Csm separati e formati per sorteggio. Una riforma per scompaginare il governo autonomo
L’iter della riforma costituzionale della magistratura procede verso l’approvazione definitiva, in doppia lettura, del disegno di legge di revisione costituzionale entro il 2025 e lo svolgimento del prevedibile referendum confermativo nel 2026.
Per quanto indesiderabile e foriera di conseguenze negative per le garanzie dei cittadini, la formale e definitiva separazione delle carriere, nei fatti già realizzata, avrebbe potuto essere sancita anche con una legge ordinaria. Ma le mire della maggioranza di governo si sono rivelate ben più vaste e ambiziose di questo risultato, mostrando di avere come ultimo e decisivo bersaglio la disarticolazione e il depotenziamento del modello di governo autonomo della magistratura, voluto dai Costituenti a garanzia “forte” dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati.
La realizzazione di questo obiettivo viene affidata al ripudio del metodo democratico e al ricorso alla sorte per la formazione dei due Consigli superiori separati e dell’Alta Corte, il nuovo giudice disciplinare dei magistrati ordinari. Con una totale inversione di segno rispetto alla Costituzione del 1947, si rinuncia alla selezione derivante dalle elezioni in nome della casualità, si rifiuta il discernimento in favore della cecità di un’estrazione a sorte, si sceglie di cancellare il sistema fondato sulla rappresentanza, ritenuto inutile e dannoso, per far emergere casualmente dal corpo della magistratura i soggetti destinati ad amministrarla. Sostituire il caso all’elezione dei “governanti”, spezzando il nesso democratico tra amministratori e amministrati, significa porre in essere una enorme rottura culturale, politica e istituzionale con l’esperienza storica del governo autonomo della magistratura e con l’equilibrio tra i poteri disegnato nella Costituzione. Ed è forte il rischio che negli organismi del governo autonomo, nati dal caso e formati in base al principio per cui “l’uno vale l’altro”, rivivrà una concezione della magistratura come corpo indistinto di funzionari, portatori di elementari interessi di status e di carriera, cui ciascuno di essi può attendere in nome e per conto degli altri senza bisogno di scelte o investiture rappresentative.
I cittadini sbaglierebbero a ritenere che l’involuzione corporativa e burocratica determinata dal sorteggio sia un affare interno della magistratura. Consigli superiori sminuiti dall’estrazione a sorte dei loro membri sarebbero più deboli e condizionabili nella difesa dell’indipendenza della magistratura. E di questa minore indipendenza pagherebbero il prezzo i ceti più deboli e le persone prive di potere e di ricchezza.
1. La riforma costituzionale della magistratura: una svolta radicale nell’assetto del giudiziario / 2. I molti tentativi, sino ad ora tutti falliti, di introdurre il sorteggio per la provvista del Csm / 3. La scelta “antagonista” del sorteggio in Costituzione per disarticolare il governo autonomo della magistratura / 4. Gli impropri richiami alle esperienze storiche di sorteggio delle cariche pubbliche / 5. I casi di ricorso al sorteggio nell’amministrazione pubblica / 6. Il sorteggio per la formazione di collegi giudicanti / 7. Una “storia” del tutto diversa: le esperienze di democrazia deliberativa / 8. Consigli superiori estratti a sorte: un inedito pressoché assoluto nel panorama europeo / 9. Una duplice restaurazione, corporativa e gerarchica / 10. L’iter della riforma e il suo prevedibile impatto sull’assetto del giudiziario
1. La riforma costituzionale della magistratura: una svolta radicale nell’assetto del giudiziario
Alla vigilia dell’11 giugno 2025, data di inizio della discussione in Senato della proposta di legge costituzionale AC n. 1917, recante «Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare», sembra ormai cristallizzato il nuovo assetto del giudiziario perseguito dalla maggioranza di destra che governa il Paese.
Come è noto, la proposta di riforma costituzionale presentata dal Governo – già approvata dalla Camera dei deputati il 16 gennaio 2025 e destinata, con ogni probabilità, a essere votata senza alcuna modifica dal Senato – riscrive integralmente l’art. 104 della Costituzione.
Questo il nuovo testo voluto dal Governo:
«Art. 104 – La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere ed è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente. Il Consiglio superiore della magistratura giudicante e il Consiglio superiore della magistratura requirente sono presieduti dal Presidente della Repubblica. Ne fanno parte di diritto, rispettivamente, il primo Presidente e il Procuratore generale della Corte di cassazione.
Gli altri componenti sono estratti a sorte, per un terzo, da un elenco di professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati dopo quindici anni di esercizio, che il Parlamento in seduta comune, entro sei mesi dall’insediamento, compila mediante elezione, e, per due terzi, rispettivamente, tra i magistrati giudicanti e i magistrati requirenti, nel numero e secondo le procedure previsti dalla legge.
Ciascun Consiglio elegge il proprio vicepresidente fra i componenti sorteggiati dall’elenco compilato dal Parlamento.
I membri designati mediante sorteggio durano in carica quattro anni e non possono partecipare alla procedura di sorteggio successiva.
Non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, né far parte del Parlamento o di un Consiglio regionale».
Se sarà questo il testo approvato alla fine dell’iter legislativo della riforma costituzionale, la magistratura e il suo governo assumeranno una fisionomia profondamente diversa da quella attuale, i cui tratti essenziali possono essere così riassunti:
- separazione del corpo dei magistrati in due carriere, giudicante e requirente;
- previsione di “due” Consigli superiori, entrambi presieduti dal Presidente della Repubblica, per le categorie separate di giudici e pubblici ministeri;
- analoga composizione dei due organi, formati per due terzi da membri togati e per un terzo da membri laici, con la sola differenza riguardante il membro di diritto (il primo presidente della Corte di cassazione per il Consiglio superiore della magistratura giudicante e il procuratore generale per il Consiglio superiore della magistratura requirente);
- formazione dei Consigli attraverso sorteggi differenziati – “secco” per i togati, perché attuato tra tutti i magistrati, e “temperato” per i laici, in quanto destinato a svolgersi all’interno di una platea di giuristi (professori o avvocati) eletti dal Parlamento.
Saranno ancora meccanismi di sorteggio a regolare, nel nuovo testo dell’art. 105 della Costituzione, la provvista del nuovo giudice disciplinare dei magistrati: l’Alta Corte disciplinare.
Alla previsione che «La giurisdizione disciplinare nei riguardi dei magistrati ordinari, giudicanti e requirenti, è attribuita all’Alta Corte disciplinare» fanno seguito le disposizioni che regolano la composizione e la formazione del nuovo giudice.
Esse stabiliscono che «L’Alta Corte è composta da quindici giudici, tre dei quali nominati dal Presidente della Repubblica tra professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con almeno venti anni di esercizio e tre estratti a sorte da un elenco di soggetti in possesso dei medesimi requisiti che il Parlamento in seduta comune, entro sei mesi dall’insediamento, compila mediante elezione nonché da sei magistrati giudicanti e tre requirenti estratti a sorte tra gli appartenenti alle rispettive categorie, con almeno venti anni di esercizio delle funzioni giudiziarie e che svolgano o abbiano svolto funzioni di legittimità».
2. I molti tentativi, sino ad ora tutti falliti, di introdurre il sorteggio per la provvista del Csm
In passato non sono mancate proposte di legge di ristrutturazione del Csm sulla base della “sorte”, miranti fare del Consiglio superiore il primo luogo di sperimentazione istituzionale di una “democrazia del sorteggio”[1] concepita come alternativa alla democrazia rappresentativa e/o come grimaldello per scardinarla[2].
Il primo a proporre la strada della modifica della Costituzione fu il segretario del Movimento Sociale Italiano, Giorgio Almirante, che nel luglio del 1971 presentò una proposta di revisione costituzionale diretta a introdurre l’estrazione a sorte per la provvista della componente togata del Csm[3].
Nella relazione di accompagnamento si leggeva che «le gravissime deformazioni correntizie dei vari sistemi elettorali avvicendatisi per l’organo di autogoverno dei magistrati si sormontano soltanto con una riforma radicale: il ricorso al sorteggio tra i candidati appartenenti all’ordine giudiziario».
Con analoghe motivazioni furono poi proposti altri due progetti di modifica della Costituzione: il disegno di legge di revisione costituzionale «Riforma del Titolo IV della Parte II della Costituzione» (AC n. 4275, 7 aprile 2011) e il ddl presentato dai Senatori Buemi ed altri «Modifica dell’art. 104 della Costituzione per l’elezione dei componenti del Consiglio Superiore della magistratura mediante sorteggio» (AS n. 1547, 30 giugno 2014).
Nel 2009 il Ministro della giustizia Angelino Alfano prospettò la possibilità di far ricorso, a Costituzione invariata, a un sistema “misto” di preventiva estrazione a sorte dei candidati e di successive elezioni nell’ambito della platea dei sorteggiati per la scelta dei Consiglieri superiori.
Il meccanismo proposto prevedeva una fase preliminare, affidata alla sorte, nella quale l’individuazione casuale della platea di candidati al Consiglio avrebbe dovuto consentire l’emersione di magistrati non collegati alle correnti.
A questa prima fase avrebbero fatto seguito votazioni separate per giudici e pubblici ministeri circoscritte ai candidati scelti in base al caso.
L’elezione tra i sorteggiati non fu, però, l’unica soluzione “mista” prospettata nel dibattito pubblico[4].
Ad essa vennero contrapposti modelli, se possibile ancora più distanti dalla Costituzione, come il sorteggio in una rosa di eletti dai magistrati o un sorteggio tra gli ottimati, circoscritto a magistrati in possesso di particolari requisiti professionali.
Tutti i tentativi di introduzione del sorteggio a Costituzione invariata si sono però sempre infranti contro la barriera rappresentata dal chiarissimo testo della Costituzione.
È stato infatti impossibile non vedere che il sorteggio per la componente togata del Csm, in tutte le sue fantasiose varianti (sorteggio tout court, sorteggio nell’ambito di una schiera di pre-eletti, sorteggio tra gli ottimati, elezione circoscritta a una platea di sorteggiati) era un’opzione in radicale contrasto con la Costituzione[5].
Troppo evidente l’urto tra le proposte “riformatrici” e la lettera del dettato costituzionale, troppo stridente la divergenza del ricorso al caso rispetto alla logica costituzionale del governo autonomo, troppo scoperta la finalità di cancellare la rappresentatività di un organismo i cui componenti togati dovevano essere, per dettato costituzionale, «eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari»[6].
Di qui la scelta di aggirare l’ostacolo, imboccando la strada della riforma costituzionale e coniugando in un unico progetto due contenuti profondamente diversi come la separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri e lo stravolgimento del metodo di formazione del governo della magistratura, attuata con la rinuncia al metodo democratico in favore del ricorso al sorteggio.
3. La scelta “antagonista” del sorteggio in Costituzione per disarticolare il governo autonomo della magistratura
Nel nuovo quadro costituzionale, la novità più rilevante – e la più sconvolgente – è dunque costituita dal metodo di formazione prescelto per la formazione dei due Consigli superiori: l’estrazione a sorte.
Ormai nel nostro Paese la divaricazione dei percorsi professionali di giudici e pubblici ministeri è, nei fatti, da tempo realizzata[7].
Per quanto indesiderabile e foriera di conseguenze negative per le garanzie dei cittadini[8], la formale e definitiva separazione delle carriere avrebbe potuto essere sancita anche con una legge ordinaria che dettasse itinerari professionali separati per le due categorie di magistrati.
Ma le mire della maggioranza di destra si sono rivelate ben più vaste e ambiziose di questo risultato, mostrando di avere come ultimo e decisivo bersaglio la disarticolazione e il depotenziamento del modello di governo autonomo della magistratura introdotto dalla Costituzione a garanzia “forte” dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati.
La realizzazione di questo obiettivo – di mortificazione della magistratura e di profondo sconvolgimento del suo assetto istituzionale – viene affidata al ripudio del metodo democratico e al ricorso alla sorte per la formazione dei due Consigli superiori separati.
Con una totale inversione di segno rispetto alla Costituzione del 1947 si rinuncia alla selezione derivante dalle elezioni in nome della casualità, si rifiuta il discernimento in favore della cecità di una estrazione a sorte, si sceglie di cancellare il sistema fondato sulla rappresentanza, ritenuto inutile e dannoso, per far emergere casualmente dal corpo della magistratura i soggetti destinati ad amministrarla.
Alla radice dell’opzione del governo della destra per il sorteggio stanno ragioni e pulsioni di diversa natura.
In primo luogo un orientamento fortemente polemico verso l’attuale assetto dell’istituzione consiliare, frutto dell’antagonismo verso il pluralismo culturale e ideale della magistratura, che sino ad ora si è trasposto nell’istituzione consiliare attraverso le elezioni dell’organo di governo autonomo.
Inoltre, un giudizio storico drasticamente negativo sui gruppi associativi della magistratura – le correnti –, ritenuti la causa di gravi degenerazioni del governo autonomo.
Infine, un desiderio politico sin qui frustrato, ovvero l’aspirazione a un’atomizzazione del corpo della magistratura o, almeno, a una sua riorganizzazione secondo schemi puramente corporativi.
È stata la concorrenza e la confluenza di queste diverse motivazioni a ispirare l’escogitazione dirompente del sorteggio come metodo di provvista dei Consigli superiori “separati” della magistratura giudicante e requirente.
Sostituire il caso all’elezione dei “governanti”, spezzare il nesso democratico tra amministratori e amministrati significa, infatti, porre in essere una enorme rottura culturale, politica e istituzionale con l’esperienza storica del governo autonomo della magistratura e con l’equilibrio tra i poteri disegnato nella Costituzione.
Una vistosa regressione e il tentativo di promuovere un revival della dimensione burocratica della magistratura, storicamente superata a far tempo dallo storico congresso dell’Anm di Gardone del 1965, nel quale si rispose all’interrogativo “Magistrati o funzionari?”, rifiutando la figura del magistrato burocrate.
I cittadini sbaglierebbero a ritenere che questa involuzione corporativa e burocratica sia un affare interno della magistratura.
Consigli superiori sminuiti dall’estrazione a sorte dei loro membri sarebbero infatti più deboli e condizionabili nella difesa dell’indipendenza della magistratura.
E, come è sempre avvenuto e come ci viene ricordato dall’esperienza dei Paesi autoritari, a pagare il prezzo di questa minore indipendenza sarebbero i ceti più deboli e le persone prive di potere e di ricchezza.
Non sono mancati né mancheranno tentativi di presentare come normale e fisiologica la soluzione adottata, ancorandola a remoti precedenti storici o ad esperienze compiute in altri ambiti istituzionali.
Ma, come si dirà in seguito, né i richiami al passato né i riferimenti al presente appaiono appropriati per spiegare e giustificare una scelta istituzionale che rappresenta un unicum pressoché assoluto nel panorama istituzionale mondiale, qual è la composizione per sorteggio di organi di rilievo costituzionale come i due Consigli superiori della magistratura giudicante e requirente.
Una tale scelta appare il frutto di una «razionalità di segno polemico» che ritiene preferibile la casualità «a qualsiasi altro metodo di scelta – come l’elezione, la nomina, la cooptazione – che presupponga una logica maggioritaria o il primato dell’affiliazione a gruppi precostituiti, “cricche” e “partigianerie” dalle quali si intende rifuggire»[9].
Il sorteggio, dunque, come segno di una diffidenza profonda verso le dinamiche elettorali della magistratura, considerate come irrimediabilmente viziate, e verso la dialettica democratica, ritenuta foriera di aggregazioni considerate nocive – le correnti e i gruppi consiliari – per il corretto funzionamento dell’istituzione consiliare.
In altri termini, un rimedio estremo, l’alternativa finale a mali ritenuti non altrimenti curabili e l’espressione di una irriducibile ostilità verso il circuito di un autogoverno democraticamente legittimato.
Ed è facile prevedere che, nella prassi, le forze politiche della destra – secondo cui il consenso misurato nelle elezioni è l’unico fattore di legittimazione istituzionale – non avranno esitazioni nel ridurre e svilire l’attività dei Consigli proprio in quanto nati da quel sorteggio che esse stesse hanno voluto imporre.
4. Gli impropri richiami alle esperienze storiche di sorteggio delle cariche pubbliche
Se questo è l’humus da cui nasce l’attuale opzione per il sorteggio, è inutile e pretestuoso il richiamo ad altre forme di sorteggio sperimentate storicamente per il governo di entità politiche relativamente piccole, come la polis ateniese o le Repubbliche e i Comuni italiani del tardo Medioevo e del Rinascimento.
Nella vita democratica ateniese[10] il sorteggio annuale dei membri del Consiglio dei Cinquecento e dei magistrati chiamati a svolgere funzioni amministrative – attuato fra i cittadini che si offrivano come volontari – era il metodo adottato per realizzare una rotazione delle cariche amministrative.
Il caso serviva a favorire l’inclusione, il governare a turno, la limitazione del potere per effetto di un mandato destinato a durare un anno e non reiterabile, che peraltro si combinava con l’elezione per gli incarichi che richiedevano capacità tecniche particolari[11].
La formazione di organismi dirigenti affidata alla sorte costituiva un antidoto alle derive oligarchiche, consentendo al cittadino ateniese, normalmente interessato alla vita pubblica, di essere chiamato una o due volte nell’arco della vita all’espletamento di incarichi amministrativi. Con l’effetto di realizzare un equilibrio fisiologico nella gestione della cosa pubblica e di sbarrare la strada al prevalere di logiche maggioritarie.
Come è stato opportunamente sottolineato, ciò che rendeva «fortemente innovativa, sperimentale e “sovversiva” la selezione democratica per sorteggio era il numero straordinario delle persone coinvolte»[12].
Secondo Hansen, infatti, nell’Atene del IV secolo, su di una platea di 20.000 cittadini di età superiore ai 30 anni, ogni anno erano sorteggiate 1100 persone per ricoprire le funzioni della boulè – l’organismo composto di 500 membri che amministrava il governo e preparava le deliberazioni dell’assemblea – e delle altre magistrature[13].
La scelta casuale dei magistrati ateniesi non si traduceva dunque in una selezione capricciosa e incontrollata dei governanti, ma era funzionale a mantenere l’eguaglianza nella partecipazione al governo, garantita dall’ampia rotazione delle cariche, e a prevenire forme di predominio sistematico di gruppi di potere, fossero essi le tribù più numerose o altre aggregazioni.
Alle critiche già allora mosse al sorteggio in nome del criterio di competenza, perché «nessuno sceglierebbe il capitano di una nave, o un musicista attraverso un sorteggio»[14], era possibile replicare, in quel contesto, ricordando la brevità dell’incarico, il numero elevato dei magistrati chiamati a svolgere i compiti amministrativi e, infine, la collegialità nell’esercizio delle magistrature più significative.
La ricerca di un equilibrio positivo e durevole tra i casati e i gruppi cittadini più forti e influenti e la realizzazione dell’alternanza nelle cariche di governo era all’origine del ricorso al sorteggio, a partire dal tardo Medioevo, in numerosi Comuni e Repubbliche italiani, tra cui Siena, Firenze, Genova, Venezia.
Sorteggio ibrido, perché in vario modo combinato con elezioni a scrutinio segreto della platea dei candidati sorteggiabili, nell’ambito di complesse procedure di nomina agli incarichi di governo, con lo scopo principale di garantire la pace tra gli ottimati e di precludere una permanente egemonia di gruppi di potere ristretti o l’affermarsi della tirannide.
Come ha scritto uno storico della Repubblica di Venezia, le procedure di nomina estremamente complicate e poco influenzabili tradivano, oltre al timore di brogli elettorali, «la preoccupazione più profonda, l’inquietudine più sottile del mondo politico veneziano: evitare le elezioni passionali o irrazionali, o condizionate, o corrotte, e, con esse, il tipo di rivolgimento che in tante altre città d’Italia aveva portato, o doveva portare , alla nascita di tirannie personali e familiari, di signorie»[15].
Ora, se i riferimenti storici ad Atene e all’Italia del tardo Medioevo e del Rinascimento sono d’obbligo nelle analisi dei politologi e dei giuristi che si sono occupati del sorteggio, non è certo a quelle lontane, irripetibili e diversissime esperienze che si può guardare per cercare di comprendere gli effetti di una composizione casuale del governo autonomo della magistratura.
L’unico elemento che accosta vagamente quelle remote vicende al presente sta in ciò che, con il sorteggio, si voleva evitare, in particolare a Firenze e Venezia: le discordie tra fazioni, i contrasti tra gruppi contrapposti, ritenuti nocivi al bene delle città e forieri di degenerazioni tiranniche.
Ma anche i più fieri critici dell’esperienza consiliare, inclini a considerare come “scontro tra fazioni” ogni diversità di visioni generali e di scelte particolari, dovranno ammettere che la pluralità di punti di vista e la dialettica delle opinioni in seno all’istituzione consiliare sono, anche in un’ottica riformatrice, beni da salvaguardare e non da comprimere e che non è certo lo spettro della tirannia a suggerire la drastica opzione per il sorteggio.
La conclusione che se ne deve trarre è che rievocare la democrazia ateniese o l’Italia dei Comuni e delle Repubbliche per legittimare il ricorso al sorteggio nei due Csm è un goffo tentativo di giustificazione di una scelta politica dettata da finalità e da interessi non comparabili con quelli di un lontano passato.
In realtà quelle remote vicende non ci dicono nulla di utile sul presente e, in particolare, sui possibili effetti del sorteggio nella creazione di organi di amministrazione attiva di rilievo costituzionale come i due Csm.
5. I casi di ricorso al sorteggio nell’amministrazione pubblica
Se dal passato remoto si passa al passato prossimo e al presente, ci si rende conto che sull’utilità e sugli effetti del sorteggio si possono avere pochi lumi anche da altre esperienze di ricorso al “caso” in organismi investiti del compito di amministrare gare e concorsi pubblici.
Il risultato che si vuole ottenere ricorrendo al sorteggio dei commissari di un concorso pubblico – si pensi ai concorsi universitari[16] o a molti concorsi statali, tra cui quelli per dirigenti – o di una gara per appalti pubblici è la scelta imparziale e scevra da condizionamenti dei soggetti chiamati a gestire la procedura concorsuale e a valutarne l’esito.
Quale che sia il giudizio che si dà di queste forme di impiego del sorteggio[17], si converrà che altro è svolgere correttamente una singola procedura selettiva scandita dalla legge e dal bando di gara, altro è esercitare un insieme di compiti complesso, variabile, non determinabile a priori, come è richiesto nell’esercizio dell’amministrazione della giurisdizione.
L’organo di governo autonomo della magistratura valuta, nomina, trasferisce, amministra, tutela, consiglia, giudica.
Di questa varietà e complessità di funzioni un legislatore avveduto avrebbe il dovere di tener conto nel progettarne la riforma, ricercando soluzioni durevoli e lungimiranti.
Senza ignorare, certo, i fatti gravi emersi nell’ambito del caso Palamara, ma senza confondere le deviazioni patologiche con la storia e con la fisiologia del governo autonomo, in un’opera di rinnovamento diretta a rigenerare e non a deprimere e demolire.
Non è questa la linea di condotta prescelta dalla maggioranza di governo, che ha optato per prevedere in Costituzione una provvista dei Consigli affidata al caso, con la chiara intenzione di ridurne l’efficienza, la legittimazione e l’autorevolezza.
6. Il sorteggio per la formazione di collegi giudicanti
Meno distanti dall’innovazione qui esaminata – almeno rispetto alla provvista per sorteggio dell’Alta Corte disciplinare – sono i casi di ricorso al sorteggio nel giudiziario per la formazione di particolari collegi giudicanti.
Elenchiamoli:
- il sorteggio dei cittadini chiamati a comporre, unitamente ai giudici togati, le corti d’assise e le corti d’assise di appello;
- il sorteggio, nell’elenco compilato dal Parlamento, dei 16 giudici aggregati della Corte costituzionale chiamati a giudicare il Presidente della Repubblica per i reati di alto tradimento e di attentato alla Costituzione (art. 135, ult. comma, Cost.);
- il sorteggio impiegato per comporre, nei distretti di corte di appello, i collegi (cd. Tribunali dei ministri) competenti a giudicare dei reati ministeriali.
È appena il caso di ricordare che tutti questi collegi scaturenti dalla sorte sono investiti del compito di giudicare in singoli procedimenti o per una sessione di giudizio.
Essi, però, non hanno né i caratteri di stabilità che avrebbe l’Alta Corte disciplinare né la pluralità di compiti che caratterizza gli organi di “amministrazione della giurisdizione” ipotizzati dalla riforma.
È impossibile, perciò, annoverarli tra i “precedenti” della soluzione istituzionale qui in discussione, che resta connotata dalla sua assoluta novità e unicità nel nostro e in altri ordinamenti giuridici, che non conoscono organi di rilievo costituzionale costruiti sulla base del caso.
7. Una “storia” del tutto diversa: le esperienze di democrazia deliberativa
Infine, i futuri Consigli superiori e l’Alta Corte, la cui composizione dovrebbe essere affidata alla sorte, non possono essere ricondotti alle esperienze di “democrazia deliberativa”, consistenti nella creazione tramite sorteggio di organismi consultivi locali o su singoli temi[18].
Come è noto, in molti Paesi dell’Occidente l’adozione del “sorteggio” come criterio di selezione dei componenti di organismi istituzionali consultivi è scaturita dalla presa di coscienza di una profonda crisi della politica e dalla ricerca di meccanismi idonei a rivitalizzarla[19].
In questo contesto, il ricorso al caso è stato considerato come una soluzione utile per rispecchiare fedelmente, in particolari organismi aventi funzioni consultive e propositive, la composizione di un determinato corpo sociale, dando vita, attraverso un sorteggio “stratificato”, a una sorta di microcosmo sociologicamente rappresentativo di tale realtà[20].
Così, ad esempio, si è fatto ricorso al sorteggio in Francia per dar vita a esperimenti di democrazia deliberativa destinati a integrare, su questioni spinose come la tutela dell’ambiente o il fine vita, una democrazia rappresentativa incapace di dar risposte perché inceppata da pregiudiziali ideologiche e di schieramento politico[21].
Non è questo ciò che sta avvenendo in Italia, dove di organismi di democrazia deliberativa, con funzioni consultive o propositive composti grazie al sorteggio, si parla poco e meno ancora si sperimenta.
La destra al governo non sembra affatto intenzionata a convertirsi alla democrazia del sorteggio e alla democrazia deliberativa, al fine di rispondere alla disaffezione politica e istituzionale che si esprime nell’astensionismo e nella crescente apatia politica della società italiana.
Al contrario, essa è esclusivamente impegnata a rafforzare i meccanismi di concentrazione e di personalizzazione del potere, come dimostra l’impegno profuso nell’approvazione della riforma del premierato elettivo.
Al sorteggio si fa, perciò, ricorso non per aumentare la partecipazione dei cittadini e integrare e rivitalizzare la democrazia rappresentativa, ma solo per snaturare e impoverire l’esperienza di governo autonomo della magistratura ordinaria, riducendone la legittimazione e l’efficacia.
8. Consigli superiori estratti a sorte: un inedito pressoché assoluto nel panorama europeo
Questa sintetica rassegna delle diverse forme di impiego del sorteggio in ambiti istituzionali, politici o amministrativi potrebbe essere ampliata e divenire molto più dettagliata ove si decidesse di trarre esempi e resoconti di esperimenti dalla vasta letteratura sul tema[22].
Le notazioni sin qui svolte sono però sufficienti a mettere in luce un dato significativo, già più volte richiamato.
Più si studia il sorteggio, più emerge con chiarezza che imperniare sulla sorte la scelta dei componenti di organi di amministrazione della magistratura previsti in Costituzione, quali sarebbero i due Consigli superiori, sarebbe un inedito pressoché assoluto nel panorama istituzionale dell’Europa continentale.
Nel dossier predisposto dai Servizi Studi di Camera e Senato, intitolato «Revisione costituzionale in materia di separazione delle carriere giudicante e requirente della magistratura», si può consultare un quadro sinottico della composizione e delle modalità di nomina dei membri degli organi di governo della magistratura.
Il quadro («Rassegna sull’organizzazione della magistratura in alcuni ordinamenti giuridici europei») riguarda i seguenti Paesi: Belgio, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Finlandia, Francia, Grecia, Italia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Ungheria.
In tutti gli ordinamenti presi in considerazione nello studio, gli organi di amministrazione della magistratura sono composti – con l’eccezione della Grecia – da membri eletti dai loro pari, da membri di diritto (di regola, i magistrati che dirigono gli uffici giudiziari di vertice) e da componenti di nomina politica.
Nella sola Grecia, invece, nel Consiglio superiore della magistratura per la giustizia civile e penale operano due sotto-Consigli, composti di 11 e 15 membri estratti a sorte dal plenum della Corte Suprema tra coloro che vi hanno prestato servizio per almeno due anni.
La comparazione, dunque, conferma che l’opzione per il sorteggio – “secco” per la componente togata e “temperato” per i membri laici degli organismi di governo della magistratura – è eccentrica rispetto all’assetto dei principali ordinamenti dei Paesi dell’Europa continentale e rappresenta un esperimento isolato, estremo ed azzardato.
L’azzardo nasce dal fatto che la riforma Nordio-Meloni è mossa da un’unica volontà: operare una integrale rottura con il passato e con la tradizione giuridica europea, con l’intento di dar vita a un “antimodello” rispetto all’attuale Csm, affermando il principio per cui i magistrati non sono all’altezza di un compito che la democrazia assegna a tutti i cittadini: la libera scelta dei propri rappresentanti.
Così, l’intento polemico e la messa in atto di una vis disgregatrice della rappresentanza e della rappresentatività dell’istituzione consiliare fanno premio sulla razionalità istituzionale e sulla considerazione delle esigenze di funzionalità dei nuovi organismi amministrativi.
Non si riflette, in particolare, su come il sorteggio potrà garantire una composizione dei Consigli equilibrata per generi, per presenza sul territorio, per figure professionali, né su quali potranno essere le modalità di funzionamento, il grado di autorevolezza, il livello di efficienza dei collegi all’indomani del rifiuto della selezione elettorale.
Nella migliore delle ipotesi, la normativa di attuazione potrà intervenire per assicurare una qualche rappresentanza (rectius: una presenza) di genere, mentre la costituzionalizzazione della logica del sorteggio potrebbe precludere l’introduzione di ulteriori meccanismi di equilibrio territoriale o professionale.
E ciò mentre nulla può garantire che le attuali aggregazioni tra consiglieri – siano esse ideali, programmatiche, professionali o di mero interesse – scaturenti da elezioni su scala nazionale e portatrici di visioni generali non siano sostituite, nei Consigli nati dal caso, da gruppi formati sulla base di interessi localistici, notabilari o clientelari.
In definitiva, al momento si sa solo ciò che non si vuole, ciò che si vuole scompaginare e distruggere, molto spesso rappresentato in termini unilaterali e caricaturali.
Come se “tutta” la storia del Consiglio superiore fosse una storia di clientelismo, di maneggi, di iniquità, di ingiustizie, un enorme e ininterrotto caso Palamara.
Ignorando che ci sono state pagine di grande valore culturale e tecnico, scritte contro il corporativismo e per un governo autonomo più trasparente e vicino alle esigenze dei cittadini: dalla pubblicità dell’udienza disciplinare all’apertura della difesa del libero foro sul versante della giustizia disciplinare, dalla difesa dell’indipendenza dei magistrati dagli attacchi esterni alla tutela della indipendenza interna dei singoli giudici...
9. Una duplice restaurazione, corporativa e gerarchica
Come è già stato sottolineato da chi scrive, nei Consigli dei sorteggiati – informati al criterio per cui “l’uno vale l’altro” – rivivrà una concezione della magistratura come corpo indistinto di funzionari, portatori di elementari interessi di status e di carriera, cui ciascuno di essi può attendere in nome e per conto degli altri senza bisogno di scelte o investiture rappresentative[23].
La magistratura come una realtà indifferenziata nella quale non sono ravvisabili – e, comunque, non sono legittime – diverse idealità e diverse interpretazioni della giurisdizione e dell’attività giudiziaria, e domina l’omogeneità degli interessi propria della corporazione.
Sul diverso piano della giustizia disciplinare, poi, la scelta dei magistrati – sei giudici e tre pubblici ministeri – chiamati a comporre l’Alta Corte, che saranno estratti a sorte «tra gli appartenenti alle rispettive categorie, con almeno venti anni di esercizio delle funzioni giudiziarie e che svolgano o abbiano svolto funzioni di legittimità», sembra rimettere indietro le lancette dell’orologio della storia, riportandoci a un’epoca nella quale i magistrati di cassazione esercitavano una primazia nel governo della magistratura e nella giurisdizione disciplinare.
Opzione, questa, criticabile sotto un duplice profilo.
Da un lato, si dà vita a una Corte disciplinare composta “esclusivamente” da magistrati di legittimità, che sono da tempo lontani dalle peculiari condizioni di lavoro in cui operano i magistrati di merito e, in ragione di questa particolarità, non sarà nelle migliori condizioni per comprendere e valutare molti degli illeciti “nell’esercizio delle funzioni” che risultano spesso intimamente connessi all’ambiente lavorativo.
Dall’altro lato, ammettendo al sorteggio per l’Alta Corte disciplinare solo i magistrati che abbiano svolto o svolgano funzioni di legittimità, si attribuisce ai magistrati di cassazione una posizione di relativo privilegio collegata allo status e non alle funzioni svolte.
La riforma si muove, dunque, in direzione di una duplice restaurazione – della corporazione e della gerarchia –, con la finalità di riproporre la figura di un magistrato-funzionario ormai storicamente superata.
Ed è appena il caso di ricordare che un ulteriore vulnus a un’equilibrata composizione dei Consigli verrà inferto dall’asimmetria del sorteggio dei componenti togati rispetto a quello dei membri laici, che verranno estratti a sorte da una platea selezionata dal Parlamento con il voto.
10. L’iter della riforma e il suo prevedibile impatto sull’assetto del giudiziario
Nonostante l’accelerazione impressa ai lavori parlamentari, il percorso che porta al completamento della riforma costituzionale non si preannuncia breve.
Dopo l’eventuale approvazione in Senato del testo di revisione costituzionale, occorrerà rispettare l’intervallo di almeno tre mesi prima di ripresentarlo alle Camere per la seconda deliberazione.
E poiché non si prevede che, nella seconda votazione, le Camere approveranno la nuova normativa con la maggioranza dei due terzi dei loro componenti, la legge di revisione, una volta approvata, potrà essere sottoposta – come prevede l’art. 138, comma 2 della Costituzione – a referendum popolare confermativo, ove ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o 500.000 elettori o 5 Consigli regionali, per essere infine promulgata solo se approvata dalla maggioranza dei voti validi espressi nella consultazione referendaria.
In quest’ultima ipotesi, si aprirà la fase complessa dell’adeguamento alla nuova normativa delle «leggi sul Consiglio superiore della magistratura, sull’ordinamento giudiziario e sulla giurisdizione disciplinare».
Leggi che, in base alle disposizioni transitorie della legge di revisione costituzionale, dovranno essere varate entro un anno dall’entrata in vigore della legge costituzionale, anche se, fino alla data di entrata in vigore delle leggi di attuazione, continueranno a osservarsi «le norme vigenti alla data di entrata in vigore» della legge costituzionale[24].
Vi sarà tempo per un esame approfondito dei possibili contenuti delle norme di attuazione della riforma, che rappresenteranno un capitolo importante della complessiva opera di riscrittura dell’assetto della magistratura.
Si può, però, affermare sin d’ora che l’eventuale entrata in vigore della riforma non avrà solo un impatto sull’assetto delle carriere delle magistrature requirente e giudicante, ma anche ripercussioni profondissime sull’intero circuito del governo autonomo.
Difficilmente Consigli superiori formati in base al sorteggio potrebbero coesistere e cooperare con Consigli giudiziari “eletti”, così che il sorteggio potrebbe essere proposto come metodo di provvista di tutti gli organismi del circuito del governo autonomo, moltiplicando ed estendendo a livello capillare gli inconvenienti del ricorso alla sorte.
Del pari, la prevista riscrittura delle norme sulla giurisdizione disciplinare potrebbe far rivivere la tentazione di limitare le libertà dei magistrati – prima tra tutte, quella di manifestazione del pensiero – e di dar vita a un “diritto disciplinare dell’apparenza”. Come era già avvenuto nella originaria stesura del d.lgs n. 109 del 2006, voluto dal Governo Berlusconi, poi modificato con l’abrogazione delle norme più apertamente liberticide ad opera della legge 24 ottobre 2006, n. 269, approvata dalla maggioranza che sosteneva il Governo Prodi.
Ancora più complesse, infine, sarebbero le conseguenze della riforma sull’associazionismo dei magistrati, chiamato a ripensarsi per vivere in un ambiente istituzionale profondamente mutato e per reagire al progetto di disgregazione che sta alla base della logica del sorteggio.
È bene però non esagerare in questo esercizio di immaginazione politica e istituzionale.
Se è comprensibile cominciare a scrutare, sin da oggi, il futuro, nulla può essere dato per scontato in un momento in cui l’iter legislativo della riforma è ancora in corso e si profila all’orizzonte il referendum confermativo previsto dall’art. 138 Costituzione.
Referendum difficilissimo per coloro che si opporranno alla revisione costituzionale in ragione della forza di fuoco demagogica che verrà messa in campo dalle forze politiche e dai media della destra .
Ma una battaglia da dare sino in fondo per rappresentare ai cittadini la posta in gioco e per difendere l’assetto costituzionale della giustizia dagli apprendisti stregoni all’opera in Parlamento e nel Paese.
* Pubblicato su Questione giustizia online il 10 giugno 2025 (www.questionegiustizia.it/articolo/csm-sorteggio).
1. Sul tema del sorteggio vds. il saggio di N. Urbinati e L. Vandelli, La democrazia del sorteggio, Einaudi, Torino, 2019, oggetto della recensione di L. Orsi sulle pagine di questa Rivista (La democrazia del sorteggio, in Questione giustizia online, 18 luglio 2020, www.questionegiustizia.it/articolo/la-democrazia-del-sorteggio) e la monografia di A. Zei, Il diritto e il caso. Una riflessione sull’uso del sorteggio nel diritto pubblico, Iovene, Napoli, 2023.
2. Per una incisiva critica del sistema del sorteggio con riguardo agli organi del governo autonomo della magistratura, vds. V. Savio, Come eleggere il Csm, analisi e proposte: il sorteggio è un rimedio peggiore del male, in Questione giustizia online, 26 giugno 2019 (www.questionegiustizia.it/articolo/come-eleggere-il-csm-analisi-e-proposte-il-sorteggio-e-un-rimedio-peggiore-del-male_26-06-2019.php). Mi sia consentito rinviare anche a due miei scritti sul tema: N. Rossi, La riforma del Csm proposta dal Ministro Bonafede, in Questione giustizia online, 12 luglio 2019 (www.questionegiustizia.it/articolo/la-riforma-del-csm-proposta-dal-ministro-bonafede_12-07-2019.php), e Il sorteggio per i due CSM e per l’Alta Corte disciplinare. Così rinascono corporazione e gerarchia, ivi, 30 maggio 2024 (www.questionegiustizia.it/articolo/sorteggio-csm), ora in questo fascicolo.
3. Ci si riferisce alla proposta di legge d’iniziativa dei deputati Almirante ed altri, recante «Modifica degli articoli 104, 105, 107 della Costituzione sulla funzione giurisdizionale» (AC n. 3568 del 23 luglio 1971).
4. Cfr. al riguardo S. Mazzamuto, Per una riforma del sistema elettorale del Consiglio Superiore della Magistratura e della Sezione Disciplinare, in Giustizia insieme, n. 1-2/2011, pp. 107-125.
5. All’origine delle proposte di sorteggio sta la ricorrente affermazione che la magistratura italiana si è dimostrata incapace di eleggere i suoi rappresentanti, che i magistrati devono ormai difendersi dal Csm e che perciò è legittimo disarticolare il governo autonomo della magistratura, sostituendo alle elezioni e alle rappresentanze elette componenti scelti sulla base di meccanismi nei quali la casualità ha un peso assoluto o prevalente. Così, tra gli altri, M. Ainis, Il sorteggio dei migliori, La Repubblica, 7 giugno 2019, e C. Nordio, Solo un sorteggio può salvare le toghe dal mal di corrente, Il Messaggero, 7 giugno 2019, che proponeva il sorteggio in una platea di «ottimati».
6. In realtà le “conversioni” al metodo del sorteggio – pur provenendo da loquaci e onnipresenti protagonisti del dibattito pubblico – erano sembrate così emotive e futili da non poter essere prese sul serio nel momento di progettare una riforma. Mere suggestioni, insomma, incapaci di portare seri argomenti istituzionali a sostegno dell’abbandono della via maestra della rappresentanza elettiva e del radicale stravolgimento del modello di governo autonomo della magistratura. Né di maggior spessore erano state le argomentazioni della esigua minoranza di magistrati che da anni propugnava il sorteggio puro, o di quanti avevano abbracciato il sistema ibrido dell’elezione dei consiglieri in un “paniere” di sorteggiati. Magistrati che si illudevano – perché privi di immaginazione istituzionale e di visione storica – che il depotenziamento della rappresentanza dei magistrati e lo svilimento del Consiglio superiore potessero lasciare intatto lo status di indipendenza (esterna e interna), di eguaglianza (anche economica) e di autonomia conquistato nell’arco di decenni dalla magistratura italiana grazie all’azione consapevole delle sue élite rappresentative.
7. La normativa di ordinamento giudiziario ha determinato un allontanamento e un sostanziale distacco tra le carriere attraverso due successivi interventi normativi – la riforma Castelli e la riforma Cartabia –, che hanno progressivamente ridotto, fino quasi ad azzerarla, la possibilità di passare dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa. Come è noto, infatti, il d.lgs n. 160/2006, emesso in attuazione della legge delega 25 luglio 2005, n. 150, nota come riforma Castelli – entrato in vigore nella versione temperata derivante dagli interventi abrogativi della l. n. 11/2007 – vietava il passaggio delle funzioni all’interno dello stesso distretto e dei distretti della stessa regione, nonché all’interno del distretto di corte di appello competente ai sensi dell’art. 11 cpp, ad accertare la responsabilità penale dei magistrati del distretto nel quale il magistrato interessato prestava servizio all’atto del mutamento di funzioni. Inoltre, ai cambi di funzione nel corso della carriera del magistrato era posto il limite massimo di quattro ed era previsto che ogni passaggio fosse preceduto da un periodo di permanenza minimo di un quinquennio nelle funzioni che si chiedeva di mutare. A sua volta, la recente legge n. 71 del 2022, recante la delega di riforma dell’ordinamento giudiziario, nota come riforma Cartabia, ha ulteriormente accentuato il processo di interna divisione del corpo della magistratura, procedendo oltre i già rigidi steccati eretti dalla riforma Castelli e realizzando il massimo di separazione possibile tra giudici e pubblici ministeri a Costituzione invariata. L’art. 12 della legge delega ha infatti modificato l’art. 13 del d.lgs 5 aprile 2006, n. 160, stabilendo la regola generale che il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti, e viceversa, può essere effettuato una sola volta nel corso della carriera, entro 9 anni dalla prima assegnazione delle funzioni.
Trascorso tale periodo è ancora consentito, per una sola volta:
a) il passaggio dalle funzioni giudicanti alle funzioni requirenti, a condizione che l’interessato non abbia mai svolto funzioni giudicanti penali;
b) il passaggio dalle funzioni requirenti alle funzioni giudicanti civili o del lavoro, in un ufficio giudiziario diviso in sezioni, purché il magistrato non si trovi, neanche in qualità di sostituto, a svolgere funzioni giudicanti penali o miste.
È dunque divenuto evidente che, tanto la regola generale dettata dalla legge Cartabia, quanto i due ulteriori spiragli lasciati aperti per il mutamento di funzioni ora ricordati costituiscono solo modestissimi e parziali temperamenti di una divaricazione pressoché totale dei percorsi professionali di giudici e pubblici ministeri.
Un dato, questo, che risulta confermato dal numero già molto ridotto di passaggi di funzione registrati negli ultimi anni (che dimostrano come il mutamento di funzioni abbia assunto ormai un carattere del tutto marginale e meramente residuale), numero che è destinato ad assottigliarsi ulteriormente a seguito della nuova disciplina dei cambi di funzioni dettata dalla legge n. 71 del 2022.
8. Sul punto, mi sia consentito rinviare alle considerazioni svolte nel mio Separare le carriere di giudici e pubblici ministeri o riscrivere i rapporti tra poteri?, in Sistema penale, 16 novembre 2023, ora in questo fascicolo.
9. A. Zei, Il diritto e il caso, op. cit., pp. 3-4.
10. Sul legame tra sorteggio e rotazione vds., in particolare, A. Zei, op. ult. cit., pp. 150 ss.
11. Tra i mandati non sorteggiati e assegnati sulla base di una elezione da parte dell’Assemblea: l’ufficio di tesoriere militare, di intendente dello spettacolo e di curatore delle fonti e di tutti i titolari di uffici aventi attinenza con la guerra. Così Aristotele, La Costituzione degli Ateniesi, parr. 43 e 61.
12. N. Urbinati e L. Vandelli, La democrazia, op. cit., cap. IV (part.: La potenza dei numeri).
13. M.H. Hansen, La democrazia ateniese nel IV Secolo a.C., LED, Milano, 2003 (ed. it. a cura di A. Maffi), pp. 332 ss.
14. Al riguardo, Hansen, op. ult. cit., sostiene che «gli Ateniesi scelgono i loro magistrati con un sorteggio proprio per essere sicuri che essi non siano i capitani dello Stato» (ibid.).
15. A. Zorzi, La Repubblica del Leone, Rusconi, Milano, 1989 (VI ed.), p. 133.
16. Vds. la disposizione contenuta nell’art. 16, comma 3, lett. f della l. n. 240/2010, che prevede l’impiego del sorteggio per formare le commissioni chiamate ad esprimere una valutazione ai fini dell’abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore universitario di prima e seconda fascia.
17. Sui discutibili effetti della “selezione per sorteggio” per l’esercizio di funzioni pubbliche in diversi ambiti istituzionali – peraltro strutturalmente differenti dal Csm –, cfr. le informazioni e le osservazioni critiche di Luciano Vandelli in La democrazia del sorteggio, op. cit., parte seconda.
18. Per una compiuta analisi di questa forma di democrazia, cfr. J. Fishkin, La nostra voce, Marsilio, Padova, 2003. Tra gli Autori italiani, vds. D. Della Porta, Democrazie, Il Mulino, Bologna, 2011; A. Floridia, Un’idea deliberativa della democrazia. Genealogia e principi, Il Mulino, Bologna, 2017 e, dello stesso A.: La democrazia deliberativa: teorie, processi e sistemi, Carocci, Roma, 2012; La democrazia deliberativa, dalla teoria alle procedure. Il caso della legge regionale toscana sulla partecipazione, in Istituzioni del Federalismo, n. 5/2007, pp. 603-681; Democrazia partecipativa e democrazia deliberativa: una risposta plausibile alla “crisi della democrazia”?, 29 marzo 2019, pubblicato sul sito della Fondazione G. Feltrinelli (https://fondazionefeltrinelli.it/).
19. Sul tema dei limiti della democrazia rappresentativa vds. N. Urbinati, Representative Democracy. Principles and Genealogy, University of Chicago Press, 2006, e Democracy Disfigured: Opinion, Truth, and People, Harvard University Press, Cambridge (Massachusetts), 2014.
20. Le deliberative mini-publics sono le istituzioni nelle quali un corpo differenziato di cittadini è selezionato a caso per discutere insieme una questione di interesse pubblico. Sul tema vds. G. Smith e M. Setala, Mini-publics and Deliberative Democracy, Oxford Handbooks, 9 ottobre 2018, pp. 300-314 (https://academic.oup.com/edited-volume/28086/chapter-abstract/212144050?redirectedFrom=fulltext).
21 Su questo specifico aspetto cfr. N. Rossi, La Convenzione francese sul fine vita. La democrazia deliberativa per superare un’impasse?, in Questione giustizia online, 4 maggio 2023 (www.questionegiustizia.it/articolo/la-convenzione-francese-sul-fine-vita-la-democrazia-deliberativa-per-superare-un-impasse).
22. Oltre alla citate monografie di Urbinati-Vandelli e di A. Zei, cfr. M. Mandato, Il sorteggio come metodo di decisione. Principi e fattispecie, in Nomos, n. 3/2019 (www.nomos-leattualitaneldiritto.it/wp-content/uploads/2020/02/Mandato_3-2019-ver-1.pdf), e i vasti riferimenti bibliografici contenuti in questi saggi.
23. In questi termini il mio Il sorteggio per i due Csm, op. cit.
24. Su questa problematica cfr. S. Panizza, Alcune possibili criticità attuative a seguito dell’eventuale approvazione della riforma costituzionale Meloni-Nordio in materia di ordinamento giurisdizionale e istituzione della Corte disciplinare, in Questione giustizia online, 3 giugno 2025 (www.questionegiustizia.it/articolo/riforma-meloni-nordio), ora in questo fascicolo.