Csm e Ministro della giustizia: modello costituzionale e prospettive di riforma tra testo e contesto
Il presente contributo intende riflettere sull’impatto della riforma costituzionale «Norme sull’organizzazione della giustizia e sull’istituzione della Corte di disciplina» sul modello costituzionale di rapporto tra il Consiglio superiore della magistratura e il Ministro della giustizia. Per farlo, si analizzerà sia il testo del disegno di legge costituzionale attualmente all’esame del Parlamento italiano, sia il suo contesto, rappresentato in ultima analisi dallo “Stato costituzionale in trasformazione”.
1. Premessa. Il modello costituzionale dei rapporti tra Csm e Ministro della giustizia / 2. Le prospettive di riforma. Il disegno di legge costituzionale sulla separazione delle carriere / 2.1. Il testo. La modifica dell’art. 110 Cost. e l’apparente rispetto formale del modello / 2.2. Il contesto. La digitalizzazione della giustizia, la riscrittura della legge sul Csm e la riforma sul premierato / 3. Conclusioni. I rapporti tra Csm e Ministro della giustizia nello Stato costituzionale in trasformazione
1. Premessa. Il modello costituzionale dei rapporti tra Csm e Ministro della giustizia
Fin dal principio della storia repubblicana il tema dei rapporti tra il Consiglio superiore della magistratura e il Ministro della giustizia ha rappresentato una questione centrale del discorso costituzionalistico sul titolo IV della parte II della Carta del 1948[1].
Se questa costante del dibattito giuspubblicistico ha trovato conferma anche nell’ambito delle prospettive di riforma definite dal disegno di legge costituzionale di iniziativa governativa attualmente all’esame del Parlamento, avente ad oggetto «Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare»[2], nel presente contributo si intende riflettere sull’impatto di tale revisione sul modello costituzionale della suddetta relazione quale precipitato specifico del più generale modello italiano di ordinamento giudiziario[3].
Come è noto, tale rapporto rappresenta il risultato dell’interpretazione sistematica di almeno quattro disposizioni, ossia gli artt. 104, 108 e soprattutto 105 e 110 della Costituzione; disposizioni che hanno conosciuto, sin dalla loro prima attuazione legislativa con la legge sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore (l. 24 marzo 1958, n. 195), una ermeneutica tutt’altro che pacifica, come testimoniato dalla giurisprudenza costituzionale in materia e soprattutto dai suoi tre snodi essenziali: le sentenze nn. 168/1963, 379/1992 e 380/2003[4].
In estrema sintesi, se è possibile affermare che dal 1963 ad oggi l’unico punto fermo dell’eterna dialettica tra Csm e Guardasigilli è stato rappresentato dalla necessaria «leale collaborazione» che deve sempre caratterizzare i rapporti tra l’organo di garanzia dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura[5] e il responsabile davanti al Parlamento dell’indirizzo politico del Governo in materia di amministrazione della giustizia[6], non deve dimenticarsi quale fosse la visione di tale rapporto oggettivamente impressa nel disegno della Costituzione, al di là dell’ampiezza e della non univocità del dibattito realizzatosi in Assemblea costituente e della storia successiva[7].
A tale scopo, è possibile citare alcune riflessioni ancora attuali del Maestro al cui ricordo è dedicato questo scritto, a cominciare, in particolare, da quelle contenute nell’edizione del 1994 di L’organizzazione della giustizia in Italia. In tale opera, invero, Alessandro Pizzorusso affermava con nettezza che «la Costituzione repubblicana aveva chiaramente inteso di modificare [l’assetto dell’ordinamento dello Stato liberale in materia]». Nello specifico, dato il disegno del titolo IV della parte II della Carta del 1948, da un lato «avrebbe dovuto [realizzarsi] un sostanziale ridimensionamento delle attribuzioni esercitate dal ministro nei confronti dell’attività giudiziaria» e, dall’altro, il Csm «avrebbe dovuto subentrare in tutti i poteri di amministrazione della giurisdizione anteriormente propri del [Guardasigilli]»[8].
In altre parole: da una parte, il Ministro della giustizia, dopo aver riorganizzato la propria struttura coerentemente con i nuovi principi costituzionali in materia di ordinamento giudiziario, avrebbe dovuto trovare il nuovo «nucleo essenziale» delle proprie competenze nel «complesso delle funzioni in cui esso opera come raccordo fra il potere esecutivo ed il potere giudiziario»[9]; dall’altra, invece, il Consiglio superiore, al fine di concretizzare il proprio nuovo legittimo ruolo di garante dell’indipendenza interna ed esterna della magistratura ordinaria, avrebbe dovuto «inventare»[10] un modo innovativo di esercitare autonomamente e secondo un indirizzo politico ispirato ai principi costituzionali repubblicani le vecchie «funzioni amministrative (…) strumentali all’esercizio delle funzioni giurisdizionali»[11] che gli venivano attribuite con l’entrata in vigore della Costituzione.
Rispetto a tale progetto, però, commentava il Professore in una prospettiva storica, «le cose sono andate invece in modo assai diverso [in quanto] il ridimensionamento dei poteri del ministro è avvenuto soltanto in parte e con grande difficoltà [a causa della] accanita resistenza che l’attuazione dei principi costituzionali in questo settore dell’ordinamento ha costantemente incontrato»[12].
Nello specifico, infatti, mentre il ruolo del Ministero della giustizia è rimasto ancora a lungo «imperniato su funzioni che esso esercitava [anche] in passato»[13] e che trascendono il dettato dell’art. 110 Cost., quella che un tempo era la nuova e originale funzione del Csm è invece diventata per una parte sempre più consistente del quadro partitico «un’anomalia che il sistema politico italiano ha sopportato ormai troppo a lungo e che è quindi tempo di rimuovere»[14], come dimostrato dalle proposte di riforma costituzionale (diverse da quelle in commento) che vorrebbero rendere tassative le competenze del Consiglio ex art. 105 Cost.[15], così mutilando la vis espansiva della sua funzione di garanzia.
Ebbene, da questo estratto di storia dell’amministrazione della giustizia italiana realizzato attraverso le parole di Pizzorusso dovrebbero essere emersi due capisaldi fondamentali per il prosieguo del ragionamento e per rispondere alla domanda di ricerca di partenza. Il primo consiste nella centralità e nel primato assiologico del Consiglio superiore della magistratura nel modello italiano di ordinamento giudiziario e quindi nel modello costituzionale della relazione tra esso e il Guardasigilli in tutte le sue molteplici manifestazioni[16]. Il secondo, invece, consente di evidenziare fin da ora che, per quanto si possa condividere in linea di massima quanto sostenuto da autorevole dottrina, e cioè che anche grazie al Consiglio superiore «nessuno oggi può dire che un ministro sia in grado di dare ordini o direttive ad un giudice o ad un pubblico ministero»[17], il rapporto tra Governo e Magistratura costituisce un caso paradigmatico del come la dialettica storica tra poteri possa incidere (e abbia inciso) sulla Costituzione e sul delicato equilibrio del suo «ordine ordinante»[18] anche a prescindere da modifiche esplicite della Carta del 1948.
2. Le prospettive di riforma. Il disegno di legge costituzionale sulla separazione delle carriere
Dato lo stato dell’arte testé sintetizzato, risulta particolarmente interessante interrogarsi su come il ddl costituzionale recante «Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare» potrebbe ulteriormente incidere in concreto sul modello costituzionale dei rapporti tra Consiglio superiore e Ministro della giustizia e, quindi, sul sistema normativo rappresentato dagli artt. 104, 105 e 110 Cost.
2.1. Il testo. La modifica dell’art. 110 Cost. e l’apparente rispetto formale del modello
Adottando un approccio strettamente formalista, la risposta all’interrogativo appena proposto parrebbe, in verità, potenzialmente semplice.
Invero, a fronte di un disegno di legge costituzionale che si proietta nella sfera pubblica attraverso parole d’ordine altisonanti come la separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri e lo sdoppiamento del Consiglio superiore della magistratura, l’istituzione dell’Alta Corte disciplinare e l’introduzione del sorteggio di tutti i membri di ciascun Csm, ciò che emerge immediatamente a una prima lettura dell’articolato all’esame del Parlamento è che quest’ultimo non presenta neanche un riferimento esplicito al Ministro della giustizia, differenziandosi in questo modo da precedenti e ben più esplicite proposte di riforma[19].
L’art. 7 della proposta di revisione in commento afferma infatti che «All’articolo 110, primo comma, della Costituzione, le parole: “del Consiglio” sono sostituite dalle seguenti: “di ciascun Consiglio”», cosicché si potrebbe sostenere che, per quanto concerne il tema in esame, la riforma costituzionale voluta dalla Presidente del Consiglio e dal Guardasigilli realizzerebbe una modifica di mero «coordinamento»[20] rispetto alla restante parte del testo, limitata alla registrazione dello sdoppiamento del Consiglio superiore in un Csm per la magistratura giudicante e uno per la requirente. Così ragionando, in effetti, l’attuale competenza del Ministro in materia di organizzazione e funzionamento dei servizi relativi alla giustizia continuerebbe ad essere esercitata secondo lo status quo ante la revisione costituzionale, semplicemente in relazione a due «ambiti» anziché ad uno[21].
Resterebbero pertanto invariate (apparentemente): tanto la qualità dei rapporti tra Guardasigilli e singolo Csm, dato che la formula che equipara lo sdoppiamento al loro indebolimento potrebbe anche essere astrattamente rovesciata nel senso del raddoppiamento delle garanzie (nonché, potenzialmente, dell’autoreferenzialità)[22]; quanto, di conseguenza, la più generale configurazione dell’ordine costituzionale dei poteri e quindi il funzionamento sia della forma di governo che della forma di Stato, rispetto al quale, come riconosciuto dallo stesso Pizzorusso, il Csm ha storicamente rivestito un ruolo significativo[23]. Quest’ultimo dato, invero, sarebbe infine assicurato in modo definitivo, ancor più che dalla riaffermazione del principio di autonomia e indipendenza della magistratura, dalla conservazione della presidenza del Consiglio superiore da parte del Capo dello Stato. Secondo quanto affermato dalla Relazione di accompagnamento del ddl in esame, infatti, da essa discenderebbe la conferma dell’«equilibrio costituzionale esistente» e con essa il respingimento di qualunque accusa di voler «attrarre la magistratura requirente nella sfera di controllo o anche solo di influenza di altri poteri dello Stato»[24].
Eppure, per comprendere il moto delle costituzioni[25] e, nello specifico, la dialettica tra modello costituzionale e sue modificazioni effettive o eventuali, è necessario guardare tanto al testo quanto al contesto delle riforme. E, da una simile prospettiva, il discorso in esame cambia ancora una volta radicalmente.
2.2. Il contesto. La digitalizzazione della giustizia, la riscrittura della legge sul Csm e la riforma sul premierato
Difatti, se si muove dall’immagine del disegno di legge costituzionale in esame così come emergente dall’analisi appena proposta e si allarga l’inquadratura, il quadro più ampio che si presenta all’osservatore attento alle dinamiche del potere politico è quello di un netto sbilanciamento dei rapporti di forza tra ordine giudiziario e potere esecutivo a favore di quest’ultimo, sia in termini attuali che potenziali.
Per comprendere a pieno questo moto più generale, è necessario riconoscere l’importanza specifica di almeno tre componenti particolari di tale dinamica.
In primo luogo, bisogna ricordare che il processo di rafforzamento del potere esecutivo è un fenomeno in atto già da tempo. Invero, come è noto, esso è diventato realtà in forza delle prerogative che il Governo e in particolare il Presidente del Consiglio[26] hanno accentrato progressivamente su di sé in tema di rapporti Stato-Regioni, in tema di relazioni internazionali – segnatamente con l’Unione europea – e soprattutto, da ultimo, nel contesto della governance della pandemia e quindi, subito dopo, del PNRR[27] e delle transizioni da esso previste. Per questo, l’analisi del contesto del ddl costituzionale sulla cd. separazione delle carriere deve tener conto prima di tutto del come la transizione digitale sta già impattando sui rapporti tra Consiglio superiore e Ministro.
Da questo punto di vista, invero, deve essere evidenziato da subito che il processo di digitalizzazione dell’amministrazione della giustizia è stato fino ad oggi ampiamente egemonizzato dai competitor storici del Consiglio superiore, ossia la Corte di cassazione (per quanto attiene alla datificazione della sua giurisprudenza) e, soprattutto, il Ministero stesso. Quest’ultimo, in particolare, si è assicurato quello che è stato definito un vero e proprio «monopolio (…) dell’informatica giuridica»[28] e giudiziaria, dapprima con la Direzione generale per i Sistemi informativi automatizzati (DGSIA), costituita già con il dPR n. 55/2001[29], e adesso con il nuovo Dipartimento per l’innovazione tecnologica della giustizia, introdotto con la legge di bilancio del 2023 (n. 213), la cui organizzazione è stata recentemente definita nel dettaglio dal decreto del Ministro della giustizia del 18 settembre 2024[30]. Una svolta epocale per una struttura del Ministero contraddistintasi storicamente per la sua «sostanziale e prolungata continuità»[31] e che denota la volontà politica di interpretare la «modernizzazione» del sistema giudiziario italiano come l’occasione e la base concreta «per una trasformazione culturale (…) profonda» dello stesso[32].
Tale rafforzamento dell’esecutivo risulta inoltre perfettamente confermato dal ddl sull’intelligenza artificiale presentato al Senato, nel maggio 2024, sempre dalla Presidente del Consiglio e dal Guardasigilli.
Approvato dal medesimo ramo del Parlamento il 20 marzo 2025[33], esso prevede infatti un art. 15, intitolato «Impiego dei sistemi di intelligenza artificiale nell’attività giudiziaria», che sancisce, al secondo comma, che «Il Ministero della giustizia disciplina gli impieghi dei sistemi di intelligenza artificiale per l’organizzazione dei servizi relativi alla giustizia, per la semplificazione del lavoro giudiziario e per le attività amministrative accessorie»; al terzo comma, che «Fino alla compiuta attuazione del regolamento (UE) 2024/1689, la sperimentazione e l’impiego dei sistemi di intelligenza artificiale negli uffici giudiziari ordinari sono autorizzati dal Ministero della giustizia, sentite le autorità nazionali di cui all’articolo 20» (dove non è contemplato il Csm)[34]; al quarto comma, infine, che «Il Ministro della giustizia, nell’elaborazione delle linee programmatiche sulla formazione dei magistrati di cui all’articolo 12, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 gennaio 2006, n. 26, promuove attività didattiche sul tema dell’intelligenza artificiale e sugli impieghi dei sistemi di intelligenza artificiale nell’attività giudiziaria, finalizzate alla formazione digitale di base e avanzata, all’acquisizione e alla condivisione di competenze digitali, nonché alla sensibilizzazione sui benefici e rischi, anche nel quadro regolatorio di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo. Per le medesime finalità di cui al primo periodo, il Ministro cura altresì la formazione del personale amministrativo»[35].
Alla luce della dirompente avanzata del Ministero qui ripresa, che era già riscontrabile in nuce nel testo presentato al Senato[36], non stupisce che il Csm abbia concluso la sua Relazione sullo stato della giustizia telematica del luglio del 2024 cercando di definire almeno approssimativamente il suo ruolo nell’epoca della giustizia digitale.
Preso atto del fatto che «il ruolo degli applicativi destinati a gestire il processo telematico, ed in prospettiva il ruolo degli strumenti di IA, non è più evidentemente quello di semplici strumenti [il cui contenuto e funzionamento risultino neutrali e di natura esclusivamente tecnica]» e che «la loro architettura è invece in grado di influire profondamente sulla giurisdizione [potendo determinare concretamente e, quindi, condizionare, sia l’operato del singolo magistrato che l’organizzazione degli uffici giudiziari]», il Csm ha osservato in prima battuta che è «necessario (…) che (…) il Consiglio assuma un ruolo attivo» in materia: un ruolo che dovrà sussistere «sin dal momento della progettazione [dei suddetti strumenti], oltre che in costanza del loro uso» e che avrà come «fine» quello «di valutarne il corretto funzionamento, che [andrà] giudicato non solo dal punto di vista tecnico, comunque importante perché influisce sull’efficienza e sulla sicurezza dell’attività giudiziaria, ma anche dal punto di vista ordinamentale, per accertare che la struttura del software non condizioni l’esercizio della funzione giurisdizionale e l’organizzazione degli uffici».
In seconda battuta, invece, il Csm ha riconosciuto come «auspicabile» che «in futuro (…) [esso] si doti di un Ufficio Informatico i cui compiti non si limitino al funzionamento della struttura informatica del Consiglio [stesso], ma comprendano quelli di progettazione e di analisi degli applicativi forniti al servizio della giurisdizione», sulla base del modello rappresentato dall’Ufficio statistico già disciplinato dall’art. 19 del proprio regolamento interno[37].
Insomma, mentre il Parlamento è impegnato sul fronte delle riforme costituzionali, sul versante della digitalizzazione della giustizia l’inversione dei rapporti di forza tra potere esecutivo e ordine giudiziario è già una realtà manifesta che si consolida quotidianamente e che dimostra che il Ministero della giustizia, anziché procedere agli «adeguamenti al nuovo modello di ordinamento giudiziario adottato dalla Costituzione», si è spinto verso quella «ricerca di nuovi obiettivi [e] di trasformazioni profonde delle sue funzioni o della sua struttura» che secondo Pizzorusso non avrebbero dovuto rientrare tra i suoi «problemi»[38].
Da questa prospettiva, numerosi interrogativi sorgono sull’effettiva comprensione della portata dei cambiamenti derivanti da tale transizione per l’indipendenza e l’autonomia della magistratura; interrogativi su cui la dottrina dovrà riflettere organicamente e che consentono però, già oggi, di leggere con particolare prudenza la riforma costituzionale in esame.
In questa prospettiva, in secondo luogo, occorre mettere in evidenza un’altra disposizione del ddl costituzionale sulla separazione delle carriere, ossia l’art. 8 sulle disposizioni transitorie, in cui si afferma che «Le leggi sul Consiglio superiore della magistratura, sull’ordinamento giudiziario e sulla giurisdizione disciplinare sono adeguate alle disposizioni della presente legge costituzionale entro un anno dalla data della sua entrata in vigore».
Orbene, se è noto come la legge n. 195/1958 sul Csm fosse apparsa già a suo tempo come la «più spinta» delle operazioni attraverso le quali si era cercato di «correggere le innovazioni [introdotte dalla Costituzione] per ricondurle nel quadro del sistema preesistente»[39], risulta macroscopica la potenziale portata del mutamento che potrebbe derivare per i rapporti tra Consiglio superiore e Ministro della giustizia dalla riscrittura di tale fonte così come prescritta dalla riforma in esame; una portata che risulta apprezzabile tanto rispetto al sistema della legge costituzionale in sé considerata quanto rispetto all’attuale contesto giuspolitico.
Invero, per quanto concerne il primo profilo, la riscrittura della legge sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore rappresenterebbe a tutti gli effetti lo strumento tecnico idoneo e adeguato per tradurre formalmente, sul piano sostanziale e qualitativo dei rapporti tra potere esecutivo e ordine giudiziario, il dato in sé meramente quantitativo dello sdoppiamento del Csm.
In effetti è proprio qui, al livello legislativo del discorso in esame, che il legislatore, riempiendo gli spazi vuoti della riforma e ivi declinando liberamente le ragioni politiche di fondo della revisione stessa, potrebbe non soltanto sbilanciare ulteriormente in generale il rapporto tra Consiglio superiore e potere esecutivo a favore di quest’ultimo, ma anche e soprattutto realizzare quell’insidioso riposizionamento delle procure della Repubblica rispetto al Ministro della giustizia che è stato denunciato in molteplici audizioni parlamentari come il vero pericolo del disegno di legge costituzionale in commento[40] nonché come il suo obiettivo occulto[41], così dimostrando in modo definitivo che la vera massima del ddl non è «separa e razionalizza», come sostenuto implicitamente da alcuni[42], bensì la ben più tradizionale e temibile divide et impera.
In altre parole, se ad oggi il salto all’indietro verso un magistrato dipendente dal Governo risulterebbe mortale e quindi proibitivo per qualunque riforma (ponendo un serio problema di legittimità costituzionale in ordine alla violazione del nucleo duro dei principi della separazione dei poteri e dell’indipendenza della magistratura), è indubbio che l’eventuale approvazione della revisione in esame potrebbe fungere da solida base giuridica per fondare e giustificare in futuro una nuova e più significativa differenziazione tra magistratura giudicante e magistratura requirente; una differenziazione da realizzarsi, innanzitutto, sul piano legislativo e poi, di conseguenza, sul piano dell’interpretazione costituzionale dell’indipendenza esterna dell’ordine giudiziario dal potere esecutivo[43].
In ultima analisi, non si può non segnalare come il rinvio alla legge ordinaria effettuato dall’art. 8 del ddl in esame non solo non offra le garanzie procedurali tipiche delle leggi di revisione costituzionale o delle leggi organiche previste in altri ordinamenti, ma non abbia predisposto neanche dei vincoli di tipo sostanziale capaci di condizionare il legislatore futuro rispetto al merito della sua azione, cosicché diventa possibile qualificare la riscrittura della legge sul Csm (e la decostituzionalizzazione della questione dei rapporti tra Consiglio superiore e Ministro che ne consegue) come la vera frontiera della revisione costituzionale in commento, la luna nella cui direzione l’indice del sovrano punta prepotentemente.
Guardando, invece, al più generale contesto giuspolitico attuale, deve essere infine evidenziato che il carattere dichiaratamente circoscritto dei singoli disegni di legge costituzionale voluti dall’attuale maggioranza parlamentare e partitica che sostiene il Governo occulta in verità un unico disegno organico di revisione del sistema costituzionale che lambisce i confini della totalrevision.
Detto altrimenti, se non può essere questa la sede per riflettere sul metodo adottato dall’attuale Esecutivo per modificare l’ordine costituzionale, sulla compatibilità di tale “gioco delle tre riforme”[44] con la funzione di garanzia della revisione costituzionale sancita dall’art. 138 Cost.[45] e sul suo significato giuspolitico sistematico[46], deve comunque affermarsi con nettezza che il ddl costituzionale in commento non può essere interpretato separatamente da quello sul premierato (ddl S. n. 935/2023; ddl C. n. 1921/2024)[47] in quanto quest’ultimo ha delle macroscopiche implicazioni rispetto al tema del rapporto tra Consiglio superiore ed esecutivo.
È chiaro infatti che, realizzando una «ulteriore verticalizzazione del potere»[48] nell’assetto della forma di governo repubblicana, l’elezione diretta del nuovo Premier (art. 3 dell’originale ddl S. n. 935; art. 5 ddl C. n. 1921) ridurrebbe notevolmente il pluralismo interno al Governo e, quindi, l’autonomia stessa del Ministro della giustizia (che, è bene ricordarlo, è l’unico suo membro, insieme al Presidente del Consiglio, a essere citato in Costituzione).
Tale deminutio si produrrebbe, da una parte, perché la riforma realizzerebbe l’annichilimento di qualunque potere del Presidente della Repubblica in merito alla nomina del nuovo Premier e quindi a quella del Guardasigilli, con il conseguente venir meno di qualunque funzione di garanzia rispetto alla selezione di quest’ultimo (che, come è noto, in ragione della sua estrema delicatezza per gli equilibri costituzionali, è stato uno dei passaggi più scivolosi della formazione dei Governi degli ultimi trent’anni[49]); dall’altra, in quanto la medesima revisione legherebbe ancora più strettamente il Ministro della giustizia all’indirizzo politico dettato in materia dal nuovo Capo dell’Esecutivo[50], sia in forza del potere di revoca del Guardasigilli di cui egli diverrebbe titolare (se esclusivo o no, dipenderà da come sarà interpretata la modifica introdotta dall’art. 5 del ddl)[51] sia in forza del potere del Presidente del Consiglio di determinare con le proprie dimissioni lo scioglimento delle Camere e la fine della legislatura[52].
Per completare l’analisi dell’ipotetico impatto del premierato sul rapporto tra Csm e Ministro della giustizia all’indomani dell’eventuale approvazione della riforma sulla separazione delle carriere, restano da sottolineare due ultimi punti.
Il primo attiene agli effetti della prevista costituzionalizzazione del «premio» che dovrebbe garantire la «maggioranza dei seggi in ciascuna Camera alle liste e ai candidati collegati al Presidente del Consiglio» (art. 5 ddl C. n. 1921).
In un quadro giuspolitico dominato dall’incognita relativa alla legge che dovrebbe disciplinare il sistema per l’elezione dei due rami del Parlamento e del nuovo Premier, infatti, tale disposizione non consente di avere un’idea precisa del futuro funzionamento della forma di governo italiana gettando un’ombra lunga sullo stesso. Detto altrimenti, in assenza di un adeguamento delle maggioranze richieste per l’elezione da parte del Parlamento degli organi di garanzia del sistema costituzionale[53], lo strabismo del ddl sul premierato in merito alla questione elettorale[54] contempla certamente un Presidente del Consiglio che, avendo egemonizzato la dialettica interna al Consiglio dei ministri e quella esterna con le Camere (in forza dei meccanismi normativi già descritti), non solo disporrebbe di un “suo” Ministro della giustizia e di una “sua” maggioranza, ma potrebbe aspirare alla “cattura” di tutti gli organi di garanzia dell’ordinamento[55] fino ad avere dei “suoi” giudici costituzionali, un “suo” Presidente della Repubblica e financo dei “suoi” membri laici dei Consigli superiori[56]. Appare pertanto evidente come il controllo sulle suddette elezioni, assicurato dal controllo sulle sorti della legislatura e quindi della maggioranza parlamentare, avrebbe un immediato impatto anche sui nuovi Csm e sulla loro effettiva capacità di svolgere il proprio ruolo di custodi dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura.
Conseguentemente, il secondo punto da evidenziare è infine quello per cui, rimanendo nell’ambito dell’ordinamento giudiziario, l’unico contraltare di questa riconfigurazione del sistema costituzionale a immagine e somiglianza del Presidente del Consiglio sarebbe rappresentato da quella componente togata dei Csm che la riforma in esame vorrebbe espressione di un sorteggio secco «tra i magistrati giudicanti e i magistrati requirenti, nel numero e secondo le procedure previsti dalla legge» (ddl C. n. 1353). La sproporzione di un simile confronto denota, invero, immediatamente come quello che oggi è e deve essere l’organo di garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura sarebbe ridotto domani a un mero simulacro e quindi sostanzialmente snaturato[57], con tutto ciò che ne conseguirebbe in merito ai suoi rapporti con il Governo e all’esercizio delle sue funzioni.
In merito a quest’ultimo profilo, è chiaro in particolare come la riforma, proprio in ragione della necessaria collaborazione che deve realizzarsi tra giudiziario ed esecutivo in tanti ambiti, avrebbe delle immediate ripercussioni concrete anche rispetto alle manifestazioni più pratiche dei rapporti tra Guardasigilli e Consiglio superiore, come, per esempio, su quel ganglio decisivo dell’ordinamento costituzionale che è il concerto che essi devono porre in essere per il conferimento degli incarichi direttivi previsto dall’art. 11 l. n. 195/1958.
Per quanto concerne invece i rapporti più generali tra ordine giudiziario e potere esecutivo, è possibile affermare che si assisterebbe non solo a un macroscopico sbilanciamento della relazione tra Governo e Magistratura[58], ma a un vero e proprio rovesciamento del modello costituzionale, in quanto si transiterebbe da uno schema della relazione Csm-Ministro imperniato sulla centralità del primo e sul ruolo di raccordo del secondo, a uno schema ridotto alla supremazia del Premier sui Consigli superiori e sullo stesso Guardasigilli.
3. Conclusioni. I rapporti tra Csm e Ministro della giustizia nello Stato costituzionale in trasformazione
Alla luce di questo quadro dovrebbe essere emerso che, lungi dall’essere «fermo» come l’avrebbe voluto l’art. 110 Cost., il modello costituzionale dei rapporti tra Csm e Ministro è sempre stato ed è tuttora al centro di un’incessante e asperrima lotta tra poteri, combattuta sul terreno decisivo delle funzioni di amministrazione della giurisdizione, e quindi sull’interpretazione degli artt. 104, 105, 108 e 110 Cost., ma non solo. Tale lotta, infatti, rischia adesso di conoscere una nuova accelerazione in forza, da un lato, della transizione digitale già in atto e soprattutto, dall’altro, delle riforme costituzionali commentate.
In altre parole, rispondendo alla domanda di ricerca da cui si è partiti, l’impatto del moto delle costituzioni sul modello costituzionale di ordinamento giudiziario ha oggi il potenziale, non soltanto per ridefinire un equilibrio tra poteri dello Stato, ma per consegnare definitivamente alla storia del diritto l’ordine costituzionale dei rapporti tra Csm e Ministro della giustizia sancito nel 1948, se è vero, come pare di aver dimostrato, che l’art. 7 del ddl sulla separazione delle carriere deve essere letto non in modo isolato, bensì sistematicamente e, nello specifico, congiuntamente:
I) alla digitalizzazione della giustizia attualmente in corso, che rappresenta già oggi lo strumento attraverso cui si dichiara apertamente di voler ridisegnare l’intero assetto del sistema giudiziario a livello non solo amministrativo e processuale[59], ma anche ordinamentale;
II) all’art. 8 del medesimo progetto di revisione costituzionale, che rivela come la vera frontiera della innovazione costituzionale debba essere individuata nella nuova legge sulla costituzione e sul funzionamento dei nuovi Csm, oggi come all’indomani dell’entrata in vigore della Carta del 1948;
III) infine, al disegno di legge costituzionale sul premierato, che dimostra come lo stravolgimento del modello italiano di ordinamento giudiziario si realizzerebbe attraverso il superamento della stessa dialettica tra Csm e Ministro nella direzione del predominio del nuovo Premier, eletto direttamente dal popolo, sia sul Guardasigilli che sui Consigli superiori, i quali, soprattutto in forza del sorteggio dei loro componenti, sarebbero non soltanto del tutto snaturati, ma indifesi e incapaci di difendere se stessi e l’intero ordine giudiziario.
Di fronte a questa evoluzione storica, il Consiglio superiore è certamente chiamato a difendere il modello costituzionale posto a salvaguardia dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura e, con esso, il proprio ruolo al suo interno. Per esempio, per quanto concerne la transizione digitale, esso dovrà certamente, in primo luogo, dotarsi con urgenza del personale e delle strutture necessarie per potersi confrontare ad armi pari con il Ministero e, in secondo luogo, adottare tutte le proposte e i pareri di sua competenza ex art. 10 l. n. 195/1958 nonché ogni altra iniziativa utile per tutelare le proprie funzioni (se non sarà costretto a invocare la stipula di quei protocolli e quei documenti d’intesa che si rendono necessari quando la suddetta collaborazione tra i due organi è tanto complessa da dover essere «formalizzata»[60]).
Tuttavia, resta da chiedersi se queste misure ordinarie possano essere sufficienti a trasformare la crisi nella quale il Consiglio superiore è immerso ormai da anni (e che gli ha evidentemente impedito di reagire prontamente all’accelerazione ministeriale post-pandemia in merito alle sfide della rivoluzione tecnologica) in un’occasione per la riaffermazione e la valorizzazione del suo ruolo centrale di garante dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura nel sistema costituzionale[61].
Perché questa inversione di tendenza possa avvenire, è necessario invero, prima di tutto, ricordare che il Csm svolge una parte essenziale non soltanto rispetto al funzionamento della forma di governo repubblicana, ma anche e soprattutto della nostra forma di Stato, laddove esso ha certamente contribuito alla sua «qualificazione (…) come un più perfezionato Stato di diritto»[62]; subito dopo, invece, occorre focalizzare l’attenzione sul fatto che, nell’attuale congiuntura storica, è proprio la forma dello Stato costituzionale a trovarsi all’interno di una dinamica di difficile interpretazione.
Questo è quindi, in sostanza, il livello del discorso nel quale bisogna muoversi: quello del ruolo del Csm nello Stato costituzionale in trasformazione[63]; uno Stato «aperto»[64] su un mondo sempre più complesso, ad esso sempre più strettamente interconnesso (in una dinamica sempre più accelerata) per effetto della rivoluzione digitale in atto e nel quale i governi dei singoli Stati partecipano stabilmente a una rete di poteri internazionali che li pone in una posizione di ulteriore forza rispetto al livello interno del sistema costituzionale, sul quale, di conseguenza, esecutivi come quello italiano premono per trovare una nuova propria forma, adeguata a questa nuova realtà giuspolitica[65].
Capire come il Consiglio superiore potrà interpretare il proprio ruolo in questo nuovo contesto rappresenta una sfida non semplice perché implica affrontare direttamente la domanda cruda, eppure allo stesso tempo fondamentale, se il «revisionismo costituzionale»[66] in atto da ormai oltre trent’anni rappresenti «solo la libera determinazione di un indirizzo politico che riflette gli (…) equilibri parlamentari» del momento oppure la «ricerca di un nuovo principio» primo dei rapporti tra società, Stato e Costituzione che può integrare la «fase suprema della rottura della nostra tradizione costituzionale»[67].
Tuttavia, soltanto dalla risposta a questa questione passa il superamento delle «contrapposizioni infeconde»[68] che hanno impedito e impediscono di affermare in modo netto la natura costituzionale del Consiglio superiore, la sua capacità di esprimere un indirizzo politico sulle materie ad esso attribuite dalla Costituzione e, quindi, di ricomprendere nella propria sfera di azione tutte quelle funzioni di amministrazione della giurisdizione che devono essere di sua competenza, tra cui oggi spiccano molte di quelle che il Ministero sta concentrando su di sé in relazione alla transizione digitale.
Soltanto dalla risposta a questo tipo di interrogativi, in conclusione, può dunque passare il superamento di quell’«attacco alla Costituzione» denunciato da Pizzorusso già all’inizio degli anni duemila[69] e di quel «revisionismo costituzionale» che ne rappresenta la manifestazione più paradigmatica.
* Il presente saggio è destinato agli atti del seminario in ricordo di Alessandro Pizzorusso. Pubblicato su Questione giustizia online il 15 aprile 2025 (www.questionegiustizia.it/articolo/csm-ministro-giustizia).
1. Per il dibattito più risalente si vedano, senza pretesa di completezza: R. Angeloni e M. Santoni Rugiu, La riforma del Consiglio superiore della Magistratura e dell’ordine giudiziario in base ai nuovi principi costituzionali, in Archivio penale, 1948, pp. 309 ss.; F. Santosuosso, Il Consiglio superiore della Magistratura. Principi e precedenti, Giuffrè, Milano, 1958, pp. 107 ss.; S: Bartole, Autonomia e indipendenza dell’ordine giudiziario, CEDAM, Padova, 1964, pp. 289 ss.; L. Daga, Il Consiglio superiore della magistratura, Jovene, Napoli, 1973, pp. 222-223; G. Verde, L’amministrazione della giustizia, fra Ministro e Consiglio superiore, CEDAM, Padova, 1990; V. Carbone, Art. 110, in G. Branca e A. Pizzorusso (a cura di), Commentario della Costituzione. La Magistratura, vol. III, Zanichelli/Società Editrice del Foro Italiano, Bologna/Roma, 1992, pp. 110 ss.; S. Sicardi, Il conflitto di attribuzione tra Consiglio Superiore della Magistratura e Ministro della Giustizia, Giappichelli, Torino, 1993; G. Volpe, Consiglio superiore della magistratura, in Enciclopedia del diritto, Agg. IV, Giuffrè, Milano, 2000 (che pure non dedica al tema una trattazione specifica).
2. La Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro della giustizia hanno presentato alla Camera dei deputati il ddl n. 1917 il 13 giugno 2024. Esso è stato approvato in prima lettura il 16 gennaio 2025, con i seguenti numeri: presenti 271, votanti 266, favorevoli 174, contrari 92, astenuti 5. Nel momento in cui si scrive, il disegno di legge costituzionale è oggetto di esame da parte delle Commissioni competenti del Senato della Repubblica (ddl S. n. 1353).
3. Per la ricostruzione del modello italiano di ordinamento giudiziario si vedano: A. Pizzorusso, Ordinamento giudiziario, Editoriale Scientifica, Napoli, 2019; R. Romboli e S. Panizza, Ordinamento giudiziario, in Digesto delle discipline pubblicistiche, vol. X, UTET, Torino, 1995, pp. 408 ss., e F. Dal Canto, Lezioni di ordinamento giudiziario, Giappichelli, Torino, 2024.
Tutti i lavori testé citati convergono nel riconoscere il Consiglio superiore della magistratura, così come disegnato nel titolo IV della parte II della Costituzione, come la «nota differenziale» di tale modello (se non addirittura come la sua «unica innovazione veramente decisiva»). Risulta, pertanto, solidamente fondato il riferimento a uno specifico modello costituzionale di rapporti tra Csm e Ministro della giustizia, con il quale si intende fare riferimento a un ordine generale di tale relazione al quale è possibile e necessario mirare, sia qualora sussistano dei dubbi in merito alla definizione delle competenze dei diversi poteri dello Stato, sia nell’eventualità di una messa in discussione del suddetto modello attraverso le dinamiche proprie del moto delle costituzioni, quali, su tutte, i progetti di revisione costituzionale (al fine, per esempio, di misurare la maggiore o minore convergenza o divergenza dallo stesso).
4. Per la ricostruzione della giurisprudenza costituzionale in materia fino alla riforma Castelli, si rimanda a C. Salazar, Il Consiglio superiore della magistratura e gli altri poteri dello stato: un’indagine attraverso la giurisprudenza costituzionale, relazione svolta in occasione delle VI Giornate italo-spagnole di giustizia costituzionale, La Coruña (Spagna), 27-28 settembre 2007, in Forum di Quaderni costituzionali, 2007 (www.forumcostituzionale.it/wordpress/images/stories/pdf/documenti_forum/paper/0010_salazar.pdf).
5. Per la ricostruzione del significato di tale definizione del Csm si rinvia, da ultimo, a P. Gaeta, Poteri e garanzie (la Magistratura), in M. Cartabia e M. Ruotolo (a cura di), Potere e Costituzione. Enciclopedia del diritto, Giuffrè, Milano, 2023, pp. 870 ss.
6. La giurisprudenza costituzionale sul punto è chiara. Basti citare: la sent. n. 168/1963 («Dall’autonomia riconosciuta al Consiglio superiore, nelle materie indicate nell’art. 105 della Costituzione, non deriva, secondo che si sostiene, una netta separazione di compiti fra il Ministro guardasigilli e l’Organo preposto al governo della Magistratura; come si verificherebbe se, a quest’ultimo, fosse riconosciuta (il che non è, come risulta chiaro dai lavori preparatori) un’autonomia integrale, compresa quella finanziaria, riguardante l’ordine giudiziario. Se quindi tale autonomia esclude (come pure si desume dai lavori preparatori) ogni intervento del potere esecutivo nelle deliberazioni concernenti lo status dei magistrati, non esclude peraltro, che, fra i due organi, nel rispetto delle competenze a ciascuno attribuite, possa sussistere un rapporto di collaborazione: il quale importa che i servizi, affidati al guardasigilli dall’art. 110 della Costituzione, non sono limitati a quelli sopra accennati, ma, vi si comprendono altresì, sia l’organizzazione degli uffici nella loro efficienza numerica, con l’assegnazione dei magistrati in base alle piante organiche, sia il funzionamento dei medesimi in relazione all’attività e al comportamento dei magistrati che vi sono addetti»); la sent. n. 379 del 1992 («occorre sottolineare che (…) lo strumento del concerto costituisce la modalità con cui il legislatore ha configurato il dovere di collaborazione, che questa Corte (v. sentenza n. 168 del 1963) ha già individuato come punto di equilibrio interpretativo fra la disposizione costituzionale che attribuisce al Consiglio superiore l’esclusiva competenza sui provvedimenti concernenti lo status dei magistrati (art. 105) e quella che affida al Ministro della giustizia la responsabilità dell’organizzazione e del funzionamento dei servizi relativi alla giustizia (art. 110). (…) Così precisata in base all’interesse pubblico da perseguire e al metodo della leale cooperazione, l’attività di concertazione tra commissione e Ministro, prevista dal ricordato art. 11, risponde all’esigenza costituzionale, per la quale, quando si tratta di preposizione a uffici, come quelli relativi agli incarichi direttivi, dove forte è l’incidenza delle capacità organizzative e gestionali nell’assegnazione da compiere, l’esercizio delle competenze del Consiglio superiore sui provvedimenti di stato dei magistrati (art. 105 della Costituzione) deve tenere ragionevolmente conto degli interessi relativi all’organizzazione e al funzionamento dei servizi giudiziari, imputati al Ministro della giustizia (art. 110 della Costituzione). Il dovere di reciproca collaborazione, che deve ispirare l’esercizio delle predette competenze, comporta che, se l’attività di concertazione deve essere soggettivamente ed oggettivamente orientata a ricercare, per quanto possibile, la convergenza fra le parti, allo stesso modo il “rifiuto del concerto” da parte del Ministro dev’essere motivato, non già da semplici divergenze, ma da gravi e insuperabili contrasti sulla proposta da formulare»); infine, la sent. n. 380/2003 («Il bilanciamento dei valori costituzionali affermati dagli artt. 105 e 110 della Costituzione, mentre porta ad escludere ogni intervento determinante del potere esecutivo sulle deliberazioni concernenti lo status dei magistrati, esige che tra CSM e Ministro della giustizia vi sia, nel rispetto delle competenze differenziate, un rapporto di collaborazione. Infatti, nell’attuale assetto ordinamentale, la direzione degli uffici giudiziari attiene anche all’amministrazione dei servizi giudiziari, come organizzazione e funzionamento degli stessi servizi e copertura dei posti di organico, ciò che giustifica una partecipazione del Ministro nella procedura del conferimento degli incarichi direttivi (…). In altri termini, la discussione ed il confronto dei predetti organi devono svolgersi, sotto il profilo metodologico, in base al principio di leale collaborazione, con l’osservanza di regole di correttezza nei rapporti reciproci e di rispetto dell’altrui autonomia (sentenza n. 379 del 1992). Ambedue i soggetti del confronto non possono, per il dovere di correttezza e di leale collaborazione, dare luogo ad atteggiamenti o comportamenti dilatori, pretestuosi, incongrui o contraddittori o insufficientemente motivati»).
7. Evidenzia come nel dibattito in Assemblea costituente non sia emersa una visione «chiara e univoca» dei «rapporti, specie di competenza, che si sarebbero dovuti instaurare tra il Consiglio ed il ministro della giustizia» R. Romboli, Una riforma “epocale” della giustizia o un riassetto del rapporto tra poteri? (Osservazioni al ddl costituzionale n. 4275 presentato alla camera dei deputati il 7 aprile 2011), in Rivista AIC, n. 3/2011, p. 10.
8. Vds. A. Pizzorusso, L’organizzazione della giustizia in Italia. La magistratura nel sistema politico e istituzionale, Einaudi, Torino, 1985, oggi in Id., Ordinamento giudiziario, op. cit., p. 123. Per un’analisi analoga si rimanda anche a R. Romboli, Il ruolo del Csm nell’ambito del sistema di garanzie e quale espressione del principio di separazione dei poteri: un dialogo con gli scritti di Gaetano Silvestri, in Questione giustizia online, 24 ottobre 2024 (www.questionegiustizia.it/articolo/ruolo-csm-silvestri).
9. A. Pizzorusso, L’incerto ruolo del Ministero della giustizia, in Studi in onore di Vittorio Denti, CEDAM, Padova, 1994, parte I, pp. 511-522, oggi in Id., Ordinamento giudiziario, op. cit., p. 559. Qui l’A. aggiunge che «L’esercizio delle funzioni di raccordo con il consiglio superiore e con la magistratura in genere non implica alcuna deminutio del ruolo del ministro della giustizia, i cui poteri di iniziativa (anch’essi finora esercitati in pratica con insufficiente impegno) potrebbero essere un contributo prezioso all’attività del consiglio».
10. A. Pizzorusso, Il Consiglio superiore della magistratura nella forma di governo vigente in Italia, in questa Rivista, edizione cartacea, Franco Angeli, Milano, n. 2/1984, pp. 281-306 (testo della relazione presentata al XVIII Convegno nazionale organizzato dai Comitati di azione per la giustizia sul tema “Il Consiglio superiore della magistratura: autogoverno dei giudici o controllo sulla funzione di giustizia?”, Montecatini Terme, 6-8 aprile 1984), oggi in Id., Ordinamento giudiziario, op. cit., p. 528.
11. A. Pizzorusso, Ordinamento giudiziario, op. cit., p. 553.
14. A. Pizzorusso, Problemi definitori e prospettive di riforma del C.S.M., in Quaderni costituzionali, 1989, pp. 471-487, oggi in Id., Ordinamento giudiziario, op. cit., p. 1082.
15. Si rinvia alle proposte: AC n. 23/2022 (iniziativa dell’On. Costa); AC n. 434/2022 (iniziativa dell’On. Giachetti); AC n. 824/2023.
16. Per quanto l’oggetto del presente contributo sia la riflessione sulla dialettica tra Csm e Ministro della giustizia affrontata dal punto di vista del funzionamento della forma di governo e della forma di Stato nel divenire del moto delle costituzioni, non si deve dimenticare il confronto che si realizza quotidianamente tra questi due organi nell’esercizio delle rispettive funzioni amministrative collegate più o meno strettamente alla giurisdizione. Per una ricostruzione efficace e aggiornata delle stesse si rinvia a F. Biondi, Il Consiglio superiore della magistratura. Organo dell’autonomia o luogo di potere?, Il Mulino, Bologna, 2024, pp. 163 ss. Qui l’A. evidenzia infatti come il Ministro abbia «ampie competenze di natura amministrativa essenziali perché l’intero apparato giudiziario possa funzionare adeguatamente», tra le quali rientrano: la definizione della geografia giudiziaria, la determinazione del numero dei magistrati e delle loro piante organiche, l’edilizia giudiziaria e l’assunzione e la gestione di tutti i funzionari di supporto ai magistrati, oltre che l’iniziativa disciplinare e il potere di sorveglianza su tutti gli uffici giudiziari esercitabile ex art. 56 dPR n. 916/1958 attraverso l’Ispettorato generale presso il Ministero (e le relative verifiche e inchieste amministrative per «sondare il grado di efficienza dei singoli uffici [oppure] avvenimenti critici già individuati»). Il problema, come puntualmente rilevato, è che «la linea di demarcazione tra le competenze» del Guardasigilli e quelle del Consiglio «non sempre è così netta» ed è questo il motivo per cui la «collaborazione istituzionale» tra tali organi è (o è diventata) «necessaria». Si pensi, a titolo esemplificativo, al tema dell’organizzazione giudiziaria, nel quale non a caso è stato istituito a partire dal 2011 un Comitato paritetico «per l’individuazione di soluzioni condivise» (delibera congiunta del 18 maggio dello stesso anno). Tuttavia, come osservato efficacemente in R. Romboli, Quale legge elettorale per quale Csm: i principi costituzionali, la loro attuazione e le proposte di riforma, in Questione giustizia online, 25 maggio 2020 (www.questionegiustizia.it/data/doc/2537/romboli-legge-elettorale-csm.pdf), occorre chiarire che, nonostante l’indubbia «esistenza di una “zona grigia”, ossia di funzioni non espressamente collocabili né tra [quelle spettanti al Consiglio superiore], né tra [quelle spettanti al Ministro]», l’attribuzione delle stesse «non può non seguire ad una interpretazione finalistica della Costituzione, valutando cioè la rapportabilità delle stesse allo scopo istituzionale del Csm di tutela e garanzia della indipendenza, specie esterna, della magistratura». Nella medesima direzione, invero, dovrà quindi procedersi in relazione a «quelle ipotesi nelle quali è prevista un’opera di necessaria collaborazione tra i due soggetti istituzionali», laddove «sarà poi necessario stabilire fin dove può spingersi l’attività dell’uno e dell’altro» (compito che è stato realizzato - e non potrebbe essere altrimenti - «dal legislatore, a partire dalla legge istitutiva del 1958, (…) da interventi del Giudice delle leggi, nonché da atti dello stesso Consiglio superiore della magistratura»).
17. Si esprime in questi termini G. Silvestri, Sessant’anni ed oltre di governo autonomo della magistratura: un bilancio e una riflessione sul futuro del CSM. Conclusioni, in Forum di Quaderni costituzionali, n. 4/2020, p. 516. Per una presa di posizione simile, vds. da ultimo F. Biondi, Il Consiglio superiore della magistratura, op. cit., p. 167.
18. Per tale formula si rimanda ad A. Barbera, Costituzione della Repubblica italiana, in Enciclopedia del diritto, Annali, vol. VIII, Giuffrè, Milano, 2015, p. 270.
19. Si rinvia a R. Romboli, Una riforma “epocale”, op. cit., in cui si ricostruisce il contenuto del ddl di iniziativa governativa n. 4275/2011, intitolato «Riforma del Titolo IV della Parte II della Costituzione», ma anche la storia delle proposte di revisione che hanno interessato la magistratura prima di esso. Per quanto concerne i rapporti tra Csm e Guardasigilli, l’A. specificava quanto segue in merito al contenuto del ddl voluto dal Presidente del Consiglio Berlusconi e dal Ministro della giustizia Alfano: «La proposta di revisione prende chiaramente posizione, spostando l’equilibrio tutto a favore del ministro, al quale è riconosciuto il potere di riferire “annualmente alle camere sullo stato della giustizia, sull’esercizio dell’azione penale e sull’uso dei mezzi di indagine”, rispetto al quale sono state sollevate perplessità in ordine alla coerenza del disegno di legge costituzionale, per la parte in cui attribuisce un potere di relazione ad un organo (il ministro) che dovrebbe essere del tutto estraneo ai compiti di direzione e gestione dell’azione penale. Viene altresì, assai discutibilmente anche se significativamente, costituzionalizzato il potere di ispezione del ministro, senza che venga avvertita la necessità di un rinvio alla legge, per la determinazione dei presupposti e dei limiti dell’esercizio di tale potere, al fine di evitare un abuso o un uso intimidatorio dello stesso nei confronti dei magistrati, come qualche applicazione recente o recentissima potrebbe far temere».
20. Si esprime così, nella Relazione sul ddl costituzionale, il presidente della Commissione Affari costituzionali del Senato della Repubblica, On. Alberto Balboni, in occasione della seduta della stessa del 29 gennaio 2025.
21. In merito all’art. 7, nella Relazione di accompagnamento del ddl alla Camera si legge quanto segue: «L’articolo 7 modifica l’articolo 110 della Costituzione per chiarire che, in conseguenza della distribuzione tra due Consigli superiori delle originarie funzioni unitarie, la competenza del Ministro della giustizia in materia di organizzazione e funzionamento dei servizi si esercita rispetto ad ambedue gli ambiti di competenza».
22. Anche laddove considerato astrattamente, è bene sottolineare come questo discorso valga soltanto a due condizioni: la prima è quella di escludere dall’equazione proposta il tema del sorteggio dei componenti del Consiglio superiore previsto dall’art. 3 ddl costituzionale, che stabilisce le modificazioni dell’art. 104 Cost. e sui cui effetti si tornerà più avanti; la seconda è quella di non dimenticare che allo sdoppiamento del Consiglio segue anche l’introduzione di un terzo nuovo organo rappresentato dalla Corte disciplinare, la cui istituzione è disciplinata dall’art. 4 della proposta di revisione attraverso la modifica dell’art. 105 Cost., e che sottrae ai nuovi Csm una funzione oggi fondamentale per il ruolo costituzionale dell’organo di garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura.
23. Si rinvia ad A. Pizzorusso, Ordinamento giudiziario, op. cit., p. 532 («mi sembra di poter trarre per ora da queste osservazioni la conclusione che il modello italiano di organizzazione giudiziaria, che ha la sua nota differenziale nell’attribuzione della funzione di amministrazione della giurisdizione ad un organo dotato della struttura del Consiglio, ha introdotto nell’ordinamento costituzionale elementi di novità che possono senz’altro giustificare una riflessione circa l’opportunità di tenere conto del ruolo che il potere giudiziario viene conseguentemente ad assumere, anche in sede di determinazione della forma di governo. A questo proposito vorrei fosse tuttavia ben chiaro che, dicendo questo, non penso certamente ad una modificazione della forma di governo tale da mutarne il carattere in modo rilevante. Quale che sia la portata più precisa di questa innovazione, certo è che essa non comporta alcuna trasformazione sostanziale dell’equilibrio altrimenti determinatosi fra esecutivo e legislativo, ma soltanto il distacco dal primo di quel circoscritto complesso di funzioni amministrative che risultano strumentali all’esercizio delle funzioni giurisdizionali al fine di realizzare una più adeguata garanzia dell’indipendenza esterna ed interna dei giudici. Nessun “governo dei giudici”, quindi»).
Per il ruolo del Csm nel sistema costituzionale tra forma di governo e forma di Stato si vedano anche, senza pretesa di completezza: S. Bartole, Autonomia e indipendenza, op. cit., p. 347 («Tutte queste circostanze pongono il Consiglio in una situazione particolare, la cui specialità si chiarisce e si specifica alla luce di una ricognizione del compito (che gli è proprio) di realizzare e garantire l’autonomia e l’indipendenza dell’ordine giudiziario dagli altri poteri dello Stato, mettendo i suoi organi in condizione di esercitare con imparzialità e nel modo più idoneo la funzione giurisdizionale. Ed è appunto l’appartenenza di tale compito al Consiglio che permette di collocare questa istituzione fra quei centri di autorità cui spettano funzioni negative di contenimento dell’attività degli organi che costituiscono i cardini dell’assetto monistico della nostra forma di governo»); G. Silvestri, Sessant’anni ed oltre, op. cit. («espongo brevemente la mia opinione: si tratta di organo costituzionale, giacché la sua eventuale soppressione muterebbe in modo considerevole sia la forma di Stato che la forma di governo. Si tratta di organo di garanzia e non di governo, giacché, se di indirizzo politico si deve parlare al suo proposito, si deve far riferimento all’indirizzo politico costituzionale (nel senso chiarito da Paolo Barile), ben diverso dall’indirizzo politico di maggioranza proprio di un organo di governo»); Id., Consiglio superiore della magistratura e sistema costituzionale, in questa Rivista trimestrale, n. 4/2017, pp. 19-29 (www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/466/qg_2017-4_03.pdf); M. Luciani, Il Consiglio superiore della magistratura nel sistema costituzionale, in Osservatorio costituzionale, n. 1/2020, pp. 6 ss. (da leggere congiuntamente a Id., Questioni generali della forma di governo italiana, in Rivista A.I.C., n. 1/2024, e a Id., Governo (forme di), in Enciclopedia del diritto, Annali, vol. III, Giuffrè, Milano, 2009, laddove, assunta la distinzione dottrinale fra «struttura» e «funzionamento» della forma di governo come base essenziale del ragionamento, si afferma che il Csm non appartiene alla struttura della forma di governo repubblicana in quanto «i suoi atti non sono liberi nel fine e non sono (o almeno non possono essere presentati come) manifestazione di volontà politica»; l’argomento è proposto dall’A. in relazione alla Corte costituzionale, ma vale anche nei confronti della magistratura - e quindi del Csm - «per le medesime ragioni»).
24. Dato il rilievo di questi passaggi per il discorso in esame, si riporta integralmente la parte della Relazione di accompagnamento del ddl in esame alla Camera: «In particolare, il primo comma del novellato articolo 104 ribadisce i princìpi dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, nel suo insieme, da ogni altro potere. Si conferma, così, che la separazione delle carriere non intende in alcun modo attrarre la magistratura requirente nella sfera di controllo o anche solo di influenza di altri poteri dello Stato, perché anche la magistratura requirente rimane parte dell’ordine autonomo e indipendente, com’è oggi, al pari della magistratura giudicante. Anche dal punto di vista sistematico, con la modifica in esame si è inteso esprimere la continuità rispetto all’attuale ordinamento, inserendo i due Consigli superiori nel tessuto del vigente articolo 104 della Costituzione. Si rende chiaro, così, che i due Consigli sono esattamente sovrapponibili tra loro – per caratteristiche, funzioni e garanzie – e anche all’attuale Consiglio superiore, con una soluzione idonea a garantire appieno l’indipendenza di entrambe le magistrature anche nel nuovo assetto delle carriere separate. Il secondo comma attribuisce la presidenza di entrambi i Consigli al Presidente della Repubblica, confermando l’equilibrio costituzionale esistente».
25. Per un approfondimento sulla «dottrina del moto delle costituzioni» si rinvia a M. Luciani, Dottrina del moto delle costituzioni e vicende della Costituzione repubblicana, in Rivista A.I.C., n. 1/2013, p. 3.
26. Per una ricostruzione efficace si rimanda a F. Clementi, Il Presidente del consiglio. Mediatore o decisore?, Il Mulino, Bologna, 2023.
27. In tal senso si vedano, senza pretesa di completezza, F. Bilancia, Indirizzo politico e nuove forme di intervento pubblico nell’economia in attuazione del Recovery and Resilience Facility, tra concorrenza e nuove politiche pubbliche, in Costituzionalismo.it, n. 1/2022, e G. Tarli Barbieri, Gli sviluppi della forma di governo sotto la lente del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, in D. De Lungo e F.S. Marini (a cura di), Scritti costituzionali sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, Giappichelli, Torino, 2023, pp. 80 ss.
28. Per tale ricostruzione dello stato della governance della digitalizzazione della giustizia, si rimanda a: C. Castelli, La crisi della governance del sistema giustizia, in questa Rivista trimestrale, n. 1/2023, pp. 265-268 (www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/1084/1_2023_qg_castelli.pdf); Id., L’agenzia: una nuova governance per i servizi informatici del Ministero, in Questione giustizia online, 25 marzo 2024 (www.questionegiustizia.it/articolo/agenzia-governance-it); A. Santosuosso e G. Sartor, Decidere con l’IA. Intelligenze artificiali e naturali nel diritto, Il Mulino, Bologna, 2024, pp. 108 ss.
Per un’analisi che invece valorizza l’organizzazione del Consiglio superiore della magistratura si rinvia a D. Cavallini, Il Csm tra ordinamento e organizzazione della giustizia. L’ampliamento delle competenze nella gestione degli uffici giudiziari, Bologna University Press, 2024, pp. 63 ss.
29. Per una ricostruzione dell’importanza di tale Direzione generale del Ministero, in particolare dalla pandemia in poi, si rimanda ad A. De Nicola e D. Pierantoni, I provvedimenti della DGSIA nel periodo pandemico. Quale co-regolazione?, in Osservatorio sulle fonti, n. 1/2024, pp. 369-392.
30. Il decreto 18 settembre 2024 è intitolato «Organizzazione e definizione dei compiti degli uffici di livello dirigenziale non generale nell’ambito delle direzioni generali del Dipartimento per l’innovazione tecnologica della giustizia, di cui all’articolo 5-bis del d.p.c.m. 15 giugno 2015, n. 84» e segue quanto disposto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 maggio 2024, n. 78, recante «Modifiche al regolamento di riorganizzazione del Ministero della giustizia di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 15 giugno 2015, n. 84».
31. Per una conferma in tal senso, vds. G. Sobrino, Il Ministro della Giustizia ed i poteri dello Stato. Vicende e prospettive di una collocazione problematica, ESI, Napoli, 2015, pp. 282 ss., part. p. 286, laddove l’A. sottolinea come ciò sia una «riprova (…) di una certa quale “vischiosità” ed “immobilismo” di fondo dell’assetto di questo Ministero nel corso del tempo, pur a fronte di cambiamenti notevoli che hanno interessato (…) le sue attribuzioni ed i suoi poteri».
32. Relazione del Ministero sull’amministrazione della giustizia per l’Anno 2024, p. 558 (www.giustizia.it/giustizia/page/it/relazione_su_amministrazione_giustizia).
33. Il ddl n. 1146 è stato approvato dal Senato della Repubblica con i seguenti numeri: presenti 128; votanti 127; favorevoli 85; contrari 42; astenuti 0. Il 20 marzo 2025 è stato trasmesso alla Camera dei deputati, dove è stato registrato come «Atto Camera n. 2316».
34. Ai sensi dell’art. 20 del ddl in commento, le «Autorità nazionali per l’intelligenza artificiale» sono invero l’Agenzia per l’Italia digitale (AgID) e l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (ACN), «ferma restando l’attribuzione alla Banca d’Italia, alla CONSOB e all’IVASS del ruolo di autorità di vigilanza del mercato ai sensi e secondo quanto previsto dall’articolo 74, paragrafo 6, del regolamento (UE) 2024/1689».
35. La disposizione in esame prevede anche un primo comma che non è stato riportato nel testo, in quanto, pur essendo ricollegabile all’oggetto del presente contributo, richiederebbe una lunga e autonoma trattazione. Esso afferma quanto segue: «Nei casi di impiego dei sistemi di intelligenza artificiale nell’attività giudiziaria è sempre riservata al magistrato ogni decisione sull’interpretazione e sull’applicazione della legge, sulla valutazione dei fatti e delle prove e sull’adozione dei provvedimenti». Ad una prima lettura del testo, è possibile affermare in modo estremamente sintetico che tale disposizione, riconoscendo l’impatto dei sistemi di intelligenza artificiale sull’esercizio della funzione giurisdizionale da parte del singolo magistrato (tanto da doverla a lui riservare espressamente), ammette chiaramente che l’introduzione di tali sistemi nell’ambito giudiziario non può essere considerata una questione puramente amministrativa riconducibile soltanto all’organizzazione e al funzionamento dei servizi relativi alla giustizia. Essa, pertanto, chiama certamente in causa il ruolo del Consiglio superiore della magistratura nel sistema costituzionale.
36. L’art. 14 del ddl originario, intitolato «Uso dell’intelligenza artificiale nell’attività giudiziaria», prevedeva quanto segue: «1. I sistemi di intelligenza artificiale sono utilizzati esclusivamente per l’organizzazione e la semplificazione del lavoro giudiziario, nonché per la ricerca giurisprudenziale e dottrinale. Il Ministero della giustizia disciplina l’impiego dei sistemi di intelligenza artificiale da parte degli uffici giudiziari ordinari. Per le altre giurisdizioni l’impiego è disciplinato in conformità ai rispettivi ordinamenti. 2. È sempre riservata al magistrato la decisione sulla interpretazione della legge, sulla valutazione dei fatti e delle prove e sulla adozione di ogni provvedimento».
37. Relazione sullo stato della giustizia telematica, 24 luglio 2024, p. 72.
38. Si rinvia ad A. Pizzorusso, Ordinamento giudiziario, op. cit., p. 561.
39. Si rimanda ancora ad A. Pizzorusso, La Magistratura nel pensiero di Calamandrei, in questa Rivista, edizione cartacea, Franco Angeli, Milano, n. 4/1988, pp. 771-782, oggi in Id., Ordinamento giudiziario, op. cit., p. 480, dove si legge per esteso in nota: «La più spinta di queste operazioni fu realizzata, com’è noto, con la legge 24 novembre 1958, n. 195, mediante la quale si cercò di ricondurre entro i limiti del vecchio sistema anche l’unica innovazione veramente decisiva che i costituenti avessero introdotta, cioè il trasferimento delle funzioni amministrative ma strumentali all’esercizio della giurisdizione, dall’Esecutivo al Csm».
40. Vds., a titolo esemplificativo, G. Silvestri, Audizione informale dinanzi all’Ufficio di Presidenza della Commissione Affari costituzionali del Senato della Repubblica, avente ad oggetto i Ddl nn. 1353 e 504 (Ordinamento giurisdizionale e Corte disciplinare), in Questione giustizia online, 25 febbraio 2025, ora in questo fascicolo («mentre oggi i pm sono solo alcuni dei componenti di tale organo di garanzia, se la riforma entrasse in vigore, essi avrebbero un Csm tutto per loro, accentuando l’isolamento della categoria e ponendo, prima o poi, il problema della sua integrazione nel sistema costituzionale democratico di pesi e contrappesi. Si farebbe sempre più forte la richiesta di una loro riconduzione sotto il controllo del Ministro della giustizia, che comunque è responsabile verso il Parlamento. È appena il caso di aggiungere che un apparato accusatorio sotto il dominio politico sarebbe nocivo per tutti, giacché chi oggi è maggioranza potrà domani diventare opposizione e viceversa. Le garanzie di indipendenza servono a tutti. Preferisco il magistrato che sbaglia o tradisce personalmente il suo dovere di imparzialità – perché può essere sanzionato e comunque esistono rimedi processuali alle storture – al magistrato organicamente al servizio del mio avversario»).
41. Su questo punto si rinvia, da ultimo, a G. Azzariti, Più che separare le carriere, indebolire la giustizia, testo dell’audizione dinanzi alla I Commissione Affari costituzionali del Senato della Repubblica, 27 febbraio 2025 sui disegni di legge costituzionale nn. 1353 e 504 («Ordinamento giurisdizionale e Corte disciplinare»), in Questione giustizia online, 12 marzo 2025, ora in questo fascicolo («Secondo l’Associazione nazionale magistrati e molti altri commentatori, dietro questa formula – “separazione delle carriere” – si cela l’intento di porre la magistratura requirente alle dipendenze dell’Esecutivo. Alcuni fatti possono indurre a credere che questo sia l’obiettivo nascosto: a) da un lato, la comparazione, che vede – fatto salvo il Portogallo – in tutti i Paesi europei che hanno scelto di separare le carriere dei magistrati anche l’assoggettamento dell’azione dei pubblici ministeri alle direttive dei governi; b) dall’altro, le crescenti tensioni tra magistratura e politica, che in Italia rendono molta parte della classe politica insofferente rispetto all’autonomia e all’indipendenza dell’azione giurisdizionale. C’è però un punto che, per il diritto costituzionale, rimane insormontabile: se non si modifica il secondo comma dell’art. 101 e la prima parte del primo comma dell’art. 104, l’autonomia e l’indipendenza dell’ordine della magistratura sia requirente sia giudicante trovano una copertura costituzionale certa»).
42. Il riferimento è alla parola d’ordine, adottata dall’Unione delle Camere penali italiane, che ha ispirato il congresso straordinario del 4-6 ottobre 2024, intitolato «Separare e riformare – La forza delle nostre idee per una giustizia nuova».
43. Si pensi all’esegesi dell’art. 101, comma 2, Cost. e alla soggezione dei giudici soltanto alla legge, oppure a quella dell’art. 109 Cost. e alla dipendenza della polizia giudiziaria dall’autorità giudiziaria: come inciderebbe la cd. separazione delle carriere sulla lettura di tali disposizioni?
44. Tra le riforme incidenti sull’ordine costituzionale deve infatti essere ricompresa anche la legge di attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’art. 116, comma 3, Cost., ossia la l. 26 giugno 2024, n. 86. Invero, come confermato da Corte cost., sent. n. 192/2024 (che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di numerose parti della legge), essa incideva significativamente sulla forma di Stato italiana e anche adesso rimane in vigore a condizione che «l’ineliminabile concorrenza e differenza tra regioni e territori» non si spinga «fino a minare la solidarietà tra lo Stato e le regioni e tra regioni, l’unità giuridica ed economica della Repubblica (art. 120 Cost.), l’eguaglianza dei cittadini nel godimento dei diritti (art. 3 Cost.), l’effettiva garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.) e quindi la coesione sociale e l’unità nazionale», che rappresentano «tratti caratterizzanti la forma di Stato» e «il cui indebolimento può sfociare nella stessa crisi della democrazia».
45. In effetti, è stato più volte chiarito dalla dottrina costituzionalistica che porre al centro dell’indirizzo politico del Governo e della sua maggioranza parlamentare (e quindi della sfera pubblica) il tema della revisione di parti così importanti del testo costituzionale produce la delegittimazione e la stessa «banalizzazione» della Costituzione del 1948 e del discorso sul suo possibile perfezionamento. Senza pretesa di completezza, si vedano: A. Pizzorusso, La Costituzione ferita, Laterza, Roma-Bari, 1999, p. 155 e, per una valutazione particolarmente critica, M. Volpi, La banalizzazione della Costituzione tra revisioni adottate e riforme progettate, in Costituzionalismo.it, n. 1/2005 (in cui si afferma che «di banalizzazione si può parlare quando la Costituzione non riesce più a svolgere la sua funzione primaria di limitazione dei poteri e quindi di regolazione della lotta politica, diventando essa stessa una posta in gioco del confronto politico, e allorché solo dal punto di vista formale ne viene affermata la superiorità, mentre nella sostanza essa viene ad essere degradata al livello di una qualsiasi legge ordinaria» – www.costituzionalismo.it/la-banalizzazione-della-costituzione-tra-revisioni-adottate-e-riforme-progettate/).
46. Pare evidente, invero, come una simile e inedita strategia giuspolitica, consistente nel parcellizzare nella forma e nel tempo un’unica grande riforma dell’ordine costituzionale, rappresenti il risultato dalla lezione appresa dai fallimenti dei precedenti tentativi di una «più o meno palingenetica Totalrevision» (M. Luciani, Ogni cosa al suo posto. Restaurare l’ordine costituzionale dei poteri, Giuffrè, Milano, 2023, Prefazione, p. X) registratisi in occasione delle riforme note come “Berlusconi” (AS n. 2544, AC n. 4862 – approvata in seconda lettura il 16 novembre 2005) e “Renzi-Boschi” (AC n. 2613 – approvata in seconda lettura il 12 aprile 2016). Non può peraltro sfuggire agli osservatori di tale processo politico il rapporto tra le tre carte, ossia le tre riforme, e le tre forze partitiche e parlamentari che sostengono l’attuale Esecutivo. Da questa prospettiva, per comprendere il significato ultimo di questa strategia giuspolitica, gli studiosi di diritto costituzionale non possono non concentrarsi sulla circostanza per cui il partito di maggioranza relativa ha deciso di conservare la propria riforma identitaria per ultima, in un momento che dovrebbe coincidere con la fine dell’attuale legislatura e con le elezioni per il futuro Parlamento. In altre parole, pare possibile affermare che, per comprendere fino in fondo questa stagione di riforme dell’ordine costituzionale, deve riconoscersi che essa attiene innanzitutto al riordino dei rapporti di forza e di potere interni all’attuale coalizione di Governo e a una volontà politica ben precisa del suo principale partito. Detto ancora altrimenti, solo in questo modo si può cogliere, dietro il gioco delle tre riforme, l’unico obiettivo che esso cela.
47. La Presidente del Consiglio dei ministri e la Ministra per le riforme istituzionali e la semplificazione normativa hanno presentato al Senato della Repubblica il ddl n. 935 il 15 novembre 2023. Esso è stato approvato in prima lettura il 18 giugno 2024 (circa una settimana dopo la presentazione del ddl sulla cd. separazione delle carriere alla Camera) con i seguenti numeri: presenti 188; votanti 187; astenuti 1; favorevoli 109; contrari 77. Nel momento in cui si scrive, il ddl costituzionale recante «Modifiche alla parte seconda della Costituzione per l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri, il rafforzamento della stabilità del Governo e l’abolizione della nomina dei senatori a vita da parte del Presidente della Repubblica» è oggetto di esame da parte delle Commissioni competenti della Camera dei deputati (ddl C. n. 1921). Deve essere segnalato come l’iter di tale riforma sia stato ridefinito per dare priorità proprio al ddl costituzionale sulla cd. separazione delle carriere.
48. Si esprimono in tal senso M. Ruotolo, La verticalizzazione del potere. La separazione dei poteri alla prova dell’integrazione europea e di una recente proposta di riforma costituzionale, in Costituzionalismo.it, n. 1/2024, pp. 180 ss. (che evidenzia che tale fenomeno «ha subito una significativa accelerazione (…) con la “svolta” in senso maggioritario realizzata con il referendum del 18 e 19 aprile 1993 e seguita dalla legge 4 agosto 1993, n. 276» – www.costituzionalismo.it/wp-content/uploads/1-2024-5.-Ruotolo.pdf); A. Algostino, Premierato… purché capo sia: il fascino della verticalizzazione del potere e i rischi del suo innesto in una democrazia spoliticizzata, in Rivista A.I.C., n. 3/2023 (che la definisce come una «tendenza globale, che accompagna l’ascesa del neoliberismo»); E. Grosso, Il metadone della Repubblica. Elezione diretta e verticalizzazione del potere: la grande ossessione semplificatrice, in Federalismi, 7 giugno 2023.
49. Sia sufficiente ricordare in questa sede: il caso Previti (indicato come potenziale Guardasigilli del primo Governo Berlusconi - 1994 - e respinto dal Presidente Scalfaro); il caso Maroni (proposto come possibile Ministro della giustizia del secondo Governo Berlusconi - 2001 - e non nominato dal Capo dello Stato Ciampi); e infine il caso Gratteri (che non si trasferì presso Via Arenula come membro del Governo Renzi - 2014 - per l’opposizione del Presidente Napolitano).
50. In questo senso si andrebbe in una direzione diametralmente opposta rispetto a quella indicata in P. Ciarlo, Mitologie dell’indirizzo politico e identità partitica, Liguori, Napoli, 1988, pp. 96 ss., laddove l’A. afferma che in uno Stato costituzionale democratico e pluralista «la decisione di indirizzo si configura come una decisione aperta, continuamente riformabile da ciascuno degli attori per quanto di propria competenza» (citazione così riportata in N. Lupo, Conclusioni. L’indirizzo politico costituzionale (o di sistema): una riscoperta necessaria, per comprendere le dinamiche istituzionali italiane ed europee, in Federalismi, n. 26/2024, p. 257). Da ultimo, una posizione analoga a quella testé citata è stata di nuovo autorevolmente sostenuta da G. Silvestri, Separazione dei poteri e indirizzo politico, in M. Cartabia e M. Ruotolo (a cura di), Potere e Costituzione, op. cit., p. 1139: «l’indirizzo politico – nello Stato costituzionale di democrazia pluralista fondato sulla separazione dei poteri – è la risultante di una molteplicità di indirizzi che confluiscono e si innestano nel flusso dell’attività complessiva dei pubblici poteri».
51. L’art. 5 ddl C. n. 1921 afferma, infatti, che «Il Presidente della Repubblica conferisce al Presidente del Consiglio eletto l’incarico di formare il Governo; nomina e revoca, su proposta di questo, i ministri». Per una prima riflessione su questo punto, vds. R. Iannaccone, La revoca e la sfiducia dei ministri alla luce del possibile “premierato”: prime note, in Federalismi, n. 25/2024, pp. 186 ss. («Qualora la modifica della forma di governo proposta dall’Esecutivo in carica dovesse entrare in vigore, come già detto, il Presidente del Consiglio avrebbe il potere di revocare i ministri. Resta da definire come tale facoltà verrebbe declinata, se a sua completa discrezione o, come già previsto nel testo della riforma e coerentemente rispetto al quadro comparato, attraverso il filtro della Presidenza della Repubblica»).
52. Per l’analisi degli ultimi commi dell’art. 94 Cost. così come sarebbe modificato dal ddl sul premierato, si rinvia a M. Betzu, Il premierato e la trasfigurazione della fiducia parlamentare, in Rivista A.I.C., n. 1/2025, pp. 290-291 («L’elemento di reale novità è dato, invece, dai commi aggiunti alla fine dell’art. 94. Il primo introduce la regola del simul stabunt, simul cadent, sulla falsariga di quanto già previsto nella forma di governo regionale dall’art. 126 Cost.: “In caso di revoca della fiducia mediante mozione motivata, il Presidente del Consiglio eletto rassegna le dimissioni e il Presidente della Repubblica scioglie le Camere”. I successivi, invece, distinguono la sfiducia dagli altri casi di dimissioni, attribuendo al Presidente del Consiglio eletto a suffragio universale e diretto la facoltà, entro sette giorni dall’atto e previa informativa parlamentare, “di chiedere lo scioglimento delle Camere al Presidente della Repubblica, che lo dispone”. Se tale facoltà non viene esercitata, “il Presidente della Repubblica conferisce l’incarico di formare il Governo, per una sola volta nel corso della legislatura, al Presidente del Consiglio dimissionario o a un parlamentare eletto in collegamento con il Presidente del Consiglio”. Ugualmente, “Nei casi di decadenza, impedimento permanente o morte del Presidente del Consiglio eletto, il Presidente della Repubblica conferisce l’incarico di formare il Governo, per una sola volta nel corso della legislatura, a un parlamentare eletto in collegamento con il Presidente del Consiglio”. La clausola simul, simul, solo in parte attenuata in tali marginali ipotesi, ha un effetto dirompente perché sterilizza la relazione fiduciaria, determinandone l’atrofizzazione»).
53. Si veda, in tal senso, ancora M. Ruotolo, La verticalizzazione del potere, op. cit., p. 187.
54. La riforma infatti, con un occhio, mira in modo fermo e intransigente alla costituzionalizzazione dell’elezione diretta del Presidente del Consiglio e al relativo premio di maggioranza; con l’altro, invece, guarda in modo oscillante e instabile l’incerto orizzonte legislativo del futuro sistema elettorale.
55. Per una riflessione sul rischio della cattura degli organi di garanzia all’indomani della riforma sul premierato, si rinvia a N. Rossi, Il premier “pigliatutto” e lo squilibrio tra poteri, in Questione giustizia online, 21 maggio 2024 (www.questionegiustizia.it/articolo/premier-pigliatutto). Tra gli altri, si vedano anche M. Volpi, Il Premierato nel disegno di legge costituzionale Meloni-Casellati: al peggio non c’è fine, in Astrid Rassegna, n. 16/2023; G. Silvestri, Stretta autoritaria o paralisi: le rosee prospettive del premierato, in Democrazia e diritto, n. 2/2023, p. 27 (secondo cui la revisione esprimerebbe un «misto di avversione per il Parlamento e per le istituzioni di garanzia»), A. Ruggeri, Separazione dei poteri e dinamiche della normazione, in Consulta online, n. 1/2024, pp. 382 ss.
56. In questo senso, non rappresenterebbe un ostacolo alla cattura il sorteggio temperato previsto per i membri dei Csm spettanti al Parlamento.
57. Il sorteggio dei componenti del Consiglio superiore si dimostra quindi come il filtro capace di colorare il disegno di legge costituzionale in esame, rivelandone la vera forma e la vera sostanza. Sostanza che consiste, in ultima analisi, nel superamento del Csm come lo si è conosciuto e inteso in epoca repubblicana, ossia come organo di garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza e della magistratura, che proprio in ragione di questa funzione assumeva una precisa configurazione nel sistema costituzionale. Il sorteggio, infatti, semplicemente disintegra tale disegno della Carta del 1948, demolendone le fondamenta stesse rappresentate da una determinata immagine della giurisdizione e della magistratura stessa quali parti integranti della democrazia costituzionale pluralista.
58. In tal senso si rimanda a N. Rossi, Premierato elettivo e organi di garanzia. Toccare la Costituzione “con mano tremante”, in Questione giustizia online, 8 gennaio 2024 (www.questionegiustizia.it/articolo/premierato-elettivo-e-organi-di-garanzia).
59. Per una ricostruzione della digitalizzazione del sistema giustizia a livello processuale, si rinvia a E. Longo, Giustizia digitale e Costituzione. Riflessioni sulla trasformazione tecnica della funzione giurisdizionale, Franco Angeli, Milano, 2023.
60. Da ultimo, su questi strumenti di collaborazione vds. F. Biondi, Il Consiglio superiore della magistratura, op. cit., p. 167.
61. Individua nella crisi un’opportunità per una nuova valorizzazione del ruolo costituzionale del Consiglio superiore della magistratura F. Dal Canto, Le prospettive di riforma elettorale del Consiglio Superiore della Magistratura, in F. Grandi (a cura di), Il Consiglio Superiore della Magistratura. Snodi problematici e prospettive di riforma, Editoriale Scientifica, Napoli, 2021, p. 87 («In conclusione, è certo che, per uscire dalla crisi, il CSM ha bisogno di essere valorizzato e non mortificato, così da poter svolgere al meglio la sua funzione “indefettibile”; in tale prospettiva, peraltro, un associazionismo che recuperasse la sua ragion d’essere originaria, oggi in buona parte smarrita, potrebbe continuare a rivestire un ruolo fondamentale»).
62. Si rinvia ancora ad A. Pizzorusso, Ordinamento giudiziario, op. cit., p. 532.
63. L’espressione è di M. Fioravanti, Stato costituzionale in trasformazione, Mucchi, Modena, 2021.
64. Per la riflessione sopra lo Stato costituzionale aperto, si rinvia a P. Ridola, Il costituzionalismo e lo stato costituzionale, in Nomos, n. 2/2018 (www.nomos-leattualitaneldiritto.it/wp-content/uploads/2018/09/Ridola-conv-11.05.pdf).
65. Sulla tendenza al rafforzamento dei governi e dei loro vertici come conseguenza delle dinamiche internazionali e, in particolare, di quelle legate all’Unione europea, si rimanda a N. Lupo, Il governo italiano settant’anni dopo, in Rivista AIC, n. 3/2018, p. 177, nonché a P. Perez Tremps, Il rafforzamento dell’esecutivo come conseguenza della integrazione nella Comunità europea, in G. Rolla (a cura di), Le forme di governo nei moderni ordinamenti policentrici, Giuffrè, Milano, 1991, pp. 93 ss. Chi scrive ritiene nello specifico che tale dinamica sia inscindibilmente interconnessa al paradigma dello Stato costituzionale aperto e trascenda la dimensione strettamente europea, includendo innanzitutto quella occidentale e transatlantica.
66. Per la definizione di tale fenomeno si rinvia a G. Azzariti, Contro il revisionismo costituzionale, Laterza, Roma-Bari, 2016.
67. Si esprime così G. Azzariti, Per un costituzionalismo critico, in Costituzionalismo.it, n. 3/2024, pp. 5-6.
69. Vds. A. Pizzorusso, Introduzione, in R. Romboli (a cura di), L’accesso alla giustizia costituzionale: caratteri, limiti, prospettive di un modello, ESI, Napoli, 2006, p. XVI.