Magistratura democratica
Europa

Onere della prova e (violazione degli) obblighi informativi

di Luca Marzullo
giudice del Tribunale di Spoleto
Brevi osservazioni a Corte di Giustizia, IV sezione, 18 dicembre 2014, C. 449-13: nihil sub sole novum?
Onere della prova e (violazione degli) obblighi informativi

1. La questione…

La sentenza in commento rappresenta, ove ve ne fosse ancora bisogno, la conferma della centralità e dell’importanza assunta dagli obblighi informativi con riferimento ai rapporti, lato sensu, “finanziari” conclusi tra consumatori e soggetti che erogano credito.

In ragione di tale rilevanza, la pronuncia in analisi torna ad occuparsi, su sollecitazione proveniente ancora una volta da un Tribunale francese e relativa all’interpretazione della normativa consumeristica ivi introdotta in attuazione della direttiva 2008/48/CE[1], degli obblighi informativi e del loro corretto adempimento; ma, questa volta, lo fa non già – ed in questo, forse, risiede il profilo di maggior interesse di tale arresto – con riferimento alle soluzioni che, di volta in volta, vengono offerte dal punto di vista sostanziale (vizi del negozio, rimediapplicabili, decadenza dagli interessi), per “sanzionare” il mancato corretto adempimento di tali obblighi, bensì avendo di mira l’articolazione, evidentemente processuale, degli oneri probatori che gravano sulle parti in giudizio.

Come si diceva, la presa di posizione dei Giudici europei origina da un rinvio pregiudiziale avente ad oggetto l’applicazione della normativa a protezione dei consumatori e  che, in attuazione della Direttiva 2008/48/CE, si è innestata nel Codice del Consumo francese; ciò nondimeno, la pervasività del contenuto interpretativo offerto dalla Corte di Giustizia e la sua trasversalità, anche in ragione dell’interpretazione degli scopi della disciplina europea offre l’occasione per soffermarsi sui criteri di riparto dell’onere della prova in relazione al corretto adempimento degli obblighi di informazione anche nel nostro ordinamento non foss’altroche per la vicinanza (oltre che geografica) contenutistica delle disposizioni che, in attuazione della medesima direttiva, sono state inserite nel tessuto normativo nazionale, innestandosi – lo si dice, per mera completezza di esposizione – nel Testo Unico Bancario (Titolo VI, cap. II, art. 121 e ss).

Come si diceva, però, la vicenda origina da questioni relative all’interpretazione della normativa francese di cui, sebbene in sintesi, è bene dare contezza.

Ed allora, questi i fatti.

Con due distinte azioni, una società di credito ha agito in giudizio di fronte alla Corte francese onde ottenere la condanna dei propri debitori al pagamento di quanto ancora dovuto a fronte del mancato rimborso delle rate del prestito derivanti da due distinti contratti di credito al consumo.

Il Giudice remittente si è, tuttavia avveduto che, in un caso non era presente agli atti né la scheda informativa precontrattuale né alcun altro elemento che consentisse di ritenere che il soggetto creditore avesse correttamente adempiuto alle proprie obbligazioni informative con la conseguenza, prosegue il giudice del rinvio, di poter fare l’applicazione della L. 311-48, c. 2, Cod. Cons. francese, a mente del quale la mancata osservanza dell’obbligo di adeguata informazione comporta la decadenza dagli interessi, totalmente o nella misura che dovesse essere fissata giudice.

Al contempo, il Giudice remittente rileva che nel regolamento negoziale di uno dei due contratti era riportata la formula con cui questi dichiarava di «…aver ricevuto la scheda contenente le informazioni Europee di base e di aver preso conoscenza delle stesse…».

Da qui, la richiesta di rinvio pregiudiziale tesa a conoscere, in sintesi, (i) se spetti al creditore dar la prova di aver correttamente ed adeguatamente adempiuto agli obblighi di informazione, (ii) se – ed è in tale aspetto che, a ben guardare, risiede il punctum pruriens della questione pregiudiziale – ad assolvere tale onere sia sufficiente l’inserimento nel regolamento negoziale di clausole del tipo di quelle sopra ricordate, (iii) se le informazioni in ordine alla solvibilità del cliente possano essere desunte unicamente dalle dichiarazioni da questi rese, (iv)se, infine, i chiarimenti offerti dal creditore non possano ritenersi adeguati in assenza di una preventiva analisi della situazione finanziaria e delle esigenze del cliente e se gli stessi possano risultare unicamente dalle informazioni indicate in contratto senza essere indicate in un documento specifico.

Ed allora, volendo procedere in via di prima approssimazione, potrebbe dirsi che dalla sentenza in esame siano enucleabili due principi di diritto.

Da un lato, in tema di riparto dell’onere probatorio, quello secondo cui spetta alla Banca dare la prova di aver correttamente adempiuto agli obblighi di informazione e spiegazione idonei a consentire alla propria controparte contrattuale di addivenire ad una scelta consapevole sull’impegno di sottoscrizione di un contratto di credito; dall’altro, relativo più propriamente alle modalità di assolvimento dello stesso, il principio per cui la clausola eventualmente inserita nei contratti di credito al consumo con cui il cliente attesti di aver ricevuto le informazioni (Europee di base) e di averne preso conoscenza potrà valere, al più, quale mero indice presuntivo dell’assolvimento di tale obbligo, che spetta tuttavia al creditore avvalorare.

Sarà, dunque, seguendo tali percorsi argomentativi che si snoderanno le brevi osservazioni che seguono.

 

2. …ed il contesto normativo e la soluzione offerta dalla Corte di Giustizia.

Non sono molte, per vero, le disposizioni normative della Direttiva 2008/48/CE a venire in rilievo.

Ai sensi dell’art. 5, par. 1, c. 1, il creditore, a prescindere o meno dal fatto che agisca per il tramite di un intermediario, è tenuto ad offrire tutte le informazioni, e se del caso, gli adeguati chiarimenti idonei a consentire al consumatore di operare le proprie scelte con cognizione di causa, verificando tra le varie offerte di credito quella che possa essere maggiormente confacente alle proprie esigenze.

Tale previsione, illuminata nel suo scopo e nella sua funzione dal considerando n. 26 della Direttiva, è volta ad assicurare che «…in un mercato creditizio in espansione…i creditori non concedano prestiti in modo irresponsabile o non emettano crediti senza preliminare valutazione del merito creditizio, e gli Stati membri dovrebbero effettuare la necessaria vigilanza per evitare tale comportamento e dovrebbero determinare i mezzi necessari per sanzionare i creditori qualora ciò si verificasse…».

E, non a caso, a tale previsione – che evidentemente pone un forte accento sulla responsabilizzazione e, verrebbe da dire, moralizzazione degli operatori finanziari – fa eco il successivo sesto paragrafo del medesimo articolo laddove si prevede che il creditore integri gli oneri di informazione imponendo loro anche di fornire gli “adeguati chiarimenti” aventi ad oggetto sia(e proprio) le informazioni contrattuali sopra indicatesia le caratteristiche essenziali dei prodotti e le conseguenze specifiche che questi possono determinare, al fine di valutare una precisa corrispondenza dell’operazione finanziaria alle esigenze del cliente.

Infine, l’art. 8 della Direttiva a mente del quale il creditore deve valutare il cd. merito creditizio del consumatore, sia sulla base di informazioni adeguate fornite anche dallo stesso consumatore sia ottenuto consultando la banca dati.

Come sovente accade, la disciplina europea, mentre si preoccupa di garantire standard elevati di tutela degli interessi dei consumatori, non detta una precisa previsione in ordine all’aspetto, più propriamente procedurale, concernenteil riparto dell’onere della prova e, soprattutto, le concrete modalità con cui questo deve essere assolto.

Sicché, ritenendo di non ravvisare nel testo normativo di rango europeo alcuna previsione (anche se come si dirà non del tutto vero che la direttiva sia completamente silente sul punto), la soluzione offerta dai Giudici di Lussemburgo passa attraverso l’applicazione del principio di equivalenzae, ancor di più, di effettività: in mancanza di una disciplina dettata dall’Unione – si ricava dall’argomentare dei Giudici europei – l’interpretazione della regole procedurali degli ordinamenti nazionali e poste in maniera autonoma dagli Stati membri deve comunque garantire che i diritti riconosciuti dall’Unione non siano tutelati con modalità diverse da quelle che disciplinano situazioni analoghe a livello interno e tali da rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti offerti dall’Unione.

Il richiamo ai due principi stende le basi per la soluzione delle prime due questioni.

Per vero, proprio tale argomentazione induce la Corte di Giustizia ad affermare – in risposta alla prima questione – che, pur non essendo compito suo proprio pronunciarsi sull’interpretazione delle norme di diritto interno, non sarebbe compatibile con la disciplina comunitariauna distribuzione dell’onere probatorio che faccia gravare sul consumatore la dimostrazione di non aver ricevuto gli obblighi di informazione imposti dalla direttiva, pena una compromissione proprio del principio di effettività.

Ed infatti, prosegue la Corte, tale soluzione di porre a carico del creditore il relativo onere probatorio, oltre a garantire il principio di effettività senza una eccessiva compromissione dei suoi diritti, è in linea con la considerazione che «…un creditore diligente deve essere consapevole della necessità di raccogliere e conservare prove dell’esecuzione degli obblighi di informazione e di spiegazione ad esso incombenti…»

Veniamo ora al secondo aspetto.

Non sembra errato ritenere che, nel percorso motivazionale seguito dalla Corte di Giustizia, la soluzione della seconda questione pregiudiziale pare porsi alla stregua quasi di un ineludibile precipitato della prima, tanto che le stesse vengono affrontate congiuntamente.

Ed infatti, sempre alla luce del principio di effettività, la clausola del tipo di quelle inserite nei contratti francesi alcun vulnus arrecherebbero al richiamato principio qualora le stesse non avessero altro significato se non quello di una semplice attestazione «…di aver ricevuto la scheda contenente le informazioni Europee di base…».

Ciò in quanto è precluso, anche in forza dell’art. 22, par. 3, della direttiva, al creditore eludere i suoi obblighi sicché, come detto, la clausola in questione può al più valere quale indizio che necessità di un “riscontro” rappresentato da «…uno o più elementi di prova pertinenti…», mentre il consumatore deve essere sempre in grado «…di far valere di non aver ricevuto la scheda o che quest’ultima non consentiva al creditore di adempiere agli obblighi di informazione…»

Da qui, in definitiva, la risposta alle questioni pregiudiziali nei termini che si sono compendiati in apertura di queste brevi riflessioni.

 

3.Osservazioni.

È giunto, quindi, il momento di verificare la bontà del ragionamento seguito dai Giudici Europei e di verificarne la tenuta con riferimento alla legislazione nazionale, con la sola indicazione, di natura metodologica, che le questioni saranno analizzate, pur con la sintesi imposta dalla sede, in maniera indipendente l’una dall’altra.

Quanto al contenuto delle disposizioni introdotte a livello nazionale, sia unicamente consentito rilevare che la formulazione pressoché identica della disposizioni nazionali rispetto a quelle di matrice europea consente di limitarsi in questa sede ad una mera indicazione della normativa nazionale di riferimento rappresentata dall’art. 124 e 124 bis del Testo Unico Bancario i quali danno attuazione, rispettivamente, agli artt.  artt. 5, 6 e 7 (quanto all’art. 124) e 8 (quanto all’art. 124 bis) della Direttiva 2008/48.

Ed allora venendo alla prima questione risolta dai Giudici europei, non può che condividersi l’assunto che, in via generale, spetti alla parte che pretende il pagamento dar la prova, a fronte della relativa eccezione da parte del debitore convenuto, di avere correttamente adempiuto ai proprio obblighi di informazione.

Sono oramai molteplici, a livello interno, i precedenti di legittimità e di merito che addivengono a tale soluzione la quale poggia sulla condivisibile affermazione che, allegato da una parte un inadempimento, spetti all’altra l’onere di avere agito con la specifica diligenza richiesta.

E si badi, a tanto si perviene non già in forza dell’applicazione del principio di vicinanza della prova[2] ovvero del contiguo (e più scivoloso) terreno della prova negativa, di più difficile accesso e di dubbia ammissibilità in giudizio; per contro l’allocazione in capo all’istituto di credito dell’onere della prova di aver correttamente adempiuto ai propri obblighi discende, con ciò venendo al diritto nazionale, proprio dall’applicazione delle regole poste dall’art. 1218 c.c.[3]

Con maggior impegno esplicativo, l’affermazione secondo cui«…il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale per il risarcimento del danno ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento…» trova, infatti, applicazione anche nel caso in cui sia dedotto l’inadempimento dell’obbligazione ovvero il suo inesatto adempimento, anche laddove abbia ad oggetto la violazione di doveri accessori, quali quello di informazione.

Vieppiù ove, come nel caso di specie, tali obblighi connotino in maniera significativa l’intera vicenda negoziale sin dalla sua fase precontrattuale, sì da divenire parte integrante della proposta contrattuale, incentrata sull’esigenza di garantire al cliente di ottenere tutte le informazioni utili già prima della sottoscrizione di un contratto o di una offerta di credito e prendere una decisione che lo stesso Legislatore nazionale qualifica come “informata” e consapevole”.

Ed anzi, verrebbe da dire che l’informazione assume una centralità tale da porsi quale prestazione che, tutt’altro che accessoria, ridondi a tal punto nel (futuro) regolamento negoziale da caratterizzare fortemente l’obbligo di diligenza in seno ad una precisa fase negoziale del creditore, sul quale, in caso di eccezione, non potrà che gravare l’onere di dimostrarne l’avvenuto, esatto adempimento della sua prestazione.

Qualche riflessione in più merita, invece, il tema posto dalla seconda questione oggetto di rinvio pregiudiziale e legata, come detto, al tema della presenza, in seno al contenuto negoziale, di una clausola con cui cliente attesti di aver ricevuto le Informazione europee di base.

Ed infatti, la risposta alla questione pregiudiziale, condivisibile negli esiti, ciò nondimeno pare richiedere alcune specificazioni quanto ai passaggi argomentativi. 

A riguardo, deve evidenziarsi che non sembra integralmente esaustiva l’affermazione che può leggersi nella decisione in esame secondo cui la Direttiva non conterebbe alcuna disposizione circa l’onere della prova riguardante l’osservanza, da parte del creditore, degli obblighi informativi atteso che, ancorché minima, la normativa comunitaria contiene una previsione in punto di prova, fedelmente riproposta nel testo nazionale di recepimento della direttiva.

Recita, infatti, l’art. 5, par. 1, della Direttiva che «… si considera che il creditore abbia soddisfatto gli obblighi di informazione di cui al presente paragrafo…se ha fornito le “Informazioni europee di base relative al credito ai consumatori…»; ed a tale previsione, come si diceva, fa fedelmente eco il secondo comma dell’art. 124 T.U.B. ove si stabilisce che «…le informazioni di cui al primo comma sono fornite dal finanziatore o dall’intermediario su supporto cartaceo o su altro supporto durevole attraverso il modulo contenente le “Informazioni europee di base sul credito ai consumatori”. Gli obblighi informativi di cui al comma 1 si considerano assolti attraverso la consegna di tale modulo…».

Il dato letterale della disposizione, anzi, sembrerebbe quasi disegnare un rapporto di perfetta equivalenza tra l’obbligo di informare e la consegna del modulo contenente le “Informazioni europee di base” con la conseguenza che, positivamente assolto il secondo, se ne potrebbe/dovrebbeinferire il positivo assolvimento del primo.

Ed anzi, mentre la Direttiva Comunitaria parla, genericamente di “obblighi di informazione soddisfatti” mediante la consegna del modulo, il Legislatore nazionale sembra quasi ipotizzare una presunzione di assolvimento dell’onere della prova (come sembra suggerire l’espressione secondo cui tali oneri “si considerano assolti…”)mediante la consegna del modulo.

Eppure è proprio su tale aspetto chei Giudici comunitari sono intervenuti, affermando in maniera condivisibile che l’inserimento della clausola con cui il cliente afferma di aver ricevuto le Informazioni europee di base non può determinare una inversione dell’onere della prova.

E ciò, a ben guardare, per una pluralità di ragioni.

Anzitutto, quelle individuate dalla Corte di Giustizia: il principio di effettività mal potrebbe tollerare una sostanziale elusione degli obblighi contenuti nella Direttiva che si avrebbe laddove tale clausola determinasse una inversione dell’onere della prova circa l’esecuzione degli obblighi di informazione.

Detto altrimenti, cioè, tale interpretazione, sancendo l’equipollenza fra un mero adempimento, la consegna di un modulo e gli obblighi di informazione perderebbe di vista la stessa ratio della disciplina comunitaria, tesa, come espresso in sentenza, a perseguire «…una armonizzazione completa ed imperativa in una serie di settori fondamentali, la quale viene ritenuta necessaria per garantire a tutti i consumatori dell’Unione europea un livello elevato ed equivalente di tutela dei loro interessi e per facilitare il sorgere di un efficiente mercato interno del credito al consumo…» e, ancor prima, il contenuto proprio della prestazione dell’operatore finanziario nella fase precontrattuale,: scopi, obiettivi e contenuti che sarebbero inevitabilmente frustrati in caso in cui l’obbligo di informazione fosse integrato dalla mera consegna di un modulo.

Ma vi è anche un’altra ragione che impedisce di ritenere che clausole del tipo di quelle in esame possano agire in punto di prova ed essere utilizzate al fine di spostare sul cliente l’onere della prova circa il corretto adempimento di tali obblighi.

Ed invero, l’unica interpretazione idonea a consentire di ritenere tale clausola un vero e proprio strumento di prova del corretto assolvimento degli obblighi informativi sarebbe riconoscere nella dichiarazione ivi contenuta una confessione stragiudiziale.

E tuttavia, esclude tale possibilità la considerazione che il contenuto di quella dichiarazione avrebbe ad oggetto non già un fatto specifico e sfavorevole per il dichiarante, quanto, piuttosto, una valutazione giuridica del corretto adempimento di una prestazione che si colloca prima della sottoscrizione del contratto.

Ecco che, allora, ben si comprende il perché la presenza di tale clausola, seppur possa costituire un indizio del corretto assolvimento di tali obblighi, ciò nondimeno, non esoneri il creditore dall’onere di offrire una prova rigorosa di avere agito con tutta la diligenza richiesta e, quindi, di aver correttamente adempiuto agli obblighi informativi[4].

Forse si dovrà discutere su quali saranno, concretamente, gli strumenti con cui poter dare la prova del corretto assolvimento di tali obblighi, stretti, verosimilmente, tra la prova testimoniale e prevedibili eccezione di inammissibilità della stessa; ma tale aspetto è, evidentemente successivo alla individuazione della regola di giudizio applicabile e del successiva distribuzione, sulla sua base, dell’onere della prova.

 



[1] Il giudice del rinvio il Tribunal d’instance d’Orléans con decisione del 5 agosto 2013. È interessante notare come lo stesso Tribunale con decisione del 30 novembre 2012 avesse già svolto un’altra domanda di pronuncia pregiudiziale avente ad oggetto, in tal caso, l’interpretazione della normativa comunitaria con specifico riferimento al funzionamento dell’apparto sanzionatorio – decadenza degli interessi – per l’ipotesi in cui il creditore non avesse verificato la solvibilità del cliente. Con decisione del 27 marzo 2014 causa C-565/12, la Corte di Giustizia ha affermato che la normativa comunitaria osta all’applicazione di una normativa nazionale che, pur sancendo la decadenza dagli interessi convenzionali per il creditore che abbia violato l’obbligo di informazione e valutazione del merito creditizio, consenta comunque di beneficiare degli interessi in misura legale giacché tali sanzioni non potrebbero ritenersi efficaci proporzionate e dissuasive.

[2] Sul ruolo del principio di vicinanza alla prova si veda GRECO, Rileggere le regole dell’informazione nel rapporto tra intermediario e risparmiatore, in Resp. Civ. prev., 2014, fasc. 3, p. 931; Si veda ancora, Vicinanza della prova e prodotti d’impresa nel comparto finanziario, in Banca Borsa e Titoli di Credito, 2014, fasc. 6, pag. 659

[3] Cfr. ex multis, nella giurisprudenza di merito Trib. Bolzano 6 giugno 2013, in Banca Borsa e Tit. credito, 2013, fasc. 6, pag. 674con nota di RULLI, Osservazioni sull’adeguatezza per dimensione di un investimento e distribuzione dell’onere della prova tra cliente ed intermediario

[4] Cfr. sul punto, di recente, Cass. civ. sez. I, 6 agosto 2014, n. 17726, in www.ilcaso.it; si veda, BATTELLI, L’attuazione della direttiva sui consumatori tra rimodernizzazione di vecchie categorie e «nuovi» diritti, in Europa e Dir. Priv., 2014, fasc. 3, p927.

 

09/04/2015
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