Magistratura democratica
Magistratura e società

Giornata della Memoria 2015. Eroi sotto la toga: avvocatura e magistratura nella resistenza e contro le leggi razziali

di David Cerri
Avvocato del Foro di Pisa
A Firenze la ricorrenza è stata celebrata ricordando gli avvocati e i magistrati che si opposero al fascismo e al razzismo antisemita

Introdotta dal Presidente dell’Ordine forense fiorentino Sergio Paparo e con la presenza del Rabbino capo della Comunità ebraica di Firenze Rav Yosef Levi si è svolta il 23 gennaio la celebrazione della Giornata della Memoria, a cura dell’Ordine degli Avvocati e della Fondazione per la formazione forense di Firenze, in collaborazione con la Scuola Superiore dell’Avvocatura e con l’adesione di MD-Magistratura Democratica. Ettore Squillace Greco e Beniamino Deidda hanno quindi ricordato criticamente la compromissione col regime fascista di larga parte della magistratura italiana, con le luminose eccezioni degli “eroi” che sono stati appassionatamente ricordati nelle letture che sono seguite.

Sotto la guida dell’Avv. Gaetano Pacchi, anch’egli al microfono, Paola Belsito – magistrato – Raffaella Bigozzi e Laura Corsaro – avvocate – hanno condiviso con il pubblico biografie, lettere, documenti sulla vita e sulla morte di quei magistrati e di quegli avvocati che seppero opporsi al fascismo ed al razzismo antisemita.

Pubblichiamo le conclusioni dell’incontro, a cura dell’Avv. David Cerri. 

 

La filosofia di Hitler è rudimentale. Ma le potenze primordiali che vi si consumano fanno esplodere la fraseologia miserabile sotto la spinta di una forza elementare…Ben più che un contagio o una follia, l’hitlerismo è un risveglio di sentimenti elementari

Emmanuel Levinas

Ogni anno ci troviamo a parlare di memoria.

La tragica attualità dei giorni scorsi in Francia ci conferma - ma era sufficiente consultare il rapporto sugli Hate Crimes del 2013 dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali, o quello OSCE del 2012 - che non è un appuntamento rituale, ma una necessità vitale per una società democratica.

E uno dei motivi è questo: la madre degli imbecilli è sempre incinta.

Non si può sterilizzare, ma si può cercare di identificare gli imbecilli, per neutralizzarne il proselitismo, ed esaltare chi gli si oppone.

Oggi come allora ci sono certamente motivazioni politiche, economiche, anche sociologiche dietro le persecuzioni di massa, talvolta "laiche", talvolta “religiose”, ma il supporto di ideologie deliranti e irrazionali è sempre decisivo per conquistare un seguito: quello che scriveva Levinas nel ’34 potrebbe essere oggi interpretato anche col soccorso delle neuroscienze.

Se per esempio rileggiamo l'introduzione di Julius Evola ai Protocolli dei Savi di Sion nella versione italiana del ‘38, oggi ci vien da ridere (se pensate poi al suo contributo alla cosiddetta “mistica fascista”…): ma con un brivido nella schiena.

Ha fatto bene Il Manifesto, dopo la strage di Charlie Hebdo, a titolare Una risata vi seppellirà, ma le occasioni come quella di oggi dovrebbero servire a ricordarci – appunto - non solo cosa è successo, ma cosa si sarebbe potuto fare: e che cosa effettivamente molti hanno fatto per contrastare la barbarie.

È un richiamo, in primo luogo alla razionalità dell'essere umano, ed alla sua dignità.

La dignità, almeno per noi europei, è oggi un riferimento di diritto positivo (vedi il Tit. I della Carta di Nizza) ma è difficile dire se sia da intendersi come un super-principio (secondo l’esperienza della Corte Costituzionale tedesca, per capirci), o come un mero canone interpretativo.

Stefano Rodotà ha scritto piuttosto che la dignità “è venuta ad integrare principi fondamentali già consolidati – libertà, eguaglianza, solidarietà – facendo corpo con essi e impostandone una reinterpretazione in una logica di indivisibilità”. 

Quel che è certo è che la dignità non può andar disgiunta dalla razionalità, e qui si annida il pericolo di un contrasto tra fede e ragione quanto mai attuale.

Non è infatti certamente indispensabile interpretare la razionalità come un attributo riservato esclusivamente al soggetto ateo o agnostico; le tre grandi fedi monoteiste hanno mostrato - chi più, chi meno, lasciatemelo dire - come al contrario fede e ragione, fede e scienza possano, se non andare a braccetto, almeno percorrere insieme un tratto della stessa strada.

Devo ricordare Teilhard de Chardin, Spinoza e Maimonide, od Averroè ?

Però il riferimento al Gott mit uns, variamente declinato, ed alle ideologie esaltatrici della morte, che tanta parte hanno avuto nella Shoah ed oggi di nuovo, richiede di affrontare la questione con un occhio lucido.

Ed allora meglio di qualsiasi riflessione teorica, anche da un punto di vista strettamente pedagogico, è ritornare all'esempio di quelli che è forse improprio aver definito eroi; gli avvocati e i magistrati che oggi abbiamo ricordato 

Era un eroe Fulvio Croce che, scampato ai nazifascisti durante la Resistenza, ebbe a cadere per mano delle Brigate Rosse? O fu solo l’estrema coerenza di un percorso umano e professionale cristallino?

Dino Col, magistrato in servizio in Liguria, condivise con un avvocato, Angelo Bettini, la fama di “uomo mite” – caratteristica che troviamo così spesso tra questi eroi, persone normali che non tollerarono di star alla finestra a guardare – e come lui fu ucciso: lui a Flossemburg, Bettini, arrestato insieme ad un altro avvocato, giustiziato dalle SS con un colpo alla testa nella sua Rovereto.

Miti, ma non pavidi: Don Zeno Saltini (avvocato e poi sacerdote) alla caduta del fascismo ammoniva sul giornaletto della comunità di Nomadelfia: “Guai a coloro che credono che essere cristiani significhi anche essere conigli: Cristo ha saputo imporsi al Sinedrio e a Cesare a costo della vita”.

Ed a Flossemburg finì anche Cosimo Orru, che forse risponde di più alle caratteristiche “classiche” dell’eroe, se sono i suoi aguzzini a scrivere che “è una persona forte e nonostante abbia idee diverse dalle nostre, dobbiamo ammettere che è una persona da ammirare, niente lo spaventa …L’abbiamo picchiato fino alla morte, ma non siamo riusciti ad estorcergli nessuna informazione”.

Pasquale Colagrande, giovane sostituto procuratore nella Ferrara di Farinacci, si affrettò a far scarcerare i detenuti politici all’indomani del 25 luglio 1943, gesto non dimenticato dai fascisti che dopo l’armistizio lo arrestarono insieme ad altri resistenti: il suo ruolo gli avrebbe consentito un’ evasione “concordata” col direttore della prigione, ma “O tutti o nessuno” fu la sua risposta. E’ uno degli undici martiri fucilati, i cui nomi si leggono sulla lapide davanti al Castello estense.

Pietro Amato Perretta, magistrato dal ’21, si era dimesso nel ’25, perché trasferito per punizione per aver fatto approvare ad un’assemblea di colleghi lombardi un documento sull’indipendenza della magistratura. I fascisti locali gli impedirono di esercitare la professione forense, che aveva quindi scelto, ottenendone la sospensione dall’Albo, devastandone lo studio, arrestandolo ed inviandolo al confino, per poi sottoporlo a vigilanza speciale. Entrato nella Resistenza con importanti incarichi nel Comando generale delle Brigate Garibaldi fu arrestato a Milano da elementi della SS e della Muti: nel corso del tentativo di fuga fu fermato con una raffica di mitra alle gambe. In ospedale, chiese ai medici di non essere operato, per non dover poi sottoporsi ad interrogatori che sentiva di non poter affrontare, per la condizione e l’età, col rischio di rivelare dati preziosi sui compagni di lotta. Esaudito, morì pertanto dopo tre giorni. 

La figura che forse di più riassume in sé il tema della giornata è quella di Emilio Sacerdote, anche lui passato per Flossemburg e poi morto a Bergen Belsen, ebreo, magistrato, avvocato. Combattente della Grande Guerra, si dimise all’inizio del 1938 dalla magistratura perché offeso in udienza - ove rivestiva il ruolo di procuratore del re - perché ebreo (era nipote del rabbino di Alessandria). La sua carriera di avvocato subito intrapresa ebbe però breve durata, perché le leggi razziali qualche mese dopo gliene impedirono la prosecuzione. Col nome di battaglia di “Dote” iniziò nel ’43 la guerra partigiana, e per la sua formazione giuridica divenne Presidente del Tribunale Partigiano e Capo di Stato Maggiorenella Brigata Garibaldi e poi nella Divisione Giustizia e Libertà. Anche il suo percorso umano finisce in Germania: catturato in seguito a una delazione nel settembre del ’44, fu trasferito nella sua “nuova residenza” – come la chiama lui stesso in un biglietto ai familiari - nel dicembre. 

Quanti altri – per fortuna – gli avvocati ed i magistrati che rialzarono la testa: un sommario elenco dei primi si legge ora nel Dossier N.14 dell’Ufficio Studi del C.N.F. raccolto in occasione del seminario dello scorso novembre sugli avvocati nella Resistenza; dei secondi basterebbe forse ricordare ancora gli “epurati”, un primo gruppo dei quali fu quello che annoverò tra gli altri Vincenzo Chieppa, Roberto Cirillo e Giovanni Macaluso, postisi “in condizioni di incompatibilità con le generali direttive politiche del governo” secondo il precetto della Legge n.2300 del 1925, per la loro attività per l’Associazione Generale tra i Magistrati Italiani; mentre il secondo gruppo fu quello dei dispensati dal servizio in virtù delle leggi razziali, come Mario Finzi, scomparso ad Auschwitz, e Ugo Foa, poi presidente della comunità ebraica romana durante l’occupazione tedesca.

Ma non c’è da compiacersene: aveva ragione il Galileo di Bertolt Brecht: sventurata la terra che ha bisogno d'eroi.

 

27/01/2015
Altri articoli di David Cerri
Se ti piace questo articolo e trovi interessante la nostra rivista, iscriviti alla newsletter per ricevere gli aggiornamenti sulle nuove pubblicazioni.