Magistratura democratica
Giurisprudenza e documenti

Il processo in assenza preso sul serio

di Luca Fidelio
giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Torino

Le Sezioni Unite e il diritto alla conoscenza del processo da parte dell’accusato: una decisione che porrà problemi operativi per la giurisdizione di merito, ma che richiama ancora una volta i giudici a mettere al centro la tutela dei diritti fondamentali

1. Il presente contributo si propone di fornire un primo commento alla sentenza delle SS.UU. n. 23948 del 28.11.2019, depositata il 17.8.2020, imp. Ismail.

1.1. La questione rimessa alla Suprema Corte riguarda la conoscenza del procedimento in rapporto alla sola elezione di domicilio presso il difensore di ufficio effettuata in epoca antecedente alla modifica dell’art. 162 c.p.p. ad opera della L. n. 103/2017.

In particolare, la Corte è stata chiamata a rispondere al quesito se la sola elezione di domicilio presso il difensore di ufficio possa costituire elemento sufficiente a desumere la conoscenza del processo in capo all’imputato.

Il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte è il seguente: «Ai fini della dichiarazione di assenza non può considerarsi presupposto idoneo la sola elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio, da parte dell'indagato, dovendo il giudice, in ogni caso, verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata l'effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l'indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest'ultimo abbia avuto conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente allo stesso. (Principio affermato in relazione a fattispecie precedente all'introduzione dell'art. 162, comma 4-bis, cod. proc. pen. ad opera della legge 23 giugno 2017, n. 103)».

 

2. Prima di riassumere il contenuto – e gli effetti - della decisione in commento, pare utile riepilogare i termini del contrasto insorto in seno alla Corte di Legittimità. 

Sul tema della conoscenza del procedimento a fronte di una dichiarazione/elezione di domicilio si registrano effettivamente orientamenti difformi in all’interno della giurisprudenza di legittimità. 

Secondo un primo indirizzo, l’elezione di domicilio redatta dalla P.G. nell’immediatezza dell’accertamento del reato, ancor prima della formale iscrizione nel registro delle notizie di reato ex art. 335 c.p.p., non è di per sé sola sufficiente a dimostrare la conoscenza del procedimento. 

Tale orientamento si fonda anzitutto su un argomento di ordine formale, evidenziando come l’elezione di domicilio effettuata dalla P.G. nell’immediatezza dell’acquisizione della notizia di reato è atto antecedente alla formale apertura del procedimento penale.

Non può dunque desumersi alcuna conoscenza del procedimento penale da un atto perfezionato prima della formale apertura del procedimento stesso. 

A tale rilievo di carattere formale i sostenitori di tale orientamento ne aggiungono un altro di tipo sostanziale, che fa leva sulla natura del rapporto che lega l’interessato al difensore di ufficio.

Diversamente dal difensore di fiducia, che si presume abbia canali di collegamento diretti e costanti con il proprio assistito anche in forza del mandato fiduciario – atto che di norma presuppone un effettivo legame o un previo contatto tra il professionista e l’interessato - il difensore di ufficio indicato quale domiciliatario può ignorare del tutto la persona del cliente ed essere sprovvisto di un effettivo e reale legame con il proprio assistito.

Non di rado infatti il rapporto professionale tra il difensore di ufficio e l’assistito è puramente formale e fittizio, tanto è vero che il legislatore ha inserito il comma 4 bis dell’art. 162 c.p.p..

Sempre in tale filone ermeneutico – quello che reputa la mera elezione di domicilio insufficiente a fondare una affermazione di conoscenza certa del procedimento - si iscrive un’altra parte della giurisprudenza che muove tuttavia da distinti presupposti.

Alcune pronunce infatti ritengono che la mera conoscenza di un atto del procedimento (quale ad esempio la sottoscrizione di un verbale di elezione di domicilio ex art. 161 c.p.p..) non comporti una reale e concreta conoscenza del processo, che al contrario implica la cognizione di un provvedimento di vocatio in iudicium contenente l’imputazione e il luogo, data e autorità avanti al quale comparire (cfr. Cass. Pen. n. 43140/2019 Shimi Liman).

A diverse e opposte conclusioni perviene altra parte della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’elezione di domicilio presso il difensore di ufficio, anche se effettuata prima della formale apertura del procedimento penale, è sufficiente per procedere in assenza e desumere la conoscenza del procedimento.

Tale assunto si fonda in primo luogo sul tenore letterale dell’art. 420 bis c.p.p., secondo cui il giudice procede in assenza dell’imputato quando questi abbia eletto domicilio nel corso del procedimento, non distinguendo la disposizione tra elezione di domicilio presso il difensore di fiducia o presso il difensore di ufficio.

Ad avviso di tale indirizzo a nulla rileva il momento in cui avviene la dichiarazione o l’elezione di domicilio, essendo irrilevante il mero dato formale dell’anteriorità del verbale ex art. 161 c.p.p. rispetto all’iscrizione nel registro ex art. 335 c.p.p..

E ciò in quanto nell’art. 420 bis c.p.p. il legislatore ha indicato degli indici presuntivi di conoscenza prendendo in esame situazioni e vicende procedimentali che possono anche precedere la formale iscrizione nel registro delle notizie di reato, come ad esempio la verificazione di un arresto in flagranza ad opera delle Forze dell’Ordine, fatto che di regola è anteriore alla formale iscrizione da parte del P.M. nel registro delle notizie di reato.

L’orientamento da ultimo citato si salda con quella parte della giurisprudenza di legittimità che, nell’affrontare il connesso tema della rescissione giudicato ex art. 629 bis c.p.p., sostiene che non vi è alcuna incolpevole conoscenza del procedimento – e quindi non vi è spazio per la revoca della sentenza emessa nel giudizio e per la rinnovazione del processo - nel caso in cui l’imputato ha eletto domicilio presso difensore di ufficio, essendo in tale ipotesi suo dovere di diligenza informarsi sullo sviluppo del procedimento (si veda sul punto, tra le molte, Cass. Pen. Sez. IV - , Sentenza n. 10238 del 03/03/2020 Cc.  (dep. 16/03/2020 ) Rv. 278648 -  secondo cui: «In tema di rescissione del giudicato, deve escludersi l'incolpevole mancata conoscenza del processo nel caso in cui risulti che l'imputato abbia, nel corso dell'identificazione da parte della polizia giudiziaria, prima ancora dell'iscrizione nel registro delle notizie di reato, eletto domicilio presso il difensore di ufficio, derivando da ciò una presunzione di conoscenza del processo che legittima il giudice a procedere in assenza dell'imputato, sul quale grava l'onere di attivarsi per tenere contatti informativi con il proprio difensore sullo sviluppo del procedimento». 

 

3. Così riassunti i termini della questione, è giunto il momento di ripercorrere in sintesi l’iter motivazionale sviluppato dalla Suprema Corte.

3.1. Anzitutto le Sezioni Unite richiamano un precedente arresto della medesima Suprema Corte in composizione allargata (Cass. Pen. SS. UU. n. 28912/2019 ric. Innaro), su cui subito si tornerà, per ribadire e riaffermare che, nell’attuale sistema normativo, vanno distinti e separati due concetti: da un lato, quello relativo alla regolarità formale delle notifiche (disciplinate dagli artt. 148 e ss. c.p.p.), dall’altro, quello dell’effettiva conoscenza del processo (tema che attiene specificamente alla dichiarazione di assenza di cui all’art. 420 bis e ss. c.p.p.). 

Nella vigenza del regime contumaciale (anteriore alla disciplina sull’assenza introdotta  dalla L. n. 67/2014) vi era una fictio di conoscenza effettiva del procedimento desumibile esclusivamente dalla regolarità formale delle notifiche.

In caso di notifiche regolari e di omessa comparizione dell’interessato, il giudice era obbligato a procedere in contumacia, senza che avessero rilievo degli indici di conoscenza effettiva (i quali assumevano importanza nella successiva richiesta di remissione in termini per proporre impugnazione ex art. 175 c.p.p.).

Il sistema contumaciale è stato definitivamente superato e accantonato dalla nuova disciplina sull’assenza di cui agli artt. 420 bis c.p.p..

Tale riforma si è resa necessaria a fronte delle numerose pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (sentenze Colozza, Somogyi e Sejdovic) che hanno censurato l’ordinamento italiano nella parte in cui stabiliva che la mera conoscenza legale – derivante dalla regolarità formale delle notifiche - fosse sufficiente a garantire all’imputato la piena ed effettiva conoscenza del processo.

In più occasioni, infatti, la Corte Edu, con orientamento che può dirsi sicuramente consolidato, ha affermato che il sistema di conoscenza legale basato sulla regolarità delle notifiche non implica sempre e comunque la conoscenza effettiva dell’accusa, potendosi verificare casi – tutt’altro che infrequenti nella pratica - in cui le modalità della notifica non garantiscono la conoscenza certa e concreta del processo.

La Corte Europea ha quindi statuito che il sistema italiano caratterizzato dal processo contumaciale e dal sistema della conoscenza fittizia e puramente formale confligge con il principio del giusto processo di cui all’art. 6 CEDU, che presuppone sempre una effettiva e certa conoscenza del processo, ossia la conoscenza dell’accusa formulata con un atto di imputazione.

Giova in particolare rimarcare che in numerose sentenze la Corte di Strasburgo ha posto l’accento sulla necessità, al fine di garantire un processo equo e informato, di una effettiva e piena conoscenza del processo in capo all’accusato, non essendo ammissibili presunzioni o mere  ipotesi di conoscenza derivanti dalla semplice conoscenza di un atto del procedimento.

Di conseguenza, la Corte Edu ha più volte chiarito che per procedere in assenza dell’imputato è necessario che l’autorità giudiziaria fornisca una seria ed effettiva prova della conoscenza degli atti e della volontà di sottrarsi al processo da parte dell’imputato.

In casi dubbi e incerti devono operare meccanismi riparatori pregnanti, in grado di garantire lo svolgimento di un nuovo processo tale da assicurare a pieno la conoscenza dell’accusa e la piena esplicazione del diritto di difesa.  

Riassumendo, nell’affrontare la tematica in discorso, la Corte EDU ha più volte affermato i seguenti principi che devono obbligatoriamente guidare il giudice nazionale:

1) l’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo implica la reale, completa ed effettiva conoscenza del processo in capo all’accusato, non essendo accettabili mere presunzioni;

2) la dimostrazione di tale concreta e piena conoscenza deve essere fornita dall’autorità giudiziaria;

3) la conoscenza deve riguardare l’atto di imputazione, non essendo sufficiente la semplice cognizione di un atto del procedimento;

4) il processo in assenza non è incompatibile con la CEDU ove sia provato, si ripete ad opera dell’A.G. procedente, che l’imputato, avvisato dell’accusa mossa nei suoi confronti, degli atti di causa e dello svolgimento del processo, abbia volontariamente rinunciato a comparire;

5) in casi dubbi e incerti vanno predisposti meccanismi di impugnazione e/o di rinnovazione del giudizio, in grado di assicurare il pieno esercizio del diritto di difesa.

 

3.2. Sulla scorta di tali coordinate ermeneutiche, la Corte di Cassazione ha risolto la questione di cui in premessa, sancendo alcuni principi che devono sempre guidare il giudice nella dichiarazione di assenza.

In proposito, pare importante sottolineare come i criteri ermeneutici e le statuizioni della Corte di legittimità abbiano carattere generale e riguardino la disciplina vigente, benché il caso concreto sottoposto all’esame riguardasse una elezione di domicilio non assentita dal difensore di ufficio (art. 162 c.p.p. nella versione anteriore alla modifica di cui al comma 4 bis introdotto con L. n. 103/2017).

Procedendo con ordine, la Corte richiama e ribadisce la sentenza Innaro, sempre pronunciata in composizione allargata, in cui si era sancito che: «Ai fini della restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale ex art. 175, comma 2, cod. proc. pen., nella formulazione antecedente alla modifica operata con legge n. 67 del 28 aprile 2014, l'effettiva conoscenza del procedimento deve essere riferita all'accusa contenuta in un provvedimento formale di "vocatio in iudicium" sicché tale non può ritenersi la conoscenza dell'accusa contenuta nell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, fermo restando che l'imputato non deve avere rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione oppure non deve essersi deliberatamente sottratto a tale conoscenza».

In tale arresto la Corte di Cassazione, in ossequio all’orientamento costante della Corte sovranazionale di Strasburgo sopra tratteggiato, ha chiarito che la sola conoscenza di un atto del procedimento non basta per presumere sic et simpliciter la conoscenza certa del processo, in quanto l’interessato ben potrebbe essere a conoscenza della pendenza del procedimento ma essere ignaro della celebrazione del processo.

Sebbene affermato in relazione ad un caso in cui era applicabile ratione temporis la disciplina anteriore alle modifiche introdotte con la L. n. 67/2014, il principio sancito dalle SS.UU. Innaro si riflette senza dubbio nell’interpretazione e nell’applicazione della disciplina vigente, adottata proprio per superare le censure sollevate dalla Corte EDU in relazione al sistema della contumacia.

Come si è visto sopra, il giusto processo previsto dall’art. 6 della Convenzione prevede e implica la conoscenza in capo all’accusato dell’atto imputativo, con conseguente informazione della vocatio in iudicium onde consentire la partecipazione dell’interessato all’udienza.

A sostegno di tale assunto si pongono anche la disciplina comunitaria sul Mandato di Arresto Europeo (L. n. 69/2005) e la Direttiva Comunitaria n. 2016/343 del Parlamento Europeo e del Consiglio, che ribadiscono la necessità dell’effettiva conoscenza del processo e dell’accusa elevata, con conseguente informazione sul luogo e data del processo. 

Da ciò consegue che la disciplina anteriore sulla contumacia – ma anche, giocoforza, quella attualmente in vigore, si ripete emanata proprio al fine di uniformare il nostro ordinamento al giusto processo così come previsto dalla normativa convenzionale e come sancito dalla Corte sovranazionale – deve essere interpretata nel senso che per procedere in assenza occorre l’effettiva e piena conoscenza del processo, non essendo sufficiente la sola conoscenza di un atto del procedimento (per quanto propedeutico all’insaturazione del giudizio, quale l’avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415 bis c.p.p.).

Proprio muovendo dalle coordinate ermeneutiche più volte sancite dalla Corte di Strasburgo, la Suprema Corte di legittimità ha superato l’obiezione letterale relativa all’uso del termine procedimento nell’art. 175 c.p.p., specificando che nella normativa relativa alla contumacia – e anche in quella relativa all’assenza – l’utilizzo di termine è inteso come sinonimo di processo.

Merita, peraltro, di essere ricordato che nella stessa sentenza Innaro, la Suprema Corte, nell’esaminare la disciplina di cui all’art. 420 bis c.p.p. attualmente in vigore, ha parlato espressamente di presunzioni relative di conoscenza tipizzate e di connessi oneri di informazione gravanti sull’interessato (si veda pag. 16 indicata sentenza).

 

3.3. Ciò posto, nella sentenza in commento, la Suprema Corte, in consonanza ai paletti sopra tracciati, ha affermato che la sola elezione di domicilio presso il difensore di ufficio – nella fattispecie esaminata dalla Corte effettuata prima della modifica dell’art. 162 c. 4 bis c.p.p. operata con L. n. 103/2017 – non comporta automaticamente la piena conoscenza del processo.

Soffermandosi sulla portata e sul significato della normativa attualmente in vigore, la Corte ha ancora una volta evidenziato che per procedere in assenza occorre la prova della piena consapevolezza della conoscenza del processo da parte dell’imputato, dovendosi in caso contrario rinnovare la notificazione e, nell’ipotesi di irreperibilità di fatto, sospendere il processo ex art. 420 quater c.p.p..

In proposito, la Corte, superando quanto in precedenza affermato nella sentenza Innaro e uniformandosi pienamente ai principi più volte sanciti dalla Corte EDU, ha chiarito che gli indici di conoscenza enumerati dall’art. 420 bis c.p.p. non vanno intesi come presunzioni di conoscenza né assolute né relative.

In tale affermazione si rinviene il nucleo essenziale – e di maggiore impatto pratico - della sentenza in commento: la disciplina dell’assenza introdotta dalla L. n. 67/2020 va interpretata nel senso che gli indicatori descritti dall’art. 420 bis c.p.p. (dichiarazione/elezione di domicilio, nomina di un difensore di fiducia, sottoposizione a misure precautelari e cautelari) non costituiscono presunzioni ma mere esemplificazioni di un accertamento in fatto richiesto al giudice che richiede sempre una piena e reale conoscenza del processo, non essendo sufficiente la sola prova della conoscenza di un atto del procedimento, quale appunto nella specie la sottoscrizione di un verbale di elezione di domicilio.

In altri termini, in un tema di processo in assenza non possono operare presunzioni di sorta – neppure relative – in aderenza a quanto più volte statuito dalla giurisprudenza della Corte EDU, secondo cui la decisione di non comparire nel processo deve essere sempre frutto di una scelta libera e volontaria dell’accusato, previamente informato del contenuto dell’imputazione, degli atti a sostegno dell’accusa e del luogo, ora e giorno di celebrazione del giudizio.

Le situazioni tipizzate dall’art. 420 bis c.p.p. vanno dunque valutate come indicatori fattuali per desumere la conoscenza certa del processo (e non del solo procedimento) ovvero la volontaria sottrazione al processo, intesa come comportamento positivo oggetto di rigoroso accertamento in fatto.

A sostegno di tale assunto milita anche il tenore testuale dell’ultima parte dell’art. 420 bis c. 2 c.p.p., laddove la disposizione richiama in conclusione tutte le altre situazioni processuali, diverse da quelle enumerate nella prima parte, che comunque assicurano la conoscenza certa del procedimento (inteso come sinonimo di processo).

L’utilizzo dell’avverbio “comunque” è indicativo dell’intenzione del legislatore e della finalità della norma in questione, nel senso che per procedere in assenza è necessaria la dimostrazione, fondata su plurimi dati processuali (alcuni enucleati specificamente altri atipici), della conoscenza certa del processo.

Tale dimostrazione – da compiere in termini di certezza processuale – deve essere fornita e motivata dall’Autorità Giudiziaria.

In casi dubbi il giudice, in applicazione dell’art. 420 quater c.p.p., dovrà disporre la notifica a mani ed eventualmente, in caso di esito negativo delle nuove ricerche, sospendere il giudizio, disponendo nuove ricerche dell’imputato al fine di informarlo pienamente dell’esistenza del processo.

Nel motivare la sentenza la Suprema Corte pone inoltre l’accento sul concetto di effettività e concretezza degli indicatori tipizzati dall’art. 420 bis c.p.p., da intendersi in senso sostanziale e concreto, senza dare rilievo ad aspetti puramente formali.

In tale ottica la Corte ha cura di enucleare alcuni indici di effettività che devono accompagnare le situazioni tipizzate dall’art. 420 bis c.p.p.:

a) la dichiarazione/elezione di domicilio deve apparire seria e reale (cfr. pag. 22), nel senso che il domicilio indicato deve presentarsi idoneo ed effettivo; in tale ottica l’introduzione dell’art. 162 c. 4 bis c.p.p. va nel senso di rendere effettivo e concreto il rapporto tra difensore e assistito con conseguente scambio di flussi informativi (a diverse conclusioni deve pervenirsi, ad esempio, in ipotesi di domicilio rivelatosi sin da subito insufficiente, incompleto o inidoneo);  

b) in caso di arresto in flagranza va verificata l’esistenza di un effettivo contatto con il giudice e lo svolgimento di un’udienza di convalida con la partecipazione dell’arrestato (a diverse conclusioni potrebbe, al contrario, pervenirsi in caso di immediata liberazione dell’arrestato ad opera del P.M. ex art. 121 disp. att. C.p.p.);

c) in caso di misura cautelare dovrà aversi riguardo alla sua effettiva esecuzione con successivo interrogatorio e contestazione degli addebiti nell’interrogatorio ex art. 294 c.p.p.;

d) parimenti, in caso di nomina di difensore di fiducia si dovrà porre l’attenzione sull’instaurazione di un rapporto effettivo tra difensore e assistito con concreto espletamento di attività defensionale e flussi informativi (a diverse conclusioni potrà, ad esempio, pervenirsi nell’ipotesi di rinuncia al mandato avvenuta subito dopo la nomina).

 

4. Alle vicende processuali elencate dalla Corte possono aggiungersi ulteriori situazioni – non infrequenti nella pratica – che, ad avviso di chi scrive, possono rendere dubbia la “conoscenza certa” del processo, con conseguente obbligo di rinnovare la notifica dell’atto di fissazione dell’udienza e attivare la procedura di cui all’art. 420 quater c.p.p.:

1) Elezione di domicilio non accolta dal difensore di ufficio ex art. 162 c. 4 bis c.p.p.: in tale ipotesi la giurisprudenza ha chiarito (cfr., da ultimo, Cass. Pen. Sez. II n. 10358/2019) che qualora il difensore di ufficio non accetti la veste di domiciliatario e l’interessato non provveda ad effettuare una nuova e diversa elezione di domicilio, si deve procedere comunque mediante notifica al difensore ai sensi dell’art. 161 c. 4 c.p.p. diversamente determinandosi una situazione di stallo non superabile. Ebbene è evidente che in tale situazione la regolarità formale delle notificazioni non assicura una conoscenza effettiva e reale del processo in capo all’accusato.

2) Dichiarazione di un domicilio risultato sin dall’inizio inidoneo e/o incompleto, con notifiche effettuate ex art. 161 c. 4 c.p.p. al difensore di ufficio;

3) Sottoposizione a misura cautelare – poi revocata - in epoca di gran lunga antecedente all’instaurazione del giudizio, in assenza di successive notifiche a mani o della nomina di un difensore di fiducia.

4) Difensore di fiducia nominato e mai revocato che non sia mai comparso ad alcuna udienza e che non abbia svolto alcuna attività processuale, circostanza questa che rende incerto il contatto con l’assistito (situazione che, per inciso, potrebbe integrare un abbandono di difesa con necessità di sostituire il difensore con altro nominato d’ufficio);

5) Notifica a mani dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari e successiva irreperibilità di fatto dell’imputato, in assenza di nomina fiduciaria.

Viceversa, è possibile enucleare alcune situazioni in cui, con ragionevole sicurezza, è desumibile la conoscenza certa del processo, con la conseguenza che la mancata comparizione nel giudizio potrà essere ricondotta a una scelta volontaria e consapevole dell’accusato;

1) notifica a mani (o a famigliare convivente) dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, del decreto che dispone il giudizio o del decreto di citazione diretta a giudizio;

2) elezione di domicilio presso il difensore di fiducia;

3) attuale sottoposizione a misura cautelare e puntuale osservanza delle prescrizioni ad esse connesse (a conclusioni differenti e più problematiche si potrebbe pervenire nel caso di irreperibilità di fatto di un soggetto, privo di fissa dimora e difeso di ufficio, sottoposto alla misura cautelare del divieto di dimora applicata a seguito di arresto in flagranza);

4) dichiarazione di latitanza legittima e perdurante, in presenza di una nomina fiduciaria (viceversa, come sottolineato dalla Corte -pp.21-22, punto 10-, la sola dichiarazione di latitanza non consente alcuna presunzione di conoscenza del processo);

5) presentazione di istanza di legittimo impedimento da parte dell’interessato (circostanza questa che presuppone la conoscenza della data dell’udienza);

6) rinuncia espressa a comparire all’udienza.

 

5. In conclusione non può che esprimersi un giudizio positivo sulla pronuncia in commento, che ha il pregio di armonizzare l’ordinamento interno ai principi più volte sanciti dalla Corte di Strasburgo, nell’ottica di assicurare all’accusato una piena ed effettiva informazione sul contenuto dell’accusa elevata a suo carico e sull’esistenza di un processo pendente nei suoi confronti.

In proposito non è superfluo ricordare come i principi contenuti nella CEDU, così come interpretati dalla Corte di Strasburgo, costituiscano criteri di interpretazione – convenzionalmente orientata – ai quali il giudice nazionale è tenuto a ispirarsi (così Cass. Pen. SS.UU. n. 27620/2016).

L’art. 6 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, così come interpretato dalla Corte EDU, rappresenta insomma un parametro interpretativo che deve guidare i giudici interni nell’applicazione della disciplina sull’assenza.

La pronuncia in commento ha altresì il merito di allineare l’ordinamento interno alla normativa euro-unitaria che, al pari della Convenzione EDU, richiede la conoscenza certa del processo in capo all’imputato.

Ciò si trae, in particolare, all’art. 8 della Direttiva n. 2016/343 del Parlamento Europeo e del Consiglio che impone agli Stati membri i seguenti specifici obblighi, al fine di garantire decisioni eque e conformi al diritto di difesa:

a) assicurare il diritto degli imputati di presenziare al processo, anche svolgendo ricerche accurate dell’accusato onde garantirne la comparizione;

b) informare l'indagato o imputato in un tempo adeguato del processo e delle conseguenze della mancata comparizione;

c) assicurare all’incolpato l’assistenza di un difensore di fiducia o di ufficio;

d) nel caso di processo svolto in assenza occorre informare l’accusato del contenuto della decisione, del diritto a proporre impugnazione e del diritto ad un nuovo processo.

Inoltre, l’art. 9 della Direttiva sancisce il diritto dell’imputato a un nuovo processo o a un altro mezzo di ricorso giurisdizionale, che consenta di riesaminare il merito della causa, incluso l'esame di nuove prove, e possa condurre alla riforma della decisione originaria nel caso in cui non siano rispettati i diritti di informazione e connessa comparizione di cui all’art. 8.

Dal chiaro tenore letterale di tali disposizioni si comprende chiaramente come anche l’ordinamento euro-unitario imponga la conoscenza certa del processo in capo all’accusato, preoccupandosi di garantire la rinnovazione del giudizio nel caso in cui l’accusato non sia venuto a conoscenza del processo e del contenuto dell’accusa elevata a suo carico.

Ne consegue che, in forza dei principi del primato del diritto UE, dell'efficacia diretta – a date condizioni – delle sue disposizioni e dell’obbligo di interpretazione conforme delle disposizioni prive di efficacia diretta, il giudice nazionale è tenuto a  un’interpretazione adeguatrice del diritto interno, nel senso che, anche prima che sia entrata in vigore la legge che traspone la direttiva nell'ordinamento interno, egli deve interpretare il proprio diritto nazionale quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva onde conseguire il risultato perseguito da quest'ultima. 

Alla luce di tali coordinate, la pronuncia in commento merita certamente apprezzamento, avendo il pregio di interpretare la normativa interna in modo conferme alla disciplina euro-unitaria.

Per tali ragioni, i principi di diritto sanciti dalla Suprema Corte con la sentenza in commento devono ispirare i giudici di merito nell’interpretazione della vigente disciplina, con la conseguenza che è necessario porre particolare attenzione alla dichiarazione di assenza, motivando specificamente – e congruamente – sulla conoscenza processualmente certa del processo e sulla conseguente volontaria e consapevole mancata comparizione dell’imputato. 

Tale accertamento, da compiersi in fatto, presuppone la regolarità formale delle notificazioni e richiede una congrua motivazione circa l’effettiva e reale conoscenza del processo in capo all’accusato, senza che possano avere ingresso presunzioni o semplificazioni.

In situazioni di dubbio o incertezza appare preferibile – anche al fine di evitare successivi provvedimenti di rescissione del giudicato ex art. 629 bis c.p.p. – rinnovare le notificazioni, previo svolgimento di nuove ricerche, così da assicurare all’interessato la piena ed effettiva conoscenza del giudizio così come richiesto dalla normativa e dalla giurisprudenza sovrannazionale.

20/10/2020
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