Magistratura democratica
Editoriali

Una questione di democrazia

di Beniamino Deidda
direttore Questione Giustizia
L'editoriale pubblicato sul numero 2-3 della rivista

I recenti e violentissimi attacchi alla magistratura, e in particolare a Md, possono sembrare gli ultimi colpi di coda di una forza politica il cui fondatore e proprietario, dopo il ventennale uso spregiudicato del potere, sta per uscire di scena. Non sono pochi i segni che giustificano quest'impressione. Il primo, e insieme quello che più colpisce, è lo scriteriato attacco alla Corte di cassazione che non ha precedenti nella storia di questo Paese. Mai il centrodestra, e neppure il presidente Berlusconi personalmente, aveva osato attaccare con questi toni il vertice dell'ordine giudiziario. Anzi, negli indiscriminati attacchi del Capo la Cassazione è stata sempre opportunamente lasciata fuori dalla polemica: il ritornello era “ci sono purtroppo le toghe rosse, ma ci sarà pure un giudice fuori dalla mischia”, la Cassazione appunto. Ma la definitiva condanna del Cavaliere per frode fiscale ha fatto saltare ogni prudenza. E si è ripetuto un copione già visto: non solo la sentenza è stata giudicata come il frutto e la prova di un ventennale complotto, ma si è proceduto al linciaggio di coloro che l'hanno pronunziata. L'aggressione personale è stata favorita da un'improvvida intervista rilasciata dal presidente Esposito, il quale sarà stato ingenuo o incauto, ma certo è che la virulenza dell'attacco contro di lui fa pensare che si sia perso ogni senso della misura.

Fa pensare ad un rabbioso colpo di coda anche il nuovo, ma non inedito, attacco ad Md. Le parole usate questa volta sono di inaudita gravità e sono state accompagnate dal tentativo di stravolgere il senso della storia di Magistratura democratica, dipinta come un'oscura compagnia di eversori, e lo stesso significato della sua presenza sulla scena giudiziaria e politica. Per fortuna gli interventi di Livio Pepino su Il Manifesto e del presidente di Md Luigi Marini sul Corriere della Sera hanno lucidamente riproposto la storia della corrente e il senso della militanza in Md di un gran numero di magistrati italiani. Ma quest'operazione di verità può essere solo per coloro che sono in buonafede. Temiamo invece che sia sprecata per uno stuolo di personaggi che non avrebbero motivo di menare colpi di coda all'impazzata e che invece fiancheggiano acriticamente le tesi eversive di Berlusconi e dei suoi attaccando a testa bassa la giurisdizione. Abbiamo visto alcuni giornali, e tutti indistintamente i rappresentanti del PDL, accusare i giudici che si sono occupati dell'ex presidente del Consiglio di avere dolosamente preparato l'esito processuale per toglierlo dalla scena politica. Si tratterebbe di un'accusa sanguinosa, se la fonte fosse appena credibile. Per fortuna i magistrati che si sono occupati di Berlusconi (che ormai complessivamente sfiorano il centinaio) hanno conservato la loro serenità.

Sono invece i cittadini che dovrebbero allarmarsi, riflettendo sullo stato in cui è stata ridotta la nostra vita democratica. Su un grande giornale come Il Corriere della Sera il giornalista Ostellino attacca la sentenza della Corte di cassazione con argomenti che farebbero arrossire qualsiasi studente di giurisprudenza. Alle stupite osservazioni di qualche magistrato, Ostellino replica con un'altra aggressione a Magistratura democratica ed ad altri magistrati da lui definiti “di sinistra”, accusandoli di voler sovvertire l'ordine democratico con le loro sentenze. Si potrebbe pensare che quando Ostellino critica la sentenza di condanna della Cassazione non sappia quel che dice, ma forse c'è dell'altro. Che Ostellino passi per un liberale è un pessimo segno che dovrebbe preoccupare il suo giornale. Ma non c'è niente di liberale nel fatto che il centro destra e gli Ostellino disseminati nei vari organi d'informazione tentino di liberarsi di una sentenza che non gli piace attraverso modi che non possono essere percorsi in nessuna democrazia. Gli uomini del PDL dicono compunti che il tentativo di mettere fuori gioco Berlusconi con una sentenza definitiva pone una “questione di democrazia” nel nostro Paese. C'è sì una questione di democrazia: e sta precisamente nel pretendere l'impunità di un condannato per ragioni squisitamente politiche, perché “è stato votato da milioni di elettori”. In questa pretesa eversiva sta per noi il dato più allarmante; ed è ancora un pessimo segno la sostanziale acquiescenza di molti, che pure si dicono democratici e moderati. In questo nodo si nascondono non le insidie per la magistratura, ma un rischio mortale per l'equilibro tra i poteri dello Stato democratico.

Non sono le critiche che ci spaventano; anzi vogliamo ricordare che ha cominciato Magistratura democratica a criticare i magistrati e le loro sentenze quando nessuno osava criticarli. Le critiche sono il sale della democrazia e i magistrati invecchiano male senza critiche. Ma le calunnie di queste settimane, le infamie e le offese ad alcuni di noi non sono critiche, sono il tentativo lucido di delegittimare l'intera magistratura. Non sono i magistrati a dover reagire e neppure può essere il solo Presidente Napolitano a ricordare che le sentenze dei giudici vanno rispettate a qualsiasi costo. Occorrerebbe che reagissero indignati tutti coloro che hanno a cuore le sorti della democrazia liberale.

Non sembra questo però l'orientamento del governo delle larghe intese, secondo il quale è invece ora di intervenire con la necessaria riforma della giustizia. A più d'uno è venuto in mente che forse si vuole la riforma della magistratura, più che della giustizia. Di quali riforme abbia bisogno la giustizia per i cittadini lo andiamo scrivendo da tempo, ma non è a questo che guarda la strana maggioranza. Forse tra le intenzioni di qualche componente c'è quella di chiudere definitivamente la partita con i magistrati, limitandone decisamente il ruolo ed i poteri. A questo non originale sospetto non vediamo decise reazioni, se non di nicchia: qualche giurista rigoroso, Libertà e Giustizia e poco altro. Ma non i partiti politici, non la grande stampa. È troppo poco per opporsi ad un disegno che più si mantiene oscuro (quali sono i punti della riforma? Quali sono gli assetti costituzionali che saranno rivisti? Quali nodi della giustizia saranno affrontati?), e più si prospetta temibile. Occorrerà stare molto attenti a cogliere i segni premonitori della riforma per opporvi, com'è nostro costume, una adeguata rassegna delle necessità che la domanda di giustizia di questo Paese propone, condite con le nostre elaborazioni e le nostre riflessioni. Senza quest'attenzione, in un domani non troppo lontano, potrebbe essere molto tardi. 

Nell'attesa non si può perdere tempo lamentandosi degli attacchi alla magistratura. Occorre lavorare per una giustizia più giusta, come i cittadini hanno diritto d'attendersi. Questo numero doppio è interamente dedicato alla questione della dirigenza giudiziaria. È il nostro modo di rispondere alle offese e alle calunnie che ci vengono rivolte: quello di sforzarsi con pazienza, di immaginare e di realizzare una giustizia che funziona meglio, più attenta alle persone, alla tutela dei diritti e all'efficienza.

Il tema dei dirigenti degli uffici giudiziari non è delicato solo per i magistrati, è un nodo fondamentale per tutti: un incapace messo a dirigere un ufficio può far guasti duraturi e gli utenti hanno il diritto di vedere selezionati gli uomini migliori. In questo numero perciò affrontiamo il tema delle nomine, quello dei requisiti che deve possedere un buon capo d'ufficio, quello della selezione e della formazione dei dirigenti. Abbiamo dato voce a tanti di coloro che più a lungo e con profitto si sono occupati del tema. Ne è venuta fuori, ci pare, un'aggiornata riflessione sullo stato dell'arte, con numerosi spunti che contribuiscono a delineare un modello di dirigente adatto ai tempi che viviamo. Speriamo che queste riflessioni stimolino tutti coloro che hanno qualche ruolo nella vicenda delle nomine all'introduzione di quelle novità di cui tutti ormai sentiamo acutamente il bisogno.

 

13/09/2013
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