Magistratura democratica
Cronache fuori dal Consiglio

Magistratura onoraria: e adesso?

di Roberto Braccialini
presidente di sezione Tribunale di Genova
L’emergenza Covid rende necessario scongelare la riforma Orlando, completando e correggendo il percorso tracciato con la legge n. 57 del 2016 ed il suo decreto attuativo secondo le precedenti proposte indennitarie, previdenzial/assistenziali e organizzative

Con le recenti vicende del coronavirus sono venuti a galla tutti i limiti dell’organizzazione giudiziaria, in primo luogo l'arretratezza delle cancellerie nell'utilizzazione gli strumenti informatici da remoto e l’inadeguatezza del sistema indennitario e previdenziale della magistratura onoraria.

Da quest'ultimo punto di vista, che riguarda una platea di oltre 5000 magistrati onorari, il regime del "cottimo" legato ai provvedimenti depositati e alle udienze tenute ha dimostrato tutta la sua fallacia. In un assetto strutturale in cui il giudice di pace non era in precedenza informatizzato, ai magistrati onorari addetti a tale ufficio non è stato possibile alcun “lavoro agile” e quindi il deposito a distanza dei provvedimenti, con conseguente crollo delle precedenti indennità.

Tale possibilità di lavoro a distanza ricorre invece per molti giudici onorari che operano presso i tribunali e le procure, i quali però, non potendo tenere udienza, hanno visto ridotte in modo esponenziale le loro indennità. In pratica, i magistrati onorari di ogni specie dovrebbero per questi mesi fare quasi esclusivo riferimento al contributo stanziato al Governo: una specie di “cassa integrazione” il cui importo, a ben vedere, non è molto lontano dalle inadeguate spettanze che essi ricaverebbero dalla piena applicazione della normativa di riforma della giustizia onoraria varata tra il 2016 e 2017 (legge n. 57/2016 e d.lgs. n. 116/2017).

Proprio la riforma della magistratura onoraria viene messa profondamente in discussione dall'attuale emergenza e così si nota un prepotente ritorno delle istanze di stabilizzazione del rapporto onorario dopo che per un triennio la riforma Orlando è rimasta in pratica nel frigorifero, in sospeso tra le roboanti proclamazioni di totale riscrittura della maggioranza politica giallo-verde e gli assordanti silenzi di quella giallo-rossa.

È tempo di riprendere con la dovuta attenzione la discussione sulle sorti di questa riforma a metà, nella quale andrebbe riesumato - come stella polare del dibattito pubblico sul tema - l'analitico esame di luci ed ombre di una novella così a lungo attesa, quale aveva proposto il Consiglio Superiore della Magistratura nella sua inascoltata delibera-parere del 15 giugno 2017 sullo schema di decreto delegato (www.csm.it/web/csm-internet/-/parere-sullo-schema-di-decreto-legislativo-recante-la-riforma-organica-della-magistratura-onoraria-e-altre-disposizioni-sui-giudici-di-pace-nonche-la-).

Va fatta una premessa. È chiaro a tutti che l'attuale utilizzo della magistratura onoraria per effetto delle riforme normative e della regolamentazione consiliare degli ultimi 15 anni ha assunto una fisionomia abbastanza lontana da quella immaginata dai Costituenti, che avevano riguardo ad un modello di magistrato onorario chiamato ad intervenire soprattutto nella giustizia di prossimità, su di un contenzioso di non particolare complessità tecnica ed esaltando la funzione conciliativa dell'incarico onorario.

È invece successo che nell’ultimo quarto di secolo alla magistratura onoraria siano state attribuite funzioni sempre più vaste e impegnative, con materie contenziose di sicura difficoltà tecnica, che hanno progressivamente determinato l’emersione di una componente magistratuale semiprofessionale e semistabilizzata (o “precarizzata”), la quale gestisce al momento una buona fetta del contenzioso di primo grado con la previsione di un ampliamento ulteriore di competenze, una volta entrata a regime la riforma Orlando (da agosto 2021).

C’è chi si chiede se questo processo trasformativo fosse evitabile. A noi non pare, perché un proporzionale aumento degli organici togati, a cui affidare i contenziosi gestiti dai magistrati professionali, avrebbe comportato costi insostenibili. Non si dimentichi poi che la presenza attuale di un numero di magistrati onorari, pari alla metà dei togati, ha consentito tempi accettabili sia nel contenzioso di primo grado presso gli uffici del giudice di pace, sia presso i tribunali, nei quali ai giudici onorari è stato quasi ovunque assegnato il rito monocratico penale e molta parte del contenzioso civile, consentendo spesso una forte aggressione dell’arretrato.

Le suggestioni di reclutamento di una “magistratura di complemento” per il contenzioso minore, fortemente sponsorizzate da certe componenti del variegato associazionismo dei magistrati onorari nel decennio scorso, non avrebbero avuto vita facile nel nostro assetto organizzativo perché tutte le proposte sul tappeto si incagliavano nelle secche del concorso di reclutamento e del regime ordinamentale: non è facile (e non è opportuno) pensare a due magistrature professionali diversificate nel trattamento economico, previdenziale, ordinamentale.

Pare quindi evidente che non si può fare a meno della magistratura onoraria. Non per questo si deve scardinare la previsione costituzionale dell’art. 106 per realizzare un reclutamento parallelo che salti il concorso unico nazionale per l'accesso alla magistratura.

Nel sistema introdotto sulla scia della legge-delega 57 del 2016 ricorrono correttamente due punti irrinunciabili per confermare il raccordo dell’assetto ordinamentale al disegno costituzionale e, perciò, la natura onoraria dell'incarico: la temporaneità delle funzioni giudiziarie e la natura non esclusiva dell'incarico, che nella loro attuazione pratica possono indubbiamente creare rischi di incompatibilità e di conflitto di interessi; pericoli sempre meno gravi, peraltro, rispetto a quanto è accaduto con la sistematica proroga degli incarichi onorari protrattasi per un lungo arco di tempo.

Due altri momenti significativi del percorso riformatore non ammettono ripensamenti: la dirigenza degli uffici del giudice di pace affidata al presidente del tribunale ed il tirocinio formativo dei nuovi magistrati onorari, per il quale è previsto un biennio obbligatorio presso l'ufficio per il processo, cioè “dentro” i tribunali.

Così, rimettere mano alla riforma significa oggi ripartire dalla disciplina positiva varata nel biennio 2016/2017 ribadendo la natura temporanea e non esclusiva dell'incarico onorario: per rendere effettivi tali “paletti” vi è l’esigenza di procedere rapidamente al reclutamento degli organici che mancano all’appello rispetto alla dotazione di 8000 unità di cui al decreto ministeriale del 22 febbraio 2018.

Nel contempo è imprescindibile, seguendo le condivisibili indicazioni del Consiglio Superiore, la rivisitazione di alcuni punti critici della normativa in esame riscrivendo completamente l’assetto economico, che nel d.lgs. 116 ha finalmente superato il sistema del cottimo, ma prevede future indennità fisse di consistenza oltraggiosa, perché di poco superiori ai 600 euro netti mensili; senza che vi sia uno scorporo, nel “lordo”, della quota contributiva destinata alla previdenza.

L’ipotesi di non tassare le indennità riconosciute ai magistrati onorari, da alcuni prospettata, va seriamente considerata perché – oltre all’indubbio beneficio economico - contribuirebbe a far assumere ad esse una natura non reddituale e più prossima al rimborso di spese di funzione. Quanto alla consistenza economica, si può pensare di ancorare le congrue indennità, nella loro misura fissa, ad una certa frazione dello stipendio dei magistrati di primo grado; oppure alla media dei redditi dichiarati dagli avvocati (in ipotesi, i tre quinti, considerato il numero di giornate lavorative richieste); o, ancora, alla media delle voci riconosciute dal Ministero per i tre diversi incarichi onorari (le attuali indennità annue medie di giudici di pace, got e vpo sono assolutamente diverse e sperequate). La parte “incentivante” potrebbe rimanere ma, piuttosto che a fumosi programmi organizzativi, dovrebbe essere ancorata esclusivamente ai provvedimenti che realmente “chiudono” il processo (vedi: sentenze definitive di merito, verbali di conciliazione) o definiscono attività requirenti (vedi: decreti penali).

Il secondo indispensabile capitolo che va decisamente ripensato e riscritto riguarda la previdenza e l’assistenza per i magistrati onorari, e qui si apre la strada per disposizioni integratrici che non penalizzino gli avvocati che esercitano anche funzioni onorarie, rispetto alla loro iscrizione alla Cassa di previdenza (vedi il nodo della “continuità professionale”). Va comunque prevista una contribuzione presso tale organismo per gli avvocati o, negli altri casi, presso una gestione separata Inps, che sia a carico economico dello Stato e non del singolo. Non è concepibile, nel 2020, che i magistrati onorari non dispongano di una copertura assicurativa per eventi incidenti sulla salute o sulla capacità di lavoro.

Certamente il giudizio complessivo sulla manovra riformatrice del 2016-17 sarebbe stato molto più lusinghiero se ad essa si fosse messa mano fin dall'inizio degli anni 2000 e non invece a 15 anni di distanza, determinando nel frattempo la formazione di un precariato di Stato che, di proroga in proroga, reitera ovviamente la richiesta di stabilizzazione. Questa pressione esterna ha influenzato l'effettivo decollo della riforma a regime e ha fatto introdurre una disciplina temporanea quadriennale in cui le “regole di ingaggio” dei magistrati onorari sono quasi totalmente sovrapponibili al passato: tanto che viene da chiedersi se la vera riforma della magistratura onoraria stia scritta nei primi 28 articoli del d.lgs. 116/17, che riguardano i futuri gop e vpo, o non riposi principalmente nei 4 articoli della disciplina transitoria, che considera i soli magistrati onorari attualmente in servizio.

È chiaro comunque che la presenza di 5000 magistrati “prorogati” richiede necessariamente risposte diversificate rispetto a quello che sarà il futuro assetto economico/ordinamentale secondo lo schema ordinario previsto per i nuovi giudici onorari di pace.

Pensando proprio alle sorti ulteriori dei magistrati onorari già in servizio, dopo un così lungo rapporto di servizio presso gli uffici giudiziari diventa abbastanza inevitabile pensare a correttivi “ad personam” che riguardino sia la disciplina del numero delle udienze settimanalmente affidabili, sia il raggiungimento dell’età pensionabile attraverso ulteriori ragionevoli proroghe, in particolare per i molti magistrati onorari privi di una precedente copertura previdenziale.

L'ultima voce del capitolo emergenziale riguarda la necessità di una rapida informatizzazione degli uffici del giudice per di pace, che non possono continuare a rimanere un territorio separato con una loro singolare autonomia organizzativa, quando invece è necessaria una maggiore fluidità nei percorsi di allocazione del personale amministrativo ed una totale integrazione nell'uso degli strumenti informatici. Si potrà così rimediare all’odierno paradosso che vede procedimenti trattati in via totalmente cartacea presso il giudice di pace, che vengono successivamente gestiti in forme telematiche nel grado di giudizio successivo.

L’ emergenza Covid, in conclusione, rende necessario scongelare la riforma Orlando completando e correggendo il percorso tracciato con la legge 57 del 2016 ed il suo decreto attuativo secondo le precedenti proposte indennitarie, previdenzial/assistenziali e organizzative. In questo contesto di “riforma della riforma”, si potrebbe anche ripensare ad una maggiore valorizzazione dell'ufficio del giudice di pace come punto di riferimento e snodo dell'attività conciliativa giudiziale e anche stragiudiziale, per quello che riguarda la mediazione delegata e la omologazione-esecutività di titoli di formazione extraprocessuale.

Ma quello che non ammette dubbi ulteriori, e non può assolutamente tardare, è la fine della sconsiderata idea della “riforma a costo zero”, che ha così prepotentemente condizionato la manovra normativa messa a punto nel 2016-17: la recente “cassa integrazione” a colpi di 600 euro mensili per i magistrati onorari non può essere l’unica risposta ad un regime indennitario/previdenziale che era inaccettabile già prima dell’emergenza pandemica.

11/05/2020
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