Magistratura democratica
cinema e letteratura

“Il concorso” di Bruno Capponi
fra sentimento e giustizia

di Elena Zucconi Galli Fonseca
ordinario di diritto processuale civile nell’Università di Bologna
Recensione a B. Capponi, Il concorso, Novecento Editore, Milano, 2014
“Il concorso” di Bruno Capponi</br>fra sentimento e giustizia

1. Premessa.

Ne “L’ultimo dei Rutti”, il precedente romanzo del nostro autore, il professore usciva tutto sommato bene: nella crisi del processo, era significativo che fosse proprio quest’ultimo a dimostrare ad Ascanio la maggiore disponibilità ad avvicinarsi al mondo, così distante, al quale quest’ultimo appartiene.

Qui le cose stanno diversamente: emerge una figura meschina, tutta tesa a realizzare interessi personali in palese contrasto con il bene della collettività (accademica); un professore, insomma, affetto da sdoppiamento di personalità, nei rapporti con gli altri rispetto ai rapporti con i suoi simili.

Presentare il libro di Bruno Capponi, mettendo a nudo le magagne dell’attuale sistema di reclutamento dei professori universitari e chiedendosi se siano meglio le procedure con i vecchi o gli attuali sistemi (se ne veda una rassegna sull’interessante sito www.roar.it) sarebbe troppo facile e scontato.

Preferisco percorrere una via diversa, lasciandomi trasportare da alcune suggestioni che la lettura del libro mi ha suscitato: suggestioni inevitabilmente influenzate dalla mia formazione processualistica, quella stessa del nostro autore.

2. L’estetica del diritto.

Il processualista è, probabilmente, il giurista che sente di più il peso della separazione fra teoria e realtà: è un dato di fatto che, nel mondo attuale, l’impegno forte sulla prima non riesce a portare ad un altrettanto significativo miglioramento della seconda.

Eppure l’autore sceglie, per il suo lucido disegno, una disciplina teorica e “pura” per eccellenza, quale è l’estetica del diritto.

Ebbene, cos’hanno in comune il diritto (il giusto) con l’estetica (il bello, l’arte)? ([1])

L’estetica si riferisce alla sensazione” ([2]), secondo l’etimologia greca ([3]): è, baumgartianamente, dottrina della conoscenza sensibile ([4]) e come tale si colloca agli antipodi della conoscenza razionale che procede per concetti ([5]).

Eppure, anche nell’arte, insegna Aristotele, va riconosciuto un momento intellettivo.

L’estetica non vi può essere disgiunta perché, usando le parole di Vico, “gli uomini prima sentono senz’avvertire; di poi avvertiscono con animo perturbato e commosso; finalmente, riflettono con mente pura”.

In Kant, poi, il puro sentimento costituisce una felice mediazione ([6]), coniugando “la necessità delle cose [...] con la libertà dello spirito”  ([7]).

Nella corrispondenza crociana fra intuizione ed espressione si arriva all’immaginazione: scrive Aristotele ([8]) noein ouk estin aneu phantasmatos (fieri non potest, ut sine phantasmate quidquam intelligatur).

Estetica giuridica, dunque, non significa ragionare soltanto del rapporto fra arte e diritto, ma anche affermare l’esigenza di non disgiungere la razionalità dalla conoscenza emozionale.

Lontano dal formalismo giuridico, pur legandosi alla forma, essa pone in luce della “umanità del diritto” ([9]): il giurista diviene “artista della ragione” ([10]).

Di più, essa permette di valutare, per l’analisi del sapere giuridico, l’utilità di una pluralità di linguaggi extragiuridici non solo testuali, ma anche extratestuali, come l’immagine, l’icona, la figura, la narrazione ([11]).

Al di là, pertanto, delle esecrabili commistioni fra emozione e razionalità, proprie dei protagonisti del nostro libro, va colto lo spunto positivo a rimeditare sui nessi fra diritto e sentimento. 

Rimeditazione che deve riguardare a maggior ragione il processo.

Si è parlato di processo come gioco “sottile di ingegnosi ragionamenti”, fondato sull’abilità agonistica dei suoi attori (Calamandrei).

Non si tratta di svalutare, in negativo, la finalità di giustizia a favore dell’autoreferenzialità della regola processuale.

Al contrario, proprio l’estetica vissuta come gioco, di matrice schilleriana, permette di cogliere la funzione di quest’ultimo come mediazione fra forma e materia, fra sensibilità e razionalità, nella già vista chiave dell’immaginazione: “ed invero, per riassumere finalmente, l'uomo gioca unicamente quando è uomo nel senso pieno della parola ed è pienamente uomo unicamente quando gioca” ([12]). 

3. La giustizia.

Attraverso le spassose relazioni dei giovani candidati al concorso, emerge un teatrino caricaturale che vela amare realtà.

“Tutti in tribunale, dunque, perché nulla resti deciso”.

Non v’è dubbio che i tempi lunghi della giustizia portino sovente ad una soluzione della lite per effetto del naturale evolversi degli eventi: insomma, è spesso il tempo e non la giustizia a risolvere i conflitti.

Gli avvocati appartengono a quattro tipologie: “oratori, scrittori, taciturni e picchiatori”.

Io aggiungerei un quinto tipo, quelle degli avvocati “informatici” al quale tutti dovremo appartenere: né scrittori né oratori, ma comunicatori in video call, in jpg e pdf, muniti di dispositivi di firma che, a differenza delle dita, sono in grado di separarsi dal loro proprietario nolente o volente, come vere e proprie firme eterografe. 

4. Le donne.

In prospettiva diversa rispetto al procedente romanzo “L’ultimo dei Rutti”, qui le donne non escono bene.

C’è il classico stereotipo dell’assistente amante del cattedratico.

C’è la segretaria amministrativa un po’ tignosa, intrisa di burocrazia, che aspetta con malcelata soddisfazione l’errore formale degli sventurati commissari.

C’è soprattutto il senso di fastidio per le c.d. quote rosa.

Il problema, che meriterebbe ben altra e più matura riflessione, è probabilmente di quelli destinati a non trovare mai soluzione: è evidente che il parametro della meritocrazia prescinde dal genere e non tollera, per principio, trattamenti differenziati; è altrettanto evidente, però, che vi sono gap oggettivi di cui il legislatore può e deve farsi carico.

Cosa possiamo dunque fare noi, comuni cittadini che non possiamo legiferare?  

Instaurare fra generi diversi una consonanza di sensazioni, impegnarsi in uno sforzo puramente emotivo di comprensione reciproca. Insomma, dalla razionalità alla sensazione. Dal diritto all’estetica. Ed il cerchio si chiude.

 


[1] Contrapposizione che si trova in Bartoli, Aesthetica iuris. L'estetica trascendentale di Fichte come presupposto di una fenomenologia del diritto, in Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia n. 11 (2009) [inserito il 5 luglio 2009], si può leggere in mondodomani.org/dialegesthai/.

[2] Devoto, Avviamento alla etimologia italiana, Firenze, 1989, p. 157.

[3] αἰσϑητική da αἴσϑησις: Rocci, Dizionario greco-italiano.

[4] Calogero, voce Estetica, in www.treccani.it.

[5] νοητά.

[6] Incampo, Per una metafisica del processo, Bari, 2009, p. 68.

[7] Calogero, op. loc. citt.

[8] De memoria 449b31.

[9] Cananzi, ‘Artificiale’ versus ‘artificioso’ (saggio perlustrativo su estetica e diritto), in I-lex Scienze Giuridiche, Scienze Cognitive e Intelligenza Artificiale Rivista quadrimestrale on-line, nn. 5-6, novembre 2006, p. 166, si può leggere in www.i-lex.it.

[10] Cananzi, op. cit., p. 196 in citazione di Legendre, Il giurista artista della ragione, a cura di E. Avitabile, Torino, 2000, p. 110 ss.  

[11] Heritier, Nessi multiformi tra diritto e narrazione, in Rivista di scienze della comunicazione - A.II, n. 1, 2010, p. 11 ss.,  si può leggere in www.openstarts.units.it/dspace/bitstream/10077/3549/1/Tigor_3_heritier.pdf.

[12]Schiller, Lettere sull'educazione estetica dell'uomo. Callia o della bellezza, introduzione e note di A. Negri, Roma. 2005, p.48.

11/01/2015
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