Magistratura democratica

L’Alta Corte disciplinare secondo il progetto di riforma costituzionale

di Rita Sanlorenzo

L’introduzione di un organo di giustizia disciplinare per i magistrati separato dal Consiglio superiore della magistratura è una costante che ha ispirato tutte le proposte di riforma dell’ordinamento giudiziario: l’Alta Corte disciplinare concepita dalla riforma costituzionale in atto concentra su di sé vari elementi tutti coerenti al disegno di comprimere sino a quasi annullarle le prerogative di indipendenza e di autonomia riservato ai magistrati. Del tutto ignote restano le intenzioni a proposito della riscrittura del codice disciplinare e della attribuzione del potere di iniziativa ad un organo diverso dal ministro, necessario contraltare al controllo della politica sull’attività giurisdizionale. La garanzia dell’art. 111 Cost. resta comunque il baluardo insuperabile per la verifica della conformità a diritto delle sentenze disciplinari.

1. La giustizia disciplinare dei magistrati secondo la riforma / 2. Un disegno risalente / 3. Le ragioni di una riforma: quelle dichiarate… / 4. … e quelle reali / 5. Riportare la magistratura nel recinto della corporazione / 6. L’insofferenza per una giurisdizione indipendente / 7. Le incognite dell’intervento legislativo attuativo della riserva / 8. Il nodo dell’iniziativa disciplinare /9. La natura giurisdizionale del procedimento disciplinare / 10. Le conseguenze della natura giurisdizionale del procedimento disciplinare: la garanzia dell’art. 111 Cost.

 

1. La giustizia disciplinare dei magistrati secondo la riforma

L’art. 4 del ddl di riforma costituzionale interviene sull’art. 105 della Costituzione, introducendo la previsione di una «Alta Corte disciplinare», deputata a svolgere la giurisdizione disciplinare nei confronti dei magistrati ordinari, giudicanti o requirenti. Essa sarà composta da quindici giudici, di cui tre nominati dal Presidente della Repubblica tra professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con almeno venti anni di esercizio, tre da appartenenti alle medesime categorie estratti a sorte da un elenco votato dal Parlamento in seduta comune, e infine da nove magistrati, di cui sei giudicanti e tre requirenti, estratti a sorte tra gli appartenenti alle rispettive categorie con almeno venti anni di esercizio delle funzioni giudiziarie e che svolgano o abbiano svolto funzioni di legittimità.

Oltre a specifiche previsioni sulla nomina del Presidente, sulla durata dell’incarico di giudice disciplinare e sul regime delle incompatibilità, il testo di legge prevede che contro le sentenze emesse in prima istanza è ammessa impugnazione, anche per ragioni di merito, soltanto dinnanzi all’Alta Corte, chiamata a giudicare senza i componenti che hanno deciso in primo grado. Si demanda alla legge ordinaria il compito di determinare gli illeciti disciplinari e le relative sanzioni, di indicare la composizione dei collegi, di stabilire le forme del procedimento disciplinare e le norme necessarie per il funzionamento dell’Alta Corte, in particolare garantendo la partecipazione ai collegi di magistrati giudicanti o requirenti.

 

2. Un disegno risalente

La legge di riforma costituzionale realizza in tali termini il disegno, già concepito in passato, di un’alta corte davanti a cui si svolgeranno i giudizi disciplinari nei confronti dei soli magistrati ordinari: le differenze rispetto a quei prototipi sono, però, vistose. Il primo progetto di riforma costituzionale che si è mosso in tal senso è quello presentato dalla Commissione parlamentare per le riforme costituzionali (cd. Commissione D’Alema) istituita dalla legge costituzionale n. 1/1997 (AC n. 3931, AS n. 2583, XIII Legislatura), che prevedeva l’istituzione della Corte di giustizia della magistratura, avente competenza per i provvedimenti disciplinari relativi ai magistrati ordinari e amministrativi e ai magistrati del pubblico ministero, nonché quale organo di tutela giurisdizionale in unico grado contro i provvedimenti assunti dai Consigli superiori della magistratura ordinaria e amministrativa.

Gli altri disegni di riforma costituzionale che si sono succeduti negli anni abbracciavano la proposta di un organo disciplinare distinto dall’organo costituzionale di autogoverno, a cui in alcuni casi si è associata l’attribuzione della funzione di controllo dei provvedimenti amministrativi da questo emanati, e, in un caso, anche la funzione di tutela delle guarentigie parlamentari nei confronti degli atti di esercizio della giurisdizione penale[1]. Più di recente, ampia discussione ha suscitato la formulazione di un disegno di legge costituzionale presentato al Senato il 28 ottobre 2021, prima firmataria la Sen. Rossomando (Partito Democratico), AS n. 2436, XVIII Legislatura, intitolato: «Modifiche al Titolo IV della Parte II della Costituzione in materia di istituzione dell’Alta Corte», che ritornava alla prospettiva dell’istituzione di un giudice in materia disciplinare chiamato a conoscere delle controversie riguardanti l’impugnazione dei provvedimenti disciplinari adottati dagli organi di autogoverno della magistratura ordinaria, amministrativa, contabile, militare e tributaria, nonché delle controversie riguardanti l’impugnazione di ogni altro provvedimento riguardante i magistrati adottato dai suddetti organi di autogoverno (art. 105-bis); il giudizio davanti all’Alta Corte si sarebbe articolato in due gradi di giurisdizione, di cui il primo davanti a un collegio di tre componenti e quello di impugnazione davanti al plenum (art. 105-quater); contro le decisioni adottate in composizione plenaria, si affermava espressamente, «non è ammessa alcuna impugnazione».

Tornando al disegno di riforma in corso di approvazione, si evidenziano alcune notevoli differenze con il progetto da ultimo richiamato (che riprende molte delle proposte già formulate in anni precedenti dall’On. Violante): esso, piuttosto, condivide molte delle scelte che avevano caratterizzato il ddl costituzionale presentato dall’On. Bartolozzi, attuale Capo di Gabinetto del Ministro Nordio (AC n. 2709, XVIII Legislatura), con cui si prevedeva l’attribuzione a una «Alta Corte di giustizia» della sola «funzione disciplinare nei riguardi dei magistrati giudicanti e requirenti», esercitata mediante provvedimenti impugnabili davanti alle sezioni unite penali della Corte di cassazione per violazione di legge. Tale ultima previsione, invece, è del tutto assente dal testo dell’art. 105 Cost., come riformato dal ddl 1917, sicché resta oscuro se le decisioni dell’Alta Corte potranno essere sottoposte ancora al sindacato di legittimità delle sezioni unite della Corte di cassazione. Ma di questo si dirà oltre.

 

3. Le ragioni di una riforma: quelle dichiarate…

Prima di procedere a illustrare nello specifico le norme destinate a regolare il nuovo sistema disciplinare dei magistrati ordinari, è importante dar conto delle ragioni che hanno ispirato i proponenti e, nel contempo, evidenziare il quadro complessivo in cui esse si inseriscono.

È stato dichiarato da più parti che l’istituzione dell’Alta Corte è funzionale a introdurre una giustizia disciplinare dei magistrati più efficace e severa, svincolata dalle logiche corporative di un giudice “domestico”, inserito organicamente nel sistema dell’autogoverno, di cui avrebbe riprodotto i difetti e le storture. È bene innanzitutto sfatare questo punto di partenza, che punta il dito contro il “lassismo” della giustizia disciplinare, che in realtà ha prodotto e produce risposte sanzionatorie su un piano quantitativo e qualitativo[2] che non conoscono pari in nessuna delle altre pubbliche amministrazioni, men che meno per quel che riguarda la magistratura amministrativa e quella contabile, presso le quali il giudizio disciplinare si svolge di fronte al rispettivo Consiglio di presidenza. Non solo: l’assunto di partenza è smentito clamorosamente anche dal confronto con i dati, ove conoscibili, relativi alle altre magistrature, soprattutto quelle il cui ordinamento è più simile al nostro[3]. La premessa, pur se indimostrata – anzi, come si è visto, addirittura smentita da un esame oggettivo della situazione generale (che però non potrà compiersi nelle aule parlamentari stante la chiusura ad ogni forma di discussione pubblica) –, è però il fondamento di quel dichiarato intento punitivo e vendicativo nei confronti della magistratura che anima i promotori e i sostenitori della riforma. Ma le motivazioni più profonde sono ben più insidiose. Per esaminarle, occorre tornare all’impianto generale della riforma e all’architettura istituzionale su cui si sorregge.

 

4. … e quelle reali

In termini generali, è senz’altro vero che la maggior novità del progetto di riforma, che “rompe” anche con tutte le precedenti proposte in tema di assetto della magistratura, è quella che individua nel sorteggio il metodo di scelta dei magistrati destinati a comporre tanto i due Consigli superiori, quanto l’unica Alta corte. Una scelta che si giustifica, nella discussione pubblica, con la necessità di porre fine al sistema delle correnti, di cui sarebbe vittima – anzi, si potrebbe dire, “ostaggio” – l’intera magistratura, piegata alla logica dell’appartenenza in luogo di quella del merito. Quest’ultima affermazione non poggia, anche in questo caso, su alcuna base oggettiva se è vero che alle ultime votazioni per l’elezione del Comitato direttivo centrale dell’Associazione nazionale dei magistrati, fondato su sistema elettorale proporzionale per liste, nel gennaio 2025 ha votato l’81,57% dei magistrati.

Quanto agli scandali che nel passato hanno creato clamore intorno ai criteri di nomina dei ruoli direttivi (primo fra tutti, il famoso incontro presso l’Hotel Champagne di Roma tra componenti del Csm e politici interessati alla nomina del Procuratore della Repubblica di Roma, meglio nota come vicenda Palamara) e che starebbero a dimostrare l’insostenibilità del sistema, la vicenda suggerisce una riflessione di carattere generale: se il rimedio contro l’elettorato che sbaglia è quello di punirlo e di rieducarlo attraverso la privazione del suo potere di scelta, la soluzione potrà poi riproporsi per ogni situazione in cui il risultato elettorale non corrisponderà alle aspettative. La ferita ai normali meccanismi di rappresentanza, sempre applicati per la nomina degli organi disciplinari professionali, a partire da quelli degli avvocati, è molto più profonda di quello che appare; va molto oltre l’intento immediato, l’inflizione di una umiliazione all’intera magistratura, in cui si agglomerano le sedimentate frustrazioni di una categoria professionale, quella degli avvocati, che non riesce da tempo a vedere le ragioni di dialogo e di confronto per riuscire a dare il proprio fondamentale contributo per il miglioramento del servizio, e preferisce invece trovare soddisfazioni nell’alleanza con una maggioranza che sta cavalcando il suo malessere, e la rivincita di una classe politica che si vendica per il passato ma soprattutto punta, per il futuro, alla limitazione delle istituzioni di garanzia.

 

5. Riportare la magistratura nel recinto della corporazione

Piuttosto, è vero che il disegno va ben oltre l’immediato, tangibile risultato di umiliare la magistratura: l’obiettivo finale è quello di far rivivere una magistratura come «corporazione indifferenziata, nella quale non sono ravvisabili – e comunque non sono legittime – diverse idealità e diverse interpretazioni degli interessi professionali»[4]. Riportarla dunque entro il recinto tradizionale della corporazione, animata da null’altro che da scopi e interessi di carriera e ben attenta a non spezzarlo, quel recinto. Una magistratura che è assoggettata al giudizio disciplinare di un organo – unitario, pur dopo la differenziazione delle carriere e la duplicazione dei Csm – i cui componenti verranno estratti a sorte, ma nel più ristretto insieme dei magistrati con almeno vent’anni di carriera, e con funzioni, presenti o passate, di legittimità: al posto del criterio di rappresentanza, si afferma quello di gerarchia, posto che solo magistrati che fanno o hanno fatto parte della Suprema Corte di cassazione potranno avere la sorte di giudicare disciplinarmente i loro colleghi.

A ben riflettere, peraltro, la stessa introduzione del sorteggio – per i Csm e per l’Alta Corte – priva di significato la principale delle ragioni su cui si è maggiormente enfatizzata la necessità di scindere l’organo di autogoverno dal giudice disciplinare, ossia quella di sottrarre quest’ultimo dalla logica della spartizione correntizia: se nei due Consigli superiori le correnti non saranno più rappresentate a seguito dell’elezione dei loro rappresentanti, e dunque non potranno qui imporre la loro logica spartitoria, non si dice perché comunque è necessario tirar via dall’organo di autogoverno una delle funzioni che maggiormente qualifica l’autogoverno medesimo, ossia appunto la giustizia disciplinare. Già con la riforma Cartabia (art. 22 l. n. 71/2022) si è provveduto, con la modifica dell’art. 3 l. n. 195/1958, a stabilire il regime delle incompatibilità per i componenti della sezione disciplinare, che, oltre a poter essere assegnati a una sola commissione, sono esclusi di diritto dalle commissioni «per il conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi, per le valutazioni di professionalità e in materia di incompatibilità nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e di applicazione dell’articolo 2, secondo comma, del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511»[5].

 

6. L’insofferenza per una giurisdizione indipendente

Oggi, però, se è pur vero che quella modifica era comunque frutto dell’identico humus culturale, che vedeva nella separazione fra autogoverno e disciplinare il rimedio al ritenuto lassismo della giurisdizione domestica, la risposta che si prospetta compie uno strappo ben più radicale, anzi eversivo rispetto ai principi costituzionali di autonomia e indipendenza. E se essa, nelle dichiarazioni dei suoi promotori, è ispirata – anche per lo specifico profilo della giustizia disciplinare – da un ostentato disprezzo per la magistratura e per le prove che ha dato nell’utilizzare le sue prerogative costituzionali, nel profondo, piuttosto, essa è dettata dall’insofferenza per quello stesso sistema di garanzia, posto a tutela del principio cardine per lo Stato di diritto di una giurisdizione indipendente dagli altri poteri. Uno dei modi più efficaci e pericolosi di esercitare questa pressione sta, in effetti, proprio nel colpire – o minacciare di colpire – disciplinarmente il magistrato, che non a caso non può essere sanzionato per «l’attività di interpretazione di norme di diritto e quella di valutazione del fatto e delle prove», salvo che le sue condotte non integrino specifici illeciti (art. 2, comma 2, d.lgs n. 109/2006).

 

7. Le incognite dell’intervento legislativo attuativo della riserva

Non sono state ancora rese note le linee che verranno seguite nell’adempiere alla riserva legislativa secondo la quale sarà la legge ordinaria, tra l’altro, a determinare gli illeciti disciplinari e le relative sanzioni. L’intenzione generale, però, è dichiarata, avendo più volte ribadito il Ministro che si metterà mano alle norme attuali per giungere a sanzionare quei comportamenti contrastanti con il dovere di imparzialità, ribadendo la necessità di garantire «sobrietà, riservatezza e irreprensibilità nei comportamenti individuali, anche al di fuori dell’esercizio delle funzioni»[6]. Da ultimo, poi, gli obiettivi si sono rivelati ancora più precisi, stante l’attacco diretto a «singoli esponenti dell’ordine giudiziario (che) ritengono di poter assumere pubblicamente posizioni politiche o di poter partecipare ad iniziative su temi politicamente sensibili, con un atteggiamento di forte contrapposizione all’azione di governo»[7].

Il codice disciplinare dei magistrati in vigore, varato nel 2006, come è ben noto, si regge sul principio di tassatività degli illeciti disciplinari, introdotto al fine di superare la previgente clausola generale di cui all’art. 18 rd.lgs n. 511/1946, secondo cui erano meritevoli di sanzione disciplinare i comportamenti del magistrato che integravano la violazione dei suoi doveri, ovvero tali da far venir meno la fiducia e la considerazione di cui egli deve godere, o da compromettere il prestigio dell’ordine giudiziario. Come si è già tentato di illustrare in un precedente scritto[8], l’attuale sistema disciplinare non risponde all’intento di delineare il modello deontologico a cui il magistrato deve attenersi: la scelta legislativa è stata nel senso di restringere il raggio dell’intervento disciplinare al delimitato cerchio degli illeciti tipizzati, in luogo di concepire interventi sanzionatori in relazione a generiche violazioni degli obblighi cui il magistrato deve attenersi. 

Le parole del Ministro fanno invece pensare a un ritorno alla precedente impostazione, nella reviviscenza di un sistema che confonde etica e responsabilità disciplinare, e che punta a sanzionare la manifestazione del pensiero “sgradita”, e come tale priva dei requisiti (tutti da definire) di sobrietà e irreprensibilità, spingendosi fino a ipotizzare forme di repressione disciplinare nei confronti dei magistrati che dissentono. Occorre, però, che il Ministro, nel tradurre in norme positive i suoi propositi, tenga conto dei limiti che la giurisprudenza costituzionale, e quella della Corte Edu, hanno posto al potere di reprimere la libertà di pensiero e di parola del magistrato: nei cui confronti non solo va riconosciuto il generale diritto alla libertà di espressione, ma deve affermarsi la titolarità di un vero e proprio «dovere di parlare in difesa dello Stato di diritto e dell’indipendenza della magistratura quando tali valori fondamentali siano minacciati»[9]. Negli arresti della Corte europea, anzi, la libertà di espressione del giudice si spiega in funzione del ruolo di “difensore dei diritti”, e dunque viene, per certi versi, rafforzata e definita come irrinunciabile[10]: di tutte queste pronunce, che insieme con i vari documenti europei vanno a costituire lo statuto dei magistrati dell’Ue, dovrà dunque saper tenere conto il legislatore, prima e meglio delle dichiarate intenzioni sanzionatorie.

 

8. Il nodo dell’iniziativa disciplinare

Non si conoscono nemmeno i propositi legislativi in ordine agli altri argomenti su cui il nuovo art. 105 fissa la riserva di legge, ossia la composizione dei collegi, le forme del procedimento disciplinare e le norme necessarie per il funzionamento dell’Alta Corte (con il solo limite per la legge di assicurare che i magistrati giudicanti o requirenti siano rappresentati nel collegio, evidentemente a seconda dell’appartenenza del magistrato incolpato). Ma nulla trapela nemmeno su altri profili che la riserva non tocca, e che pure sono essenziali per il completamento del sistema. 

Il primo, forse non in ordine di importanza, ma comunque significativo, è quello concernente l’individuazione dei soggetti a cui spetta l’iniziativa disciplinare. Non viene modificata la previsione dell’art. 107 Cost. che l’assegna al Ministro della giustizia, in via prioritaria ma non esclusiva, dato che nell’attuale ordinamento il disegno si completa con la previsione dell’art. 10, comma 1, n. 3 della legge n. 195/1958, istitutiva del Consiglio superiore della magistratura, che attribuisce il potere di iniziativa disciplinare al procuratore generale della Corte di cassazione, come poi ribadito nel d.lgs n. 109/2006.

L’attribuzione a quest’ultimo organo dell’iniziativa disciplinare – ma non solo di essa: al pg spettano, in via esclusiva, il potere di disporre indagini e la rappresentanza avanti al Csm –, come è stato osservato[11], completa l’architettura conferendole un equilibrio insostituibile, in quanto l’iniziativa del Ministro costituisce «la proiezione della responsabilità di un giudice indipendente non solo nei confronti dell’ordine di appartenenza, ma di tutta la collettività.

Allo stesso modo l’iniziativa del pg riporta all’interno dell’ordine di appartenenza il presidio dei valori deontologici fondamentali e segna la piena giurisdizionalizzazione dell’esercizio dell’azione, che, come prevede l’art. 14 del d.lgs. 109/06 appartiene all’iniziativa di entrambe, ma che il ministro promuove, come dice il secondo comma, “mediante richiesta di indagini”». 

 

9. La natura giurisdizionale del procedimento disciplinare

Che il procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati abbia sicuramente natura giurisdizionale lo ha ribadito con convinzione, in tante occasioni, la Corte costituzionale, sottolineando che l’interesse pubblico al corretto e regolare svolgimento delle funzioni giurisdizionali e al prestigio dell’ordine giudiziario, cui è diretto il procedimento disciplinare, impone nel contempo anche la pienezza della tutela giurisdizionale del magistrato incolpato. 

Afferma infatti la Corte (sent. n. 497/2000) che «Il massimo di incisività delle garanzie accordate al magistrato sottoposto a procedimento disciplinare, infatti, non può che convertirsi in una altrettanto incisiva tutela del prestigio dell’ordine giudiziario e del corretto e regolare svolgimento delle funzioni giudiziarie»: e se, come tutti i procedimenti disciplinari potenzialmente incidenti su ogni status professionale, anche il procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati investe la posizione del soggetto nella vita lavorativa e coinvolge beni della persona che, di per sé, già richiedono garanzie efficaci, con riferimento ai magistrati «l’esigenza di una massima espansione delle garanzie difensive si fa, se possibile, ancora più stringente, poiché nel patrimonio di beni compresi nel loro status professionale vi è anche quello dell’indipendenza, la quale, se appartiene alla magistratura nel suo complesso, si puntualizza pure nel singolo magistrato, qualificandone la posizione sia all’interno che all’esterno: nei confronti degli altri magistrati, di ogni altro potere dello Stato e dello stesso Consiglio superiore della magistratura». L’esigenza di fondo si rinviene nella necessità che nella pubblica opinione «in nessun caso possa ingenerarsi il sospetto, anche il più remoto, che il procedimento disciplinare si trasformi in uno strumento per reprimere convincimenti sgraditi o per condizionare l’esercizio indipendente delle funzioni giudiziarie». 

Ciò posto, occorre allora convenire, sul piano strettamente procedurale, che la previsione di modifica dell’art. 105 Cost. (art. 4 del disegno di legge) nel senso di un duplice grado di giudizio di merito soltanto dinanzi alla stessa Alta Corte, che giudica senza la partecipazione dei componenti che hanno concorso a pronunciare la decisione impugnata, non può di per sé escludere sul piano costituzionale la necessità che tale procedimento sia contraddistinto dal carattere giurisdizionale, proprio per la ineludibilità delle garanzie di cui i magistrati sottoposti al procedimento giurisdizionale devono godere, secondo i principi più volte enunciati dalla Corte costituzionale.

La stessa previsione di una specifica riserva di legge, ai fini della determinazione degli illeciti disciplinari e delle relative sanzioni, ovvero ai fini della composizione dei collegi e delle forme del procedimento disciplinare, devono intendersi come altrettanti indici della necessità di muoversi nella direzione già tracciata dalla Costituzione, con la conseguente piana configurabilità del rimedio di cui all’art. 111 Cost. avverso la pronuncia resa sul gravame di merito, in quanto attuazione di quel “diritto al ricorso per cassazione”, quale prefigurato da molteplici sentenze della Corte costituzionale (nn. 29/1972, 26/1999, 395/2000, 207/2009).

 

10. Le conseguenze della natura giurisdizionale del procedimento disciplinare: la garanzia dell’art. 111 Cost.

Se dunque non è pensabile che dalla creazione di un’Alta Corte attraverso la modifica dell’art. 105 Cost. possa farsi discendere l’eliminazione del carattere giurisdizionale del processo disciplinare, in quanto esso è connaturato agli interessi e ai valori sottesi a tale forma di responsabilità, deve allora immaginarsi che l’equilibrio del sistema imponga che ancora e sempre dentro la giurisdizione debba collocarsi l’organo deputato a condividere con il Ministro il potere di iniziativa: anche perché – lo si ribadisce – a questa attribuzione si annette non solo quella di svolgere le indagini e di assumere la rappresentanza davanti al Csm, ma soprattutto quella di definire anticipatamente, all’esito della fase predisciplinare, il procedimento con un provvedimento, il decreto di archiviazione, che sicuramente ha natura giurisdizionale e che attualmente spetta esclusivamente al procuratore generale, anche se, nel bilanciamento dei sottesi interessi, esso è comunque sottoposto all’esame del Ministro, il quale, se dissente, promuove l’azione. L’introduzione di un regime di carriere separate può consigliare, semmai, una migliore e più stabile strutturazione del servizio interno all’ufficio e l’adozione di regole trasparenti e conoscibili a proposito delle assegnazioni degli affari, delle modalità di svolgimento dell’attività e degli orientamenti interpretativi, secondo una direzione peraltro già fatta propria dalla Procura generale nello svolgimento attuale della funzione[12].

Non convincono, pertanto, le suggestioni a proposito della necessità di completare la riforma con l’introduzione – per via di legge ordinaria – di un’Alta Autorità requirente, anch’essa dotata dei caratteri della separatezza rispetto alla ordinaria funzione giudiziaria, perché è soprattutto in una materia quale quella disciplinare che il giudizio di responsabilità non può prescindere dall’esperienza diretta e concreta dei suoi attori, della loro piena e attuale appartenenza alla funzione giurisdizionale, di cui l’iniziativa disciplinare non è che un corollario e una modalità espressiva. Men che meno appare ipotizzabile un potere di iniziativa tutta interna al potere politico, esclusivamente in capo al Ministro, posto che è solo nella dialettica tra giurisdizione e politica, alla ricerca del migliore equilibrio, che possono evitarsi strumentalizzazioni e torsioni dello strumento verso fini che non siano quelli strettamente attinenti alla tutela dell’interesse pubblico al corretto esercizio della funzione, al sicuro da ogni possibile tentativo di limitare e comprimere per tale via l’indipendenza della giurisdizione.

Ma infine, e non per un aspetto di minor conto, la irrinunciabilità della natura giurisdizionale del procedimento disciplinare, indipendentemente dall’organo deputato al giudizio, comporta la risposta a un ultimo, fondamentale interrogativo, che discende dalla lacuna del testo riformatore: quello concernente la ricorribilità delle decisioni dell’Alta Corte avanti alle sezioni unite della Corte di cassazione, per motivi esclusivamente di legittimità. Se infatti, come sopra ricordato, la Corte costituzionale ha più volte espressamente ribadito la presenza nel nostro ordinamento di un “diritto al ricorso in cassazione”, non può certo sostenersi, al contrario, che all’esito di un procedimento giurisdizionale che involge interessi di rango costituzionale sia precluso l’accesso alla suprema giurisdizione. Si tratterebbe in ogni caso di una vistosa violazione del principio di eguaglianza, tutto e solo a scapito delle garanzie che al magistrato spettano a fronte della sua sottoposizione alla giustizia disciplinare.

 

 

1. A. Cosentino, L’Alta Corte. È davvero una buona idea?, in Questione giustizia online, 25 marzo 2022 (www.questionegiustizia.it/articolo/l-alta-corte-e-davvero-una-buona-idea).

2. Il riassunto statistico dell’attività disciplinare è pubblicato nella Relazione del Procuratore generale della Cassazione, pp. 328 ss.(www.procuracassazione.it/resources/cms/documents/Intervento_del_Procuratore_generale_sullamministrazione_della_giustizia_nellanno_2024.pdf).
Sono state 24 le pronunce della sezione disciplinare che hanno comminato sanzioni, soprattutto della tipologia più grave: 10 censure, 8 perdite di anzianità, 2 rimozioni. Merita rimarcare che in otto casi si è pervenuti alla decisione di “non doversi procedere” in base alla cessata appartenenza del magistrato all’ordine giudiziario: si tratta di dimissioni volontarie anticipate a seguito di apertura del procedimento disciplinare, quasi sempre a fronte di addebiti gravi.

3. E. Bruti Liberati, Senato della Repubblica, Commissione Affari costituzionali, Audizione del 6 marzo 2025 (www.questionegiustizia.it/data/doc/4134/e-bruti-liberati-audizione-senato-6-marzo-2025-senato-ok.pdf), ora in questo fascicolo. 

4. N. Rossi, Il sorteggio per i due Csm e per l’Alta Corte disciplinare. Così rinascono corporazione e gerarchia, in Questione giustizia online, 30 maggio 2024 (www.questionegiustizia.it/articolo/sorteggio-csm), ora in questo fascicolo. 

5. M. Patarnello, Assetto, struttura e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura nel tormentato percorso della riforma Cartabia, in questa Rivista trimestrale, n. 2-3/2022, pp. 35-43 (www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/1025/2-3_2022_qg_patarnello.pdf), dove si sottolinea «il difetto (della riforma) di recepire lo spirito dei sostenitori della ipotizzata incompatibilità, aprendo il varco a possibili futuri interventi radicali».

6. Il ministro Nordio: «Magistrati sobri anche fuori dalle aule. Pronti a riformare le sanzioni disciplinari», Il Dubbio, 20 maggio 2025 (www.ildubbio.news/giustizia/il-ministro-nordio-magistrati-sobri-e-imparziali-anche-fuori-dalle-aule-pronti-a-riformare-le-sanzioni-disciplinari-nf96t47m).

7. M. Di Vito, Nordio promette sanzioni ai giudici che lo criticano, Il Manifesto, 25 maggio 2025 (https://ilmanifesto.it/nordio-promette-sanzioni-ai-giudici-che-lo-criticano).

8. R. Sanlorenzo, Imparzialità, libertà di espressione del magistrato e illecito disciplinare, in questa Rivista trimestrale, n. 1-2/2024, pp. 161-170 (www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/1163/1-2_2024_qg_sanlorenzo.pdf).

9. Sentenza Żurek c. Polonia, commentata da R. Sabato, Una nuova tutela “genetica” dell’indipendenza-imparzialità giudiziaria nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo?, in questa Rivista trimestrale, n. 1-2/2024, pp. 222-230 (www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/1170/1-2_2024_qg_sabato.pdf).

10. Vds. anche, di recente, la sentenza Danilet c. Romania, in cui all’attenzione della Corte Edu è stato portato il caso di un magistrato sanzionato per aver pubblicato due messaggi su un suo profilo nei social media, seguito da circa 50.000 utenti: la Corte ha ritenuto che i tribunali nazionali non avessero tenuto nella dovuta considerazione diversi aspetti, in particolare: il contesto più ampio in cui si erano inserite le dichiarazioni del ricorrente; la sua partecipazione a un dibattito su temi di interesse pubblico; l’essere o no i giudizi espressi sufficientemente basati su fatti; infine, l’effetto potenzialmente “chilling” della sanzione. L’esistenza di un pregiudizio alla dignità e all’onore della professione di giudice non era stata, poi, sufficientemente dimostrata.

11. E. Cesqui, Il giudizio disciplinare: l’esercizio dell’azione tra poteri, limiti e linee guida. Il ruolo della Procura generale e del Ministro della giustizia - Il procedimento, in Scuola superiore della magistratura, Il procedimento disciplinare dei magistrati, Quad. n. 8, pp. 25 ss.

12. R. Sanlorenzo, La giustizia disciplinare dei magistrati. Natura del procedimento, ruolo e organizzazione della Procura generale della Corte di Cassazione. Quali prospettive a seguito dell’istituzione dell’Alta Corte Disciplinare?, in Questione giustizia online, 19 giugno 2024 (www.questionegiustizia.it/articolo/disciplinare-magistrati), ora in questo fascicolo.