Magistratura democratica
Giurisprudenza e documenti

Alle Sezioni Unite la questione degli effetti del superamento del limite di finanziabilità del mutuo fondiario

di Giulio Cataldi
Presidente di Sezione, Tribunale di Napoli

Un caso di attento ascolto della giurisprudenza di merito da parte dei giudici di legittimità e di prudente valutazione delle conseguenze delle scelte ermeneutiche.

Con ordinanza depositata il 9 febbraio 2022, la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha investito le sezioni unite di una questione di massima di particolare importanza: quella delle conseguenze derivanti dal superamento dei limiti di finanziabilità nel mutuo fondiario previsti dall’art. 38, comma 2, d. lgs. 385 del 1993 (Testo Unico Bancario).

La norma in questione, dopo la definizione del credito fondiario, demanda alla Banca d’Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, di «determinare l’ammontare massimo dei finanziamenti, individuandolo in rapporto al valore dei beni ipotecati»; e la delibera CICR del 22 aprile 1995 ha fissato nella misura dell’80 % il tetto massimo di siffatti finanziamenti.

La questione problematica nasce dalla difficoltà di individuare la sanzione da adottare per i casi, tutt’altro che infrequenti, in cui gli istituti di credito eroghino mutui fondiari in misura eccedente la soglia fissata, posto che il citato art. 38 non ne prevede, mentre la sanzione della nullità nel T.U. bancario è prevista dall’art. 117, comma 8, per il caso, differente, in cui alla Banca d’Italia è assegnato il potere di prescrivere che «determinati contratti, individuati attraverso una particolare denominazione o sulla base di specifici criteri qualificativi, abbiano un contenuto tipico determinato». In tali casi la legge stabilisce, infatti, che «i contratti difformi sono nulli».

La questione è sovente all’attenzione dei giudici, sia nell’ambito dell’ordinario contenzioso bancario, sia – forse ancor di più – in materia esecutiva, individuale e concorsuale, dove è marcato il vantaggio riconosciuto al creditore fondiario sotto il profilo del consolidamento breve dell'ipoteca fondiaria (art. 39 del T.U.B.) e della possibilità di attivazione del processo esecutivo individuale pur in costanza di fallimento (art. 41). E trae origine da un fenomeno, diffuso soprattutto nel decennio scorso in presenza di una grande liquidità nel sistema bancario, di erogazione di mutui “fondiari” per importi sovente ben al di sopra dell’effettivo valore dei beni concessi in garanzia ipotecaria, per un coincidente interesse del ceto bancario, di impegnare così, senza appropriata istruttoria, la propria liquidità in eccedenza (e senza che risultino misure sanzionatorie da parte degli organi di vigilanza), e dei mutuatari, ben contenti di ricevere crediti elevati pur in presenza di garanzie non del tutto adeguate (salvo poi dedurre la nullità del contratto per aver ricevuto somme in eccesso rispetto ai limiti di legge).

Il Collegio dà atto, innanzitutto, dell’esistenza di una successione di orientamenti nella giurisprudenza di legittimità. A fronte di due pronunce del 2013[1], secondo cui, non potendo applicarsi l’art. 117 TUB alla fattispecie, diversa da quella testuale, del superamento del limite di finanziabilità, nessuna nullità è predicabile quale conseguenza di tale fenomeno (se non le eventuali sanzioni irrogate dalla Banca d’Italia), a partire dal 2017 si è affermato un diverso indirizzo[2], che, pur confermando la non riconducibilità della violazione alla nullità testuale stabilita dall’art. 117 TUB, ritiene che il (rispetto del) limite di finanziabilità rappresenti un elemento essenziale del contenuto del contratto, con la conseguenza che la sua violazione determina la nullità del contratto stesso, salva la possibilità di conversione in ordinario finanziamento ipotecario, ove ne sussistano i presupposti e su istanza della banca nel primo momento utile successivo alla rilevazione della nullità. Dunque, quel tetto dell’80 % rispetto al valore del bene ipotecato costituisce, nel filone giurisprudenziale più recente, un limite inderogabile all’autonomia privata, in ragione della natura pubblica dell’interesse tutelato.

L’orientamento da ultimo prevalso, e di cui ora la Prima sezione invoca una rimeditazione, si inserisce nell’ambito di un processo di sempre più frequente e pervasivo intervento del giudice all’interno della regolamentazione contrattuale voluta dalle parti: e ciò sia in funzione di riequilibrio tra le contrapposte posizioni, a causa della loro originaria asimmetria; sia in adesione più o meno consapevole ad una tendenza legislativa, quella, cioè, «sempre più accentuata  … ad adoperare la categoria giuridica della nullità non solo in chiave di reazione radicalmente negativa dell’ordinamento a fronte di atti dal contenuto inaccettabile o privi di elementi strutturali o formali ritenuti indispensabili, ma anche come strumento per rimodellare il rapporto contrattuale secondo canoni e criteri valutativi fondamentalmente preordinati ad obiettivi di equità proporzionalità e giustizia»[3].

Può aggiungersi che molto spesso le difese svolte dai mutuatari nei giudizi di merito individuano l’invalidità contrattuale sotto un diverso e concorrente profilo, cercando di ricondurla ad una cd. nullità di protezione: si legge, infatti, sovente nelle prospettazioni dei clienti bancari che il limite dell’80 % è posto non solo e non tanto a protezione della stabilità patrimoniale dell’istituto di credito, ma a protezione proprio del mutuatario, parte debole del contratto, che va tutelata (evidentemente, contro le sue stesse aspettative) attraverso la limitazione della somma massima erogabile entro limiti tali per cui, in caso di inadempimento, la vendita del bene ipotecato possa – pur con le prevedibili decurtazioni proprie di una vendita coattiva – riuscire a coprire il debito nei confronti della banca, secondo il criterio del c.d. Mortgage Lending Value. Si tratta di un cambiamento paradossale di prospettiva, per cui la garanzia ipotecaria servirebbe a garantire non il creditore, bensì lo stesso debitore; ma al tempo stesso si tratta di un segno – probabilmente – dei dubbi circa la tenuta nei gradi successivi di giudizio della sanzione della nullità così come costruita dall’attuale orientamento di legittimità.

L’ordinanza in commento individua diversi aspetti, posti a fondamento del percorso argomentativo inaugurato nel 2017 e successivamente confermato da numerose pronunce conformi, meritevoli di un approfondimento da parte delle sezioni unite della Corte; aspetti che qui possono essere solo sommariamente enunciati: la possibilità o meno di desumere il carattere imperativo della norma dalla natura pubblicistica dell’interesse protetto; la sussistenza di un’effettiva violazione di un elemento strutturale del contratto, e non piuttosto la contrarietà ad una mera “specificazione” (il quantum) di un elemento strutturale; la necessaria verifica delle conseguenze che l’applicazione della sanzione della nullità produce rispetto agli interessi in gioco.

Qui vale la pena, però, evidenziare due aspetti che, nell’ordinanza della Prima sezione, meritano un’opportuna sottolineatura, a prescindere dalla soluzione che le Sezioni Unite adotteranno.

Il primo attiene a quello che si definisce il dialogo tra giudici di merito e giudici di legittimità. L’orientamento inaugurato dalla Cassazione nel 2017 (quello, cioè, della nullità tout court) non ha trovato generalizzato accoglimento nella giurisprudenza di merito, che, anzi, in motivato dissenso e rifacendosi piuttosto al precedente indirizzo, ha il più delle volte risolto la questione attraverso l’utilizzo di una semplice tecnica di interpretazione contrattuale, mediante una (ri)qualificazione del mutuo fondiario, che non rientri nei limiti dell’80 %, come semplice mutuo ipotecario ordinario, prescindendo dal nomen iuris adoperato dalle parti, privandolo, in tal modo, delle speciali tutele previste dalla legge per il mutuante fondiario. Ebbene, l’ordinanza in commento dà mostra di conoscere le difficoltà che i giudici di merito hanno da subito palesato nel seguire il più recente indirizzo di legittimità, e sottopone pertanto, al vaglio delle sezioni unite, tra gli altri argomenti, anche quella «semplice tecnica di natura qualificatoria adoperata da quella parte della giurisprudenza di merito che non ha inteso aderire all’indirizzo di legittimità inaugurato da Cass. 17352/2017». Si tratta di una dimostrazione di attenzione ed ascolto, particolarmente rilevante in un’ordinanza di rimessione alle sezioni unite di una questione di massima di particolare importanza: l’indirizzo divergente affermatosi tra i giudici di merito (si noti: non quello fatto proprio dalla Corte d’Appello nella causa oggetto di ricorso per cassazione) viene preso in considerazione quale stimolo opportuno ad un eventuale ripensamento del proprio indirizzo nomofilattico.

Il secondo riguarda la prudente valutazione degli effetti delle scelte ermeneutiche. Partendo da condivisibili affermazioni circa l’incertezza o, comunque, l’ineluttabile margine di opinabilità delle valutazioni di stima degli immobili, e, dunque, dell’accertamento nel caso concreto della ipotizzata nullità, con conseguenze palesi sulla stabilità contrattuale, il collegio della prima sezione sottolinea alcuni effetti paradossali dell’opzione più recentemente seguita dalla Cassazione: al fine di tutelare la stabilità patrimoniale degli istituti di credito, minata dalla erogazione di un credito eccedente la soglia indicata dalla Banca d’Italia, si introduce la sanzione della nullità, che, lungi dal garantire quella stabilità, rischia di pregiudicarla ancor di più; e si finisce con l’attribuire un vantaggio sproporzionato al mutuatario che, avendo ricevuto dall’istituto di credito una somma superiore a quella garantita (e dunque al di là del proprio “merito creditizio”), vede cancellata l’ipoteca dall’immobile, con danno, nelle procedure esecutive individuali promosse dalle banche, anche per i creditori intervenuti non muniti di titolo, dal momento che la nullità provocherebbe l’estinzione della procedura per il venir meno del titolo; non senza trascurare effetti anomali anche nelle procedure concorsuali, in cui l’interesse del ceto creditorio al rispetto della par condicio non verrebbe tutelato attraverso lo strumento della revocatoria, ma attraverso una anomala sanzione di nullità. 

Si tratta di un approccio realistico al tema delle nullità che, prescindendo da eccessivi rigori dogmatici e da costruzioni astratte, interpella non solo (oggi, e sulla vicenda concreta) le sezioni unite, ma anche (domani, ed in generale) i giudici e gli operatori tutti circa la necessità di un’accorta ponderazione delle conseguenze delle scelte ermeneutiche da seguire. 


 
[1] Cass. n. 26672/2013 e 27380/2013.

[2] Cass. n. 17352/2017.

[3] Cfr. Renato Rordorf, Autonomia negoziale e giustizia del contratto in tempo di pandemia, in questa rivista on line (scritto destinato allo Annuario del contratto 2021, Giappichelli, Torino).

28/03/2022
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