Magistratura democratica

Le nuove disposizioni sul sistema della pubblica accusa in Polonia e la loro applicazione pratica

di Jacek Bilewicz

La legge del gennaio 2016 ha introdotto in Polonia una pressoché totale subordinazione del pubblico ministero all’esecutivo, la cui portata è stata pienamente confermata dalle disposizioni attuative e dalle prassi applicative.

In premessa, occorre mettere in rilievo che il fondamento del sistema normativo in vigore fino al 2016 per regolamentare l’attività del pubblico ministero era la separazione tra le cariche di Ministro della giustizia e di procuratore generale, e la definizione delle condizioni per il mantenimento di una forte indipendenza del pubblico ministero mediante l’eliminazione di possibilità non procedimentalizzate di influenzare il corso di singoli casi per scopi politici contingenti.

Le nuove disposizioni che configurano il sistema della pubblica accusa in Polonia sono state introdotte con la legge 28 gennaio 2016 sul pubblico ministero (Gazzetta ufficiale del 2016, n. 177, e ss. modificazioni) – d’ora in avanti: LPM – e con l’atto 28 gennaio 2016, recante disposizioni attuative della legge sul pubblico ministero (Gazzetta ufficiale del 2016, n. 178, e ss. modificazioni) – d’ora in avanti: APM. 

La nuova legge ha eliminato la rotazione nella carica di procuratore generale e dei suoi sostituti, conferendo la piena autorità di nomina e rimozione al procuratore generale stesso. Questa soluzione ha indebolito l’indipendenza del pubblico ministero. I cambiamenti nella struttura organizzativa sono stati solo superficiali e la Procura generale è stata sostituita con la Procura nazionale, mentre le procure d’appello sono state sostituite con le procure regionali. Diversamente da quanto previsto in precedenza, è stata introdotta una denominazione delle procure incompatibile con quella utilizzata per il sistema delle corti. Con riguardo alla sola introduzione della nuova terminologia per designare i singoli uffici della pubblica accusa, la vera ragione di questi mutamenti non è legata ad aspetti organizzativi o sostanziali, ma al controllo del personale delle unità che si intendono abolite. Nella nuova legge, approvata in fretta e furia e senza consultazione pubblica, si trovano disposizioni che suscitano preoccupazione relativamente alla loro costituzionalità e che sono ovviamente in contraddizione con la raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa Rec(2000)19[1] – d’ora in avanti: Rec(2000)19 – e con l’opinione n. 9 (2014) del Consiglio consultivo dei procuratori europei (CCPE) sulle norme e i principi europei relativi al pubblico ministero – d’ora in avanti: «Carta di Roma»[2]). 

La pubblica accusa, che era in misura significativa autonoma, è stata strettamente collegata al potere esecutivo, poiché le funzioni di procuratore generale sono state incorporate in quelle del Ministro della giustizia (art. 1, par. 2, LPM). La procedura di selezione dei candidati alla carica di procuratore generale, nominato per un periodo di sei anni dal Presidente della Repubblica, procedura trasparente e basata su concorso, è stata sostituita con un processo non trasparente di nomina del capo dell’ufficio di pubblico ministero, condotto dai leaders del partito politico vincitore delle elezioni parlamentari. 

L’art. 97, par. 1, LPM vieta l’affiliazione politica e pertanto rafforza l’imparzialità (art. 6 LPM) e l’indipendenza (art. 7 LPM) del pubblico ministero dalle influenze e dall’autorità di gruppi politici. Tuttavia, ogni membro del Consiglio dei ministri, anche non appartenente a un partito politico, è pur sempre un politico obbligato a seguire il programma del partito o della coalizione di governo. Pertanto, se un esponente politico che svolge le funzioni di procuratore generale, in qualità di pubblico ministero superiore, può emettere linee-guida che specificano il metodo per procedere in determinate categorie di casi, istruzioni – incluse direttive riguardanti il contenuto di attività processuali (art. 7, parr. 2 e 3, LPM) – e modificare o revocare decisioni processuali adottate dai procuratori (art. 8, par. 1, LPM), allora il divieto di legge diviene un’affermazione vuota o, in altre parole, una disposizione senza alcun significato, in una materia di importanza fondamentale per il funzionamento della pubblica accusa. 

Oltre a ciò, occorre menzionare che l’art. 1, par. 1, LPM e altre disposizioni, che conferiscono al procuratore generale tutte le attribuzioni e competenze tanto di un procuratore ordinario quanto quelle di un procuratore capo, si scontrano con l’art. 103, sez. 2 della Costituzione. In tale disposizione, la Costituzione proibisce infatti che un pubblico ministero detenga anche le funzioni di un sostituto. 

Una questione di grande importanza è il problema della limitazione dell’indipendenza del pubblico ministero. Nell’art. 7, par. 1, LPM si garantisce che un pubblico ministero, nell’esercizio delle attività specificate dalla legge, sia indipendente, ma allo stesso tempo il par. 2 di tale articolo impone al pubblico ministero il dovere di seguire ordini, linee-guida e istruzioni provenienti da un pubblico ministero superiore.

Poiché il procuratore generale, in base all’art. 13, par. 2, LPM, è un superiore dei procuratori delle unità organizzative comuni dell’ufficio del pubblico ministero, questi è anche autorizzato a interferire nelle specifiche questioni dei procedimenti in corso, nonostante che, ricoprendo anche la carica di Ministro della giustizia, egli sia anche un membro del governo. Ciò comporta la piena subordinazione dei procuratori nei confronti dell’esecutivo nel corso del processo decisionale relativo a casi specifici, fatto che si pone in contraddizione tanto con il testo della Carta di Roma quanto con la Dichiarazione di Bordeaux (opinione congiunta del Consiglio consultivo dei procuratori europei e del Consiglio consultivo dei giudici europei n. 4 del 2009). Secondo tali documenti, è chiaro che il potere di controllare i procuratori dovrebbe spettare unicamente a un organo giudiziario e che l’indipendenza del pubblico ministero, dichiarata nella legge e nelle sue motivazioni, rimane del tutto illusoria. 

Ulteriori dubbi sono poi sollevati dall’introduzione del diritto del procuratore generale-Ministro della giustizia, un rappresentante dell’esecutivo e al tempo stesso un procuratore, di modificare o revocare qualsiasi decisione di un pubblico ministero, altro fatto che comporta decisioni su di un caso specifico. Una tale influenza da parte dell’esecutivo sull’attività della pubblica accusa viene a scontrarsi con il capitolo sulle «Relazioni fra il pubblico ministero e i poteri esecutivo e legislativo» della Rec(2000)19, con la Carta di Roma e con la Dichiarazione di Bordeaux. 

Rispetto alle disposizioni previgenti, è stato inoltre eliminato il divieto per il procuratore generale di emanare istruzioni relative ad attività specifiche per singoli casi. Introducendo la possibilità per il procuratore generale-Ministro della giustizia, di emanare ordini, linee-guida e istruzioni, anche riguardanti le attività processuali, un pubblico ministero, messo di fronte all’obbligo di seguire tali istruzioni, non potrà più esercitare il diritto di chiedere spiegazioni al riguardo, di domandarne la modifica o di chiedere di essere esonerato dal seguirle, secondo l’art. 7, par. 4, LPM.

Relativamente alle istruzioni emanate rispetto a casi specifici, è anche difficile parlare di rispetto per il principio di uguaglianza e di trasparenza, considerando in particolare non soltanto i diritti del pubblico ministero nello svolgimento dei procedimenti preliminari, ma anche dei diritti delle parti in tali procedimenti. A questo punto, è opportuno notare che la Carta di Roma raccomanda agli Stati che, nel caso in cui la pubblica accusa sia subordinata al governo, le istruzioni emanate con riferimento a casi particolari siano allegate al fascicolo di detto caso prima dell’udienza, cosicché le altre parti possano averne conoscenza e inviare le proprie osservazioni al riguardo. Sebbene le disposizioni della LPM e il regolamento del Ministro della giustizia del 7 aprile 2016, recante «Norme per le operazioni interne delle Unità organizzative comuni dell’Ufficio del Pubblico Ministero» (Gazzetta ufficiale, n. 508) – d’ora in avanti: “regolamento sul pubblico ministero”, RPM – prevedano sia la possibilità per un pubblico ministero di richiedere l’invio di un’istruzione motivata per iscritto entro tre giorni (par. 40, sez. 1, punto 1, RPM), che quella di richiederne la modifica o di essere esentati dallo svolgimento di un’attività processuale o dalla partecipazione a un determinato caso (par. 40, sez. 1, punto 2, RPM), tali richieste saranno considerate dal procuratore direttamente superiore a quello che abbia emanato l’istruzione. Tuttavia, la legge non specifica se la richiesta del procuratore subordinato e la decisione del superiore di colui che ha emanato tale istruzione debba essere inclusa nel fascicolo del sostituto procuratore, come viene fatto per l’istruzione relativa ai contenuti dell’attività processuale. Sembrerebbe che tali documenti debbano essere inclusi nel fascicolo, per ragioni di trasparenza del processo decisionale. Tuttavia, non vi sono disposizioni che garantiscano l’accesso delle parti al fascicolo del pubblico ministero prima dell’udienza, cosicché esse possano verificare sia la posizione dell’ufficiale responsabile che quella del suoi superiori. L’attuazione del principio di obbligatorietà dell’accesso al fascicolo del pubblico ministero su richiesta di parte rappresenterebbe una garanzia pratica della regola che vuole l’uguaglianza delle parti nel corso del procedimento preliminare. 

A questo punto, è necessario menzionare altri significativi limiti all’indipendenza della pubblica accusa, non sottoposti ad alcun controllo né secondo la procedura ufficiale interna né attraverso la verifica almeno di un organo giudiziario che abbia giurisdizione in materia. La decisione di un procuratore superiore emanata in materia di trasferimento di un determinato caso a un altro procuratore ha carattere totalmente discrezionale (par. 45 RPM). Tale decisione, inoltre, non richiede la predisposizione di alcuna motivazione e la norma non specifica alcun prerequisito che debba essere riscontrato nel processo di accettazione di detto caso. I commentatori evidenziano che la previsione del par. 45 RPM, mancando di criteri chiari a questo riguardo (ad esempio, carico di lavoro eccessivo, conduzione non corretta o eccessiva durata del procedimento), potrebbe rappresentare una minaccia ben più grave per l’indipendenza interna del pubblico ministero di quanto non lo sia la procedura formale, che prevede un organo d’appello, come stabilito dall’art. 7, par. 3, LPM.

Lo stesso vale per la questione dell’esercizio della supervisione interna agli organi della pubblica accusa, e in particolare la possibilità per il procuratore superiore di introdurre, per il procuratore subordinato, l’obbligo di consultazione periodica per la redazione del testo delle decisioni procedimentali e per altre attività della stessa natura (par. 65, sez. 2, RPM). Questa disposizione introduce, sotto mentite spoglie, l’istituto dell’approvazione delle decisioni del pubblico ministero, in contraddizione con quanto stabilito dalla LPM, che prevede tale approvazione solo per le bozze di decisioni procedimentali redatte dai procuratori con minore anzianità di servizio (art. 173, par. 2, LPM).

La riservatezza verso l’esterno delle fasi procedimentali preliminari è stata in buona parte limitata, poiché, in base all’art. 12, par. 1, LPM, il procuratore generale, il procuratore nazionale o qualunque altro procuratore da essi autorizzato può fornire informazioni alle pubbliche autorità e, in particolari giustificate ipotesi, anche ad altri soggetti riguardo alle operazione compiute dalla pubblica accusa, incluse le informazioni su questioni specifiche, qualora esse possano avere rilievo per la sicurezza dello Stato e per il suo buon funzionamento. Le disposizioni sopra ricordate non prevedono alcun requisito per l’ottenimento del consenso, né un parere da parte del pubblico ministero incaricato del caso, né prevedono che questi debba esserne informato, cosicché una clausola così ampia come quella della «sicurezza dello Stato» o del suo «funzionamento» finisce per coprire un ambito estremamente vasto e non comporta necessariamente una lesione degli interessi del procedimento preliminare e delle relative parti. 

La stessa tipologia di limitazione si applica alla questione della divulgazione ai media di informazioni riguardanti procedimenti preliminari in corso di svolgimento. Secondo l’art. 12, par. 2, LPM, il procuratore generale e i capi delle unità organizzative della pubblica accusa possono, in persona o tramite un procuratore a ciò autorizzato, fornire ai media informazioni relative a procedimenti preliminari in corso o alle operazioni da essa svolte, con l’esclusione di informazioni riservate, in ragione di un importante interesse pubblico. Se dare informazioni riguardanti procedimenti in corso appare necessario e giustificato in particolare per il coordinamento delle attività operative delle pubbliche autorità in caso di emergenza, la previsione di altri destinatari quali i media o le altre parti può destare preoccupazione. La prassi applicativa di tali disposizioni nel predetto ambito di azione ha fatto sì che la divulgazione di informazioni su vari procedimenti in corso circa le ulteriori direzioni che avrebbero preso sia stato consentita dalla direzione della Procura nazionale a favore del leader del partito politico di maggioranza, non incaricato di alcuna funzione pubblica, che successivamente, nel rilasciare un’intervista a uno dei settimanali di opinione che sostengono il suo partito, ha rivelato le informazioni che aveva ottenuto. Tali informazioni riguardavano, fra l’altro, le intenzioni delle autorità procedenti nei confronti del leader dell’opposizione parlamentare nel periodo in cui questi aveva manifestato interesse a ricoprire uno degli incarichi di maggior rilievo presso le istituzioni dell’Unione europea. 

Per ciò che riguarda, poi, la possibilità di consentire al pubblico ministero di informare «altri soggetti» circa casi specifici, le disposizioni summenzionate (art. 12 LPM) contrastano con l’art. 42, sez. 3, e con l’art. 47 della Costituzione, che garantiscono la presunzione d’innocenza e il diritto alla riservatezza dei cittadini. Relativamente a tali disposizioni, sembra che la legge, senza alcun rispetto per la protezione costituzionale conferita ai diritti e alle libertà dei cittadini, istituisca la possibilità di fornire informazioni ai politici e di utilizzare tali informazioni, riguardanti procedimenti preliminari riservati, in controversie di natura politica, ad esempio nello scontro per il potere. 

Inoltre, l’art. 12, par. 4, LPM, che garantisce l’immunità finanziaria ai procuratori superiori nell’ambito della loro responsabilità civile, contrasta con l’art. 7 della Costituzione, che impone alle pubbliche autorità di agire secondo ed entro i limiti della legge. 

Secondo le predette disposizioni, la legge consente al procuratore generale e al procuratore nazionale di violare gli interessi personali dei privati cittadini e garantisce – a persone che svolgano tali funzioni – una responsabilità civile ridotta. Si prevede soltanto una “regressive liability”, soggetta alle miti regole specificate nel codice del lavoro. La legge non consente al datore di lavoro di facoltizzare una violazione delle norme di legge da parte di un pubblico ufficiale. In tal modo, l’art. 12 LPM si pone in manifesto contrasto con la Costituzione, poiché si applica all’ufficiale di più alto livello all’interno di un organo incaricato di vigilare sull’applicazione della legge e sulla garanzia di un giudizio obiettivo e imparziale, che a loro volta scaturiscono dal principio di presunzione di innocenza.

L’organo di autogoverno dei procuratori – il Consiglio nazionale dei pubblici ministeri – è stato smantellato e sostituto con il Consiglio nazionale dei procuratori. Secondo quanto stabilito dall’art. 43, par. 2, LPM, l’autorità di quest’organo è tale che, in pratica, esso svolge una funzione meramente consultiva. Secondo l’art. 58, par. 1, APM, la composizione del Consiglio è determinata in tutto e per tutto dal Ministro della giustizia. 

L’art. 43, par. 1, LPM, che prevede che il Consiglio nazionale dei procuratori salvaguardi la loro indipendenza, non è stato completato da soluzioni di dettaglio, che possano garantire al Consiglio recentemente istituito di svolgere effettivamente questo compito. 

Nel giugno 2016, su iniziativa del procuratore nazionale, senza adeguata autorizzazione giuridica (le disposizioni della LPM non contengono i relativi standard di competenza) il Consiglio ha avviato lo sviluppo di nuove norme di deontologia professionale per i pubblici ministeri. Stante quanto detto dal promotore di tale iniziativa, queste norme intendono fissare i limiti della libertà di espressione dei procuratori nei confronti dei mezzi d’informazione, inclusi i social media, con particolare riguardo ai comunicati che rappresentino manifestazioni individuali della loro attività sociale. Secondo il procuratore nazionale, tali norme dovrebbero rappresentare una sorta di linee-guida in situazioni dubbie. Le norme deontologiche di nuova adozione impongono restrizioni alla libertà di parola e contrastano con le disposizioni costituzionali che prevedono la possibilità di limitare le libertà dei cittadini solo mediante legge ordinaria (art. 49, prima frase; art. 54, sez. 1 della Costituzione).

È stata inoltre introdotta la possibilità, per il procuratore generale, di dare impulso ad attività operativo-investigative di competenza delle autorità a ciò preposte, se esse sono direttamente coinvolte nei procedimenti preliminari in corso di svolgimento (art. 57, par. 3, LPM).

Da un lato, le azioni che possono essere intraprese nell’ambito delle attività elencate interferiscono fortemente con i diritti dei cittadini (ad esempio, il diritto alla riservatezza, il diritto alla segretezza della propria corrispondenza) e, dall’altro, il regolamento ricordato sopra non prevede alcun criterio verificabile che si ricolleghi, quantomeno, con i requisiti per la sua applicazione o con la tipologia di casi nei quali tali attività operativo-investigative possano essere intraprese su iniziativa del procuratore di rango più elevato. Nel frattempo, entrambi i criteri per lo svolgimento delle suddette attività e i mezzi di impugnazione disponibili per le parti interessate sono definiti dalle disposizioni di altri atti normativi che circoscrivono l’esecuzione delle attività operativo-investigative entro determinati limiti – la legge sulla polizia, gli atti che regolano l’attività delle forze speciali (Agenzia per la sicurezza interna, Ufficio centrale anticorruzione, etc.), il codice di procedura penale. 

Pertanto, le disposizioni dell’art. 57, par. 3, LPM possono rappresentare una sorta di “passepartout” che consente di aggirare le garanzie istituite dalle summenzionate normative che disciplinano le singole agenzie speciali governative. 

La nuova legge ha introdotto cambiamenti significativi nelle procure e nelle regole di nomina tanto del primo procuratore che dei sostituti. Occorre a questo punto notare che, precedentemente, per ciascuna di queste posizioni era prevista una selezione mediante concorso. In tutti i casi, ora, un politico – il procuratore generale-Ministro della giustizia – ha libertà illimitata di nominare i candidati per le varie posizioni di procuratore. Le nuove soluzioni favoriscono una valutazione discrezionale e arbitraria rispetto alla previgente, trasparente, selezione per concorso. 

È solo la selezione del primo procuratore a essere condotta mediante concorso (art. 80 LPM). La relativa procedura include la pubblicazione ufficiale di un avviso di selezione per la posizione vacante. Le qualifiche dei candidati sono valutate da ispettori delle procure di circuito (art. 82, par. 2, LPM). È prevista inoltre una procedura di impugnazione (art. 84, par. 3, LPM). Sebbene non sia possibile impugnare una decisione di mancata nomina da parte del procuratore generale, la nuova procedura è comunque caratterizzata da alcuni elementi di trasparenza. In ogni caso, questo è il suo svolgimento. Tuttavia la legge prevede una sorta di “porta sul retro”. Il procuratore generale può nominare, senza alcuna selezione per concorso, un candidato per la posizione di primo procuratore definita su indicazione del procuratore nazionale (secondo lo stesso art. 80 LPM). Sebbene prevista per «casi speciali giustificati», la pratica suggerisce che tale disposizione è applicata con una certa frequenza. 

In questo caso, si può solo concludere che l’art. 80 LPM, nella parte in cui prevede eccezioni alla selezione per concorso dei candidati alla posizione di primo procuratore, viola il principio di certezza del diritto, derivante dall’art. 2 della Costituzione. 

A differenza della previgente selezione per concorso, attualmente la promozione di un pubblico ministero a un incarico superiore è in tutto e per tutto discrezionale. 

Il processo decisionale non comprende alcun elemento che ne comprovi l’affermata trasparenza. L’unico criterio per la promozione è l’anzianità di servizio in una posizione di livello inferiore o nello svolgimento di un’altra professione legale (art. 76, parr. 1-3, LPM). Questo criterio, tuttavia, non è cogente, poiché la nomina a una posizione superiore può essere effettuata non considerando i requisiti rilevanti per legge (art. 76, par. 5, LPM), ma procedendo in base a un sistema di “riconoscimento di meriti”, secondo quanto stabilito dall’art. 133, par. 2, LPM. Inoltre, diversamente dalla procedura di selezione per la posizione di primo procuratore, non viene effettuata nessuna valutazione dei candidati. Se un determinato candidato selezionato per essere promosso a un incarico superiore mostra in effetti un certo spirito d’iniziativa nel proprio lavoro, se assolve ai suoi doveri con precisione e scrupolo, se in qualunque modo particolare contribuisce allo svolgimento delle funzioni ufficiali, tale valutazione non viene né eseguita né formalizzata in alcun modo, come avviene invece nella procedura appena ricordata. 

Questa prassi, sviluppatasi fin dall’entrata in vigore della LPM, indica che, dal marzo 2016, i candidati delle seguenti categorie sono stati nominati, fra gli altri, per posizioni di vertice: pubblici ministeri a riposo e persone che non hanno svolto professioni giuridiche di alcun tipo negli anni precedenti, la cui esperienza sia stata invece acquisita dieci/quindici anni fa, quando svolgevano le funzioni di pubblico ministero ai livelli più bassi; familiari di deputati del partito di governo, che, già procuratori nel periodo precedente, nonostante numerosi tentativi in tal senso, non erano mai stati promossi a incarichi superiori mediante selezione trasparente effettuata da un organo di autogoverno indipendente; avvocati e procuratori (impiegati presso le procure venti/venticinque anni fa nelle posizioni di più basso livello), promossi direttamente alle posizioni di vertice nelle procure senza verificarne l’aggiornamento professionale; procuratori con funzioni direttive delle unità di rango inferiore (procure distrettuali), nominati per incarichi presso la Procura nazionale senza alcun periodo di servizio (o delega) presso le procure di più alto livello, e senza aver prestato alcun servizio nelle unità presso le quali erano stati nominati. 

La nuova regolamentazione contenuta nella legge sul pubblico ministero conferma, senza alcuna riflessione al riguardo, soluzioni che impongono ai procuratori restrizioni con riferimento alla possibilità di associarsi in organizzazioni secondo quanto previsto e nei limiti della legge (art. 97, par. 3, LPM), nonché al loro diritto di indirizzare petizioni, reclami o mozioni alle pubbliche autorità, o mozioni all’ombudsman per il diritti dei cittadini, chiedendo assistenza e la protezione delle libertà violate nello svolgimento del loro pubblico ufficio o ad esso collegate. Secondo l’art. 101, par. 1, LPM, i procuratori hanno diritto di indirizzare i reclami relativi al proprio incarico a un tribunale che abbia giurisdizione in materia di controversie di lavoro, e qualunque richiesta e reclamo a ciò collegati devono in prima istanza essere inoltrati tramite i canali ufficiali. Ciò significa che la legge permette ai procuratori superiori di decidere sul diritto dei pubblici ministeri di associarsi in organizzazioni consentite dalla legge, che affermino punti di vista o comportamenti in contrasto con quelli dei loro superiori. La lettera della legge non consente ai procuratori interessati da tali decisioni di proporre appello alle autorità deputate a proteggere i diritti e le libertà civili, né di rivolgere una petizione o una mozione all’autorità statale competente. Pertanto, tali norme sono in contrasto con l’art. 58 della Costituzione, che garantisce la libertà di associazione, con l’art. 63 della Costituzione, che sancisce il diritto di formulare petizioni, mozioni e reclami nell’interesse proprio o pubblico, e con l’art. 80 della Costituzione, che garantisce il diritto a rivolgersi all’ombudsman per i diritti dei cittadini, con una richiesta di assistenza a protezione delle proprie libertà e dei propri diritti violati dalle pubbliche autorità. 

Le disposizioni relative al problema della delega dei procuratori sono in contrasto con le raccomandazioni del Consiglio d’Europa. Secondo l’art. 106, par. 3, LPM, la delega di un pubblico ministero a un’altra unità della pubblica accusa può essere a lungo termine, poiché la normativa sancisce la possibilità, per il procuratore generale o il procuratore nazionale, di delegare un pubblico ministero per un periodo di sei mesi all’anno presso un’altra unità organizzativa, che spesso si trova a molti chilometri di distanza dal luogo di residenza dell’interessato. Tale periodo può essere ancor più lungo ed estendersi a dodici mesi, se la delega è presso una procura che ha sede in una città presso la quale si trova il domicilio dell’interessato o presso una procura nella quale è impiegato ufficialmente il pubblico ministero delegato. Queste disposizioni, inoltre, non prevedono alcuna restrizione alla riconferma della delega di anno in anno.

Inoltre, contro tali decisioni, che spesso nascondono sanzioni disciplinari o una modalità non procedimentalizzata (dunque contraria alla legge) di influenzare l’indipendenza del pubblico ministero, non vi sono mezzi d’impugnazione. 

Le disposizioni relative alla delega sono del tutto contrarie al capitolo «Garanzie riconosciute al Pubblico Ministero per l’esercizio delle sue attività» della Rec(2000)19.

La legge, all’art. 37, par. 2, LPM, esclude però la responsabilità disciplinare del pubblico ministero qualora la sua azione od omissione sia compiuta esclusivamente nell’interesse pubblico. Secondo l’associazione dei magistrati, questa disposizione è contraria all’art. 2 della Costituzione, poiché viola il principio di certezza del diritto. Occorre infatti evidenziare che l’espressione «esclusivamente nell’interesse pubblico», per come utilizzata nella disposizione, senza la definizione di alcun oggetto, è eccessivamente generale. Si sottolinea inoltre che questa dicitura non esclude una responsabilità penale del pubblico ministero, poiché questi, stante l’art. 7 della Costituzione, in qualità di organo di una pubblica autorità è tenuto ad agire in base alla legge e nei limiti da questa stabiliti. In casi estremi, le decisioni procedimentali assunte da un pubblico ministero e definite formalmente dalla legge, prese «esclusivamente nell’interesse pubblico», ma senza alcuna giustificazione effettiva, possono violare in maniera significativa i diritti e le libertà protetti dalla Costituzione, e dunque integrare gli estremi di una fattispecie di reato. Ciò accade perché una simile tipologia di illecito può incoraggiare un procuratore a prendere decisioni che – in modo manifesto ed evidente – infrangano le disposizioni di legge. 

A introdurre i cambiamenti più significativi, dal punto di vista del turnover del personale, non è stata tanto la legge sul pubblico ministero, quanto piuttosto le disposizioni, ricordate sopra, che a essa danno attuazione. 

Nel dibattito pubblico è stato sottolineato che la cd. “riforma” aveva l’obiettivo di controllare il personale della pubblica accusa e di conferire un potere esorbitante al procuratore generale. Si è inoltre messo in risalto che il procuratore generale, al tempo stesso un membro del Consiglio dei ministri, può condurre la pubblica accusa alla politicizzazione e al rischio di abusi. 

Per quanto riguarda la questione della delega dei procuratori, non possiamo tralasciare il fatto che l’APM abbia favorito la “degradazione” di quasi un terzo dei pubblici ministeri appartenenti ai due più alti livelli del sistema delle procure. È stata applicata una procedura arbitraria, secondo la quale spetta al procuratore nazionale la scelta di coloro che saranno nominati per le posizioni di procuratore presso la Procura nazionale e presso le procure regionali, mentre la relativa decisione sulla nomina sarà, su richiesta di quest’ultimo, adottata da procuratore generale (art. 35, par. 1, APM). Coloro che non sono stati interessati dalla proposta del procuratore nazionale sono stati trasferiti, mediante decisione del procuratore generale, ad altri uffici nelle unità organizzative comuni, mantenendo il loro titolo, che riflette la posizione precedentemente ricoperta, e il diritto alla remunerazione ad essa corrispondente (art. 36, par. 1, art. 39, par. 1, e art. 41, par. 1, APM). 

Il suddetto regolamento non prevede alcun criterio di valutazione dei procuratori provenienti dall’ex Procura generale e dalle ex procure d’appello, con la conseguenza che il procuratore nazionale è dotato del potere completamente discrezionale di segnalare al procuratore generale i procuratori da nominare presso le unità di nuova istituzione. Inoltre, le disposizioni del regolamento attuativo, che costituiscono una lex specialis rispetto alla legislazione che configura l’autorità del pubblico ministero, sono state in effetti utilizzate in maniera selettiva, come sanzioni disciplinari “nascoste”, senza prevedere la possibilità per gli interessati di esprimere alcuna opinione sulle candidature proposte, né di impugnarle, non foss’altro che attraverso i canali ufficiali, o di proporre un reclamo presso un tribunale indipendente. 

La decisione di “degradare” circa 114 procuratori ha comportato conseguenze effettive ancora più gravi di quelle che si sarebbero verificate qualora gli interessati fossero stati puniti mediante sanzioni disciplinari, come previsto dall’art. 142, par. 1, punto 4, LPM. Ciò perché un tribunale disciplinare può sanzionare un procuratore con un trasferimento ad altro ufficio. Il regolamento di attuazione consente al procuratore generale di trasferire i procuratori ad altra posizione (anche inferiore di due o tre livelli). Le disposizioni non specificano alcun requisito per il trasferimento né il relativo procedimento decisionale. Il contenuto di tali disposizioni consente di prendere decisioni prive di qualsivoglia giustificazione e ne proibisce l’impugnazione presso il tribunale. Il legislatore ha consentito, così, al procuratore generale di trattare e definire i procuratori dell’ex Procura generale come oggetti usati e non più graditi. 

La cronologia delle decisioni prese dal procuratore nazionale e dal procuratore generale subito dopo l’attuazione della nuova normativa rende chiare le intenzioni dei suoi fautori. Le prime decisioni sono state di “degradazione”, alle quali hanno fatto seguito, nei giorni successivi, i relativi atti di nomina. Ciò significa che la priorità nel prendere tali decisioni era quella di eliminare alcuni procuratori delle unità almeno in apparenza smantellate.

Tra l’altro, occorre inoltre menzionare che questa cronologia conferma anche l’effettiva incapacità, da parte di coloro che hanno preso tali decisioni, di valutare la carriera professionale di tutti i pubblici ministeri della ex Procura generale, il che significa unicamente che esse sono state del tutto arbitrarie e discrezionali. Questo ha comportato la messa in discussione di tutta la progressione di carriera dei procuratori interessati, fatto che ha rappresentato un attacco alla loro dignità. 

Nel prevedere la “degradazione” arbitraria dei procuratori, il regolamento contrasta con la Carta di Roma. Il suo capitolo 3.3.4 afferma infatti che il trasferimento di un pubblico ministero ad altro ufficio, senza il suo consenso, può rappresentare uno strumento per esercitare su di lui una pressione illegittima (punto 68 della Carta di Roma). Qualora venga introdotta una possibilità di trasferire o delegare un pubblico ministero contro la sua volontà, indipendentemente dal fatto che tale trasferimento sia interno o esterno, la legge dovrebbe prevedere delle garanzie che compensino il rischio potenziale che ciò comporta – ad esempio, nel caso in cui un trasferimento nasconda in realtà una sanzione disciplinare – (punto 69 della Carta di Roma). La possibilità di trasferire un pubblico ministero senza il suo consenso dovrebbe essere regolamentata per legge e limitata a circostanze eccezionali, come questioni urgenti inerenti all’ufficio (adeguata distribuzione del carico di lavoro, etc.) o misure disciplinari in casi di particolare gravità. Sarebbe opportuno considerare la posizione, le ambizioni e la specializzazione di un pubblico ministero, così come la sua situazione familiare. In ogni caso – come afferma la Carta di Roma – a un pubblico ministero dovrebbe essere consentito proporre un reclamo a un organo indipendente (punto 71). 

Per concludere, preme evidenziare che gli artt. 36 e 39 APM precedentemente citati – nella parte in cui non specificano i requisiti per la “degradazione” dei procuratori, non impongono alcun obbligo di motivare tale decisione, né garantiscono alcun diritto di impugnarla presso il tribunale – violano:

· l’art. 2 della Costituzione, che sancisce che la Repubblica di Polonia è uno Stato democratico di diritto che dà attuazione ai principi di giustizia sociale;

· l’art. 45, sez. 1 della Costituzione, che garantisce a ogni cittadino il diritto a un processo giusto e imparziale, senza alcun ritardo indebito, di fronte a un giudice competente, imparziale e indipendente; 

· l’art. 77, sez. 2 della Costituzione, che prevede che la legge non possa escludere alcuno dal rivolgersi ad organo giudiziario a tutela dei diritti e delle libertà che ritiene violati;

· l’art. 6, sez. 1 della Convenzione del 4 novembre 1950 sulla protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, che garantisce il diritto a un giusto processo. 

 

 

*  Traduzione di Sara Cocchi, avvocato in Firenze, dottore di ricerca in Diritto comparato.

1. https://rm.coe.int/16804be55a.

2. www.coe.int/t/dghl/cooperation/ccpe/opinions/default_en.asp.