Magistratura democratica

La formazione decentrata dei magistrati

di Ilio Mannucci Pacini

L’intervista a un formatore decentrato del Distretto di Milano.

Domande, risposte e commenti affilati. Un ritmo serrato in cui scorrono i temi e i problemi della formazione decentrata: dalla collegialità delle decisioni da assumere in tema di iniziative ai profili metodologici della didattica, dalla “spartizione” dei compiti alla programmazione e progettazione degli interventi formativi. Senza tralasciare gli approcci critici.

L’idea di intervistare Adriano Scudieri sul tema della formazione decentrata nasce un po’ per caso e un po’ per necessità.

Il caso è il portato di una consuetudine di scambi di idee tra me e Adriano sulla sua esperienza di formatore decentrato. Colloqui informali che avvengono al bar, per un caffè o in pausa pranzo; sempre interessanti, però, visto che spesso abbiamo opinioni diverse sulla formazione che vorremmo e, di conseguenza, a giudizi discordi sulle iniziative formative proposte dal gruppo con cui Adriano lavora.

La necessità è il frutto dell’impossibilità, in questo momento, di dedicare un po’ di tempo e di meditata riflessione alla scrittura di un articolo tradizionale, e della volontà, comunque, di non lasciare i nostri pensieri rinchiusi nel recinto del dialogo privato.

Non pensiamo che questo contributo esperienziale sia indispensabile, ma vorremmo offrirlo come tentativo di una lettura della formazione decentrata milanese dal punto di vista di chi la pensa e la realizza e da quello – anche critico, come trasparirà dai miei corsivi – di chi la fruisce.

Mannucci Pacini: Adriano Scudieri, sei formatore decentrato nel distretto di Milano. Da quando? Quali sono i tuoi settori di intervento?

Scudieri: Sono stato nominato nel giugno 2014 dal Comitato direttivo della Ssm e i miei campi, per così dire, sono la formazione permanente (nell’ambito del settore penale), la formazione dei Mot, la formazione dei tirocinanti.

Mannucci Pacini: Sai indicarmi il numero di iniziative formative organizzate e coordinate?

Scudieri: Una dozzina, direi. Se vuoi dividerle per tipologia, direi tre convegni frontali con numero di relatori inferiore a 3, tre con oltre tre relazioni, tre tavole rotonde e altrettanti seminari.

(Mannucci Pacini: Deve essermi sfuggito qualcosa. Mi sembra che le indicazioni di Adriano non siano rispondenti alla percentuale di relazioni frontali. Spesso le tavole rotonde non sono altro che relazioni camuffate e di seminari ne ricordo solo uno (quello di cui all’appendice di questa intervista).

Dal mio punto di vista questo dato è significativo della scarsa attenzione della formazione (non solo di quella decentrata) ai profili metodologici delle iniziative offerte. A Milano (anche a Milano!) la formazione è esclusivamente (o quasi) “convegnistica”, l’idea dominante è che il successo di un’iniziativa formativa si misuri con il numero dei partecipanti. Chi organizza formazione mi ricorda il Nanni Moretti di Sogni d’oro, che giudica la qualità del suo film dalla sala piena (in quel caso di sagome di spettatori). Nel cinema il successo “commerciale” è uno dei parametri di valutazione della qualità (ne sappiamo qualcosa Adriano e io, che in queste settimane stiamo godendoci il successo del “nostro” cineforum annuale, con 400/500 persone vere che riempiono le proiezioni/dibattiti di «Diritti... al cinema»), nella formazione il giudizio di qualità risponde a ben altri parametri. Le iniziative formative più interessanti e utili sono state, nella mia esperienza, quelle che hanno coinvolto piccoli gruppi di magistrati; sono state di certo più impegnative e meno di “successo mediatico”, ma sono tuttora ricordate dai partecipanti come esperienze formative eccellenti.)

Mannucci Pacini: Quanti sono i formatori decentrati del gruppo operante nel Distretto di Milano?

Scudieri: Sette magistrati togati e tre onorari.

Mannucci Pacini: Mi dici qualcosa a proposito della spartizione dei formatori?

Scudieri: Ognuno di noi ha più di un compito. La ripartizione nell’ambito della formazione permanente è di 3 formatori penali, 4 civili. Un formatore penale e uno civile, poi, si occupano del settore Gaius (formazione internazionale), mentre uno riveste l’incarico di responsabile della spesa. Due formatori si occupano di Mot, due di onorari, due di specializzandi, altri del settore “informatica” in collaborazione con i Rid.

(Mannucci Pacini: La mia domanda era volutamente ambigua.

Con spartizione si può intendere divisione dei compiti all’interno del gruppo dei formatori o la loro spartizione correntizia. Adriano ha ignorato quest’ultima accezione, non so se consapevolmente (ma poi ha dovuto rispondere a una domanda più esplicita sul punto).

Mannucci Pacini: Nell’organizzazione delle iniziative prevale un metodo collegiale o individualista?

Scudieri: Moltissimo individualismo, almeno fino ad ora. Stiamo cercando maggiore collegialità ma ci vuole molto impegno e pazienza.

Mannucci Pacini: Di quale iniziativa formativa sei più orgoglioso?

Scudieri: L’incontro dedicato al «diritto al cibo», che ho organizzato insieme al Consiglio dell’ordine degli avvocati di Milano in occasione di EXPO. Un’occasione per uscire dai soliti schemi delle novità giurisprudenziali e normative ed occuparsi, finalmente, di problematiche più generali che dal mondo ricadono sulle nostre scrivanie e nelle aule. Un incontro nel quale, grazie all’impegno degli avvocati e al supporto di altri enti che hanno lavorato con noi, siamo riusciti a coinvolgere giuristi ed esperti provenienti da tutto il mondo che si sono occupati della tutela del diritto all’alimentazione.

Aggiungo anche l’esperienza degli stage organizzata per i Mot, in particolare nel settore civile: ho cercato di trovare per i giovani magistrati delle esperienze che potessero realmente servirgli per il loro lavoro e la loro crescita professionale.

(Mannucci Pacini: Belle veramente le esperienze con i Mot. Su questo condivido “l’orgoglio” di Adriano. Visti da fuori, ma anche sentiti alcuni Mot, gli stage (non tutti) sono stati esperienze formative importanti. Come per tutto, è stato necessario un impegno di preparazione, ideativo e organizzativo, per consentire a questi anomali moduli formativi di avere efficacia. Talvolta i Mot sono stati mandati allo sbaraglio, rendendo non solo inutili, ma anche controproducenti quelle settimane fuori dalla giurisdizione.)

Mannucci Pacini: Al contrario, l’iniziativa formativa che ti ha più deluso?

Scudieri: Finora, di quelle organizzate da me, nessuna.

(Mannucci Pacini: Non voglio esprimere un giudizio su quanto fatto da Adriano [confesso di non avere seguito con assiduità le iniziative formative decentrate], ma credo che la risposta sia “deludente”. La critica, soprattutto l’autocritica, è il sale della formazione e non credo di essere l’unico a valutare non pienamente adeguato l’insieme di iniziative offerte dalla formazione milanese.)

Mannucci Pacini: Ti sono mai stati “imposti” dei relatori?

Scudieri: Non proprio imposti, ma caldamente consigliati.

Mannucci Pacini: Da chi?

Scudieri: Altri formatori.

(Mannucci Pacini: Una delle maggiori criticità. La mancanza di collegialità e l’imposizione/spartizione dei relatori ha rappresentato, a mio parere, una delle ragioni di scarsa qualità degli interventi formativi. Vale anche per la formazione la “logica dell’incarico”. Tenere una relazione a un corso di formazione, centrale o decentrato, è una medaglietta da inserire nel curriculum, “dà punti”, serve alla carriera.

Finché sarà così la formazione rischia di essere un campo di conquista per chi ha una carriera da costruirsi.

Qualche rimedio è ipotizzabile, però. Ad esempio, “ambire” a un ruolo formativo in moduli diversi dal convegno è già più difficile. A scrivere ed esporre una relazione sono capaci tutti (quanto poi serva ai partecipanti al corso è da discutere), tenere un seminario, coordinare un gruppo di lavoro, realizzare una simulazione o lavorare sui casi è impegno meno gratificante per chi ambisce alla medaglietta (non fosse altro perché non si parla di fronte a centinaia di persone, ma ci si confronta con poche decine di colleghi più motivati ed esperti). Anche per questo credo che il “cambio di passo metodologico” sia importante.)

Mannucci Pacini: Quello che ha funzionato peggio in questi anni?

Scudieri: Alcuni formatori hanno organizzato incontri non condivisi dagli altri senza consultazione, e ciò ha spesso determinato la necessità di intervenire a cose già fatte cercando di riparare le falle.

Mannucci Pacini: Quello che ha funzionato meglio?

Scudieri: L’autonomia decisionale e la disponibilità economica ha permesso di proporre anche incontri innovativi sia per le tematiche proposte sia per le modalità.

Mannucci Pacini: Parliamo di pluralismo e collegialità delle proposte formative alla luce della tua esperienza pluriennale. Ritieni che sia adeguato al rispetto delle diverse opzioni culturali una composizione dei componenti del gruppo dei formatori definita congiuntamente? Ma se questa composizione consente il rispetto del pluralismo, non è forse necessario che tra i formatori debba funzionare sempre e comunque la collegialità delle decisioni?

Scudieri: La collegialità è certamente un valore. Ma non può determinare un potere di veto di alcuni sugli altri. Occorre stabilire delle regole per le decisioni ma soprattutto deve crearsi un gruppo coeso, capace di prendere decisioni insieme, nella fiducia reciproca. Un gruppo che sa lavorare in questo modo può fare delle ottime iniziative, altrimenti rischia di paralizzarsi e perdere tempo (preziosissimo).

(Mannucci Pacini: Ecco, credo che anche dall’interno la spartizione possa mostrare tutti i suoi limiti. La collegialità pretende «un gruppo coeso, capace di prendere decisioni insieme nella fiducia reciproca» e di fronte a una spartizione è molto difficile instaurare un clima di fiducia.)

Mannucci Pacini: Ci siamo! Non voglio sapere da te se ritieni di essere stato nominato dal Csm in base ad accordi e spartizioni, ma, sempre parlando di appartenenza, quanto conta l’appartenenza alle correnti nell’individuazione dei temi e dei relatori?

Scudieri: Dunque, credo che conti ancora abbastanza nella scelta dei formatori. Non può negarsi che, in presenza di più domande, è probabile che alcune scelte vengano orientate in base alla vicinanza alle correnti o a certe “aree culturali”.

Quanto alla scelta dei temi e dei relatori, personalmente non mi sono mai fatto condizionare (giuro!), cercando di scegliere sempre relatori di livello. Non so se possa dirsi altrettanto degli altri formatori.

Mannucci Pacini: La mia sensazione è che oggi l’offerta formativa decentrata sia “esagerata”, perché proponete convegni, seminari, eventi su “tutto”. Di recente si è ironizzato sul convegno in materia di danno per perdita da animale da compagnia, ma non credi che ormai l’offerta sia strabordante? Va benissimo la possibilità di scelta, ma non ritieni che questa offerta comporti il rischio di abbassare sensibilmente il livello qualitativo dei moduli formativi?

Scudieri: Sicuramente a Milano è esagerata. Ma questo non dipende solo dai formatori. Il prestigio della sede, l’autorevolezza che ha avuto la Formazione decentrata a Milano in questi anni, e non ultimo la capacità economica di cui è dotata, ha fatto in modo che ricevessimo molte proposte di incontri, anche di alto livello accademico, a cui spesso non abbiamo saputo dire di no. Il problema è che molti di questi incontri avevano solo il “cappello” della formazione ma non erano stati realmente pensati e progettati dai formatori, e questo ha provocato alcuni scollamenti con i destinatari principali delle nostre proposte, i magistrati.

Alcune scelte di argomenti hanno suscitato critiche ed ironie, ma questo è purtroppo inevitabile in un ufficio così complesso come il nostro. Il successo di un convegno, d’altronde, si misura con il numero dei partecipanti (che rimangono fino alla fine, aggiungerei) e quello da te citato ha ricevuto moltissime adesioni.

Comunque non credo che si sia abbassato il livello qualitativo, nonostante l’ipertrofia delle proposte.

(Mannucci Pacini: In parte Adriano mi ha convinto.

In un distretto come Milano è necessaria un’offerta formativa variegata, che risponda a esigenze formative diverse.

Io vado sempre meno ai convegni, ai molti convegni organizzati dalla decentrata, ma capisco che per molti magistrati quelle iniziative siano un’occasione importante di confronto. In questo tipo di iniziative è vero che la buona riuscita dipende dall’interesse suscitato da temi e relatori e dalla presenza per molte ore dei partecipanti (se si stufano e vanno via non è un buon segno).

In parte dissento.

Proprio perché le risorse non sono illimitate (quelle economiche, ma soprattutto, quelle del tempo per l’organizzazione e la gestione), credo che la formazione decentrata debba programmare. Censire le esigenze formative (vedi sotto), valutarle, selezionarle e proporre un programma annuale di formazione sullo stile della Ssm. Certo, sempre possibili iniziative di “pronto intervento” (anche questa è una modalità che potrebbe essere programmata), ma tendenzialmente i magistrati dovrebbero sapere con anticipo i tempi della loro formazione.

Io sono un fautore del numero chiuso.

La formazione non è buona se è affollata.

Per usare uno slogan,anche nella formazione «piccolo è bello».

Dovrebbero essere incentivate le iniziative destinate a piccoli gruppi di magistrati, magari specializzati e provenienti dai diversi uffici del Distretto, proporre loro moduli seminariali, di confronto pratico sui casi, di simulazione, limitando l’accesso in base alle esigenze del corso.

Programmare consentirebbe di riservare quote di formazione nel quotidiano lavoro giudiziario e imporrebbe un impegno ai partecipanti di contribuire agli eventi formativi.)

Mannucci Pacini: Veniamo al rapporto tra esigenze dei formati e offerta formativa. Ho la sensazione che anche a livello decentrato sia sempre meno valorizzata la consultazione della base. Mi sarò distratto, ma non ricordo una seria cernita dei temi su cui organizzare l’offerta formativa nella quale fossero coinvolti i magistrati del Distretto. Dico di più. Ho la sensazione che anche all’interno della “vostra” formazione viga la regola dell’improvvisazione, sulle metodologie e sui contenuti. Non credi che sia necessario investire sulla programmazione dell’offerta e sulla verifica delle esigenze, piuttosto che affidarsi all’improvvisazione dei singoli e alla loro capacità di cogliere lo spirito dei tempi?

Scudieri: Sono d’accordo sulla necessità di programmazione e, ancora di più, di “progettazione” della formazione decentrata, anche se, come ben sai, siamo continuamente sottoposti a modifiche normative, in tutti i settori, che costringono ad organizzare incontri di aggiornamento professionale. È una specifica richiesta dei colleghi avere la formazione “calda” sull’ultima riforma.

Quanto alla consultazione della base, credo che i colleghi dovrebbero cominciare a capire che è importante segnalare argomenti e temi di cui parlare, senza aspettare che siano i formatori a chiederglielo; la formazioni serve ai colleghi, in fondo. Non siamo una “classe eletta”, ma siamo a disposizione dei magistrati del Distretto, quindi possiamo e dobbiamo ascoltarli e raccogliere le loro sollecitazioni.

In un’occasione ho provato a fare una consultazione, anche se non generalizzata. Su un dato tema, molto ampio, ho sottoposto ad un gruppo ristretto di colleghi che si occupano della materia la domanda «quali sono secondo te gli argomenti dei quali si dovrebbe assolutamente parlare?». Sulla base di questo piccolo censimento ho predisposto il programma di un seminario dedicato al tema.

(Mannucci Pacini: Se Adriano è d’accordo, dovrebbe cominciare a farlo.

Non ho mai visto nella formazione milanese un progetto pensato di censimento delle esigenze formative. Non sono d’accordo sul fatto che debbano essere i “ formati” ad attivarsi per segnalare. Anche questa è una fase che va pensata, vanno pensate le modalità più adeguate di consultazione, invece di limitarsi a chiedere «Cosa vorreste?» Occorre inserire nella programmazione anche la fase di verifica dei magistrati.

Pensare a un programma ampio, rispetto al quale si chiede ai magistrati di esprimere giudizi positivi o negativi o di chiedere integrazioni. Un percorso che potrebbe partire a giugno ed essere definito a settembre di ogni anno.

Sul “pronto intervento” ha ragione Adriano. È molto richiesto, ma potrebbe essere una modalità programmata che nel corso dell’anno viene definita nei contenuti.)

Mannucci Pacini: Sulle metodologie si manifestano, a mio parere, i limiti più grossi. Premesso che tra i formatori vige ormai la regola del gigantismo (che significa, di fatto, organizzare il convegno che tiene in piedi le persone), non credi che la formazione frontale sia ormai diventata l’unico strumento ad essere utilizzato anche a livello decentrato?

Ho la sensazione che dal punto di vista metodologico la Ssm sia persino più sperimentale della formazione decentrata, dove pure potrebbero essere adottati strumenti più adatti alle esigenze di formazione, ad esempio limitando a un numero ristretto di colleghi l’accesso, lavorando su piccoli gruppi seminariali, valorizzando anche le professionalità extragiuridiche. Oggi, al contrario, è sempre meno così: pochi confronti, pochi seminari e platee enormi di centinaia di magistrati e avvocati; una formazione dispersiva e dispersa.

Come ti difendi dall’accusa?

Scudieri: In linea di massima sono d’accordo con te. Il convegno “frontale” con il grosso nome dell’accademia o della Cassazione è certamente più facile da organizzare e coordinare: basta chiamare l’espertone e fargli preparare la relazione. I moduli alternativi sono più difficili, richiedono impegno e idee. Probabilmente in sede centrale in questo sono facilitati.

Altro problema è dato dal numero dei possibili destinatari. Un corso laboratoriale è inevitabilmente destinato ad un numero più ristretto di partecipanti, ma noi ci rivolgiamo a tutto il Distretto e non solo ai togati, ma anche agli onorari e agli specializzandi, che sono tantissimi. Dovremmo limitare il numero dei partecipanti ma questo limiterebbe l’offerta formativa ad alcuni dei destinatari.

Degli avvocati, sinceramente, non mi preoccupo: anche loro hanno tantissime occasioni formative e non ne vedo così necessaria la presenza ai nostri incontri, anche se una formazione comune è certamente importante.

Comunque, personalmente, mi sono sempre sforzato di trovare delle modalità alternative di metodologia formativa, con alterni successi.

(Mannucci Pacini: Questo tema è troppo ampio per tentare un commento in poche righe della risposta/risposta. Ma è anche troppo importante per essere ignorato. Mi piacerebbe partecipare a una riflessione collettiva sulla metodologia della formazione, una riflessione concreta, cioè finalizzata a realizzare applicazioni metodologiche da offrire ai formatori.)

Mannucci Pacini: Alcune domande, secche ora. Hai mai fatto una simulazione?

Scudieri: No.

Mannucci Pacini: Sei mai riuscito ad organizzare un seminario?

Scudieri: Sì.

Mannucci Pacini: Quale credi che sia il tempo massimo di sopportazione di un intervento su temi giuridici?

Scudieri: 15 minuti.

Mannucci Pacini: Chi rende di più nelle relazioni: magistrati, professori, avvocati?

Scudieri: Domanda a cui è quasi impossibile rispondere: direi che dipende, ho sentito professori bravissimi ed estremamente incisivi (penso all’intervento di Trimarchi al convegno che ho organizzato sulla responsabilità civile) e magistrati noiosissimi, e viceversa.

Mannucci Pacini: Mi sapresti descrivere un’iniziativa formativa che avresti voluto organizzare e che duri non più di tre ore? Indicami i diversi tipi di proposte formative, l’orario, i relatori che inviteresti.

Scudieri: …

(Mannucci Pacini: Peccato per la mancata risposta. Mi sarebbe piaciuto uno sforzo creativo. Mi viene in mente che, per scegliere i formatori decentrati, sarebbe interessante chiedere loro un progetto formativo annuale per l’incarico che sono chiamati a ricoprire. Un formatore non si seleziona sulla base di uno spesso irrilevante curriculum, ma su un progetto concreto di formazione funzionale alla realtà dove andrà a operare.)

Mannucci Pacini: È possibile una formazione giuridica comune con gli avvocati?

Scudieri: Certamente

Mannucci Pacini: è utile?

Scudieri: Sicuramente sì.

Mannucci Pacini: Avete o hai provato a realizzarla?

Scudieri: Si, in un paio di casi. Lavorando insieme si raggiungono eccellenti risultati.

(Mannucci Pacini: Altro tema complesso che ne coinvolge altri. In generale, credo che si debbano selezionare le occasioni formative comuni e che anche queste debbano essere pensate insieme e rivolte a utenti selezionati. La presenza di centinaia di avvocati ai convegni non serve a fare formazione comune, ma solo a consentire alla formazione di rivendicare il successo dell’iniziativa (secondo la logica del più siamo e più è di qualità) e ai partecipanti di annusare cosa pensano i magistrati su temi per loro importanti (non è mancato qualche avvocato che citava gli orientamenti espressi in occasione di convegni da illustri magistrati.)

Mannucci Pacini: Voi, o meglio, il gruppo di cui tu hai fatto parte è stato il primo nucleo di formazione decentrata a dover “fare i conti” con il nuovo sistema di formazione dei giovani magistrati. Innanzitutto, al di là della “qualità” con cui il sistema è stato realizzato, quali sono, secondo te, i punti di forza e le criticità di questa nuova modalità di strutturazione del tirocinio?

Tutto questo in prospettiva e non semplicemente per criticare scelte legislative o esecutive adottate dalla Ssm. Mi interessa naturalmente il ruolo della struttura decentrata. Ci sono potenzialità in questo modo di crescere nuovi magistrati? Ritieni che le feroci critiche siano state determinate da un’ostilità preconcetta nei confronti della Ssm? Oppure credi che la Ssm (ma vale anche per la decentrata) sia stata del tutto inadeguata ad adattare lanuova disciplina alle esigenze di formazione dei Mot?

Scudieri: Devo dire che la parte di formazione dei Mot è stata sicuramente la più entusiasmante. Mi sono occupato di organizzare gli “stage” esterni al percorso di tirocinio classico dell’affiancamento ai magistrati, cercando possibili esperienze alternative che potessero portare un reale arricchimento al loro bagaglio formativo. Per esempio, sono riuscito ad organizzare uno stage presso una delle più importanti banche italiane, presso settori delicati del Comune di Milano, presso il servizio protezione della Asl e, anche, a realizzare dei percorsi personalizzati per coloro che mi hanno rappresentato specifiche esigenze.

Il problema più grosso del tirocinio dei Mot, a mio parere, è l’eccessiva frammentazione della formazione. Frammentazione dei periodi, con il tirocinio negli uffici continuamente interrotto dai periodi a Scandicci e dai periodi di stage in sede; frammentazione delle competenze, suddivise tra organi diversi e spesso in contrasto tra loro (Csm, Consiglio giudiziario e coordinatori, da un lato; Scuola, Formazione decentrata dall’altro). Credo che si dovrebbe concentrare tutto in un’unica figura, che avrebbe la funzione di coordinare il percorso formativo ed armonizzare le diverse esperienze, anche per renderle più adeguate alle esigenze individuali di ciascun tirocinante.

Per rispondere alle tue ultime domande, non credo che la Ssm sia stata inadeguata per le esigenze di formazione dei Mot. Penso che abbia fatto molto, date le condizioni della legge vigente, e che in generale i magistrati in tirocinio non dovrebbero lamentarsi della Scuola, ma semmai della legge.

Dove si può migliorare, poi, è nell’organizzazione dei corsi a Scandicci, cercando di realizzare moduli e percorsi innovativi di formazione. Sulle decentrate invece ci sarebbe molto da lavorare, è tutto troppo affidato alla buona volontà del singolo senza alcun supporto.

Mannucci Pacini: Milano è Milano, troppo grande perché altri tribunali possano competere. Ma non avete mai pensato di delocalizzare la formazione? Di offrire ai magistrati del Distretto momenti di formazione esclusivamente loro, confronti tra “piccoli”?

Scudieri: No. Buona idea, si potrebbe provare!

Mannucci Pacini: Per concludere, ci puoi parlare della tua ultima esperienza? So che si è trattato di un corso “territoriale” dedicato alla prova scientifica.

Scudieri: L’ultima esperienza della quale mi sono occupato è stata l’organizzazione di un corso cd territoriale, vale a dire un corso aperto alla partecipazione di magistrati di tutta Italia sotto l’egida della Scuola della magistratura (a livello centrale). Al corso erano presenti circa trenta colleghi, giudici e pm, provenienti da altri Distretti, oltre ad una sessantina di partecipanti del Distretto, tra togati, onorari e specializzandi, a numero chiuso.

Abbiamo dedicato l’incontro alla “prova scientifica” con un approccio di tipo laboratoriale.

Diverse sessioni, ciascuna dedicata ad una specifica tipologia di prova scientifica (biologica, chimica, dattiloscopica, informatica, balistica), affidata ad un tecnico, individuato tra Ris, Polizia scientifica ed esperti privati, affiancato da un magistrato con il ruolo di discussant.

L’idea era di presentare le novità più recenti, sotto l’aspetto scientifico e della giurisprudenza, per ciascuna delle fonti di prova.

Il corso si è concluso con una tavola rotonda, aperta a tutto il Distretto ed agli avvocati, con un magistrato di Cassazione, un avvocato/professore ed i responsabili delle polizie scientifiche.

Tra i punti di forza che ho individuato elencherei: un numero ristretto di partecipanti, che ha permesso un migliore confronto e dibattito sui diversi temi; le relazioni dei tecnici, che sono state puntuali e temporalmente contenute, ed inoltre sempre accompagnate dalla proiezione di presentazioni in power point e filmati, così da mantenere alta l’attenzione dell’uditorio; il contributo dei discussant, che è stato molto utile, permettendo di passare agevolmente dagli aspetti più tecnici a quelli giuridici; la tavola rotonda, infine, che ha costituito una felice conclusione permettendo un confronto “alto” e di sintesi sui vari temi.

Tra i punti di debolezza segnalerei l’inserimento di troppi argomenti, cosa che ci ha costretto ad una compressione dei momenti di dibattito e di domande dei partecipanti; anche per questo motivo, inoltre, la sessione conclusiva (tavola rotonda) è iniziata con oltre un’ora di ritardo per permettere una (necessaria) pausa rispetto a quella mattutina.

Se dovessi organizzare nuovamente un evento di questo tipo lascerei sempre lo stesso gruppo di partecipanti, senza cercare di coinvolgere tutti seppur su una sola sessione.

In questo devo dire, Ilio, che hai ragione: il lavoro su piccoli gruppi può certamente avere maggiore efficacia permettendo anche quel confronto su orientamenti e prassi sempre richiesto dai colleghi.