Magistratura democratica
Giurisprudenza e documenti

Assegno di divorzio e convivenza di fatto: brevi note critiche alla sentenza della Corte di cassazione a Sezioni Unite Civili n. 32198/2021

di Isabella Mariani
Presidente della I Sezione civile della Corte d'appello di Firenze

L’autrice, dopo avere sintetizzato le ragioni della decisione in commento, ne legge criticamente le conclusioni, alla luce della evoluzione sociale e normativa

1. La sentenza n. 32198/ 2021 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite Civili 

Con sentenza n. 32198/2021, resa a Sezioni Unite, la Corte di Cassazione ha composto il conflitto relativo alla sopravvivenza dell’assegno divorzile, nel caso che il beneficiario dello stesso avesse istaurato, nel corso del procedimento di divorzio o nel corso del procedimento di modifica delle condizioni ex art. 9 l. 898/1970, nuova convivenza nel senso di famiglia di fatto, connotata da requisito di stabilità.

Lo ha risolto, in primo luogo escludendo la applicazione analogica dell’art. 5 l. cit., e poi stabilendo che la parte dell’assegno, ricostruibile oggi, a seguito della condivisa impostazione di Cass. S.U. 18287/2018, come afferente alla componente compensativo-perequativa, permanga come dovuta, a ragione del fatto che trattasi di ristoro rispetto alla creazione delle condizioni di maggiore capacità reddituale del coniuge onerato, che sopravvivono alla separazione, eventi passati che non possono essere superati perché nulla hanno a che vedere con il mal citato principio di autoresponsabilità, che invece decreta la fine della componente assistenziale dell’assegno.

Il ben motivato provvedimento articola il ragionamento secondo i seguenti passaggi.

a) Richiama l’evoluzione giurisprudenziale sul punto, individuandone tre fasi:

a1) l’orientamento più risalente che negava la interruzione automatica dell’assegno a seguito della istaurazione della nuova convivenza, salvo l’eventuale rimodulazione in considerazione della stessa, attesa la ricostruzione della contribuzione all’interno della famiglia di fatto quale obbligazione naturale. Si tratta quindi del contemperamento tra la valutazione della nuova situazione e d’altra parte la precarietà che la contraddistingue sino al momento della contrazione di nuove nozze che assicurano la medesima tutela del precedente coniugio;

a2) un secondo orientamento che postula la sospensione dell’obbligo all’assegno divorzile durante la convivenza salva la sua reviviscenza nel caso di cessazione della convivenza;

a3) il più recente orientamento che, sulla base del principio di autoresponsabilità, portato alla «valorizzazione estrema», ritiene che con la nuova convivenza di fatto si determini la cessazione di ogni forma di contribuzione atteso il venir meno di qualsiasi residua solidarietà familiare.

b) Dà conto della variegata opinione dottrinale ed in particolare della iniquità della ultima soluzione che comporta la definitiva perdita da parte del beneficiario delle conseguenze per l’altro coniuge favorevoli, derivanti dal sacrificio delle proprie aspettative professionali ed economiche in vista delle scelte familiari già operate.

c) Esamina il percorso sociale e culturale della famiglia nella società italiana, olim unica e basata sulla indissolubilità del matrimonio, ora composita e plurima. Sottolinea la difficoltà della funzione interpretativa propria degli organi giurisdizionali, osservando come il più recente indirizzo fa propri i timori espressi da parte della dottrina, di un legame coniugale a tempo indeterminato, impediente la affermazione di nuove realtà familiari.

Tutto ciò premesso, afferma di non condividere il terzo orientamento che postula la rescissione di qualsiasi obbligo economico divorzile, data la prova dell’intervenuta nuova convivenza:

·Non vi è dato normativo che sostenga tale scelta interpretativa, atteso che l’art. 5 richiamato, limita la perdita dell’assegno solo alla contrazione di nuove nozze, mentre la norma è invece prevista in altri ordinamenti e presente nel progetto di legge in corso di approvazione in Parlamento a conferma della necessità di una previsione normativa; esclude la possibilità di ricorso alla analogia ex art. 12 preleggi.

·La Corte costituzionale nelle sue pronunce, ha confermato la assenza di una necessità costituzionale di piena parificazione tra famiglia di fatto e famiglia fondata sul matrimonio, mentre ha affermato che la automatica applicazione di norme che comportino restrizione di tutela in ambito familiare deve essere espressa e anche quando espressa è suscettibile di interpretazione a cautela della prole (citando la sentenza 308/2008 sulla interpretazione dell’allora 155 quater c.c.);

·Infine, richiama la ricostruzione dell’assegno divorzile quale emergente dalla nota e condivisa sentenza Cass. S.U. 18287/ 2018 nelle sue articolazioni assistenziale e perequativo- compensativa[1], per inferirne che, data la rilevanza della famiglia di fatto e delle obbligazioni di assistenza che attualmente ne conseguono (l. 76/2016) , se non permane l’obbligo alla assistenza, non si caduca il diritto alla componente compensativa, che residua quale riconoscimento dell’apporto «dato dal coniuge debole con le sue scelte personali e condivise in favore della famiglia, alle fortune familiari e al patrimonio dell’altro coniuge, che rimarrebbe ingiustamente sacrificato e non altrimenti compensato se si aderisse alla caducazione integrale».  Riconoscimento di un arricchimento passato e non contribuzione in vista di esigenze attuali o future. Segue la descrizione della qualità e del riparto dell’onere probatorio.

·Rilevanti, per il lavoro giudiziario quotidiano, le affermazioni sia pure come obiter, della non reviviscenza dell’assegno divorzile nella sua componente assistenziale, nel caso di fine anche della nuova convivenza e tuttavia della permanenza del diritto alla componente compensativa anche nel caso in cui la mancanza di mezzi adeguati (prerequisito fattuale per il riconoscimento dell’assegno divorzile) sorga anche a distanza di tempo dal divorzio.

·Infine, la sentenza lancia un monito al legislatore, in forza della considerazione della insufficienza dell’attuale sistema normativo. La tendenziale durata indefinita dell’assegno divorzile contrasta con la calcolabilità della componente compensativa, proprio perché esauritasi nel tempo passato. Corre lo sguardo ad ordinamenti vicini che conoscono l’assegno di divorzio temporaneo e si richiama la opportunità di definizione del procedimento con il riconoscimento della corresponsione una tantum di cui all’art. 5 comma 8 l. cit. (opzioni non rimesse alla decisione del giudice nel nostro ordinamento).

 

2. Esame critico della decisione

Come correttamente esplicitato in motivazione, la materia familiare (come poche altre nell’ordinamento) accompagna / anticipa / è condizionata da, la evoluzione sociale e culturale, che in questi ultimi decenni, è corsa in pari misura nel solo differente campo del progresso tecnologico.

Di questa rapido e stravolgente mutamento di costumi è evidente rappresentazione la sentenza n. 11504/2017 della I sezione della Corte di Cassazione, che riconosceva all’assegno divorzile la sola componente assistenziale, e che (oltre i limiti da più parti segnalati, in primis il mutamento a sezione semplice di un orientamento assolutamente consolidato) ha certamente avuto il merito di segnalare con forza quanto percepito negli Uffici di merito da anni, la sopravvenuta inadeguatezza e a tratti intollerabilità, del principio del diritto al mantenimento dell’uguale tenore di vita, costituendo, detta sentenza, il volano per la pronuncia delle S.U. del 2018 che tale principio ha definitivamente superato.

Intollerabilità non solo per la possibile creazione di rendite parassitarie, ma anche per la rappresentazione di una non raggiunta autonomia femminile (perché della posizione della donna coniuge massimamente si tratta), se ancorata a schemi culturali che rafforzano l’immagine di dipendenza da un rapporto familiare che non si esaurisce mai.

Del ritorno a questa visione pecca, a mio avviso, la sostanza della sentenza delle S.U.: il principio di autoresponsabilità, già più volte invocato dalle Sezioni semplici della Cassazione[2], impone che una volta che si è operata la scelta della costituzione di nuovo nucleo familiare, suggellato o meno dal matrimonio, i diritti e i doveri sorgenti dal rapporto di coniugio disciolto, cessino definitivamente; non si comprende la distinzione operata tra nuovo matrimonio e nuova convivenza. La S.C. trova la ratio della distinzione nella tutela offerta dal nuovo matrimonio a raffronto con la temporaneità della tutela offerta dalla convivenza di fatto e, nella differenza di situazioni, fonda il divieto di analogia. Così facendo tuttavia giustifica con la conseguenza la opzione interpretativa: il protrarsi della tutela diventa la conseguenza della scelta di non sposarsi, ma ne sarà anche la ragione, incentivando scelte, queste sì, di non piena assunzione di responsabilità (il contrarre nuovo matrimonio con i conseguenti obblighi di cui all’art. 143 c.c. ). Ed ancora, soffia sul fuoco delle turbolenze post matrimoniali, essendo anche comprensibile il disappunto di chi deve concorrere ad un nuovo ménage familiare, sorto sulle ceneri del precedente.

Né appare sufficiente spiegazione la distinzione tra varie componenti dell’assegno, operazione che trasforma la questione in un problema di tipo matematico, lontano dai risvolti sociali e culturali cui prima si accennava.

Non è infine, sufficiente sostenere che diversa è la situazione attuale rispetto alla situazione antecedente la sentenza del 2018, al tempo in cui la pronuncia della Cassazione del 2015 intervenne: allora ancora si utilizzava il principio del tenore di vita, quale fondante il diritto al riconoscimento dell’assegno divorzile, cioè un criterio più favorevole dell’attuale per il beneficiario e ciononostante se ne sanciva la cessazione.

In realtà, nessuna differenza è ormai predicabile tra famiglia fondata sul matrimonio e famiglia di fatto, opzioni tra loro alternative nel sentire comune. Ciò, contrariamente all’assunto delle S.U., comporta la cessazione dell’obbligo all’assegno divorzile. L’art. 5 comma 9 legge 898/1970 dispone la cessazione dell’obbligo di corresponsione dell’assegno nel caso di nuove nozze del coniuge al quale esso debba essere corrisposto.  Di tale norma può postularsi la interpretazione estensiva di cui al ii comma dell’art. 12 preleggi, richiamando i principi della interpretazione storico-evolutiva e la valutazione del mutamento dello scopo della norma, come sostanza del riferimento alla intenzione del legislatore di cui al i comma dell’art. cit.[3].

Ma può anche postularsi la analogia legis, nel senso del ricorso a norma positiva regolante caso affine[4]. La affinità è desumibile dalla evoluzione non solo normativa (con il riconoscimento della convivenza di fatto operata dall’art. 1 comma 36 l. 76/2016 [5]), ma anche come riconosciuto dalla stessa S.C., dalla evoluzione sociale e dalla crisi della unione matrimoniale. Né può richiamarsi il divieto di analogia di cui all’art. 14 preleggi sancito per le norme eccezionali cui non è ascrivibile la norma di cui al ix comma dell’art. 5 cit.., poiché il rapporto tra obbligo all’assegno e sua cessazione non è sussumibile nella relazione norma-eccezione, ma è ascrivile allo svolgersi del rapporto obbligatorio dalla genesi sino alle cause del suo venire meno.

La stessa Corte dimostra di avere dubbi sulla tenuta della decisione sotto il profilo della equità, laddove da un lato richiama le norme degli ordinamento stranieri a noi vicini, che escludono la sopravvivenza di qualsiasi tipo di assegno in presenza di successiva convivenza di fatto (così richiamando il diritto francese, spagnolo, tedesco) e dall’altro, rileva la incongruità tra la previsione di un assegno a tempo indeterminato e la necessaria determinabilità della componente compensativa proprio perché componente attuatasi nel passato e ormai esaurita. In questo aspetto si colloca la maggiore criticità della soluzione scelta, che si riverserà necessariamente nella maggiore difficoltà dell’accesso alla procedura di revisione per mutamento delle situazioni di fatto.

Deve infine ritenersi che nella analoga situazione di contributo al mantenimento riconosciuto in sede di separazione e nuova convivenza di fatto del coniuge beneficiario, uguale dovrebbe essere la soluzione, seppure anche sul punto ed in epoca anche recente diversi siano gli arresti della S.C. [6] cui la giurisprudenza di merito si è assestata.

A chiusura della disamina, a parere di chi scrive, la sentenza, pur ottimamente argomentata, discostandosi dalla precedente più rigorosa interpretazione, disattende una opzione interpretativa che era accolta e seguita dal merito, non solo perché ritenuta conforme a diritto, ma anche conforme alla evoluzione del costume e alla nuova posizione della donna nell’assetto familiare, che non deve essere considerata soggetto da assistere sempre e comunque, ma soggetto dotato di propria autonomia e responsabilità, cui applicare norme che  possono prescindere dal genere.


 
[1] Cass. civ. Sez. Unite, 11/07/2018, n. 18287 così massimata: «Posto che l'assegno divorzile svolge una funzione non solo assistenziale, ma in pari misura anche perequativa e compensativa, continuando ad operare i principî di eguaglianza e di solidarietà di cui agli artt. 2 e 29 Cost., e che il diritto al riguardo del richiedente va accertato unitariamente, senza una rigida contrapposizione tra la fase attributiva (an debeatur) e quella determinativa (quantum debeatur), il giudice: a) procede, anche a mezzo dell'esercizio dei poteri ufficiosi, alla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti; b) qualora ne risulti l'inadeguatezza dei mezzi del richiedente, o comunque l'impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, deve accertarne rigorosamente le cause, alla stregua dei parametri indicati dall'art. 5, 6° comma, prima parte, L. n. 898/70, e in particolare se quella sperequazione sia o meno la conseguenza del contributo fornito dal richiedente medesimo alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei due, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali, in relazione all'età dello stesso e alla durata del matrimonio; c) quantifica l'assegno senza rapportarlo né al pregresso tenore di vita familiare, né al parametro della autosufficienza economica, ma in misura tale da garantire all'avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo sopra richiamato».

[2] Si veda in motivazione la sentenza n. 6855/2015 richiamata quale capostipite del nuovo orientamento anche nella decisione che qui si commenta: «Tuttavia, riesaminandosi la questione, sembra a questo Collegio assai più coerente, rispetto alle premesse sopra indicate, affermare che una famiglia di fatto, espressione di una scelta esistenziale/libera e consapevole/da parte del coniuge, eventualmente potenziata dalla nascita di figli (ciò che dovrebbe escludere ogni residua solidarietà post matrimoniale con l'altro coniuge) dovrebbe essere necessariamente caratterizzata dalla assunzione piena di un rischio, in relazione alle vicende successive della famiglia di fatto, mettendosi in conto la possibilità di una cessazione del rapporto tra conviventi (ferma restando evidentemente la permanenza di ogni obbligo verso i figli). Va per di più considerata la condizione del coniuge, che si vorrebbe nuovamente obbligato e che, invece, di fronte alla costituzione di una famiglia di fatto tra il proprio coniuge e un altro partner, necessariamente stabile e duratura, confiderebbe, all'evidenza, nell'esonero definitivo da ogni obbligo».

[3] L. Barassi, Istituzioni di diritto civile, Giuffrè, 1946, pp. 16 ss.

[4] Cass. civ. Sez. lavoro, 24/07/1990, n. 7494: «L'art. 12 delle preleggi contiene tutti i criteri ermeneutici della legge, ed in particolare sia il criterio dell'interpretazione estensiva, che consente l'utilizzazione di norme regolanti casi simili (e non già identici), sia quello dell'interpretazione analogica (analogia legis), che permette l'utilizzazione di norme che disciplinano materie analoghe, ossia istituti diversi aventi solo qualche punto in comune con il caso da decidere, mentre l'art. 14 delle stesse preleggi - come reso evidente dai lavori preparatori - non detta alcun criterio di esegesi legislativa, limitandosi a stabilire che le leggi penali e quelle che fanno eccezione ad altre leggi non si applicano (in via d'interpretazione analogica) oltre i casi ed i tempi in esse considerati».

[5] «Ai fini delle disposizioni di cui ai commi da 37 a 67 si intendono per "conviventi di fatto" due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile».

[6] Cass. civ. Sez. I, 19/12/2018, n. 32871: «In tema di separazione personale, la formazione di un nuovo aggregato familiare di fatto ad opera del coniuge beneficiario dell'assegno di mantenimento, operando una rottura tra il preesistente tenore e modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale ed il nuovo assetto fattuale, fa venire definitivamente meno il diritto alla contribuzione periodica».

07/12/2021
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