Magistratura democratica

Per il futuro della formazione dei magistrati

di Rita Sanlorenzo

La ricognizione delle esperienze maturate intorno alla istituzione della Scuola della magistratura è funzionale essenzialmente a tracciare le linee per la sua futura attività, essenziale per assicurare una efficace difesa dell’indipendenza di tutti i magistrati.

Il rapporto con il Csm deve arricchirsi di una leale, reciproca collaborazione, da cui non potrà che scaturire una positiva sinergia in grado di dare ai magistrati italiani un supporto ed un riferimento indispensabili, non solo sul piano strettamente tecnico ma soprattutto per l’accrescimento della consapevolezza del singolo nel proprio ruolo.

1. Il recente rinnovo del Comitato direttivo della Scuola allo scadere del primo quadriennio di attività è l’occasione di questo numero monografico, ma certo non la linea del suo orizzonte di discussione: molti dei contributi proposti offrono un bilancio, secondo diverse visuali, di questa innovativa esperienza, ma Questione Giustizia si propone soprattutto, con il suo primo numero del 2016, di guardare al futuro della formazione dei magistrati, che da sempre è stato individuato da questa Rivista come un ganglio assolutamente basilare nella costruzione del disegno costituzionale di una magistratura indipendentemente ed autonoma.

Tra i tanti contributi che negli anni sono confluiti nel dare vita ad un pensiero collettivo consapevole dell’importanza del tema, e propositivo rispetto agli sviluppi che poi in parte si sono avverati, non deve mancare il ricordo delle parole di Carlo Maria Verardi[1], e della sua capacità progettuale rispetto ad un disegno complessivo che della Scuola faceva un tassello fondamentale, ma non assorbente rispetto ad un sistema di formazione diffuso e ramificato. A quella ispirazione Questione Giustizia non smette, e non ha mai smesso, di fare riferimento.

 

 

2. La Scuola è nata nel contesto di una profonda opera riformatrice dello status dei magistrati. Ad essa il Legislatore del 2006 ha affidato uno dei compiti nodali per la realizzazione del mosaico a cui ha messo mano: quello di rafforzare la legittimazione dell’intera magistratura attraverso l’arricchimento costante e continuo della professionalità dei singoli. La Scuola assurge così da un lato a baluardo della indipendenza di giudici e pubblici ministeri, e da argine concreto al pericolo di una sostanziale separazione delle carriere rappresentando il luogo della crescita della comune cultura della giurisdizione, dall’altro si fa strumento per il perseguimento di un dovere istituzionale, quello dello sforzo verso un sempre più elevato livello di qualità del servizio. La realizzazione di una funzione di tale delicatezza può essere realizzato, secondo lo stesso decreto legislativo che l’ha istituita, da un lato attraverso il coordinamento con l’organo costituzionale di autogoverno, dall’altro nel rispetto di quel principio di indipendenza che la norma riconosce in favore dei membri chiamati a far parte del Comitato direttivo. Le recenti tensioni sorte in occasione del corso sulla giustizia riparativa, con la presa di posizione non del Csm ma del suo Comitato di presidenza, evidenziano, anche alla luce della storia di questi quattro anni come raccontata da alcuno degli interventi raccolti, la necessità di definire un nuovo, più bilanciato, rapporto tra le due istituzioni, fondato sul dialogo e sulla collaborazione, mai sulla censura di tipo verticistico.

In proposito, va detto che se da un lato è insufficiente la sporadicità della elaborazione delle linee guida annuali da parte del Csm, ormai frutto di un burocratico adempimento all’obbligo di legge, dall’altro deve essere respinta con forza ogni tentazione di assoggettamento della Scuola all’organo di autogoverno (e tanto più,al suo vertice). Occorre evitare ogni antagonismo tra Csm e Ssm, che finirebbe per indebolire la stessa difesa delle prerogative costituzionali di autonomia ed indipendenza (oltre che compromettere l’autorevolezza e la visibilità internazionale della formazione italiana, come insegna la passata vicenda della mancata elezione di un componente italiano nel Comitato direttivo della rete europea di formazione giudiziaria): ma sarebbe perdente anche la linea della reciproca indifferenza e dell’incomunicabilità.

È necessario piuttosto favorire ed ampliare le occasioni di interlocuzione e di scambio tra due istituzioni che giocano un ruolo fondamentale nel dare corpo e materia alla collocazione istituzionale della magistratura nel sistema costituzionale, anche attraverso la crescita della consapevolezza del proprio ruolo presso gli stessi magistrati.

In quest’ottica, Questione Giustizia è convinta della opportunità di una valorizzazione del compito del Consiglio nell’ideazione delle linee generali per la formazione dei magistrati, che però non trasmodi mai nella tentazione di improvvidi interventi di  controllo, e tantomeno di censura. 

La stessa proposta di ricostituzione della IX commissione in seno al Consiglio può comportare ricadute positive se ed in quanto miri alla valorizzazione del dialogo con la Scuola: ma attraverso la stessa non deve passare surrettiziamente il tentativo di introdurre un mezzo di controllo dei contenuti della formazione stessa.

Come ricorda nel suo editoriale Renato Rordorf, la Scuola finirebbe per perdere la sua stessa ragion d’essere se le venisse negata l’autonomia nel dare concreta attuazione ai criteri ispiratori della formazione dei magistrati elaborati dall’organo di autogoverno. Solo una illuminata sinergia, ispirata ad una doverosa lealtà istituzionale, può realizzare il progetto di una formazione professionale destinata non solo ad elevare la consapevolezza del ruolo in capo ai singoli, e ad impedire la deriva burocratica dell’intero corpo dei magistrati, ma anche a costituire l’occasione di avvicinamento e di immedesimazione in un autogoverno che si fa veramente carico delle difficoltà della professione, e che si adopera per farvi fronte.

Le parole di Gaetano Silvestri, nel suo discorso di esordio come Presidente del comitato direttivo, vanno in questa direzione, procedendo a comporre un disegno dai contorni netti, lucidi, del tutto condivisibili: ed è un disegno che va sostenuto, completato e rafforzato nei fatti, a partire da subito.

 

 

3. L’avvio della Scuola ha rappresentato un’impresa di notevole complessità e delicatezza. Si è compiuto uno sforzo titanico, attraverso il quale si è dovuto affrontare il nuovo, partendo da pochissimi mezzi e dalla necessità di risolvere problemi organizzativi non da poco, dovuti anche a quella che è la particolare ubicazione di Castel Pulci e dalla impossibilità di farne un luogo non solo in cui si dispensa sapere, ma più pienamente, in cui si trascorrono i periodi destinati alla propria formazione: meglio sarebbe stato disporre di un campus, vero e proprio, in cui trovare modo e tempo di condividere esperienze e vita quotidiana, in una dimensione collettiva capace di strappare il magistrato, soprattutto il più giovane e quello destinato alle sedi più remote, alla paura della solitudine.A questa mancanza bisogna sapere ovviare per altre vie.

Lo sforzo ha comunque prodotto molto (si vedano in proposito i dati sulla formazione iniziale e su quella permanente), e soprattutto va detto che è stato capace di radicare nel corpo della magistratura l’idea che quella di Scandicci è la sua Scuola, che accompagnerà la carriera sin dagli esordi e poi negli snodi essenziali quali il passaggio ai ruoli direttivi. Semmai dai contributi raccolti si avverte il bisogno di più Scuola, di una presenza ancora più significativa e assidua, che marchi la sua presenza anche nell’evolvere della carriera (soprattutto dopo l’accesso alle funzioni direttive) consentendone il progressivo adeguamento culturale.Una Scuola che accentui coraggiosamente la sua originalità e la sua unicità abbandonando o comunque riducendo la reiterazione di schemi tradizionali di insegnamento, per incrementare e potenziare l’approccio alla specificità dell’essere magistrato. Sfuggendo dalla tentazione di prefigurare un modello di magistrato al quale adeguarsi (queste le condivisibili parole di Gaetano Silvestri nel suo discorso al Csm), ma piuttosto mettendo in mano al singolo un armamentario ragionato che sappia rompere la crosta della routine e stimolare alla sfida intellettuale.

Per ottenere questo serve anche un adeguato investimento. Ed è ora di sollecitare il Ministro a prendere consapevolezza della necessità di aumentare dotazioni di materiale e di personale, e di ampliare il numero dei componenti del Comitato direttivo, evitando i distacchi solo parziali.

 

 

4. Ma la Scuola potrà difendere la propria indipendenza, e sottrarsi ad ogni tendenza egemonica esterna, se saprà avvicinarsi di più e meglio alla realtà della magistratura odierna e rappresentarne al meglio la contemporaneità, senza mai perdere la dimensione della sua storia e della strada compiuta negli anni di esperienza repubblicana attraverso una serie di cambiamenti di tipo sia ordinamentale, sia sociale. La sua ubicazione appartata, sopraelevata rispetto al disordine quotidiano, non sia simbolo di una sua lontananza dalla vita professionale e dai suoi bisogni. Spaventano le affermazioni (dettate soprattutto da intento polemico) di coloro che proprio in occasione del deflagrare del caso sul corso in materia di giustizia riparativa, hanno negato che si potesse dare ingresso agli ex terroristi nel “tempio” della formazione della magistratura. Che quello che sarebbe consentito in un convegno, non sia invece permesso in un corso di formazione a Castel Pulci, è frutto di una visione che, lungi dal valorizzare il ruolo della Scuola, lo mortifica in una dimensione distaccata e sterilizzata, che non serve a crescere.

E per aprire le porte al cambiamento serve innanzitutto affrontare la questione di genere, che sembra ingiustificatamente trascurata nella composizione del Comitato direttivo e nella scelta dei relatori. Il punto sta non solo e non tanto nella formale rappresentanza della reale composizione del corpo dei magistrati (il 65% dei Mot appartiene al genere femminile), quanto nella necessità di una riflessione a proposito di una possibile ricaduta sui contenuti, e sui linguaggi,  della giustizia.

Né può eludersi la questione generazionale. Il massiccio ingresso di nuovi magistrati negli ultimi anni, peraltro spesso già provenienti da precedenti esperienze lavorative, e d’altro canto il pesante pensionamento delle generazioni più avanzate dovute anche alla riduzione del limite di permanenza, è un fatto che non può essere ignorato né nella progettazione dei piani di formazione, né nella individuazione del corpo docente su cui devono innestarsi con maggiore determinazione le energie di coloro ai quali oggi in così elevato numero è affidata l’amministrazione della giustizia.

 

 

5. Sui contenuti, per punti:

Formazione iniziale

È giusto partire dalle osservazioni di chi ne ha usufruito, che chiede espressamente l’abbandono dello schema della lezione frontale, per consentire l’approccio per punti problematici, rispetto ai quali offrire le possibili soluzioni interpretative. D’altronde, lo studio sostenuto per il concorso ha già costituito l’occasione per la costruzione di un sapere sistematico: è poco utile la ripetizione di insegnamenti teorici, è giusto invece che la Scuola elabori prima, e fornisca poi, un materiale specificamente rivolto alla formazione di una professionalità calata nel vivo del lavoro di magistrato. Ed è fondamentale che la Scuola aiuti a riflettere, e ad interrogarsi, sulla funzione e sul ruolo del magistrato, sul significato dell’autonomia come garanzia e non come privilegio. Occorre uno sforzo di elaborazione, ed un portato di esperienza, che deve sfuggire da ogni episodicità: è davvero impraticabile la strada di un gruppo di tutor stabilmente destinato allo svolgimento del compito di seguire i Mot, capace di interpretare i bisogni formativi e soprattutto di fornire a ragion veduta concreti elementi di valutazione, su cui incominciare a costruire un fascicolo personale sganciato da stereotipi e da formule ripetitive?

Formazione permanente

Il recente “caso” del corso sulla giustizia riparativa è l’occasione per riprendere il tema centrale sulla formazione che vogliamo. L’esperimento tentato dal precedente Comitato direttivo ha sollevato una serie di reazioni in parte anche inaspettate, per veemenza ma soprattutto per la chiusura mostrata rispetto a temi e storie che pure riguardano – eccome – l’attività dei magistrati. Ora, se vogliamo evitare quel pericolo di distacco dal sentire dei magistrati di cui si diceva sopra, forse occorre che progetti di tale impatto e capacità innovativa (quanto più necessari) perdano del tutto ogni aura intellettualistica e coinvolgano in prima persona gli operatori giudiziari ed i magistrati professionalmente coinvolti nella specificità del tema. Nell’occasione occorre riflettere sul fatto che in argomento non si sono sentite voci contrarie provenienti dai destinatari privilegiati del corso, ossia dei magistrati di sorveglianza, e questo a priori avrebbe dovuto costituire il punto di forza dell’iniziativa. Occorre avere ancora e sempre il coraggio di sperimentare, consentendo allo sguardo di spaziare altrove, ma tenendo ben saldi i piedi nel quotidiano e nello specifico del lavoro. È necessario rafforzare lo scambio con le esperienze della formazione decentrata: anzi, sarebbe doveroso rendere stabili e costanti questi rapporti.

Formazione dei dirigenti

Il tema è nodale. Il sistema ordinamentale introdotto con le riforme del 2006/2007 nel volgere di pochi anni ha determinato un cambiamento antropologico nel profilo individuale del Magistrato. La carriera diventa obbiettivo primario e il sistema di selezione si rivela in molti casi insoddisfacente. Bisogna potenziare il ruolo della Scuola nel fornire al Consiglio elementi concreti di valutazione sui candidati. Oggi, la partecipazione al corso propedeutico non sembra rispondere ad altro scopo che a quello di adempiere all’obbligo di legge.

Su un punto così nevralgico si misura l’importanza fondamentale della collaborazione tra Ssm e Csm. Sin qui, il Consiglio ha puntato soprattutto a circoscrivere gli ambiti di possibile interferenza nella scelta da compiersi. Gli elementi di valutazione offerti dalla Scuola consistono essenzialmente,oltre che nel giudizio sulla «diligente e proficua partecipazione al corso», nella valutazione di un elaborato svolto dai partecipanti «in remoto», entro 20 giorni dalla fine del corso, la cui qualità è determinata anche dall’investimento di tempo da dedicarvi, lasciata alla discrezione del singolo. Su queste premesse, si tratta di materiale che non può dare oggettivi e credibili elementi di discernimento, sì che dall’attività della Scuola non può venire un concreto ausilio rispetto a quello che è il momento delicatissimo della scelta del futuro dirigente. Una diversa collaborazione tra le istituzioni potrebbe e dovrebbe portare al potenziamento delle fonti conoscitive, nell’ottica di rendere il giudizio (che solo al Csm spetta) maggiormente ancorato alla conoscenza diretta delle capacità del candidato. Né avrebbe senso lasciare poi il dirigente nominato assolutamente arbitro dei propri successivi bisogni formativi: alla Scuola bisognerebbe dare il compito dopo quell’iniziale insegnamento, di seguire e supportare la successiva attività del singolo, attraverso la predisposizione di attività formative che ne curino la crescita professionale.

Formazione internazionale

Le difficoltà di dialogo e di cooperazione che si sono registrate in occasione del passaggio di testimone tra il Csm e la Scuola meritano una riflessione autocritica, soprattutto a seguito dell’accaduto in occasione del rinnovo del Consiglio direttivo della rete di formazione europea dei magistrati: occorre superare quelle divisioni, per mettere in campo una strategia comune che punti ad occupare nuovamente il centro della scena di un settore fondamentale. Continuare a guardare, ed a confrontarsi, con i sistemi stranieri, ed alle diverse modalità con cui si affrontano gli snodi decisivi della formazione dei magistrati (i rapporti con gli organi di autogoverno, la stretta connessione tra strutturazione della formazione iniziale e metodi di reclutamento, la specifica formazione dei dirigenti), è fattore di crescita e di rafforzamento della nostra struttura nazionale che oggi ha una storia ancora breve, ma a cui teniamo a garantire un solido e felice futuro. Questo numero di Questione Giustizia vuole contribuire a questo scopo.

[1] C.M.Verardi, Il reclutamento e la formazione dei magistrati e degli avvocati, in questa Rivista, 1997, I, 91, edizioni F. Angeli.