Magistratura democratica
Europa

Prove "confidenziali" quando è in gioco la sicurezza dell'Unione

di Maria Giulia Rancan
Phd Candidate - Scuola Superiore Sant'Anna
Note critiche all'art. 105 della proposta di revisione del regolamento di procedura del Tribunale dell'Unione Europea
Prove "confidenziali" quando è in gioco la sicurezza dell'Unione

Nella proposta di revisione del regolamento di procedura del Tribunale dell’Unione Europea presentata al Consiglio europeo è contenuto un articolo particolarmente innovativo, dedicato al trattamento delle informazioni e dei documenti inerenti alla sicurezza dell’Unione o di uno dei suoi Stati membri o alle loro relazioni internazionali.

L’art. 105 introduce un regime speciale sia per la produzione in giudizio di documenti contenenti informazioni particolarmente sensibili, legate a ragioni di sicurezza dell’Unione Europea o di un suo stato membro, sia per il trattamento di tale materiale da parte dei giudici.

La decisione di affrontare dal punto di vista processuale la problematica del trattamento delle cosiddette “highly sensitive information” e di voler dedicarle un capitolo a sé stante nel nuovo regolamento di procedura nasce da un’esigenza pratica della Corte Europea. Negli ultimi anni dato il consistente aumento di misure restrittive adottate a livello europeo nei confronti di Paesi terzi o singole persone fisiche e giuridiche sulla base degli artt. 29 TEU e 215 TFEU, si è avuto conseguentemente anche una crescita del contenzioso inerente la legittimità di tali atti. Proprio nella trattazione di tali casi i giudici europei si sono trovati a dover analizzare e consultare documenti di natura confidenziale legati ad interessi di sicurezza nazionale e dell’intera Unione Europea, quali elementi probatori, facendo emergere la necessità per la Corte di dotarsi di adeguati accorgimenti processuali per il trattamento di tale materiale.

Si deve fin d’ora sottolineare che il regime speciale scelto per il materiale trattamento del probatorio segreto si connota di un significato particolare, dal momento che esso riflette il bilanciamento che si è inteso operare tra il principio fondamentale della giustizia procedurale/ diritto al contradditorio e quello della tutela della sicurezza nazionale.

Il tema del difficile contemperamento di tali principi è stato oggetto di due famosi casi della Corte di Giustizia europea (Kadi e al Barakaat International Foundation v. Council and Commission del 2008, Commission and Others v. Kadi del 2013 e ZZ v. Secretary of State for Home department del 2011), che hanno di fatto ispirato l’adozione del regime speciale di cui all’art. 105 del Regolamento del Tribunale UE.

In entrambi i casi la Corte ha infatti fatto emergere come il processo decisionale di tipo amministrativo di adozione di atti, quali le sanzioni nei confronti degli individui, sia carente sotto il profilo della tutela procedurale dei destinatari delle sanzioni. Si ritiene infatti che manchi un adeguato meccanismo che permetta alla persona coinvolta di essere in primo luogo informata dei motivi d’accusa posti a suo carico e, di conseguenza, di poter far valere le proprie ragioni al riguardo: condizione essenziale per un confronto proficuo tra le istituzioni e la persona.

A tal fine la Corte ha indicato che “il rispetto dei diritti della difesa e del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva postula che l’autorità competente comunichi alla persona interessata gli elementi a suo carico di cui tale autorità dispone per fondare la sua decisione” (punto 111 Sentenza Kadi 2013). I giudici comunitari affermano così il principio del “irreducibile minimum”, che si esplica nella necessità che sia reso noto alla persona il cuore e la sostanza delle motivazioni che sorreggono l’accusa nei suoi confronti in modo tale che la stessa possa difendersi ed accedere così ad una tutela giurisdizionale effettiva. In tal modo la Corte cerca di ricucire la ferita aperta originata dalla compressione della tutela procedurale dell’individuo nella fase amministrativa, affidando alla fase giurisdizionale un più pieno esplicarsi del diritto di difesa del soggetto.

La fase processuale diviene così il momento in cui deve realizzarsi il delicato bilanciamento tra le due opposte esigenze, quella di un’effettiva difesa della persona e quella di tutela della riservatezza di alcune informazioni, venendo affidato chiaramente al “giudice dell’Unione, cui non possono essere opposti il segreto o la riservatezza di tali informazioni o elementi, di attuare , nell’ambito del controllo giurisdizionale che esercita, tecniche che consentano di conciliare le legittime preoccupazioni di sicurezza relative alla natura ed alle fonti di informazione prese in considerazione nell’adottare la decisione di cui trattasi con la necessità di garantire adeguatamente all’interessato il rispetto dei suoi diritti processuali, quali il diritto ad essere sentito e il principio al contraddittorio ” (Sentenza Kadi 2013, punto 125)

Tenuto conto di tale cornice giurisprudenziale e delle chiare indicazioni fornite dalla stessa Corte di Giustizia dell’Unione Europea può ora analizzarsi il meccanismo studiato a tal fine dal Comitato di revisione delle regole di procedura del Tribunale.

In primo luogo si deve osservare che l’art. 105 è concepito quale eccezione alla regola di principio della “fully communication of all information and material between the parties”. Tale articolo infatti è volto a regolare il caso in cui all’interno del processo una delle parti spontaneamente, oppure su richiesta del giudice, voglia o debba produrre in giudizio del materiale probatorio, la cui divulgazione costituisce un pericolo per la sicurezza dell’Unione europea o di uno dei suoi Stati membri. La prima regola procedurale dettata è che tale materiale sia prodotto in un documento a sé stante in cui vengano con chiarezza espressi i motivi che giustificano la richiesta di segregazione di tali informazioni e di opposizione ad una divulgazione delle stesse alla controparte.

Una volta prodotto tale materiale il procedimento ha quindi inizio con l’avvio di una prima fase che vede l’autorità giudiziaria coinvolta nell’esame di tali documenti, al fine di valutarne la rilevanza per la decisione del caso e l’effettiva natura confidenziale nei confronti della controparte. L’esito di tale esame si traduce in due possibili situazioni: a) la Corte ritiene tale materiale di rilevanza per la decisione del caso, ma non ne riconosce la natura confidenziale; b) la Corte ritiene il materiale di rilevanza per la decisione del caso e ne conferma la natura confidenziale.

Nel primo caso i giudici fanno presente alla parte che ha prodotto tale materiale probatorio l’intenzione di renderne noto il contenuto anche alla controparte. In caso di suo rifiuto tali documenti non verranno tenuti in considerazione al fine della decisione del caso, procedendosi alla loro restituzione.

Nel secondo caso invece, che è quello che suscita maggiore interesse, la Corte non renderà accessibili tali informazioni o documenti alla controparte e dovrà cercare nella formulazione della decisione del caso di “weigh the requirements linked to the right to effective judicial protection, particularly observance of the adversarial principle, against the requirements flowing from the security of the Union or of its Member States or the conduct of their International relations”.

Proprio come indicato dalla Corte di Giustizia, con questo breve paragrafo i giudici del tribunale si trovano investiti del delicatissimo compito di gestire il dovuto bilanciamento tra il diritto di difesa, quello ad un rimedio giurisdizionale effettivo e l’esigenza di sicurezza nazionale od europea e di segretezza dei mezzi di prova. In che modo si estrinseca tale bilanciamento? Il paragrafo 6 dell’art. 105 fornisce risposta a tale domanda, poiché in esso viene indicata quale mezzo idoneo a conciliare tali esigenze“ la comunicazione sotto forma di sintesi del contenuto della informazioni o degli elementi probatori”. In ossequio al principio dettato dalla Corte nel caso ZZ v. Secretary of State for Home department tale sintesi dovrebbe permettere infatti la possibilità di informare l’interessato dell’essenza dei motivi dell’accusa nei suoi confronti, consentendogli così di poter predisporre in modo efficace la propria difesa, al contempo preservando le esigenze di sicurezza di interesse governativo.

La scelta operata dagli estensori del nuovo regolamento di procedura solleva numerose perplessità. La decisione di garantire il diritto al contraddittorio mettendo al corrente l’interessato del contenuto degli elementi probatori a suo carico di natura confidenziale mediante una mera sintesi, pur permettendo di rispettare il principio dell’ “irriducibile minimum”, non sembra essere del tutto convincente. Tale sintesi, infatti, nell’intento di essere il più possibile scevra da indizi che possano condurre allo svelarsi di informazioni sensibili, potrebbe risultare così generica e vaga da non permettere al soggetto di poter realmente costruire una linea difensiva, che possa confutare in modo efficace l’impianto accusatorio nei suoi confronti. Il procedimento basato sulla “disclosure of basic allegations to the other party and the full disclosure of the evidence only to the court” sembra avvicinarsi molto al modello adottato in Israele e denominato “judicial management”.

Il modello israeliano affida al giudice un doppio ruolo: quello di decisore del caso e quello di “temporary defense attorney”, cioè di avvocato di parte. Non essendo infatti permesso al soggetto interessato dalle sanzioni di aver accesso a tutte le prove, il giudice non solo è chiamato a visionare gli elementi probatori confidenziali, ma anche a verificarne la tenuta in riferimento alle diverse circostanze del caso, analizzandoli da un punto di vista critico, tenuto conto del limitato esercizio di diritto di difesa dell’accusato.

Se da un lato è fortemente criticabile la scelta di voler affidare questo duplice ruolo al giudice, che per natura mal gli si attaglia, non potendosi concepire come egli possa essere giudice super partes ed allo stesso tempo difensore di una delle parti, dall’altro lato deve evidenziarsi come in Israele sia stato istituito un tribunale specializzato nel trattamento di cause che abbiano ad oggetto interessi inerenti alla sicurezza nazionale, venendosi così ad istruire una classe di giudici preparata a confrontarsi con l’analisi di prove confidenziali prodotte dai servizi segreti. In Europa non sembra che l’autorità giudiziaria del Tribunale abbia una simile esperienza e ci si domanda se sia di fatto opportuno affidarle tale delicatissimo compito, senza prevedere un ulteriore meccanismo di tutela del soggetto.

A nostro avviso forse sarebbe stato meglio affiancare al “non confidential summery” la previsione, come avviene in Inghilterra, della figura di un “special advocate”, deputato a visionare, analizzare le prove segrete ed a “rappresentare” gli interessi dell’accusato. Secondo il modello inglese dello “special advocate”, infatti, in situazioni simili, pur non potendo il convenuto aver accesso alle prove che sono alla base delle sue accuse, è presente comunque un soggetto ha il compito di valutare la credibilità di tali prove e di confutarne la natura confidenziale, seppur non nelle vesti di un difensore legale classico. Risulta forse più credibile che si possa così instaurare di fatto un minimo di contraddittorio tra le parti del processo, anche senza un diretto coinvolgimento della persona destinataria delle sanzioni.

La scelta del Tribunale non è purtroppo ricaduta in tal senso.

La criticità oltretutto del modello prescelto dal Comitato di revisione del Regolamento emerge ancora di più facendo riferimento al paragrafo 7 dell’art. 105. Qui si prevede che la Corte possa basare la propria decisione del caso anche su del materiale confidenziale ritenuto da lei rilevante, che comunque non sia stato reso accessibile alla parte interessata neppure sottoforma di sintesi del suo contenuto. Quale debole tentativo di contenere tale pericolosa deriva viene previsto che “the General Court, when assessing that information or material, shall take account of the fact that a main party has not been able to make his views on it known”.

Al di là di questo escamotage, quanto affermato nel paragrafo 7 rappresenta una fortissima deroga al principio del contraddittorio ed a quello di difesa del soggetto, dal momento che si ammette che la Corte possa fondare la propria decisione su del materiale confidenziale che non è stato oggetto di visione e discussione da parte di uno dei soggetti del processo.

Ciò sembra essere del tutto confliggente con il principio enunciato anche dalla Corte europea per i diritti umani, secondo cui pur riconoscendosi che “there may be restrictions of the right to a fully adversarial procedure where strictly necessary in the light of a strong countervailing public interest, such as National security”, “a person must always be told sufficient information about the allegations against him to enable him to give effective instructions so that he can refute, as far as possible, the allegations against him”.

Come annunciato all’inizio di tale commento la scelta operata su un mero piano procedurale, quella cioè di quale regime speciale per il trattamento degli elementi probatori confidenziali, ha degli ampli riflessi nella sfera della singola persona e nell’effettiva possibilità di esercizio dei propri diritti e di tutela degli stessi. L’art. 105 condensa in poche righe il difficile equilibrio che a livello processuale europeo si è cercato di dare al delicato problema del bilanciamento tra il principio fondamentale della giustizia procedurale (diritto al contraddittorio e di difesa) e quello di tutela degli interessi di sicurezza nazionale.

L’indirizzo che emerge dalla scelta effettuata con tale regolamento, pur dimostrando la volontà di rispettare i diritti del singolo, sembra propendere per una maggiore tutela della sicurezza nazionale. Da un certo punto di vista ciò può anche non sorprendere, se si tiene conto che ad avere l’ultima parola proprio sull’approvazione di tale regolamento è il Consiglio europeo, organo rappresentativo per eccellenza dei governi dei Paesi membri.

Pertanto, spostando il piano ad un livello meramente politico, sembra ben plausibile la scelta fatta, cioè quella di un meccanismo che abbia a cuore in primo luogo gli interessi di tutela della sicurezza nazionale, essendo lo stesso ben più appetibile rispetto ad meccanismo che, pur essendo volto alla giusta causa di tutela della persona, svela informazioni estremamente confidenziali e vitali per la difesa degli interessi nazionali.

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

  • Daphne Barak Erez, Matthew Waxman, "Secret evidence and the Due Process of Terrorist Detentions", in Columbia Journal of Transnational Law, Vol. 48, No. 003, 2009
  • Murphy, "Secret Evidence in EU Security Law: Special Advocates before the Court of Justice",  n.02/2012, Working Papers in European Law, King's College London Centre of European Law.
  • Lugato, "Diritto alla tutela giurisdizionale, sanzioni individuali contro il terrorismo internazionale e giudici dell'Unione europea", in Legislazione penale, 2012, fasc. 2, pp. 415-435
  • Sciarabba, "La Corte di Giustizia, le misure antiterrorismo, i diritti fondamentali e la Carta di Nizza: l'epilogo della vicenda Kadi", in http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/?p=2847
  • Comments by the CCBE on article 105 and article 103 of the Draft Rules of Procedure of the General Court, in http://www.ccbe.eu/fileadmin/user_upload/NTCdocument/EN_16072014_CCBE_Com1_1406101686.pdf

 

  

28/01/2015
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