Magistratura democratica

I caratteri della formazione professionale dei magistrati

di Franco Cassano

Dove si affrontano, in particolare, due questioni, tra loro distinte, che si sono intersecate nell’acceso dibattito pubblico seguito alla prospettata partecipazione degli ex brigatisti Bonisoli e Faranda ad un corso di aggiornamento professionale organizzato dalla Scuola della magistratura, ingenerando timori e perplessità sulle prospettive dell’attività di aggiornamento professionale dei magistrati, e sui suoi caratteri essenziali: da un lato, l’auspicio di alcuni di riportare l’attività di formazione sotto la direzione del Consiglio superiore, mediante un intervento normativo che ne ampli le competenze; dall’altro, l’idea che la formazione debba tendere esclusivamente a fornire ai magistrati gli strumenti tecnici per l’interpretazione giuridica formalmente corretta e metodologicamente rigorosa delle norme.

1. Le polemiche insorte per la prospettata partecipazione degli ex brigatisti Bonisoli e Faranda ad un corso di aggiornamento professionale organizzato dalla Scuola della magistratura nella sede di Villa Castel Pulci, sul tema «Giustizia riparativa e alternative al processo e alla pena» (3-5.2.2016), hanno evidenziato due questioni, tra loro distinte, che, intersecandosi nell’acceso dibattito pubblico seguito all’iniziativa, hanno generato perplessità sulle prospettive dell’attività di aggiornamento professionale dei magistrati e sui suoi caratteri essenziali.

In particolare, la vicenda ha evidenziato un intenso dibattito interno al Consiglio superiore tra quanti auspicano di riportare l’attività di formazione sotto la direzione del Consiglio, mediante un intervento normativo che ne ampli le competenze, sì da modellarle in modo asseritamente più confacente con le sue prerogative costituzionali[1], e quanti si limitano ad invocare, con accenti diversi, una più stretta cooperazione, eventualmente attraverso l'istituzione di un tavolo di consultazione permanente.

Nel contempo, il clima polemico che ha attorniato la vicenda è stato colto da taluno, all’interno della magistratura, per rimettere in discussione i caratteri tradizionali dell’attività di formazione professionale dei magistrati italiani, sulla scorta dell’affermazione che il proprium del “mestiere” del magistrato risiede nell’oggetto del suo “sapere”, vale a dire nella conoscenza delle norme e del metodo per applicarle, sicché la formazione dovrebbe tendere esclusivamente a fornire gli strumenti tecnici per l’interpretazione giuridica formalmente corretta e metodologicamente rigorosa.

I nessi tra i due aspetti, quello dei rapporti tra le istituzioni in questione e quello dei caratteri della formazione, sono stati poi lucidamente evidenziati da quanti, rimarcando l’importanza di una formazione professionale ispirata al pluralismo culturale ed aperta ai saperi extragiuridici, hanno concluso per la necessità che un siffatto carattere della formazione si sviluppi nel quadro di un rapporto di sistematica collaborazione della Scuola con il Csm, proprio per evitare il rischio dell’autoreferenzialità e del corporativismo[2].

 

 

2. È opportuno allora rimarcare che il modulo introdotto dal Decreto legislativo 30 gennaio 2006, n. 26, modificato dalla Legge 30 luglio 2007, n. 111, affida alla Scuola, tra l’altro, la formazione e l’aggiornamento professionale dei magistrati ordinari, l’organizzazione di seminari di aggiornamento professionale e di formazione dei magistrati, la formazione dei magistrati titolari di funzioni direttive e semidirettive, l’organizzazione di corsi di formazione per i magistrati giudicanti e requirenti che aspirino al conferimento degli incarichi direttivi di primo e di secondo grado, la formazione dei magistrati incaricati di compiti di formazione, le attività di formazione decentrata.

Per lo svolgimento di tale complessa attività, il Comitato direttivo della Scuola adotta ogni anno, ai sensi degli artt. 5 e 12 del decreto legislativo n. 26/2006, il Programma dell’attività didattica, sulla base delle «Linee programmatiche» elaborate e approvate annualmente dal Consiglio superiore della magistratura e dal Ministro della giustizia, nonché sulla base delle proposte del Consiglio nazione forense e del Consiglio universitario nazionale.

A legislazione invariata, quindi, non v’è dubbio che al Consiglio superiore spetti il solo, rilevante compito di tracciare le linee-guida della formazione permanente[3], mentre alla Scuola è affidata in via esclusiva l’attuazione dell’attività di formazione e di aggiornamento professionale.

 

 

3. L’istituzione della Scuola ha recepito istanze antiche, provenienti dall’interno della stessa magistratura[4], nella sua gran parte consapevole del nesso strettissimo che corre tra la qualificazione e l’aggiornamento professionale dei magistrati, l’indipendenza ordinamentale loro riconosciuta e la responsabilità professionale e sociale che l’esercizio della giurisdizione comporta.

La sua effettiva ideazione normativa ha però incrociato due intenti politici che hanno finito per limitarne a lungo l’appeal presso i magistrati e per frenarne l’effettivo decollo: in primo luogo, l’istituzione della Scuola è stata percepita come un’occasione che la politica si è data per ingerirsi nell’attività di formazione professionale dei magistrati, in qualche modo condizionandola culturalmente mediante la emanazione delle linee guida da parte del Ministro della giustizia, cui è seguita la scelta in favore del modello francese, in luogo di quello spagnolo, mediante cioè la separazione della Scuola dal Csm, ed il riconoscimento della soggettività giuridica, e della piena autonomia (patrimoniale e contabile, oltre che) didattica; in secondo luogo, va ricordato che, nell’ispirazione originaria (ma ancor oggi il dato normativo sul punto appare ambiguo), la Scuola avrebbe dovuto avere tre diverse articolazioni di sede e, quel che è peggio, l’assegnazione dei magistrati a ciascuna articolazione sarebbe dovuta avvenire su base territoriale, secondo un’evidente ispirazione federalistica, allora particolarmente in voga.

Non può poi trascurarsi che, in qualche settore della magistratura associata, un’ulteriore ragione di ostilità verso la Scuola è rintracciabile nella nostalgia per l’antica pratica delle nomine correntizie dei relatori degli incontri di studio, sì come talune esitazioni consiliari in materia di procedure di nomina dei tutor e dei docenti della Scuola fanno agevolmente pensare.

Ciononostante, e nonostante le occulte resistenze interne, il Csm, nella scorsa consiliatura, ha superato ogni perplessità ed ha dato impulso al decollo della Scuola, anche in considerazione del mutato quadro politico-istituzionale.

Così, nel novembre 2011 è stato effettivamente insediato il Comitato direttivo della Scuola; nel gennaio 2012, il Csm ha promosso la costituzione di un Tavolo tecnico, che ha assicurato in modo partecipato il progressivo passaggio di consegne dal Csm alla Scuola, con l’elaborazione, nella sola primavera dell’anno 2012, del Nuovo regolamento Mot, delle prime Direttive sul tirocinio dei Mot, delle prime Linee-guida sulla formazione permanente; da metà ottobre 2012, la Scuola ha preso in carico la formazione dei magistrati in tirocinio e, dall'inizio di gennaio 2013, la formazione continua; di seguito, la Scuola ha affiancato il Csm in tutte le istituzioni di formazione giudiziaria europee ed internazionali. Tutto ciò, nonostante la strisciante riottosità di alcune componenti consiliari, che lamentavano la perdita del fiore all’occhiello delle attività istituzionali, e nonostante la diffidenza della Scuola, costretta poi dalla legge a confidare nel solo Ministero per il conseguimento dei mezzi e del personale necessari.

Peraltro, il Ministero della giustizia, a partire dall’epoca in cui ne è stata titolare la prof.ssa Severino, ha dato a sua volta un forte contributo al decollo della nuova istituzione, assicurando in particolare la sede di Villa Castel Pulci e modificando la normativa vigente in tema di sede della Scuola. Soprattutto, il Ministero della giustizia si è rappresentato, e ancora oggi si rappresenta, come il garante dell’indipendenza della Scuola[5], del tutto sordo rispetto alle istanze di ridimensionamento della sua autonomia didattica, di tanto in tanto ancora provenienti dall’interno del Consiglio superiore.

Per parte sua, il presidente del Comitato direttivo della Scuola, prof. Gaetano Silvestri, nel discorso di insediamento del 19.2.2016, con felice sintesi ha ribadito le ragioni che impongono l’autonomia della Scuola, affermando che: «La garanzia dell'indipendenza della magistratura implica, come necessaria conseguenza, la creazione di enti e procedure formative improntate allo stesso principio. Lo ribadiscono plurimi documenti internazionali (si veda, ad esempio, la Raccomandazione CM/Rec (2010)12 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa agli Stati membri sulla indipendenza, efficienza e responsabilità dei giudici adottata il 17 novembre 2010), che raccomandano la creazione di autorità indipendenti, le quali, nelle attività formative, soddisfino requisiti di apertura alla società, competenza professionale e imparzialità. In questi documenti si registra la grande carica espansiva del principio dell'indipendenza della magistratura e la tendenza universalizzante del più ampio principio della separazione dei poteri … È facile osservare che, nel sistema costituzionale italiano, queste direttive internazionali e sovranazionali possono essere attuate solo in una costante, leale collaborazione tra Consiglio superiore della magistratura, Ministro della giustizia e Scuola superiore della magistratura. Quest'ultima non è organo costituzionale né di rilievo costituzionale e pertanto si pone come strumento tecnico-culturale, non inerte ma propositivo, per il perseguimento degli obiettivi tracciati, ciascuno nella sfera delle rispettive competenze, da Consiglio e Ministro. Proprio per la diversificazione, e insieme la necessaria convergenza, delle linee programmatiche consiliari e ministeriali, lo strumento attuativo migliore sembra una Scuola autonoma, che non sia mero strumento operativo di ciascuna delle due istituzioni, ma luogo elettivo di fusione degli indirizzi di entrambe».

In questa logica di leale collaborazione tra enti, vanno dunque sciolti taluni degli snodi che permangono ancora irrisolti nei rapporti tra Csm e Scuola della magistratura, e che hanno determinato, nel recente passato, non poche tensioni tra le due istituzioni, nonostante l’istituzione del cd Tavolo tecnico.

 

 

4. Innanzi tutto, è opportuno evidenziare che vi sono ipotesi in cui il rischio del conflitto è insito nella legge.

L’adeguata formazione professionale costituisce precondizione per l’indipendenza e l’autonomia della magistratura nel suo complesso e di ogni singolo magistrato, per l’ovvia ragione che solo un magistrato consapevole del proprio ruolo nella società, tecnicamente attrezzato, forte dei propri doveri deontologici, è legittimato, al di là del superamento del concorso, ad operare quotidianamente con autorevolezza, ed è insensibile a lusinghe e a pressioni.

Il Csm, preposto istituzionalmente alla tutela dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura, è pertanto chiamato a dettare le linee-guida cui si deve ispirare l’attività della formazione professionale dei magistrati. Sennonché, come si è detto, in tale attività il Csm concorre con il Ministero, e nulla esclude che dai due organismi possano pervenire linee-guida contraddittorie su rilevanti questioni di principio, non essendo previsti meccanismi che assicurino a ciascuno ambiti specifici di intervento, tra loro non sovrapponibili, e non essendo previsti meccanismi di soluzione dei possibili contrasti[6]. È ovvio che sulle questioni che attengono propriamente alla difesa dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura la Scuola debba fare riferimento esclusivo al Csm, ed ai principi dallo stesso dettati.

La questione rinvia ad altra, che pure si pone per i difetti del sistema normativo, e che attiene all’autorevolezza, e poi al rispetto, delle linee guida dettate dal Csm.

L’autorevolezza delle linee guida deriva dalla capacità di conoscere i bisogni formativi dei magistrati. Sennonché, la legge istitutiva della Scuola, in apparenza, ha reciso qualsiasi legame tra il Csm e la formazione decentrata, dalla quale tradizionalmente pervenivano al Consiglio i bisogni formativi delle Corti e dei singoli magistrati, con il rischio evidente della burocratizzazione delle linee guida consiliari, anno dopo anno stanca ripetizione, a mo’ di fotocopia, delle delibere precedenti. Va pertanto accolta con favore la scelta operata dal Csm, con le linee guida consiliari del 2015, di ripristinare il circuito informativo «Csm - Formazione decentrata»; così come non deve suscitare preoccupazione la prospettiva della ricostituzione della IX Commissione consiliare, al fine di riunire le mille competenze in materia di formazione professionale del Consiglio, oggi frazionate e disperse tra le restanti Commissioni.

Va poi detto chiaramente che nessuno strumento è dato al Csm per controllare l’adeguamento della Scuola alle linee guida consiliari. Anzi, sin qui, si è potuto riscontrare un flusso informativo da parte della Scuola non del tutto adeguato e la mancanza di qualsiasi valutazione congiunta rispetto alle attività effettivamente poste in essere, utile per l’approntamento delle linee-guida successive.

 

 

5. Vi sono poi altre questioni ancora aperte, che meriterebbero di essere affrontate e risolte congiuntamente.

Si pensi alla formazione decentrata. È noto che essa è nata alla metà circa degli anni novanta, quale “luogo” ove si manifestano e si compongono i bisogni formativi nascenti all’interno delle Corti: alla stessa furono dunque attribuite le materie nuove, o le materie ad alta specializzazione, che necessitano di omogeneizzazione giurisprudenziale all’interno degli stessi uffici o tra uffici sovraordinati dello stesso Distretto; la formazione linguistica di base; gli approfondimenti nascenti dalla specificità dei problemi e delle questioni tipiche di determinati uffici; l’attività di riconversione per quanti mutino funzioni, ecc… Essa nacque come attività complementare alla formazione centralizzata, iniziale o permanente, ed autonoma rispetto alla stessa, in quanto funzionalmente diversa.

Dopo la sua attribuzione alla Scuola, in breve tempo, la formazione decentrata è divenuta una sorta di articolazione periferica della formazione centrale, cui sono stati attribuiti compiti tipici di quest’ultima, soprattutto in tema di formazione iniziale dei Mot, e ciò in ragione della perdurante fragilità amministrativa della Scuola, che la rende incapace di far fronte in modo adeguato ai numerosi compiti demandatile dalla legge.

Per di più, la formazione decentrata è invitata a riprodurre in ambito locale i corsi che si svolgono in sede centrale[7], sicché può dirsi che complementarietà ed autonomia non sono più i tratti salienti della formazione decentrata.

In questo modo, si è potuto ovviare, in parte, ad uno dei problemi storici della formazione decentrata, vale a dire alla sua conformazione qualitativa a macchia di leopardo sul territorio, conferendo una maggiore omogeneità all’azione formativa delle varie corti distrettuali. E per questa via, si è potuto far fronte, in parte, anche al crescente bisogno di certezza del diritto, in un sistema caratterizzato dalla natura diffusa del potere giurisdizionale, dal crescente ruolo sociale esercitato dalle corti e dalla mancanza, nel nostro sistema, della regola dello stare decisis.  

Sennonché, tutto questo è avvenuto senza una vera consapevolezza da parte del Consiglio, che si è astenuto da ogni interlocuzione, sicché si tratta di capire, alla luce dei risultati che sono scaturiti, se il processo di trasformazione della formazione decentrata possa ritenersi definitivo, con quali esiti, e se necessitano correttivi.

Nell’ambito delle istituzioni internazionali, la cooperazione tra la Scuola e il Consiglio è stata del tutto deficitaria e si sono perse occasioni importanti[8].

Con riguardo alla formazione internazionale, andrebbero approfondite le ragioni che, sin qui, hanno giustificato la contestuale presenza della Scuola e del Csm nell’ambito della Rete europea di formazione giudiziaria (EJTN). Come pure occorrerebbe vagliare l’effettiva opportunità che la Scuola e il Csm partecipino entrambi a tutti gli accordi internazionali, bilaterali o multilaterali, originariamente stipulati dal Csm in tema di formazione, mentre appare ancora del tutto irrilevante il ruolo svolto dal Ministero della giustizia e dal Ministero degli affari esteri nell’ambito di reti di formazione giudiziaria internazionali, a spiccata valenza politica (si pensi alla Lega Euro-araba).

Un’urgente ed approfondita riflessione comune richiederebbe anche il tema della formazione degli aspiranti dirigenti e degli aspiranti semidirettivi, affidato dalla Scuola, nelle sue prime esperienze, ad approcci marcatamente mutuati dalla scienza dell’organizzazione, non sempre consoni con la rigidità e la complessità del sistema tabellare, e con le finalità proprie della giurisdizione. Il punto è che sembra ancora mancare nella magistratura un’idea sufficientemente condivisa dell’idealtipo del dirigente, nonostante il travaglio consiliare sia sfociato, da ultimo, nella nuova circolare sui direttivi.

 

 

6. Il Tavolo tecnico congiunto è lo strumento che, in passato, quando animato da reale volontà politica, è stato utilmente adoperato per risolvere le divergenze tra la Scuola, il Ministero e il Csm.

Anche tra la Scuola della magistratura ed il Ministero della giustizia, infatti, si pone il tema della leale collaborazione tra le istituzioni. Ad es., l’effettiva autonomia della Scuola implicherebbe la disponibilità di una stabile pianta organica del personale, mentre oggi essa è costretta dalla legge a far ricorso al personale del Ministero, che lo concede in quantità sempre inferiore alla bisogna, mediante comandi, o distacchi, rinnovati per lo più ogni tre mesi, con conseguente rischio di stasi dell’attività istituzionale della Scuola.

Anche la mancanza di un’adeguata logistica intorno a Villa Castel Pulci, e comunque la difficoltà di raggiungere la sede della Scuola, stanno comportando la disaffezione dei magistrati, che mostrano di orientare sempre più la domanda formativa verso i corsi organizzati in Roma, o in altre sedi della decentrata.  

Ed è di tutta evidenza che l’apprestamento di adeguate risorse umane, finanziarie e materiali, da parte del Ministero della giustizia, condiziona l’indipendenza reale della Scuola.

 

 

7. Quanto ai caratteri essenziali dell’attività di formazione e di aggiornamento professionale dei magistrati italiani, essi si ispirano da sempre a taluni principi consolidati, quali il pluralismo culturale, l’apertura ai saperi diversi da quelli strettamente giuridici, l’interdisciplinarietà, il processo autoformativo, l’omogeneità territoriale della formazione, l’ispirazione ad una comune cultura della giurisdizione tra magistrati del pubblico ministero e giudici in ambito penale, il rifiuto dell’autoreferenzialità, e non è pensabile il ritorno ad una formazione di tipo esclusivamente tecnico.

La formazione ha preso atto che il sentire dei magistrati è mutato profondamente grazie alla introiezione dei principi costituzionali, diventati il criterio guida ispiratore dell’interpretazione giurisprudenziale. Il carattere inevitabilmente creativo dell’attività interpretativa, costituente il proprium della funzione giurisprudenziale, costituisce un dato culturale ormai abbastanza accettato[9].

Gli inviti reiterati rivolti ai giudici dalla Corte costituzionale giacché, se possibile, essi interpretino la legge in modo conforme alla Costituzione, prima di sollecitarne la declaratoria di incostituzionalità; in uno al mutamento dei caratteri della legislazione, da atto espressivo della sovranità del Parlamento ad atto “negoziato”, che, incapace di governare la complessità, procede per principi affidati all’applicazione del giudice, piuttosto che per regole; alla perdita di centralità del Parlamento in favore del policentrismo politico (ad es. per le Regioni, e per il proliferare delle cd autorità indipendenti); al ruolo sempre più preponderante svolto dalla legislazione europea e sovranazionale; tutto ciò ha posto definitivamente in crisi la visione del giudice burocrate, del giudice “bocca della legge”.

La diffusione degli strumenti di comunicazione telematica e delle nuove tecnologie, dei mercati globali e dei flussi migratori di massa, la nuova dimensione dell’Europa, ca­ratterizzata dall’abolizione delle frontiere interne e dalla libera circolazione delle persone, hanno moltiplicato e ampliato, sia nel campo della giustizia civile che di quella penale, i settori dell’intervento giudiziario chiamati a regolare fenomeni per loro natura transnazionali; è dunque già cresciuto il ruolo del diritto europeo.

D’altro canto, da tempo in Italia sono venuti meno i meccanismi tradizionali di controllo tipici di una magistratura burocratica. L’assenza di controlli di tipo burocratico ha posto in crisi i tradizionali metodi di omologazione culturale dei giudici[10], ne ha favorito l’indipendenza interna ed esterna, e quindi la libertà interpretativa (agevolata anche dalla crisi della funzione nomofilattica propria della Cassazione).

Tutto questo ha fatto lentamente maturare, nella parte più avvertita della magistratura, la consapevolezza di una responsabilità professionale e sociale nuova, ed enorme, di ogni singolo magistrato e della magistratura nel suo complesso.

Il magistrato si legittima nella società non solo e non tanto per aver superato il concorso di accesso, ma per la capacità di rendere decisioni apprezzate, condivise, accettate dalla comunità sociale di appartenenza, e in quella allargata che lo circonda. Non si tratta di cercare e di ricevere il consenso politico e sociale alle proprie decisioni, ma di rispondere in modo adeguato alla mutevole domanda di giustizia che viene dal Paese, rendendo decisioni accettate sul piano tecnico e culturale[11].

 

 

8. La magistratura nella gran parte è dunque consapevole del nesso strettissimo che corre tra la qualificazione e l’aggiornamento professionale, l’indipendenza ordinamentale che le è riconosciuta e la responsabilità professionale e sociale che l’esercizio della giurisdizione comporta.

Per questo il ruolo della formazione e dell’aggiornamento professionale è cambiato, ed è cresciuto, sino a richiedere che la relativa attività fosse affidata ad un organo che si occupa di essa in via esclusiva, la Scuola della magistratura, appunto. Soprattutto ne è cambiato il tratto qualitativo. La formazione professionale del magistrato non può esaurirsi nella conoscenza delle norme e del metodo per applicarle, e non può tendere solo a fornire gli strumenti tecnici per una interpretazione giuridica formalmente corretta e metodologicamente rigorosa. Se si vuole promuovere una figura di magistrato che, nello svolgimento dell’attività interpretativa, si caratterizzi per la costante attenzione verso il pluralismo degli stimoli culturali, e sia costantemente incline al dubbio, essa non può essere di natura esclusivamente tecnica, ma deve essere aperta ai saperi extragiuridici e alle sollecitazioni culturali del mondo esterno alla magistratura[12]. D’altro canto, la conoscenza del diritto, per il magistrato – diversamente che per altri operatori – non costituisce una semplice tèchne, ma è uno strumento per rendere giustizia, cioè per promuovere e per tutelare i diritti, e questo è un punto essenziale.

Quindi, al fine di evitare il rischio sempre incombente di una formazione “chiusa” dei magistrati, sostanzialmente “autoreferenziale”, è necessario sviluppare un costante dialogo mirato alla conoscenza degli altri saperi e dei punti di vista sulla giustizia maturati da altri operatori nei diversi campi giuridici e giudiziari, quali, soprattutto, avvocati, docenti e ricercatori universitari che svolgono il loro lavoro nei campi strettamente giuridici.

Ed occorre assicurare una formazione che miri ad un giudice deontologicamente consapevole, cioè ad un giudice che si identifica fortemente nel proprio ruolo istituzionale, e che quindi sia più indipendente e imparziale.

Si tratta di un compito ineludibile a fronte del ruolo crescente della magistratura nelle società occidentali, dell’espansione degli ambiti decisionali e della proliferazione delle giurisdizioni nazionali e internazionali: è necessario, pertanto, individuare contrappesi atti a riequilibrare l’indipendenza ordinamentale di cui godono i magistrati con la responsabilità professionale che dall’esercizio della giurisdizione scaturisce.

A fronte del compito immane proprio dell’attività di formazione professionale dei magistrati, non è consentito ad alcuno indulgere in tardive rivendicazioni di competenze, o in visioni culturali inidonee a soddisfare i bisogni propri del tempo che ci è dato vivere.

Occorre invece procedere per il rafforzamento della Scuola, quando necessario anche rafforzando i legami che la debbono avvincere al sistema del governo autonomo della magistratura, sia pure nell’imprescindibile e continuo rispetto delle reciproche distinte competenze.

Il fine ultimo comune è il rafforzamento della qualità della formazione professionale dei magistrati e, per questo tramite, il rafforzamento del carattere indipendente della giurisdizione nel nostro Paese.

[1] In una lettera al Corriere della Sera dell’8.2.2016, il consigliere togato del Csm, Luca Palamara, ha invocato una maggiore presenza del Consiglio nelle attività formative della Scuola superiore della magistratura e un intervento normativo volto ad allargare le competenze dell'Organo di autogoverno dei magistrati nella materia della formazione giudiziaria. Con una nota del 3.2.2016, il consigliere laico di centrosinistra Giuseppe Fanfani ha rilevato: «Come membro del Csm mi domando perché non si sia sentito il dovere di consultarsi con l'organo di Autogoverno della magistratura su una iniziativa tanto delicata sotto il profilo giuridico, etico e sociale. Mi si risponderà perché la Scuola è autonoma. E se questa è la banale risposta, credo che sia giunto il momento di rivedere in termini radicalmente innovativi la operatività della Scuola che nel 2006 fu voluta in forma autonoma ed indipendente quasi in contrapposizione al Consiglio superiore ed alla stessa magistratura».

[2] In tal senso l’intervento del consigliere laico di centrodestra Elisabetta Alberti Casellati nell’ambito del convegno: Le prospettive della formazione dei magistrati nel quadriennio 2016-2020“ Roma, 19.2.2016, in www.radioradicale.it/scheda/467038.

[3] Per la formazione iniziale dei Mot (magistrati ordinari in tirocinio), il Consiglio elabora vere e proprie «direttive», che si iscrivono nelle più ampie linee programmatiche previste per l’attività di formazione in generale, ed individua altresì le materie nelle quali i magistrati ordinari in tirocinio debbono frequentare i corsi di approfondimento teorico-pratico approntati dalla Scuola.

[4] Va ricordato in particolare il tentativo, ispirato in particolare da Carlo Maria Verardi, di istituire la Scuola già nel 1993, mediante convenzione con il Ministero, tentativo fermato dalla Corte dei conti nel 1994.

[5] Nel suo intervento del 19.2.2016, in occasione dell’insediamento del nuovo Comitato direttivo della Scuola, avvenuto - dopo le polemiche cui si è fatto cenno - presso il Csm, e alla presenza del Capo dello Stato, il Ministro della giustizia, on. Orlando, ha significativamente dichiarato: «La Scuola è stata e sono certo sarà ancora un luogo nel quale promuovere una visione della giurisdizione aperta, pienamente immersa nella società, ed in contatto con i suoi mutamenti. Questo principio deve ispirare anche una intensificazione di tutte le forme di cooperazione istituzionali realizzabili nel rispetto dell’autonomia della Scuola e delle prerogative costituzionali del Consiglio superiore e del Ministero della giustizia …».

[6] Ad es., la questione avrebbe potuto porsi in concreto con i Ministri della giustizia del passato Governo di centro-destra, relativamente ad uno dei tratti caratterizzanti la formazione professionale dei magistrati, indicati dal Csm: quello di una comune cultura della giurisdizione in ambito penale tra giudici e magistrati del pubblico ministero, pur nella salvaguardia della specificità delle rispettive funzioni.

[7] La capacità dei formatori decentrati di evitare di riprodurre le forme e i contenuti dei corsi centrali, e di adeguare invece i programmi e gli incontri alle esigenze specifiche territoriali è sempre stata ritenuto il tratto essenziale della Formazione decentrata: cfr., per tutti, L. Marini, Introduzione al Seminario di Magistratura democratica sul tema: La formazione iniziale dei magistrati, Firenze, 16-17 dicembre 2011, in www.magistraturademocratica.it/mdem/upy/farticolo/Scuola%20Firenze%2016-12-12%20(Marini).pdf .

[8] Non è pensabile che la Scuola e il Csm, entrambi presenti, siano divisi sulle posizioni e sulle strategie da tenere nell’ambito della Rete di formazione europea (EJTN), come accaduto nel recente passato, con la conseguenza di perdere, per la prima volta, ogni rappresentanza nello steering committee della Rete.

[9] La letteratura sul punto è amplissima: vd., per tutti, N. Bobbio, Quale giustizia, quale legge, quale giudice, in questa Rivista, 2004 (Franco Angeli ed.), n. 1, p. 1 ss.; M. Cappelletti, Giudici legislatori?, Giuffrè, Milano, 1985.

[10] Commentando la tendenza, rilevabile nell’Europa continentale, allo sviluppo dei cd codici etici dei magistrati, ed a proposito della situazione italiana, C. Guarnieri, Ancora su codici etici e responsabilità dei magistrati, in L. Aschettino, D. Bifulco, H. Epineuse, R. Sabato (a cura di), Deontologia giudiziaria. Il codice etico alla prova dei primi dieci anni, Jovene, Napoli, 2006, p. 181, osserva che, con la crisi del controllo gerarchico, è «venuto a mancare uno strumento che assicurava all’organizzazione giudiziaria una certa coerenza: l’assicurava in modo magari criticabile, ma l’assicurava. Quindi, l’esigenza di identificare degli strumenti nuovi è più che comprensibile».

[11] Sui temi indicati, vd. F. Cassano, Quale legittimazione per la magistratura? (Note a margine del conflitto tra la Procura di Salerno e Catanzaro), in questa Rivista, 2009 (Franco Angeli ed.), n. 1, p. 1 ss.

[12] Su tutti questi temi vd. Csm, 18/GE/2012 - Linee programmatiche sulla formazione e l'aggiornamento professionale dei magistrati per l'anno 2013 (relatori consiglieri Cassano, Pepe, Giostra, Auriemma, Casella, Albertoni).