Magistratura democratica
Europa

Corte Edu: adozione e diritto al rispetto della vita familiare

di Emma Rizzato
magistrato collaboratore presso la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo
L'affare Zhou contro Italia: gli scarsi mezzi o la vulnerabilità del genitore non giustificano la recisione del legame familiare
Corte Edu: adozione e diritto al rispetto della vita familiare

1.La vicenda

La seconda sezione della Corte Edu in data 21.01.2014 ha accolto il ricorso della signora J.Z ritenendo all'unanimità sussistente la violazione dell’Art.8 della Convenzione - che protegge il diritto al rispetto per la vita privata e familiare - in relazione all’adozione del figlio della donna disposta dal Tribunale di Venezia.

La ricorrente di nazionalità cinese ma residente in Italia dal 2000, era rimasta incinta di suo figlio A. nel 2003. Il padre del bambino con la quale la donna era venuta in Italia unitamente alle altre loro due figlie, successivamente tornate a vivere in Cina dai nonni, l’aveva abbandonata all’inizio della gravidanza.

Al momento del parto J.Z. aveva avuto una ischemia cerebrale con conseguente lieve compromissione di alcune facoltà intellettive. Dopo la nascita del bimbo la donna e suo figlio, data la precarietà economica della stessa, erano stati presi in carico dai servizi sociali e collocati presso una casa famiglia per mamme e bambini e successivamente presso una struttura pubblica a Padova. La donna nel frattempo trovava lavoro aBelluno. Dopo breve tempo si dimetteva a vantaggio di un altro impiego presso l’ospedale di Padova che le avrebbe consentito di trascorrere più tempo con A. Nei confronti del bambino veniva stabilito un affido etero familiare. Dopo tre mesi la famiglia revocava la sua disponibilità e J.Z. decideva autonomamente di farsi aiutare da una coppia di vicini che ospitavano A. durante la giornata mentre JZ prestava le sue ore di lavoro.

I Servizi Sociali competenti ritenendo inadeguata la soluzione individuata dalla ricorrente sia per l’età della coppia che per il sospetto che gli stessi aiutassero anche economicamente J.Z. per « ripagarla» del tempo trascorso con il bambino (sospetto poi rivelatosi del tutto infondato), sia per il mancato consenso della madre al rinnovo dell’affidamento del piccolo ad altra famiglia, segnalarono la situazione alla Procura della Repubblica dei Minori di Venezia.

Sulla base degli elementi addotti dai Servizi Sociali la Procura dei Minori presentò ricorso al Tribunale con richiesta di apertura del procedimento di adozione del minore, adducendo che J.Z. non era in grado di occuparsi del figlio. Il Tribunale dispose che A. fosse affidato giudizialmente ad una famiglia, con diritto della madre di visita bisettimanale del bambino. Successivamente fu disposta la sospensione totale degliincontri sulla base della relazione degli psicologi che dato che il bambino si innervosiva dopo gli incontri con la mamma avevano dedotto limiti e carenze nelle sue modalita’ genitoriali e di programmazione della vita futura. A fronte del reclamo interposto da J.Z. la Corte d’appello revocò il decreto del Tribunale ritenendo che gli incontri madre-figlio non fossero certamente negativi per A e che le difficoltà segnalate dai Servizi fossero riconducibili alla situazione di turbamento che viveva il minore rispetto alle sue figure di riferimento affettivo e non significassero un rifiuto della madre.

Il Tribunale tuttavia sulla base degli esiti di una consulenza tecnica disposta di ufficio dichiarava lo stato di adottabilità del bimbo e conseguentemente disponeva l’interruzione immediata dei rapporti con la madre, valutando che J.Z., anche per motivi legati al suo stato di salute, non fosse  capace di esercitare il suo ruolo materno in maniera costruttiva e armonica per la crescita del suo bambino.

La decisione veniva confermata dalla Corte d’Appello nonostante l’impugnazione della ricorrente. Anche il ricorso proposto dal tutore del piccolo A., che chiedeva che alla madre fosse almeno consentito di rimanere in contatto con il bambino sotto la supervisione dei servizi sociali, attraverso il ricorso ad una forma di adozione c.d. mite o semplice, veniva rigettato. La Corte d’Appello decise infatti che non si potesse applicare alla situazione in esame l’art.44 d) L.n.183/184 secondo l’interpretazione estensiva adottata da alcuni Tribunali per i Minori Italiani e che a fronte di un vuoto normativo concernente situazioni «speciali» come quella in esame l’unica opzione fosse l’adozione legittimante

2. Il ricorso alla Corte di Strasburgo

La ricorrte lamentava di fronte alla Corte EDU che la dichiarazione di adozione costituisse una violazione del suo diritto al rispetto per la vita familiare, così come l’incidenza negativa che aveva avuto la decisione di sospendere per dieci mesi i contatti col suo bambino in pendenza della procedura di adottabilità. Sosteneva inoltre che lo Stato Italiano non prevedendo forme mitigate di adozione per i casi di non conclamato abbandono del minore, di fatto consentiva una rescissione del legame familiare anche quando ciò appariva sproporzionato rispetto alle effettive carenze della figura genitoriale, soprattutto se « incolpevoli » ovvero dovute come nel caso in questione a problematiche, oggettive, di natura economica e/o legate allo stato di salute della madre naturale.

Aggiungeva che in ogni caso il Tribunale aveva dichiarato lo stato di adottabilità del minore senza che sussistessero i requisiti dello stato di abbandono, ovvero in assenza di maltrattamenti  e nonostante le manifestazioni di impegno fornite dalla ricorrente volte a garantire maggiore stabilità affettiva e materiale al suo bambino.

La ricorrente rilevava, in particolare, che la presa in carico del minore e l’affidamento temporaneo ad un’altra famiglia avrebbe dovuto tendere ad un riavvicinamento alla famiglia d’origine, necessitando la madre biologica di sostegno ed aiuto nell’accudire A. a causa delle precarie condizioni economiche e le obiettive difficoltà dovute al suo stato di salute e non sussistendo alcun reale abbandono del minore.Inoltre deduceva che per la illegittima sospensione degli incontri con il figlio durata 10 mesi (e poi revocata dalla Corte d’appello in sede di reclamo), non aveva ottenuto alcun risarcimento del danno subito. Quanto alla possibilità per il Tribunale, stante le peculiari circostanze del caso, di addivenire ad una forma adozione c.d. mite, la ricorrente sosteneva che tale sarebbe stata la soluzione più adeguata nel suo caso, aderendo alla interpretazione dell’art. 44 lett. D) L.n.183/83 adottata da alcuni Tribunali per i minori italiani. Rilevava inoltre che l’assenza di un istituto che espressamente prevedesse una forma mitigata di adozione era stata di obiettivo ostacolo all’accoglimento della sua richiesta.

3. Le obiezioni del Governo.

Il Governo da parte sua sosteneva che le autorità italiane avevano invece preso tutti i provvedimenti necessari per permettere di ristabilire il legame familiare, in particolare mediante l’intervento dei servizi sociali e la nomina di un esperto per esaminare le competenze materne della ricorrente.

Adduceva che l’ingerenza dello Stato fosse legittima essendo prevista dalla legge e finalizzata a realizzare l’interesse di protezione del minore, negando al contempo che le Autorità nazionali avessero oltrepassato il limite del margine di apprezzamento contemplato nella seconda parte dell’art. 8 della Convenzione. Anche l’interruzione dei rapporti  con il minore, ad avviso del Governo, era stata pienamente giustificata dalla necessità di offrire al bambino un periodo di distacco dalla madre nel quale meglio ponderare la sussistenza delle condizioni per la declaratoria di adottabilit

4. La decisione.

Con riguardo ai diversi profili di violazione degli articoli della Convenzione sollevati dalla ricorrente, la Corte ha ritenuto di esaminare le doglianze della ricorrente esclusivamente alla luce dell’art. 8, ritenendo assorbite quelle sollevate sotto l’art. 6 e 13. Trattandosi di doglianze identiche nel contenuto, secondo l’orientamento costante della giurisprudenza Cedu, quelle ex art.6 - norma che sanziona l’eventuale unfairness of the proceedings - vengono ritenute soccombenti rispetto alle più ampie tematiche contemplate dall’art. 8. La Corte infatti ha spesso rilevato che  pur non contenendo la norma espliciti requisiti di tipo procedurale, il processo decisorio che conduce a misure di interferenza debba essere rispondente a criteri di correttezza e tale da garantire l’effettivo rispetto degliinteressi tutelati dalla norma (…In addition, the Court must ensure that the decision-making process leading to the adoption of the impugned measures by the domestic court was fair and allowed those concerned to present their case fully…To that end the Court must ascertain whether the domestic courts conducted an in-depth examination of the entire family situation and of a whole series of factors, in particular of a factual, emotional, psychological, material and medical nature, and made a balanced and reasonable assessment of the respective interests of each person. Neulinger et Shuruk c. Suisse n.14614/07).

Dunque nonostante la differente natura degli interessi protetti dalle due norme che astrattamente dovrebbero richiedere un esame separato delle doglianze sollevate, il motivo riguardante il mancato rispetto per la vita familiare conduce ad uno scrutinio che si estende anche alla correttezza del procedimento amministrativo e/o giudiziario (vedi in tal senso Todorova c. Italia 13.01.2009 e Saviny c. Ucraina 18/12/2008). La Corte ha inoltre deciso di trattare i due aspetti contestati - la declaratoria di adozione e l’interruzione degli incontri con la minore - considerandoli come unica violazione.

Nel merito i Giudici EDU hanno rilevato in primo luogo come non fosse contestabile che l’affidamento e la collocazione di A in un centro d'accoglienza integrino una forma di "ingerenza" nell'esercizio del diritto al rispetto della vita familiare della ricorrente.

Sulla base dei principi generali espressi in materia, infatti, tale ingerenza non sarebbe compatibile con l’art. 8 a meno chenon siano rispettate tre condizioni ovvero l’ingerenza sia prevista dalla legge, persegua un fine lecito e si postuli come necessaria nella società democratica, fondandosi su un bisogno sociale pressante e che sia proporzionato al fine da realizzare (vedi Gnahore’ c. France n.40031/98, C et S. c. Rouyame-Uni 56547/00).

Brevemente si rammenta che l’art. 8 della Convenzione protegge infatti l’individuo dalle ingerenze arbitrarie  dello Stato (c.d.obblighi negativi), ma allo stesso tempo impone all’Autorità statale l’adozione di obblighi positivi volti a realizzare concretamente il rispetto della vita familiare.

Dunque laddove un legame familiare sia esistente, lo Stato dovrebbe principalmente favorire le condizioni affinché questo legame si mantenga e si sviluppi, avendo riguardo, nella attuazione di entrambi i compiti, al giusto equilibrio tra gli interessi in gioco. In alcune pronunce la Corte ha ritenuto che l’interesse al benessere del bambino fosse stato correttamente anteposto a quello dei suoi genitori.

Nel caso Clemeno e Altri contro Italia (dec. 21.10.2008), in una complessa vicenda che vedeva i genitori e altri parenti di dueminori indagati penalmente per sospetti abusi sessuali ai danni degli stessi, la Corte non ha ritenuto sussistere la violazione dell’art. 8, avendo valutato che nel  caso specifico correttamente il Tribunale per i minori, pendente l’indagine, avesse disposto l’interruzione  dei contatti tra gli adulti e le minori (….In tali condizioni, la Corte ritiene che l’affidamento e l'allontanamento di Y possano essere considerate delle misure proporzionate e "necessarie in una società democratica", per garantire la protezione della salute e dei diritti della bambina. Il contesto delittuoso, che vedeva come protagonista il padre della minore, ha potuto ragionevolmente condurre le autorità nazionali a ritenere che, qualora fosse rimasta con la sua famiglia, Y avrebbe potuto subire un grave pregiudizio. Si veda mutatis mutandis, Roda e Bonfatti c. Italia, più avanti citata, §§ 113-114). 

La Corte dunque, in quello citato come in altri casi, riconosce che essendo i minori stessi portatori di interessi, di diritti e di libertà, nel porli in bilanciamento con quelli degli altri individui coinvolti, essi dovranno prevalere qualora siano compromessi o minacciati  da condotte fortemente negative dei familiari. Anche nel caso citato la Corte aveva comunque ribadito che l’art. 8 consacra il diritto del genitore ad ottenere misure idonee al riavvicinamento al proprio figlio e l’obbligo per le Autorità nazionali di dotarsi di strumenti concreti per la realizzazione di questa finalità, fatta salva la necessità di verificare nella situazione specifica quale sia l’interesse principale da salvaguardare tra quelli in conflitto. 

Nel caso Neulinger e Shuruk c. Svizzera (n.14614/07) la Corte aveva affermato che l’interesse del minore involge due aspetti: da un lato impone che i legami del bambino con la sua famiglia siano salvaguardati, tranne nei casi in cui essa si sia dimostrata particolarmente incompetente (unfit), conseguentemente sottolineando che i legami familiari possono essere sciolti solo in circostanze straordinarie (very exceptional) allorquando ogni tentativo sia stato fatto per preservare la relazione e se necessario, per ricostruire la famiglia. Dall’altro lato il minore ha diritto ad uno sviluppo in un ambiente armonioso e al riparo da condotte parentali dannose per la sua salute. Principi questi contemplati anche nella Convenzione dell’Aja (vedi anche, in tal senso, Elsholz v. Germany (GC) n.25735/94).

Alla luce dei principi generali in materia, nella decisione in oggetto si sottolinea che pur avendo lo Stato un margine di apprezzamento ampio nel valutare quali siano le soluzioni piú adeguate al caso concreto, tuttavia la Corte esige che misure estreme quali quelle che conducono a spezzare il legame esistente tra un bambino e la sua famiglia di origine non siano applicate che in casi straordinari, ovvero in casi nei quali i genitori si siano dimostrati indegni del loro ruolo

La Corte ribadisce inoltre che ogni Stato debba dotarsi di strumenti giuridici idonei a assicurare il rispetto delle obbligazioni positive imposte dall’Art.8 della Convenzione e che spetta alla Corte verificare se nell’applicazione della normativa interna le Autorità abbiano tenuto conto delle garanzie previste dall’art. 8, con attenzione specifica all’interesse del minore. Rileva altresì che, proprio in nome di questo interesse, le misure che lo riguardano debbano essere adottate tempestivamente e la loro durata essere contenuta (cfr Roda e Bonfatti contro Italia decisione del 26.03.07, laddove l’Italia è stata condannata per violazione dell’Art.8 in conseguenza della durata dell’ allontamento di una bimba dal nucleo familiare per sospetti abusi sessuali da parte del padre e manchevole organizzazione degli incontri della minore con la madre)

La domanda decisiva che anche nel caso J.Z. si e’ posta la Corte Edu è se le Autorità Nazionali prima di decidere di sopprimere il legame di filiazione materna abbiano preso tuttei provvedimenti necessari (e ragionevolmente esigibili), affinché il minore potesse condurre una vita familiare normalein seno alla famiglia di origine.

Dopo avere esaminato i passaggi fondamentali della vicenda, la Corte giunge alla conclusione che non vi sia stato sufficiente impegno nel sostenere il rapporto tra il minore e la ricorrente, prima di intraprendere la procedura di adozione e durante il suo sviluppo procedimentale.

Se alle Autorità interne viene riconosciuta ampia discrezionalità nel decidere di affidare un bimbo ai servizi sociali specie nei casi di urgenza, d’altra parte la Corte deve avere modo di convincersi che effettivamente sussistessero le circostanze  per la presa in carico del minore.

Inoltre la Corte pur senza spingersi fino a contestare una carenza legislativa ed a imporre all’Italia misure legislative specifiche ex art. 46 Conv., rileva come non sussistendo nel caso di specie un conclamato stato di abbandono e avendo la ricorrente sempre rispettato le prescrizioni comportamentali impostele nel corso del procedimento, sarebbe stato più opportuno, una volta optato l’A.G.per l’adozione, accedere ad una forma di adozione c.d. semplice o mite, come richiesto dalla ricorrente.

Infatti sulla base di informazioni raccolte presso diversi Tribunali per i Minori italiani, la Corte ha verificato che alcuni di essi (sul solco di una esperienza intrapresa dal Tribunale di Bari n.d.r.) avevano applicato l’art. 44 d) L.184/93 in maniera molto estensiva in situazioni dove non sussisteva un vero e proprio stato di abbandono (c.d.commissivo) ma uno stato definibile di semi abbandono permanente dovuto non all’assenza di un legame affettivo tra genitore e minore ma alla presenza di gravi problematiche afferenti il ruolo genitoriale, non facilmente e rapidamente superabili. Ciò al fine di salvaguardare il legame tra il minore e la famiglia di origine ma allo stesso tempo di non impedire l’adozione del minore da parte di un nucleo familiare in grado di rispondere più adeguatamente  a tutte le sue esigenze.

L’aspetto che sembra avere colpito i giudici della Corte in modo particolare sembra risiedere nel fatto che in questo caso, diversamente da altri, il minore non era stato sottoposto a una situazione di violenza o di maltrattamenti fisici o psichici o ad abusi sessuali (cfr a contrario Covezzi e Morselli c. Italian.52763/99) né esposto a rischi a causa di gravi squilibri mentali dei genitori (come in Kutzner c. Allemande e E.P. v. Italy n.31127/96).

In un altro caso in cui, per gli scarsi mezzi economici e le carenze culturali dei genitori, era stata disposta l’adozione del loro figlio, era stata dichiarata sussistente la violazione dell’Art.8 (Saviny c. Ukraine già cit.), non ritenendo sufficienti tali elementi a giustificare autorizzare uno sdradicamento del minore dalle sue radici.

La Corte ha dunque valutato negativamente l’adeguatezza degli elementi sui quali si è basato il giudizio dell’ A.N., ovvero che le condizioni di vita di A. offerte dalla madre, ne avrebbero certamente compromesso uno sviluppo sano ed equilibrato, censurando l’assenza di misure concrete predisposte per consentire al minore di restare insieme alla ricorrente che avrebbero dovuto essere attivate prima (n.d.r. o nel corso del suo allontamento temporaneo dal genitore naturale ) di decidere a favore della sua adottabilità.

La madre infatti non era mai stata sottoposta ad alcun procedimento penale e aveva participato diligentemente ad ogni attività ed impegno prescritto nel corso del procedimento. La incapacità di comprendere i bisogni del bambino e di progettare il suo futuro (come affermato dal perito e avallato dal Tribunale) sono parsi motivi dunque non sufficienti a giustificare l’ingerenza dello Stato nella vita familiare della ricorrente, giudicata priva delle competenze intellettive e culturali giuste per occuparsi di suo figlio secondo standards di natura psico forense.

Anche il fattore della vulnerabilità della ricorrente ha avuto peso nella valutazione della insufficienza di azioni adeguate da parte delle autoritá interne. La oggettiva debolezza della madre/ricorrente, ad avviso della Corte, avrebbe richiesto una tutela maggiorata e una protezione più accurata del legamematerno esistente (in tal senso vedi il caso Todorova c. Italiagià citato e anche E.P. c. Italia n.31127/96 , laddove la Corte ha ritenuto violato l’art.8 nel caso di una madre affetta da gravi disturbi mentali alla quale era stata tolta la figlia e impedito di incontrarla per un periodo di tempo giudicato troppo lungo, a prescindere dalle ragioni - condivisibili- postea sostegno della decisione dell’allontamento della bambina).

La Corte ha censurato dunque la scarsa attenzione dimostrata verso la primaria esigenza di preservare il legame tra la ricorrente e suo figlio, essendosi limitata l’Autorità giudiziara a prendere atto delle difficoltà esistenti (motivate da problematiche oggettive) senza adottare misure idonee a superarle magari mediante un programma assistenziale più incisivo e mirato. Alla ricorrente – sostiene la Corte - non e’ stata data alcuna concreta chance di rinnovare il suo legame con il figlio, non avendo neanche gli esperti nominati dalla A.G. proposto alcuna soluzione o progetto per il miglioramento della relazione familiare (…“any measures of implementation of temporary care should be consistent with the ultimate aim of reuniting the natural parent and child…cfr. Olsson v. Sweden judgment of 24 March 1988, Series A no. 130, pp. 36-37, para. 81 and E.P. v. Italy, no. 31127/96, § 69, 16 November 1999; v anche il caso Margareta e Roger Andresson c. Sueden 25 feb 92 in cui la Corte statuisce che “ in cases like the present a parent's and child's right to respect for family life under Article 8 includes a right to the taking of measures with a view to their being reunited”).

D’altra parte la Corte rileva come il Governo nella sua difesa non abbia dimostrato che la soppressione del legame fosse giustificato da elementi convincenti (cio’ al fine di verificare il rispetto del presupposto della necessità dell’intervento statale).

In punto di questioni preliminari, é di interesse notare che in sede di vaglio sulla ricevibilità del ricorso a fronte della eccezione sollevata dal Governo Italiano, che contestava che fosse stato esaurito il ricorso alle vie interne da parte della ricorrente, la Corte Edu ha considerato che tale requisito fosse stato assolto anche in assenza di impugnazione della sentenza della Corte di Appello a mezzo di ricorso per Cassazione.

Conformemente ad un orientamento consolidato in materia (cfr tra le altre V.c. Royame Uni), la Corte ha riaffermato il principio secondo il quale la valutazione sulla sussistenza di tale requisito deve tenere conto della praticabilità teorica e concreta del rimedio e delle effettive probabilità di successo che il ricorso non esperito avrebbe offerto alla ricorrente (ovvero essere lo stesso capable of providing redress in respect of the applicant’s complaints  and offered reasonable prospects of success) .

L’onere della prova circa l’esistenza di un rimedio recante tali caratteristiche doveva essere assolto dal Governo che ha sollevato l’eccezione (ad es. mediante la produzione di pronunce della Corte di Cassazione che in casi analoghi avevano accolto la tesi prospettata dalla ricorrente o aderito all’ interpretazione della norma avanzata dalla parte ). In assenza di ciò, la Corte ha ritenuto, dato il tipo di pronuncia emessa dalla Corte d’Appello, che l’esperimento del ricorso per Cassazione non avrebbe portato ad un sovvertimento della stessa nel merito. Anche in un’altra decisione contro l’Italia (Moretti e Benedetti c. Italia , 22.11.2010 ), la Corte aveva ritenuto assolto il requisito del previo esaurimento delle vie interne sebbene i ricorrenti, la cui richiesta di adozione speciale era stata rigettata, non avessero adito la Corte di Cassazione. Si è valutato anche in questo caso quali fossero le concrete probabilità di successo del ricorso mancato, ritenendo che la non uniformitá della giurisprudenza italiana sul punto della impugnabilit innanzi alla Corte di legittimiá del decreto di rigetto della richiesta di adozione e il fatto che non vi fossero vizi formali nella sentenza della Corte d’Appello da impugnare, facesse ragionevolmente presagire l’insuccesso dell’esperimento dell’ulteriore mezzo di impugnazione, così avallando la prospettazione dei ricorrenti circa l’inutilità del ricorso in Cassazione.

Nel merito, la condanna dell’Italia nel caso Zhou non discende quindi dalla affermazione di un vizio o di un grave errore nella procedura interna. Le decisioni con cui sono state rigettate le richieste della ricorrente erano formalmente corrette e si basavano su una perizia che illustrava una situazione familiare qualitativamente povera. Tuttavia, la Corte ha ritienuto che, malgrado la loro portata, i motivi indicati dalle giurisdizioni nazionali per giustificare la decisione di adottabilità, non fossero sufficienti nel rispetto dell'interesse della madre.

La violazione dell’art. 8 attiene dunque agli aspetti contenutistici dell’iter procedurale sfociato nella dichiarazione di adottabilità di A., caratterizzati, ad avviso della Corte,  da una inadeguata considerazione del diritto della ricorrente a coltivare il suo ruolo materno.Il Tribunale italiano, avallando quanto stabilito da un perito e sulla base delle relazioni dei Servizi Sociali, ha deciso che pur apparendo J.Z. madre affettuosa e desiderosa di occuparsi del proprio bambino, non avesse le competenze necessarie per farlo nel modo più idoneo alla crescita futura del minore, delegando troppo spesso il proprio ruolo ad altri soggetti.

Ad avviso della Corte la decisione di recidere il legame tra la ricorrente e il figlio è stata presa senza appropriatamente soppesare l’incidenza di tale evento sulla vita della ricorrente, tenuto conto anche della peculiarità del caso, ovvero l’assenza di condotte parentali evidentemente negative per la crescita del minore. L’intervento esterno è sembrato essere più punitivo nei confronti delle manchevolezze e dei limiti (culturali, economici, intellettivi) della madre/ricorrente che di reazione a suoi comportamenti intenzionalmente dannosi nei confronti di A

5. Diritto e giurisprudenza nazionale e prospettive future.

La decisione pone importanti interrogativi e apre a molteplici riflessioni. 

L’interesse del minore da privilegiare è quello ad avere una famiglia ideale o a restare nella propria anche se deficitaria sotto alcuni aspetti ? L’interesse del minore non dovrebbe prevalere su ogni altro solo ed esclusivamente all’esito di una valutazione puntuale sulla sussistenza dello stato di abbandono, come descritto nella L.184? Nel caso di specie è stata anteposta la tutela di un bimbo in difficoltà figlio di una madre giudicata imperfetta a quella di una madre sfortunata che avrebbe potuto/dovuto essere sostenuta per potere esplicare dignitosamente il suo ruolo materno. Ciò può ritenersi conforme ai principi elaborati dalla Corte Edu in materia di diritto dell’individuo al rispetto della vita familiare?

Sul piano del diritto interno, la tutela del minore riveste una posizione centrale ma è pur vero che la legge n.184/83 afferma anzitutto il diritto primario di ciascuno di vivere con i propri genitori naturali e propende per l’attuazione di ogni tentativo per rafforzare questo legame se in pericolo.

La Corte Edu da parte sua non giunge a privilegiare ad ogni costo il vincolo di sangue  a discapito dell’interesse del minore, ma ritiene che il primario interesse del minore debba essere realizzato anche attraverso la salvaguardia del suo legame biologico, a meno che non sia dimostrata la totale negativita’ di tale legame.

Nel caso Clemeno c. Italia la Corte ha precisato che:”L’articolo 8 non potrebbe in alcun modo autorizzare un genitore ad adottare delle misure pregiudizievoli per la salute e lo sviluppo del proprio figlio (Johansen c. Norvegia, precedentemente citato, p. 1008, § 78, e E.P. c. Italia, no31127/96, § 62, 16 novembre 1999). D'altra parte, rientra sicuramente nell'interesse del minore la possibilità che questi mantenga un rapporto con la propria famiglia, fatta eccezione per i casi in cui questa si sia mostrata particolarmente indegna: rompere tale legame vuol dire spezzare il minore dalle proprie radici ».

Al polo opposto rispetto alle istanze di protezione del lien familiale perorate dalla Corte EDU, sembra collocarsi la giurisprudenza italiana che aderisce ad una nozione di stato di abbandono piu’ concettuale che materiale, legato alle incapacita/inidoneita’ dei genitori (c.d. abbandono omissivo), prevalentemente attinte da elementi valutativi psico forensiespressi dai consulenti tecnici (vedi da ultimo Cassazione n.5095/2014) anche di natura oggettiva, non solo intenzionale. Infatti ad avviso della Suprema Corte (cfr tra le altre Cass. 1837/2011) «deve considerarsi situazione di abbandono oltre al rifiuto intenzionale e irrevocabile all’adempimento dei doveri genitoriali, anche una situazione di fatto obiettiva del minore che a prescindere dagli intendimenti di questi, impedisca o ponga in pericolo il suo corretto sviluppo psico fisico, per il non transitorio difetto di quell’assistenza morale e materiale necessaria a tal fine”.

L’inadeguatezza delle competenze genitoriali, dunque, anche non colpevole, se non risolvibile in tempi brevi, porta sovente alla dichiarazione di adottabilita’.

Preso atto di questo, ci si chiede se non sarebbe allora opportuno potenziare le misure di sostegno del genitore “inadeguato” e incolpevole attraverso un processo di mediazione, incontro e dialogo al fine di creare le condizioni per ripristinare un ruolo genitoriale capace di rispondere a tutte le esigenze del minore, anche quelle di restare in seno alla propria famiglia naturale, almeno ogni volta che essa, benchè insufficiente rispetto ai suoi bisogni, conservi un ruolo positivo che non è giusto venga cancellato totalmente. " 

La fattispecie dell’adozione mite, invocata dalla ricorrente, ex art. 44 lett D, interpretato estensivamente, è stata ritenuta non applicabile nel caso della della signoar J.Z., non ricorrendone i presupposti. La Corte d’Appello, infatti pur riconoscendo la peculiarità della vicenda, ha ritenuto di non aderire ad una interpretazione estensiva dell’art.44 D), nel senso rappresentato dall’appellante, rigettando pertanto la sua richiesta.

Si rammenta, in sintesi, che l’adozione c.d. mite e’ il frutto di una prassi iniziata nel 2003 dal TPM di Bari che ha trovato applicazione soprattutto in casi di minorenni la cui situazione era quella di protratta permanenza fuori della famiglia e dal loro collocamento in comunità oppure in affidamento sine die. Il procedimento, diviso in due fasi, si proponeva, nella prima, il fine di verificare la sussistenza delle condizioni per il rientro del minore nella famiglia di origine e di realizzarlo, nella seconda, in caso di impossibilità di riuscita del primo obiettivo, di procedere ad adozione legittimante in caso di abbandono morale e materiale, e non legittimante o mite nei casi di semi-abbandono permanente. In questa seconda fase non esigendosi, come negli altri casi di adozione particolare ex Art.44 lett. a)b)c), il presupposto della previa declaratoria di adottabilità del minore ma solo il consenso dei genitori o del tutore oppure un provvedimento di decadenza della loro potestà genitoriale.

Ciò premesso, anche condividendo alcune delle perplessità espresse sulla percorribilita’ di questa strada, pur tuttavia i principi della mitezza giuridica che sono alla base di tale sperimentazione (il principio della continuità degli affetti; ilprincipio della mediazione dei servizi territoriali e dei giudici con le persone, adulti e minori per ottenere consenso e collaborazione alle decisioni che si assumono nei loro confronti; la necessiita’ di una rilettura del ruolo dei servizi territoriali nell’ambito dell’adozione, ponendo l’accento sul compito di assistenza e di accompagnamento rispetto a quello valutativo (Cfr, tra tutti, F. Occhiogrosso “manifesto per una giustizia minorile mite”e la teorizzazione del diritto mite da parte di G Zagrebelsky ), potrebbero essere ispiratori di soluzioni da adottare in tutti i casi di non chiara/evidente applicazione dell’art. 7 L.184/83, cosi’ da non incorrere in violazioni del diritto alla vita familiare di genitori biologici che dimostrino concretamente di non volere abdicare al loro ruolo.

Qualora invece si ritenga, come sostenuto dalla maggior parte dei TPM italiani, che le proposte dei fautori dell’adozione mite siano soprattutto foriere di problematiche legate alla co-esistenza della famiglia adottante e della famiglia naturale e della disciplina dei diritti dell’adottando in seno al nuovo nucleo familiare, in ossequio alle garanzie previste dall’Art. 8 Conv. e con l’obiettivo costante di ricercare norme adeguate tanto al caso quanto all’ordinamento (G. Zagrebelsky.), si dovrebbe forse restituire all’allontanamento del minore dalproprio nucleo familiare la sua finalità precipua ovvero quella di misura temporanea avente lo scopo di allentare un legame per ricostruirlo dopo averlo curato e di sostituirlo solo in casi estremi, ovvero in presenza di una situazione di effettivo e irreparabile pregiudizio per il minore.

La sentenza in commento é definitiva dal 2 giugno 2014 a seguito del rigetto della richiesta di rinvio del caso in Grande Camera, presentata dal Governo ex art 43 della Convenzione.

Come é noto l’art. 43 prevede che la richiesta di rinvio del caso in G.C. possa essere accolta da un collegio di cinque giudici, nel caso in cui il caso sollevi importanti questioni interpretative o applicative della Convenzione e dei suoi Protocolli o affronti una tematica ritenuta di importanza generale.

18/07/2014
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