Senato della Repubblica, Commissione Affari Costituzionali. Audizione informale del 6 marzo 2025
1. Ministro e Consiglio superiore della magistratura / 2. Il Consiglio superiore della magistratura / 3. Alta Corte disciplinare / 3.1. Un unico giudice disciplinare per tutte le magistrature / 3.2. Come funziona la giustizia disciplinare dei magistrati ordinari / 3.3. L’Alta Corte disciplinare nel ddl governativo / 4. Il ruolo del pm e la separazione delle carriere / 5. Conclusione
1. Ministro e Consiglio superiore della magistratura
Palazzo del Quirinale, 18 luglio 1959. Nel discorso pronunciato per l’insediamento del primo Csm, l’allora Ministro della giustizia Guido Gonella scolpisce in due righe la rottura radicale operata dalla Costituzione: «Con ciò si effettua il trapasso dei poteri che la Costituzione attribuisce al Consiglio superiore e che il Governo e il ministro della Giustizia hanno finora esercitati». Al Ministro rimangono attribuite le competenze per l’«organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia».
Se la Costituzione, tra i Ministri, menziona, unico, quello della giustizia è perché vuole delimitare in modo nettissimo il confine tra le sue attribuzioni e quelle “trasferite” al Csm. Rilevantissimi compiti, allora e ancor più oggi, quelli attribuiti al Ministro, compiti che, sotto diversi profili, esigono una «leale collaborazione» del Csm, per usare l’espressione della Corte costituzionale. Ma tutti, nessuno escluso, i poteri di governo della magistratura sono attribuiti al Csm.
Nell’Italia liberale, in mancanza di una istituzione di garanzia, l’indipendenza della magistratura giudicante era priva di ogni tutela poiché il Governo, tramite il Ministro guardasigilli, ne governava la carriera e l’organizzazione, con una influenza diretta sul merito delle decisioni giudiziarie.
Lo esprime chiaramente Giovanni Giolitti nel famoso discorso tenuto agli elettori di Caraglio nel 1897:
«Al governo restano i seguenti poteri sulla magistratura. Dei pretori dispone liberamente, senza alcuna garanzia. I magistrati sono tutti nominati dal governo; le promozioni loro dipendono per intero dal beneplacito del governo; il governo può negare loro qualsiasi trasferimento; è il governo che determina le funzioni a cui ciascun magistrato può essere addetto (…) nel qual modo ha in mano sua l’istruzione dei processi penali e così l’onore e la libertà dei cittadini; infine il ministro guardasigilli ha il diritto di chiamare a sé e di ammonire qualunque membro di corte e di tribunale».[1]
Giolitti non menziona neppure il pubblico ministero, che era soggetto alla “direzione” del Ministro della giustizia.
Il regime fascista, anche dopo la stretta autoritaria, non avrà necessità di mutare nulla per esercitare il suo controllo sui giudici e sul pubblico ministero e non lo farà neppure con la complessiva riforma dell’ordinamento giudiziario “Grandi” del 1941.
La novità, la «rivoluzione»[2], per usare una espressione del Prof. Silvestri, è rappresentata dalla Costituzione repubblicana che istituisce un Consiglio superiore della magistratura, il quale, per la composizione e le attribuzioni, è posto come garante effettivo della indipendenza della magistratura tutta.
Il legislatore della revisione costituzionale può tutto, o quasi, ma occorre un’attenzione particolare quando si interviene su snodi così rilevanti come quello dell’equilibrio tra i poteri dello Stato.
2. Il Consiglio superiore della magistratura
Nel dibattito pubblico, il disegno di legge costituzionale del Governo, ora S 1353, viene di solito citato come “separazione delle carriere tra giudici e pm”.
Ma di ben altro si tratta, come d’altronde emerge sin dall’intitolazione: «Norme in materia di ordinamento giurisdizionale (…) ».
Il richiamo, nell’esordio della Relazione al ddl, alla volontà di dare piena attuazione al novellato art. 111 Cost. e ai principi del modello accusatorio non si traduce in disposizioni dirette ad assicurare la pienezza della regola del contraddittorio sul piano delle regole processuali, né a rafforzare le garanzie di difesa. Il risultato, non importa se perseguito, di certo raggiunto è quello di ridefinire il rapporto tra potere politico e potere giudiziario. Con la riscrittura degli artt. 104 e 105 Cost. non rimane quasi nulla del “modello Csm” della Costituzione del 1948, «pietra angolare» del nuovo ordinamento giudiziario, come ebbe a definirlo nel 1986 la Corte costituzionale[3].
Una questione che non dovrebbe essere elusa dai sostenitori della separazione: per avere questa, siete disposti ad accettare tutti quegli effetti che collaterali non sono?
Il Csm, l’organo di “rilevanza costituzionale” al quale il Costituente ha attribuito tutti i compiti di “governo” della magistratura, sottraendoli al Ministro della giustizia, viene ridotto alla quasi irrilevanza. È spezzettato in due organi non comunicanti, gli si sottrae la competenza disciplinare e, soprattutto, attraverso il sorteggio dei componenti togati (secco o temperato che sia) se ne affida il funzionamento, appunto, al caso.
Sono previsti due distinti Csm. Ma parte notevole dell’attività del Csm riguarda tutta la magistratura: dalle proposte di riforma ai pareri su progetti di legge, per non dire del ruolo di tutela dell’indipendenza della magistratura tutta. E nella gestione del sistema giustizia come si potrà valutare il progetto organizzativo di una procura senza coordinarlo con quello corrispondente del tribunale? E che sarà della Scuola superiore della magistratura, ove oggi, nei corsi di formazione e di aggiornamento, pm e giudici siedono spesso sui banchi fianco a fianco?
Il modello italiano di Csm “forte” è stato riferimento per i Paesi mediterranei che hanno riconquistato la democrazia, come la Spagna e il Portogallo, e altrettanto lo è stato successivamente per i Paesi dell’Europa centrale e dell’Est dopo la caduta del Muro di Berlino.
Il Csm italiano nel 2004 si è fatto promotore, insieme a tredici Stati membri dell’Unione europea, della fondazione a Roma della Rete europea dei consigli di giustizia (ENCJ European Network of Councils for the Judiciary), che oggi conta le istituzioni di ventuno Stati membri.
Non si possono nascondere le “ombre” del nostro Csm, ma dalle gravi vicende del 2019 sono passati cinque anni e l’istituzione si è impegnata nel mettere in atto una serie di anticorpi. Da quella vicenda taluno ha voluto trarre spunto per una condanna radicale e definitiva delle “correnti” della magistratura. La peculiarità italiana non è l’esistenza di una pluralità di associazioni di magistrati, le cosiddette “correnti”, ma il fatto che l’Italia è oggi uno dei pochi Paesi in Europa ad avere un’Associazione nazionale di magistrati, che in sostanza è una federazione di diverse associazioni.
In tutti i Paesi europei esistono associazioni di magistrati e, quasi sempre, più di una. L’associazionismo dei magistrati non solo si fonda su un diritto fondamentale di libertà dei magistrati, ma è stato anche incoraggiato come elemento di crescita della coscienza professionale già in un testo adottato a livello Onu nel 1985[4] e, poi, in diverse iniziative del Consiglio d’Europa. Nella «Magna Charta dei Giudici», approvata nel 2010 dal Consiglio consultivo dei Giudici europei (CCJE), il tema è affrontato all’art. 12:
«I giudici hanno diritto di aderire ad associazioni di magistrati, nazionali o internazionali, con il compito di difendere la missione della magistratura nella società».
La raccomandazione (2012) 12 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, all’art. 25 detta: «i giudici devono essere liberi di formare o aderire a organizzazioni professionali che abbiano come obiettivo di difendere la loro indipendenza, proteggere i loro interessi e promuovere lo Stato di diritto».[5]
Con riferimento alla situazione dei Paesi dell’Europa dell’Est e come reazione alle associazioni ufficiali, “di regime” dei magistrati, si è molto insistito sul concetto di libere associazioni, aprendo la strada a una molteplicità di associazioni nell’ambito di uno stesso Paese e, dunque, al pluralismo. Il Consiglio d’Europa, dopo la caduta del Muro di Berlino, si è adoperato nell’Europa centrale e dell’Est per incoraggiare la formazione di libere associazioni di magistrati. In molti Paesi – Francia, Spagna, Belgio, Polonia e Germania – sono attive diverse associazioni di magistrati. Queste associazioni concorrono alle elezioni dei vari consigli superiori o consigli di giustizia. Il parere n. 24 (2021) del CCJE, al punto 14, si pronuncia per il principio di elettività dei magistrati componenti dei consigli di giustizia «al fine di garantire la più ampia rappresentanza possibile».
Con il ddl costituzionale S 1353, oggi in discussione, si cancella un aspetto essenziale del Csm della Costituzione del 1948: la elettività dei componenti. Mi soffermo sul sorteggio della componente togata, anche nella versione cd. “temperata”, che temperata non è perché è in gioco il principio della rappresentatività.
Sembra si voglia tornare all’idea dei magistrati «bocca che pronuncia le parole della legge, esseri inanimati» (Montesquieu). Per i magistrati, si dice, “uno vale uno”, perché non debbono avere idee sui temi di giustizia e men che meno possono fare riferimento alle espressioni dell’associazionismo giudiziario. Nessuna rappresentanza al pluralismo delle idee, che comunque rimarrà. Nessuna attenzione alla pur banale circostanza che il ruolo di gestire il corpo giudiziario e la sua organizzazione è cosa diversa dal giudicare e dall’investigare: la realtà ci mostra capi di ufficio ottimi giuristi e ottimi organizzatori, ma anche il caso di ottimi giuristi e disastrosi organizzatori.
Anche i più zelanti sostenitori non arrivano a dire che la riforma sarà utile a un migliore funzionamento della macchina giudiziaria. In realtà, questa riforma porterebbe a un peggioramento. Sui giornali va il Csm quando delibera sulla nomina dei dirigenti di grandi uffici giudiziari o esprime pareri su progetti di legge. Ma la stragrande maggioranza dell’attività del Consiglio è di gestione del corpo giudiziario e un Csm composto secondo quanto il caso ha voluto non è di certo garanzia di buona amministrazione.
Con il sorteggio non verrà meno l’associazionismo giudiziario italiano, articolato nel pluralismo delle “correnti”, che ha mostrato, di fronte a gravi episodi di degenerazione corporativa, la capacità di rinnovarsi e insieme la persistente vitalità dimostrata dalla percentuale altissima di magistrati che hanno votato alle recenti elezioni per il rinnovo degli organi dirigenti dell’Anm. Non vi è legge che possa cancellare una libera associazione cui aderisce il 97% dei componenti del corpo.
I sistemi elettorali devono tendere a garantire la libera espressione degli elettori, evitando meccanismi che prevedano o inducano sistemi di liste bloccate o accordi di vertice. Se invece si vuole ignorare il fenomeno dell’associazionismo, l’esito, come l’esperienza ha insegnato, può risultare addirittura controproducente. Anche la versione impropriamente definita “temperata” del sorteggio somma tutti i difetti. Il sorteggio iniziale è espressione della logica inaccettabile dell’“uno vale uno”; poi le “correnti” sosterranno tra i sorteggiati quei candidati che ritengono più vicini o meno lontani dalle loro idee sulla gestione del governo della magistratura; l’elettore non vuole mai “sprecare” il suo voto e quindi lo indirizzerà sui candidati sostenuti dalle correnti. In una classica eterogenesi dei fini, con il sorteggio si sommano i difetti della casualità e della concentrazione del voto sui candidati sostenuti da una corrente o comunque da un gruppo organizzato. L’eletto, a sua volta, in quanto sorteggiato in prima battuta, tende a non rispondere a nessuno, perché è il fato benevolo che lo ha proposto, ma in quanto sostenuto da una corrente o da un gruppo organizzato in qualche modo risponde a questo.
Sul metodo del sorteggio in generale, illuminanti sono le analisi e le osservazioni dei Professori Nadia Urbinati e Luciano Vandelli[6].
Il punto di partenza: «il sorteggio tocca non solo il tema della selezione dei governanti, ma anche quello dei modi in cui questi governano, assumono scelte e decisioni di governo»[7].
Sottolineata la «natura de-responsabilizzante del sorteggio»[8], netta è la conclusione: «Chi è sorteggiato ha l’opportunità di esercitare un peso importante (…) ed è un’opportunità che – statisticamente – non gli capiterà mai più. Del resto, non deve rendere conto a nessuno: non è stato eletto dalla comunità (…), non ha alcuna responsabilità, né obbligo nei confronti dei membri di questa. Naturalmente, diamo per presupposto che tutti i magistrati operino esclusivamente nell’interesse della giustizia, ma se ce ne fosse qualcuno non ispirato unicamente da valori di questo tipo, in queste condizioni, potrebbe risultargli davvero arduo non cedere alla tentazione di far valere propri personali rapporti, interessi, amicizie, avversioni, convincimenti…»[9].
3. Alta Corte disciplinare
3.1. Un unico giudice disciplinare per tutte le magistrature
La proposta di un organo con la denominazione di “Alta Corte”, come un fiume carsico, emerge alla superficie, si inabissa e riemerge, di volta in volta con mutamenti significativi. Corte di giustizia disciplinare alla quale affidare la decisione dei procedimenti disciplinari avviati nei confronti dei magistrati ordinari e di quelli amministrativi. Alta Corte della magistratura cui affidare il contenzioso su tutti i provvedimenti non solo del Csm, sia amministrativi sia pronunce della sezione disciplinare, ma anche degli organi di garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza delle magistrature speciali, nonché la risoluzione dei conflitti di giurisdizione.
Queste proposte non hanno avuto seguito e non solo per il decadere dei più ampi progetti di riforma in cui erano inserite. Anche la versione più ridotta, quella di Corte disciplinare per tutte le magistrature, scontava un vizio di origine: la inesistenza di un “Codice disciplinare” comune alle varie magistrature. Per i magistrati amministrativi il procedimento disciplinare ha natura amministrativa e non giurisdizionale, a differenza di quanto previsto per i magistrati ordinari. Ed ancora, non vi è né tipizzazione delle condotte disciplinarmente rilevanti né delle corrispettive sanzioni comminabili[10] . La trattazione davanti al Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa non è pubblica. Ove il Consiglio di presidenza si determini per la rimozione o la sospensione cautelare, i provvedimenti sono adottati dal Consiglio di Stato in adunanza plenaria[11]. Non sono disponibili dati statistici.
Ove poi si raffronti il Codice etico (che è cosa diversa dal Codice disciplinare) dei magistrati ordinari elaborato dall’Anm con il Codice etico dei magistrati del Consiglio di Stato, adottato dall’Associazione magistrati del Consiglio di Stato[12], la distanza appare significativa. Basterebbe citare la «Regola 4. Attività esterna. L’espletamento di incarichi esterni non sovrasta, per impegni e per durata, lo svolgimento dei compiti istituzionali, così da evitare che si configuri una vera e propria carriera parallela».
L’idea di un unico giudice disciplinare per le magistrature ordinaria e amministrativa è certamente suggestiva, ma di ben difficile realizzazione in un quadro nel quale non sembra esservi alcuno spazio perla prospettiva di un’unificazione delle giurisdizioni. Del tutto impraticabile allo stato, con la pluralità delle giurisdizioni, la proposta di un giudice disciplinare unico in mancanza di un “Codice disciplinare” comune.
3.2. Come funziona la giustizia disciplinare dei magistrati ordinari
Prima di misurarsi le proposte di modifica del sistema disciplinare dei magistrati ordinari è doverosa una analisi del funzionamento dell’attuale sistema. Nella Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2024, del Procuratore generale della Cassazione Luigi Salvato (24 gennaio 2025), sono forniti dati statistici dettagliati.
I numeri sui provvedimenti adottati nel 2024 confermano quanto già emergeva dalle statistiche degli anni precedenti. La “giustizia domestica” del Csm è particolarmente rigorosa. Delle 24 pronunzie di sanzioni, la maggioranza riguarda le tipologie di sanzioni più severe: ammonimenti 0, censura 10, perdita di anzianità 8, rimozioni 2. La sanzione massima, espulsione dall’ordine giudiziario, è stata applicata in due casi. Ma si devono aggiungere otto decisioni di “non doversi procedere” basate sulla cessata appartenenza del magistrato all’ordine giudiziario: si tratta di dimissioni volontarie anticipate a seguito di apertura del procedimento disciplinare, quasi sempre a fronte di addebiti gravi.
Questi dieci casi in totale (su circa 9000 magistrati in servizio), uniti all’applicazione prevalente delle sanzioni più gravi, attestano il rigore del sistema disciplinare del Csm. Si devono aggiungere, poi, quattro casi di sospensione dalle funzioni, misura cautelare applicata per gli addebiti più gravi e che, ferma la presunzione di innocenza che potrebbe portare nel giudizio di merito anche al proscioglimento, in molti casi si conclude con l’applicazione delle sanzioni più gravi. Vi sono state anche pronunzie di assoluzione: una percentuale “fisiologica”, a meno che per il giudice disciplinare debba valere il principio di accogliere tutte le richieste dell’accusa. Le iniziative disciplinari del Ministro, il quale peraltro dispone per le indagini dell’Ispettorato generale e spesso rilascia dichiarazioni fortemente critiche nei confronti di magistrati, sono state nel 2024 il 33.8%, un terzo del totale.
Un dato spesso citato come sintomo di lassismo della gestione disciplinare è quello delle archiviazioni. Ancora una volta, i dati relativi al 2024 tratti dalla Relazione del 2025 del Procuratore generale della Cassazione: totale degli esposti pervenuti n. 1715, di cui 1115 (66,4%) classificati come atti inidonei a dare avvio ad una iscrizione formale di procedimento predisciplinare. Si tratta di notizie non circostanziate che, all’esito dell’esame da parte dell’apposito Gruppo Affari di pronta definizione, vengono archiviate con un provvedimento sinteticamente motivato, allegato agli atti di segreteria (ADS); gli estremi di tale provvedimento, unitamente a una breve descrizione, sono comunicati periodicamente al Ministro della giustizia. Per i 600 rimanenti si apre il procedimento predisciplinare, con possibili diversi esiti. Quanto all’esimente della scarsa rilevanza del fatto, nel 2024 è stata applicata in 13 casi.
Il rigore del sistema disciplinare italiano è attestato non solo dai rapporti annuali che prendono in considerazione gli Stati membri del Consiglio d’Europa, ma soprattutto dal raffronto con i dati del Conseil Supérieur de la Magistrature francese. Tra i sistemi giudiziari europei, quello francese è il più vicino al nostro e il numero dei magistrati è pressoché simile. Il Rapport d’activité 2023, ultimo disponibile, indica per l’anno precedente nove decisioni per i giudici, due assoluzioni, una rimozione e sei sanzioni, di diverso livello. Per i pubblici ministeri sono stati presi in esame cinque casi, quattro non luogo a procedere e una rimozione dalla funzione di procuratore. Nessun serio osservatore che conosca la realtà della magistratura italiana e di quella francese si azzarderebbe a sostenere che il livello professionale e deontologico della nostra sia nettamente inferiore a quella.
Nessun dubbio che alle particolari garanzie di cui godono i magistrati deve corrispondere il livello professionale ed etico più elevato. Infatti, la giustizia disciplinare del Csm produce un rigore nemmeno lontanamente paragonabile a quello di altre giurisdizioni disciplinari. La dizione “giurisdizione domestica”, spesso usata con accento polemico, è in realtà caratteristica tipica dei sistemi disciplinari. Le norme disciplinari devono essere stabilite per legge, ma si ritiene che l’applicazione ai casi specifici debba essere attribuita a un’istanza dello stesso corpo, che da un lato conosce le dinamiche concrete di quell’organismo e dall’altro ha interesse a tutelare l’elevato livello professionale ed etico del corpo. La Costituzione, innovando sulla tradizione che prevedeva come “giudici disciplinari” istanze della stessa magistratura (Corte di appello, Corte di cassazione), attribuendo tale funzione al Csm, composto non solo da magistrati ma anche da laici, ha attenuato il carattere di giustizia domestica.
La pubblicità delle sedute, così come la possibilità per l’incolpato di farsi assistere da un avvocato del libero foro, sono ulteriori temperamenti al carattere di giustizia domestica. Si deve sottolineare che entrambe le innovazioni, poi recepite in un “circolo virtuoso” a livello di legislazione primaria, furono introdotte con provvedimenti della sezione disciplinare, rispettivamente, nel 1985 e nel 2000. Una vicenda che ci mostra l’attenzione dello stesso Csm a muoversi ulteriormente nella linea di attenuazione del carattere di “giurisdizione domestica” intrapresa dal Costituente con la composizione mista, laici e togati. Particolarmente rilevante l’apertura alla pubblicità che da ormai quarant’anni consente anche al grande pubblico (con la ripresa e diffusione delle sedute della sezione disciplinare) di “controllare” – se del caso, criticare – come viene gestita la disciplina dei suoi giudici.
3.3. L’Alta Corte disciplinare nel ddl governativo
Nel disegno di legge governativo S 1353 l’«Alta Corte disciplinare» è prevista solo per la magistratura ordinaria. La composizione è alquanto articolata: dei quindici componenti, tre nominati dal Presidente della Repubblica, tre estratti a sorte da un elenco formato dal Parlamento e sei giudici, tre Pm estratti a sorte tra i magistrati «con almeno venti anni di esercizio delle funzioni giudiziarie e che svolgano o abbiano svolto funzioni di legittimità».
Se in un collegio disciplinare un requisito di anzianità minima può essere ragionevole, la limitazione ai magistrati di Cassazione non ha senso, perché si valutano fatti e comportamenti e non questioni di puro diritto. È un omaggio al tradizionale principio gerarchico contro la Costituzione che stabilisce «I magistrati si distinguono tra loro soltanto per diversità di funzioni» (art. 107, comma 3, Cost.), norma che peraltro nel ddl non viene modificata.
È introdotto un giudizio di appello, «anche per motivi di merito», dinanzi alla stessa Alta Corte, in diversa composizione. Nulla dice la relazione sulla ragione di questa innovazione e sul perché introdurla a livello costituzionale, quando finora tutto il procedimento disciplinare è stato definito con norma ordinaria. Non si capisce se l’intento sia quello di escludere il ricorso per cassazione. Poiché la intervenuta tipizzazione degli illeciti disciplinari non ha implicato un livello di tassatività quale quello richiesto per le fattispecie penali, negli anni trascorsi la giurisprudenza delle sezioni unite, in sede di ricorso avverso le sentenze della sezione disciplinare del Csm, ha prodotto un corpus che ha utilmente integrato la normativa sulla tipizzazione. In ogni caso, non sembra che con la impropria dizione «anche per motivi di merito» si possa di per sé produrre una eccezione al principio generale della ricorribilità per cassazione nei confronti di tutte le sentenze emesse da «organi giurisdizionali ordinari o speciali» (art. 111, comma 7, Cost.), essendo ormai pacifica la giurisdizionalizzazione del procedimento disciplinare del Csm. Ove si reintroducesse, come ineluttabile, con legge ordinaria il ricorso per cassazione (oggi previsto dinanzi alle sezioni unite civili), in caso di annullamento con rinvio sarebbe ben difficile comporre un nuovo collegio dell’Alta Corte, dovendosi escludere i componenti che hanno composto il collegio di primo grado e quello di appello. La previsione di un giudizio di appello produrrà certamente tempi più lunghi per la definizione dei casi e la mancata considerazione dell’ineluttabile giudizio di legittimità potrebbe portare, in taluni casi, alla paralisi per la difficoltà di comporre un terzo collegio.
Il ricorso al sorteggio, con modalità differenti per laici e togati, per i componenti dell’Alta Corte disciplinare riflette la scelta di tale metodo adottata per i componenti dei due Csm. Si ripropongono tutte le obiezioni contro la idea fallace dell’“uno vale uno”, ancor più rilevanti in questo caso, data la specificità della funzione giurisdizionale in materia disciplinare. Il sorteggio per i componenti togati del Csm, sotto l’intento dichiarato di combattere il “correntismo”, si iscrive in realtà nel complessivo disegno di ridimensionamento del Csm. Il sorteggio per i “giudici disciplinari”, proposto quasi per simmetria, è privo di ogni logica.
4. Il ruolo del pm e la separazione delle carriere
Vi è chi si è spinto a sostenere che «la separazione delle carriere è consustanziale al processo accusatorio», scomodando un termine della definizione teologica del Concilio di Nicea[13]. Se si evocano dogmi, il confronto diventa difficile.
Secondo una posizione diffusa, l’assetto italiano del pm rappresenterebbe un’anomalia assoluta rispetto a un supposto “modello” di pm che sarebbe comune a tutte le altre democrazie occidentali. Le cose sono un po’ più articolate.
«Quante figure di pubblico ministero (…) » è il titolo del capitolo sul pm in Europa dello studio tuttora di riferimento sulle procedure penali d’Europa[14].
Ogni comparazione sulla figura del pm deve essere inserita in una considerazione del sistema costituzionale, della organizzazione complessiva del sistema giudiziario e del tipo di processo, senza tralasciare la realtà delle istituzioni e il “diritto vivente”. Ciò che conta è esaminare il rapporto tra pm e polizia giudiziaria, l’organizzazione interna del pm (sistema di nomina, maggiore o minore gerarchizzazione, centralizzazione o no), analizzare come la struttura del pm si inserisce nel più complessivo sistema giudiziario, quali siano le relazioni tra il sistema giudiziario e il complessivo assetto politico. E, ancor prima, occorre distinguere tra magistrature di carriera e no.
Se l’analisi comparata si rapporta anche sommariamente con i parametri sopra indicati, appare del tutto evidente l’estrema difficoltà di individuare un “modello” in Europa e ancor di più fuori dell’Europa. È noto il detto ironico su americani e inglesi, che sarebbero uniti dall’oceano e divisi dalla lingua. Inglesi e americani sono divisi ancor più dal processo: i principi del rito accusatorio sono declinati in modo marcatamente diverso sui due lati dell’oceano. E ancor più radicali le differenze tra posizione e ruolo dell’organo di indagine e di accusa.
Ad assicurare l’imparzialità del giudice stanno le norme sul processo, in particolare quelle sul contraddittorio, certo sempre migliorabili. Le effettive garanzie della difesa non necessariamente e sempre sono meglio garantite in un sistema accusatorio. Lo dimostra il raffronto tra il sistema della Francia, tecnicamente “inquisitorio” perché conserva il ruolo del giudice istruttore, e il sistema accusatorio degli Stati Uniti. Qualunque indagato/imputato sano di mente, se potesse, sceglierebbe l’inquisitorio francese piuttosto che l’accusatorio americano.
Dati statistici incontrovertibili mostrano che, quando lo ritengono, i nostri giudici non esitano ad assolvere imputati portati a giudizio dai pm; che, ancor prima, giudici delle indagini preliminari non esitano a ridimensionare o respingere le richieste dei pm, e così i tribunali del riesame. E giudici di appello riformano decisioni di primo grado e, talora, la Cassazione adotta conclusioni del tutto diverse da quelle dell’appello. E infine capita anche che un tribunale condanni quando il pm ha chiesto l’assoluzione.
Un corpo di pm autoreferenziale, che quanto più si allontani dalla giurisdizione e dalla magistratura giudicante, tanto più ineluttabilmente si avvicinerà alla “cultura di polizia”, tanto meno avrà forza e autorevolezza per resistere alle pressioni di quell’opinione che lo vuole “tough on crime”, “duro con il crimine”, come si dice negli Stati Uniti; quell’opinione pubblica che esige un “colpevole” subito e comunque, a dispetto di ogni garanzia. Nel difficile equilibrio tra principio di libertà e principio di autorità, nella repressione dei reati il risultato sarà una perdita secca delle garanzie per le persone che si troveranno ad assumere la posizione di indagati e poi, eventualmente, di imputati.
La sottoposizione del pm all’esecutivo, che oggi tutti dicono di respingere, trova con questa riforma una strada aperta. Vi è di che riflettere per coloro che, sostenendo la necessità di separare il pm dalla carriera comune con i giudici, non avvertono che lo avvicinerebbero pericolosamente all’influenza, dapprima, e poi, forse, alle direttive del Governo.
In molte democrazie europee, la carriera del pm è del tutto separata da quella dei giudici. Ma in tutte queste democrazie il pm è soggetto a influenza e direttive, più o meno incisive, del Governo. Questa facoltà, peraltro, viene esercitata con grandissimo self restraint, e mai si potrebbero trovare in quei Paesi esponenti di governo che intervengano a censurare non solo iniziative di pm, ma anche decisioni di giudici.
Non si tratta di mettere in dubbio le dichiarazioni di chi esclude, per oggi e per il futuro, l’intenzione di sottoporre il pm all’esecutivo. Ma mentre gli uomini cambiano, gli istituti, soprattutto ove previsti a livello costituzionale, restano e hanno una loro logica intrinseca, che prescinde dalle intenzioni del legislatore del tempo.
5. Conclusione
Con la riforma che si propone non rimane quasi nulla del “modello Csm” della Costituzione del 1948. I due Csm vengono ridotti alla quasi irrilevanza, in conseguenza della modifica di un carattere essenziale del Csm della Costituzione del 1948: la elettività dei componenti. Con il sorteggio della componente togata, anche nella versione cd. “temperata” (che temperata non è per nulla) si cancella il principio il principio della rappresentatività e la espressione del pluralismo. Il risultato: un Csm meno autorevole.
Una questione che non si può eludere. È in gioco l’indipendenza della magistratura, non in un prossimo eventuale futuro, ma qui e ora. Le decisioni di una magistratura indipendente devono essere ancorate alla legge, rispettose dei limiti della funzione giurisdizionale, ma possono, devono, quando ne ricorrano le condizioni, “disturbare il manovratore”. Il Governo, sulla fiducia del Parlamento, è espressione della volontà popolare espressa con il voto, ma la magistratura, per Costituzione, è soggetta “soltanto” alla legge, non ai progetti di legge e tanto meno al “programma di governo”. La cronaca ci mostra che già oggi non pochi esponenti politici (e di non piccolo rilievo) non esitano a intervenire con censure delegittimanti su questa o quella iniziativa non solo di pm, ma anche di giudici.
Le istituzioni hanno una loro logica intrinseca, che prescinde dalle intenzioni del legislatore. Questa riforma – si diceva poco sopra – apre la strada alla sottoposizione del pm all’esecutivo. L’indipendenza della magistratura è una garanzia per tutti, anche per la politica, al di là delle contingenti maggioranze. Garanzia fragile, che, senza un “forte” organismo di tutela come il Csm della Costituzione del 1948, è messa a rischio.
Rimane sempre attuale l’insegnamento di Alexander Hamilton nel Federalista, n. 78: «Il giudiziario è senza paragone il più debole dei tre rami del potere e non può insidiare con successo alcuno degli altri due; per questo ogni possibile precauzione deve essere adottata per difenderlo dagli attacchi degli altri rami del potere» (28 maggio 1788).
Il legislatore della revisione costituzionale può tutto, o quasi, ma occorre un’attenzione particolare quando si interviene su snodi così rilevanti come quello dell’equilibrio tra i poteri dello Stato.
Occorre prudentia, nel senso del termine latino che indica “saggezza”. E soccorre il bicameralismo perfetto, tuttora vigente.
* Pubblicato su Questione giustizia online il 17 aprile 2025 (www.questionegiustizia.it/articolo/senato-della-repubblica-commissione-affari-costituzionali-6-marzo-2025-audizione-informale-di-edmondo-bruti-liberati).
1. G. Giolitti, Discorsi extraparlamentari, Einaudi, Torino, 1952, p. 195, cit. da G. Neppi Modona, La Magistratura e il fascismo, in Politica del diritto, III, nn. 3-4/1972, p. 568, pubblicato anche in G. Quazza (a cura di), Fascismo e società italiana, Einaudi, Torino, 1973.
2. Il concetto di “rivoluzione” è utilizzato, a questo riguardo, da G. Silvestri, Giustizia e giudici nel sistema costituzionale, Giappichelli, Torino, 1997, pp. 76 e 139.
3. Corte cost., sent. n. 4/1986.
4. Vds. i punti 8 e 9 dei Principi fondamentali sulla indipendenza della magistratura adottati dal Congresso Onu di Milano, 26 agosto-6 settembre 1985, e confermati dall’Assembla generale il 29 novembre e il 13 dicembre 1985.
5. Il più recente parere n. 23 (2020) del Consiglio consultivo dei Giudici europei (CCJE) riguarda «Il ruolo delle associazioni dei magistrati a sostegno dell’indipendenza della giustizia».
6. N. Urbinati e L.Vandelli, La democrazia del sorteggio, Einaudi, Torino, 2020.
9. Ivi, p. 164. Rispetto al testo originale, ho usato l’artificio di sostituire «magistrati» a «professori universitari», e «giustizia» a «scienza e didattica».
10. V. Tenore, Il procedimento disciplinare per i magistrati amministrativi, contabili, militari, onorari e per gli avvocati dello Stato, in M. Fantacchiotti - M. Fresa - V. Tenore - S. Vitello, La responsabilità disciplinare nelle carriere magistratuali, Milano, Giuffrè, 2010, pp. 575-577.
12. Vds. M. Fantacchiotti - M. Fresa - V. Tenore - S. Vitello, op. ult. cit., pp. 693-695.
13. Da Enciclopedia Treccani: «Consustanziale (o consostanziale) agg. [dal lat. tardo consubstantialis, comp. di con- e substantia «sostanza», traduz. del gr. ὁμούσιος]. – In teologia, termine, consacrato dal Concilio di Nicea (325) e adottato nel Simbolo, che esprime, in opposizione all’arianesimo, l’identità di sostanza del Padre e del Figlio».
14. M. Delmas-Marty (a cura di), Procedure penali d’Europa, Cedam, Padova, 2001 [II ed. it.].