Formazione europea e internazionale. Bilancio e prospettive
Nell’introdurre il capitolo che raccoglie i contributi sugli istituti di formazione di Belgio, Francia, Olanda e Spagna, lo scritto fa una breve sintesi dell’evoluzione della formazione internazionale per i magistrati italiani per poi individuare alcune piste di riflessione e azione per la Scuola superiore della magistratura alla luce delle esperienze straniere: rapporto con l’organo di autogoverno, formazione iniziale, corpo dei formatori, formazione dei dirigenti.
1. Dalla formazione internazionale del Csm alla formazione internazionale della Scuola
Come è ormai noto, ma non inutile ricordare, l’uscita dalla asistematicità e l’ufficiale inizio della formazione giudiziaria nel nostro Paese coincidono con la «Relazione al Parlamento sullo stato della Giustizia per l’anno 1994 – Reclutamento e formazione professionale dei magistrati»[1], documento fondante della filosofia e dell’approccio organizzativo (attraverso la Nona commissione consiliare) che sarebbe stato mantenuto e sviluppato fino alla realizzazione della Scuola superiore della magistratura nel 2011.
Fin dall’anno successivo fu chiaro – grazie anche all’intuizione di un amico carissimo, giudice di competenza e passione, Carlo Maria Verardi – che non si potevano dotare i magistrati di un’alta professionalità (al contempo fondamento della legittimazione di un potere giudiziario a struttura burocratica e garanzia di indipendenza ed autonomia) senza investire nella formazione europea e internazionale. Si comprendeva già allora che l’Europa della libertà di circolazione degli uomini, delle idee, dei diritti e delle regole richiede un magistrato “europeo”: un magistrato capace di applicare in modo uniforme quello che ancora si chiamava diritto comunitario, che è familiare coi sistemi nazionali europei, è capace di dialogare e cooperare coi suoi colleghi d’oltralpe e d’oltremare. Nel 1995 venne lanciato dalla Commissione europea il programma Shuman per il finanziamento di azioni di formazione di base in materia di diritto europeo e il Csm fu all’avanguardia tra gli Istituti di formazione europei realizzando, nel 1996-1997, corsi di formazione in ogni distretto di Corte d’appello. Tali corsi, basati su un programma standard declinato secondo le risorse presenti sul territorio e in cooperazione tra componenti del Comitato scientifico e referenti locali, sono stati anche un primo nucleo di esperienza da cui si sono poi sviluppate l’idea e la pratica della formazione decentrata.
Da allora i programmi europei si sono moltiplicati; il Csm ha concorso con progressiva crescente professionalità ai bandi della Commissione europea conseguendo rilevanti finanziamenti per la realizzazione di azioni formative in collaborazione con altri istituti di formazione.
Fu proprio al fine di coordinare gli sforzi e armonizzare le iniziative che nell’ottobre del 2000 un gruppo di Istituti di formazione, tra cui il Csm, l’Ecole nationale de la magistrature, l’Escuela spagnola e l’Istituto belga dettero vita alla Rete europea di formazione giudiziaria. Ben presto, e sempre più nel tempo, la Rete si è trasformata da una sorta di raggruppamento con finalità di lobby di fronte alle istituzioni europee in un luogo di riflessione sulle finalità e gli obbiettivi della formazione giudiziaria e in uno strumento di realizzazione di una vera e propria policy della formazione a livello europeo. Partita come un tavolo di coordinamento e non sovrapposizione dei progetti da presentare per il finanziamento alla Commissione, la Rete svolge oggi un ruolo di vero e proprio orientamento. Si pensi al seminario che si è tenuto a Salonicco nel Luglio 2015, la JTM Conference on “Leadership” (un termine che in noi suscita diffidenza ma che è comunemente usato in contesto internazionale per indicare le competenze del dirigente, anche degli uffici giudiziari). Nell’alternarsi di relazioni, dibattiti, esercizi, gruppi di lavoro, direttori di istituti di formazione e formatori dei vari Paesi europei si sono confrontati sul ruolo dei capi degli uffici giudiziari, i nuovi compiti e competenze che ovunque in Europa sono oggi richiesti agli stessi, le qualità connesse alla “leadership”, i contenuti e i metodi didattici per la formazione dei dirigenti.
La Rete svolge anche il ruolo di centro propulsore di attività di sviluppo e consolidamento della conoscenza e fiducia reciproca e di esercizi di “lavoro comune”: ci si riferisce ai programmi di scambio, cui il Csm partecipa dalla loro istituzione nel 2002, ed ai programmi per i magistrati in formazione iniziale, il progetto di scambio Aiakos e la competizione Themis, che ha come scopo quello «di mettere insieme futuri magistrati da diversi Paesi europei per metterli in condizione di condividere valori comuni, scambiare nuove esperienze e discutere nuove prospettive in aree di comune interesse». Infine, chi oggi visita il sito della Rete (www.ejtn.eu/en/ ) si trova in un luogo di condivisione di programmi, strumenti, moduli formativi, programmi formazione formatori, conoscenze, strategie: una vera piattaforma europea per la formazione.
Negli anni l’offerta formativa nel settore internazionale si è arricchita dal punto di vista della quantità delle proposte, della tipologia differenziata delle stesse (corsi in Italia e negli altri Paesi europei realizzati e gestiti da due o più istituti di formazione; apertura dei corsi nazionali alla partecipazione dei magistrati di altri Paesi, visite di studio, programmi di scambio, stage presso corti e istituzioni europee, corsi e-learning, inserimento nei corsi nazionali di un focus sui temi di diritto europeo e di diritto internazionale, corsi di lingua (inglese, francese, tedesco giuridico), della qualità e dei contenuti della formazione che si è caratterizzata sempre più per il suo alto livello e per l’inclusione del tema generale della tutela dei diritti fondamentali quale chiave di lettura della “legge” e metro di azione per i magistrati.
Questa è la grande eredità che, al momento del passaggio della responsabilità della formazione dal Consiglio alla Scuola, attendeva quest’ultima.
Certamente la Scuola ha ripreso le attività da dove il Csm le aveva interrotte, subentrando nei programmi e nei progetti in atto e iniziandone di nuovi. La grande offerta di corsi e stage è sotto gli occhi di tutti sul sito della Scuola.
Purtroppo, la transizione non è stata indolore. Infatti, è avvenuto che nel corso dell'Assemblea generale di Dublino del 6 e 7 giugno 2013, Csm e Scuola non sono stati capaci di accordarsi sui rispettivi ruoli e hanno proposto una candidatura "unitaria", espressione di due membri della REFG (Csm e Ssm),al Comitato direttivo della Rete europea di formazione giudiziaria, in spregio allo statuto della medesima, tanto che la richiesta di candidatura unitaria è stata respinta col solo voto favorevole dell'Italia. Dopo accese discussioni interne e con il Direttivo,veniva quindi candidata la sola Scuola che, nelle votazioni che ne son seguite, ha perso il seggio nel Comitato direttivo che l'Italia deteneva, in forza del grande impegno profuso e dei risultati raggiunti, sin dalla fondazione della Rete nel 2000.
È evidente come la questione del “ruolo internazionale” abbia catalizzato le difficoltà del rapporto tra l’istituzione di Autogoverno e la neo-nata Scuola e come qui insista una seria criticità che non sembra essere stata sin ora superata. Deve auspicarsi che le due istituzioni, cruciali per il ruolo della magistratura italiana in Europa, siano capaci di una riflessione autocritica che le ponga in condizione di arrivare all’assemblea generale del 2016 e all’elezione del nuovo Consiglio direttivo con un’azione coordinata che rimetta l’Italia al centro della scena.
Pur auspicando il mantenimento della doppia presenza all’interno della Rete (l’Italia è il solo Paese che partecipa attraverso l’istituto di formazione e l’organo di autogoverno o governo della magistratura), per quel che si dirà a breve, deve ormai trovarsi un equilibrio tra Csm e Scuola.
È quest’ultima che può aspirare, con un chiaro appoggio del Consiglio, a essere membro del Consiglio direttivo. Quest’organo infatti realizza il mandato e il programma della Rete attraverso tre gruppi di lavoro: programmi, scambi e metodi formativi.
Solo l’istituto di formazione (e non l’eventuale organo di tutela o supervisione) può esserne membro e il ruolo del Consiglio in questa sede può essere soltanto di supporto. D’altro lato, il potere di dettare linee guida per la formazione e il potere di generale supervisione del Consiglio – che non può mai arrivare a un controllo dei programmi e dei metodi ma deve esercitarsi attraverso indicazioni culturali e valutazione dell’impatto della formazione sull’esercizio della giurisdizione – consentiranno a questo d’intervenire in modo significativo sull’attività di formazione internazionale.
Starà a Scuola e Consiglio e agli uomini e alle (poche) donne che li compongono di porre in essere un dialogo adeguato e una leale collaborazione istituzionale.
Deve infatti tenersi conto che, seppur la Scuola ha competenza in via esclusiva alla formazione dei magistrati, è indubbio che in materia internazionale sussistono competenze consiliari legate alla partecipazione del Consiglio non solo alla Rete europea di formazione giudiziaria ma anche alla Rete europea dei Consigli di giustizia e che «la collaborazione nelle attività dirette all'organizzazione e al funzionamento del servizio giustizia in altri Paesi» (su cui si sta sviluppando un nuovo filone di attività della REFG) esula dalla competenza esclusiva suddetta.
Ne consegue la necessità di uno stretto coordinamento che presenti l’Italia, nei consessi internazionali, come un soggetto (almeno all’esterno) unico e capace di esprimere un comune punto di vista.
Ancora di più è necessario che Scuola e Consiglio siano insieme attori primari nel settore dei progetti finanziati dall’Ue (twinning projects, IPA projects) per il supporto ai sistemi giudiziari di altri Paesi (come quello, rilevantissimo per obbiettivi e finanziamento – 3ML di euro - recentemente vinto dal Csm per il supporto al Consiglio dei giudici e al Consiglio dei procuratori del Kosovo). Trattasi di un settore ove sono enormi gli interessi economici e fondamentali la professionalità, l’idealità e l’etica che solo istituzioni pubbliche giudiziarie possono garantire e che deve essere adeguatamente sviluppato in stretta collaborazione coi ministeri degli Esteri e della Giustizia nel quadro del piano quadriennale dell’attività internazionale come da delibera del Csm 25 marzo 2015.
2. Cosa accade in Europa: possibili spunti di lavoro per la Ssm
L’importanza della partecipazione alla Rete non è solo lo sviluppo di programmi comuni, stage e scambi attraverso l’Europa. Il valore aggiunto è la creazione di rapporti bilaterali o multilaterali che operano anche al di fuori della Rete stessa e l’approfondimento di relazioni con gli istituti strutturalmente o istituzionalmente affini. La frequentazione, gli incontri, le relazioni personali che si stringono consentono di posare uno sguardo privilegiato sulle attività, i programmi, i metodi di altri istituti nonché di confrontare problematiche di carattere generale che sono ricorrenti (ad es. l’indipendenza della Scuola e le sue relazioni con gli organi di tutela o di supervisione, Ministero della giustizia o Consiglio superiore che sia).
Proprio perché la Scuola italiana è un’istituzione giovane e molti sono i marosi che deve ancora attraversare, Questione Giustizia ha ritenuto di riservare un capitolo del suo numero monografico dedicato alla formazione giudiziaria alle esperienze straniere, volgendosi agli ordinamenti che più sono accomunati al nostro per livello di indipendenza della magistratura, posizione istituzionale di giudici e procuratori, presenza di un Consiglio superiore della magistratura e di un ministero della Giustizia che amministrano la giurisdizione secondo un’attribuzione di poteri all’una o all’altra istituzione che è il frutto dell’evoluzione storico-politica di ciascun Paese: Belgio, Francia, Spagna. A questi si è voluta accostare l’Olanda, le cui istituzioni giudiziarie e il cui istituto di formazione si rivelano tra i più flessibili e innovativi.
Guardare “lontano”, in senso geografico e culturale, può rivelarsi di grande utilità per elaborare una strategia di sviluppo, per meglio comprendere i problemi che la Scuola deve affrontare, per individuare le migliori soluzioni.
Il primo elemento di interesse è il fatto che gli istituti di formazione sono normalmente sotto la “tutela” o supervisione del soggetto che ha i maggiori poteri nel governo della magistratura: il Consiglio in Spagna (come in Italia), il ministero della Giustizia in Belgio e Francia, i cui Consigli peraltro premono sempre più per avere un ruolo significativo nella formazione, quali soggetti garanti dell’indipendenza della magistratura. Da questo punto di vista, il più “autonomo” è l’istituto olandese, dove l’amministrazione della giustizia si caratterizza per essere essenzialmente strutturata come Court administration service e dove il potere di gestione è diffuso tra gli uffici giudiziari che godono sotto vari profili di una notevole autonomia.
Se poi si estendesse l’indagine ad altri ordinamenti (dal Portogallo alla Germania alle nuove democrazie), troveremmo che la presenza di un organo di tutela è una costante dei sistemi caratterizzati da una centralizzazione dell’(auto)governo della magistratura. Da questo elemento e dalle esperienze concrete possono trarsi alcune indicazioni:
a) poiché l’organo di (auto)governo della magistratura è garante dell’autonomia e indipendenza della stessa nonché responsabile della qualità del servizio giustizia reso ai cittadini, è istituzionalmente corretto che il medesimo eserciti una tutela o una supervisione sull’istituto di formazione; non sarebbe, infatti, possibile, né auspicabile, che i modelli di magistrato e di giurisdizione sulla cui base disegnare il progetto formativo siano frutto di una elaborazione solipsistica della Scuola (tanto più di una scuola non dotata di un ampio consiglio di amministrazione rappresentativo delle diverse istituzioni e istanze coinvolte nella formazione giudiziaria) o che la Scuola non tenga conto delle priorità e degli obbiettivi che investono il complessivo esercizio della giurisdizione;
b) il nodo problematico è costituito dai contenuti e dai modi di esercizio di tale tutela/supervisione; questi non possono infatti essere talmente forti e penetranti da privare la scuola di ogni autonomia didattica e capacità di elaborazione;
c) compito degli organi di tutela è essenzialmente quello di individuare le linee-guida della formazione e supervisionarne l’attuazione; compito degli istituti di formazione giudiziaria è quello: di tradurre le linee guida in programmi efficaci, di effettuare una seria ricognizione dei bisogni formativi, di studiare e attuare metodi didattici innovativi tagliati sulle esigenze di apprendimento di adulti dotati di alta cultura e professionalità, di sviluppare le competenze individuali e quelle degli uffici giudiziari nel loro insieme, di sviluppare metodi per la valutazione dell’impatto della formazione sugli uffici e sul sistema giustizia nel suo insieme;
d) il Consiglio superiore deve “avere fiducia” nella Scuola e – come dice Carlos Gomez – rafforzare la Scuola attraverso la dimostrazione di questa fiducia ai magistrati (il recente episodio della pubblica “condanna” della Scuola ad opera, neppure del Consiglio ma, del Comitato di presidenza in relazione al corso di formazione sulla giustizia riparativa è un esempio di plateale manifestazione di sfiducia che non può che generare sconcerto nei magistrati e spingere ad attacchi irragionevoli e faziosi verso un’istituzione ancora molto giovane);
e) la Scuola deve avere una struttura organica che le consenta di dialogare con il Consiglio (ed eventualmente con il Ministero) e di essere “responsabile” della sua attività, mentre l’attuale normativa disegna un’istituzione debole, gestita da un organo ristretto, non rappresentativo, che cumula compiti di organizzazione e gestione amministrativa a compiti di stretta didattica.
Il secondo elemento che si trae riguarda la stretta connessione tra metodi di reclutamento e organizzazione della formazione iniziale che, in un certo senso, rappresenta il “core business” di un istituto di formazione giudiziaria. Una disconnessione tra reclutamento e formazione iniziale può portare a inefficacia, duplicazioni, demotivazione dei nuovi magistrati, critiche generalizzate e un approccio negativo a quello che dovrebbe essere il periodo “iniziatico” della carriera del magistrato. Le esperienze straniere indicano come la formazione iniziale deve seguire e armonizzarsi con il tipo di reclutamento che la precede. Il nostro sistema, in cui si accede al concorso per lo più dopo due anni di scuola per le professioni legali o diciotto mesi di tirocinio in tribunale o dopo aver conseguito il titolo di avvocato (e quindi aver trascorso diciotto mesi in tirocinio presso uno studio legale) per poi fronteggiare, dopo averlo superato, almeno diciotto mesi di formazione iniziale strutturata in gran parte con tirocinio negli uffici, non tiene adeguatamente conto del diverso background dei Mot, non riesce a costruire percorsi di formazione tagliati sulle diverse esperienze, manca sia di flessibilità che di consapevolezza degli obbiettivi da perseguire (insegnare come diventare un giudice o un procuratore a un giovane avvocato, a chi “si è fatto” tra università e Ssppll almeno 7 anni di formazione puramente teorica, a chi viene da esperienze lavorative differenziate, a chi ha già affinato alcune competenze specifiche negli stage in tribunale o in procura, non è e non può essere la medesima cosa). Sia il reclutamento che la formazione iniziale dovrebbero essere oggetto di un profondo ripensamento e la scuola dovrebbe essere al centro di questo processo.
Il terzo elemento concerne il corpo dei formatori e l’articolazione della Scuola. Una Scuola che opera con un ristretto organo amministrativo-didattico (i cui componenti non magistrati sono, per di più, non sempre molto attivi) e senza articolazioni “di riflessione” è in qualche modo destinata a convivere con discontinuità dei metodi e dei contenuti e mancanza di sufficiente elaborazione su entrambi.
Le esperienze straniere dimostrano che un corpo insegnante almeno in parte stabile (anche se variabile nel tempo) e un Ufficio studi comunque articolato o denominato capace di idee e soluzioni innovative a problemi nuovi e antichi sono elementi essenziali di riuscita.
Infine, la formazione dei dirigenti è oggi al centro delle strategie di tutti gli istituti di formazione in connessione con le esigenze di qualità, efficacia e efficienza della giustizia che i cittadini richiedono in tutti i Paesi europei, di razionalità della spesa pubblica, di corretto utilizzo delle risorse, di pianificazione e azione per progetti finalizzati.
È questo forse il settore che ovunque vede maggiori investimenti e sforzi ideativi. Scuola e Consiglio dovrebbero dare continuità, migliorandola, all’esperienza realizzata, dopo ampio confronto con la Quinta commissione, dal primo Consiglio di amministrazione della Scuola.
[1] Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, Anno 9, Numero 68, giugno 1994, p.68.