio i bambini, e i minori non accompagnati in particolare, l’amministrazione di Berlino sta creando una squadra mobile per la protezione dei minori nella tenda installata alla stazione ferroviaria principale, attiva 24 ore su 24 e dotata di personale di madrelingua.

Le notizie qui riportate dimostrano che i rischi di tratta esistono, come sono esistiti in connessione con tutti gli altri conflitti recenti, ma dimostrano anche che un’azione di prevenzione può essere molto efficace, purché rapida e consapevole del pericolo per soggetti vulnerabili. 

Un presidio fondamentale contro la tratta è la qualità dell’accoglienza dei profughi ucraini, in Italia e negli altri Paesi Ue. Secondo notizie di stampa, circa 35.000 cittadine/i ucraine/i sono entrate/i in Italia dall’inizio della guerra. Coloro che sono arrivate/i finora hanno trovato alloggio prevalentemente presso familiari che si trovavano già in Italia. Ma la seconda ondata riguarderà anche persone che non hanno legami importanti nel nostro Paese, e che hanno perduto tutto sotto i bombardamenti. La nostra tradizione solidaristica e la presenza di tante associazioni specializzate nell’accoglienza dei/delle migranti sono una risorsa per accogliere le/i profughe/i e dare loro un’alternativa di vita sia pure temporanea, a condizione che si stanzino finanziamenti adeguati. 

In conclusione, tutte le fonti confermano che la tratta e il grave sfruttamento sono componenti strutturali dei conflitti recenti. Si tratta non già di un’eventualità, ma di un aspetto sistematicamente connesso alle cause e alle conseguenze di qualsiasi conflitto. Ciò che ormai sappiamo sul nesso fra tratta e guerra richiede che le istituzioni agiscano in modo rapido ed efficace per minimizzare i rischi. Non bisogna aspettare di avere conferme giudiziarie di casi di tratta. Occorre agire in prevenzione, attraverso presìdi d’informazione e di aiuto ai profughi e alle profughe che si trovano in difficoltà, con una speciale attenzione alla situazione particolarmente vulnerabile dei minori.

 

 

*  Il presente contributo è stato pubblicato in anteprima su Questione giustizia online il 12 aprile 2022 (www.questionegiustizia.it/articolo/violenza-sessuale-e-tratta-in-relazione-all-invasione-dell-ucraina).

1. F. Lattanzi, I reati di violenza sessuale nella giurisprudenza dei tribunali penali internazionali, in S. La Rocca (a cura di), Stupri di guerra e violenze di genere, Ediesse, Roma, 2015. 

2. Segretario generale delle Nazioni Unite, Reparations for Conflict-Related Sexual Violence (nota di orientamento), giugno 2014 (www.unwomen.org/sites/default/files/Headquarters/Attachments/Sections/Docs/2014/UNSG-Guidance-note-Reparations-for-conflictrelated-sexual-violence-2014-en.pdf).

3. Cfr. www.c-span.org/video/?519301-1/ukraine-president-addresses-un-security-council.

4. Mi sia consentito di rinviare ad alcuni rapporti da me presentati in qualità di Special Rapporteur delle Nazioni Unite sulla tratta di persone, in particolare donne e minori, all’Assemblea generale e al Consiglio per i Diritti umani tra il 2016 e il 2018, che trattano del nesso tra conflitti e tratta:
https://documents-dds-ny.un.org/doc/UNDOC/GEN/N17/218/83/PDF/N1721883.pdf?OpenElement;
https://documents-dds-ny.un.org/doc/UNDOC/GEN/N16/250/78/PDF/N1625078.pdf?OpenElement.

5. Vds., in proposito, uno dei miei rapporti annuali in qualità di Special Rapporteur delle Nazioni Unite sulla tratta di persone, in particolare donne e minori, dedicato all’integrazione tra l’agenda anti-tratta e l’agenda WPS del Consiglio di Sicurezza: https://documents-dds-ny.un.org/doc/UNDOC/GEN/N18/227/00/PDF/N1822700.pdf?OpenElement.

6. Ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment femminile (UN Women), Preventing Conflict, Transforming Justice, Securing the Peace. A Global Study on the Implementation of the UNSC Resolution 1325, 2015 (www.peacewomen.org/sites/default/files/UNW-GLOBAL-STUDY-1325-2015%20(1).pdf).

7. C. Del Ponte, Gli Impuniti. I crimini in Siria e la mia lotta per la verità, Sperling & Kupfer, Milano, 2018.

8. C. Meloni, Il senso della giustizia penale internazionale di fronte alla guerra in Ucraina, pubblicato in anteprima su Questione giustizia online, 11 marzo 2022 (www.questionegiustizia.it/articolo/il-senso-della-giustizia-penale-internazionale-di-fronte-alla-guerra-in-ucraina), ora in questo fascicolo. Rimando anche a un mio recente articolo sullo stesso argomento: M.G. Giammarinaro, Costruire la pace attraverso il diritto. Il ruolo della Corte Penale Internazionale, in Giustizia insieme, 18 marzo 2022.

9. V. Digidiki e J. Bhabha, Emergency within an emergency: the growing epidemic of sexual exploitation and abuse of migrant children in Greece, FXB Center for Health and Human Rights (Università di Harvard), ottobre 2017.

10. www.datocms-assets.com/30196/1615804556-unicef-siria-crisi-regionale-10-anni-dopo-dati-e-cifre.pdf.

11. www.economist.com/europe/2022/04/03/retreating-russian-troops-leave-behind-harrowing-evidence-of-atrocities.

12. www.economist.com/international/2022/04/04/how-if-at-all-might-russia-be-punished-for-its-war-crimes-in-ukraine. 

13. https://twitter.com/erdinisi/status/1509281687888441346?s=12&t=hCHMNXh-7muyj5v9xvwqAw.

14. https://twitter.com/agenzia_ansa/status/1509205580141010949?s=12&t=hCHMNXh-7muyj5v9xvwqAw.

15. www.iom.int/news/almost-65-million-people-internally-displaced-ukraine-iom#:~:text=Geneva%20%E2%80%93%20Almost%206.48%20million%20people,between%2009%20and%2016%20March.

16. www.coe.int/en/web/anti-human-trafficking/-/greta-statement-states-must-urgently-protect-refugees-fleeing-ukraine#:~:text=The%20Council%20of%20Europe’s%20Group,Europe%20since%20World%20War%20Two.

17. In tema, vds. C. Scissa, La protezione temporanea per le persone in fuga dall’Ucraina in UE e in Italia: alcuni profili critici, in questa Rivista online, 31 marzo 2022 (www.questionegiustizia.it/articolo/la-protezione-temporanea-per-le-persone-in-fuga-dall-ucraina-alcuni-profili-critici), ora in questo fascicolo.

18. Sulla cui attività vds., in generale: www.kok-gegen-menschenhandel.de/en/kok/organization.

19. https://plus.tagesspiegel.de/berlin/antanzer-am-fluchtlingsdrehkreuz-diebesbanden-wollen-ukrainer-am-berliner-hauptbahnhof-bestehlen-438748.html.