Magistratura democratica

Il pubblico ministero portoghese: architettura istituzionale, principi, garanzie, sfide

di José P. Ribeiro De Albuquerque

Quali sono le caratteristiche del modello portoghese di pubblico ministero? Quali le specificità, quali i principi che guidano la sua organizzazione e la sua azione? Come si configurano le garanzie di indipendenza e autonomia sullo sfondo del contesto costituzionale portoghese? Analizzando il dettato normativo anche alla luce delle più autorevoli ricostruzioni dottrinali, l’Autore ci guida attraverso un’attenta disamina di questi temi fondamentali e delle principali criticità ad oggi presenti nel modello portoghese di pubblico ministero, per condurci infine a una riflessione sulle sfide che lo attendono.

1. Introduzione / 2. Le competenze come sintesi del modello / 2.1. La struttura organizzativa del pm portoghese / 3. L’architettura istituzionale del pm portoghese / 3.1. Principi costituzionali / 3.1.1. Il principio di autonomia e la difesa dell’indipendenza delle corti / 3.1.2. Il principio di difesa della legalità democratica o la supremazia della legge /3.1.3. Il principio di servire e proteggere l’interesse pubblico: gli interessi determinati dalla legge / 3.1.3.1. Interessi delle persone prive di capacità di agire, dei lavoratori, interessi collettivi e diffusi  / 3.1.4. Principio di legalità contro principio di opportunità nell’esercizio dell’azione penale. Azione penale obbligatoria e ufficialità / 3.1.5. Principio di partecipazione all’esecuzione della politica criminale / 3.2. Principi organizzativi / 3.2.1. Principio di autogoverno / 3.2.2. Principio di gerarchia e responsabilità dei procuratori / 3.2.3. Principio di indivisibilità / 3.2.4. Il principio di merito / 3.3. Principi di intervento / 3.3.1. Principio di imparzialità / 3.3.2. Principio di obiettività / 3.3.3. Principio di uguaglianza / 3.3.4. Principio di proporzionalità / 3.3.5. Principio di integrità e di esclusività funzionale / 3.3.6. Principio di rispetto dell’obbligo di riservatezza / 3.4. Garanzie di autonomia e indipendenza / 3.4.1. Stabilità o inamovibilità dalla propria funzione / 3.4.2. La durata vitalizia della carica / 3.4.3. Autonomia finanziaria / 3.4.4. L’irriducibilità della remunerazione / 4. Le sfide future del modello portoghese di pubblico ministero / 4.1. L’istituzione di EPPO: cronaca di una metamorfosi annunciata

 

1. Introduzione 

Assumendo che il pubblico ministero portoghese possa essere inquadrato in uno specifico “modello”, il rischio intrinseco che comporta tentare di definirlo è sempre quello di semplificare la complessità, o di intendere un “esempio” come “forma compiuta”. 

Premesso questo avvertimento epistemologico, è importante sottolineare che i “modelli” presentano comunque il vantaggio di favorire le analogie e l’individuazione dei contrasti. 

Cosa distingue il modello di pm portoghese nel contesto europeo occidentale?

Nella concezione storica del pm, si è sempre verificata una tensione politica fra il completo rispetto della legge e gli interessi del potere esecutivo, che spesso non sono coincidenti. Questa tensione si rivela in due tipologie di opzioni istituzionali: 

∙ l’opzione per un modello più liberale di pubblico ministero, dotato di un proprio potere di controllo, configurato come istituzione giudiziaria che, secondo la ripartizione delle funzioni all’interno dell’amministrazione della giustizia, possiede propri poteri di iniziativa e impulso; 

∙ l’opzione per un modello di pubblico ministero strutturato come agenzia statale, che può essere utilizzato dal potere politico contingente, interessato a sottoporre l’amministrazione della giustizia a vincoli ben precisi, attraverso l’adozione di specifici indirizzi di politica criminale[1].

Possiamo iniziare sottolineando che l’attuale modello portoghese di pm si è evoluto in un organo statale, collocato all’interno dell’ordinamento giudiziario, dotato di poteri di iniziativa e impulso, che costituzionalmente si colloca nel “campo” del potere giudiziario, secondo l’architettura costituzionale dei diversi poteri esistenti[2].

La forza che ha guidato questa opzione politico-costituzionale è stata l’intenzione di attribuire al pubblico ministero lo status di magistratura e le relative regole operative e organizzative, nonché il relativo statuto, incentrato sulla difesa della legalità democratica e dell’interesse pubblico, istituzionalmente collocato presso le corti, ma separato e indipendente dalla magistratura giudicante, distinguendone le carriere; il pm è inoltre autonomo dal potere esecutivo, marcando così un distacco dal modello napoleonico, che vede il legame con il potere esecutivo come sua caratteristica prevalente. 

Nel caso portoghese – a differenza del modello italiano – il pm è strutturato secondo un principio di gerarchia interna o funzionale, che in ultima analisi dipende dal Procuratore generale; la Procura generale – un organo complesso, che comprende anche il Consiglio superiore del pubblico ministero – esercita le proprie competenze come organo superiore per la gestione, la disciplina e la direzione funzionale dei procuratori. 

Confrontandolo con i due principali esempi o modelli ricordati sopra[3], si può dire che questo modello presenta alcune caratteristiche che gli conferiscono un profilo specifico, probabilmente ibrido

Le diverse funzioni del pm portoghese, che corrispondono alla multifunzionalità del suo intervento, possono essere considerate il risultato dell’interazione fra poteri e organi, ai quali corrispondono determinati principi. 

Di conseguenza, inizierò la trattazione offrendo due prospettive complementari: 

∙ La prima, secondo la quale il modello portoghese di pubblico ministero può essere definito in base alle sue funzioni e alle sue connessioni organizzative; 

∙ La seconda, in base alla quale questo modello è delineato dai principi che danno forma al concetto istituzionale di pm, e dalla descrizione delle relative garanzie, poiché senza queste ultime, i primi diverrebbero vuoti proclami. 

Sulla base dell’analisi di funzioni e principi, è possibile qualificare il pm come magistratura attiva, come potere autonomo facente parte del giudiziario, istituzionalmente configurato e legittimato da principi costituzionali organizzativi e di intervento, e fondato, eminentemente, sulla propria indipendenza dagli altri poteri dello Stato. Consolida inoltre tale legittimazione l’imparzialità della sua azione, attraverso la quale il pm promuove e difende tanto la legalità democratica quanto l’interesse pubblico. Pertanto, è ovvio che debbano essergli assicurate tanto le garanzie quanto le condizioni per l’efficace esercizio di tali competenze[4]

Nello «Statuto» del pm (Estatuto do Ministério Público, d’ora in avanti: EMP), al quale si riferisce la Costituzione della Repubblica portoghese, si rinvengono tanto il contenuto delle competenze del pm, unitamente alla descrizione delle condizioni nelle quali esse possono essere esercitate, quanto i principi che guidano la sua azione. Questo EMP, parzialmente modificato dal nuovo ordinamento giudiziario, è oggi delineato dal nuovo quadro normativo approvato con legge del 27 agosto 2019, n. 68.

 

2. Le competenze come sintesi del modello

L’identità del modello portoghese di pm può essere analizzata a partire dalle competenze di quest’ultimo, come definite dalla Costituzione e dalla legge ordinaria. A titolo di esempio, possiamo affermare che il pm è oggi responsabile della promozione e della difesa della legalità democratica, della difesa della società dal crimine, dell’attuazione del principio di uguaglianza di accesso alla giustizia e della difesa dell’indipendenza delle corti. Queste sono alcune delle competenze o, se si preferisce, dei poteri del pm ed è da queste competenze che scaturiscono le sue funzioni.

I poteri, o le competenze, si incarnano in funzioni, che ne rappresentano il lato materiale ed oggettivo, mentre gli organi incaricati di esercitare questi poteri e competenze rappresentano il lato soggettivo. Pertanto, attraverso la loro interazione, essi giustificano la propria legittimazione. Ciò equivale a dire che è la funzione o l’esercizio dei poteri a “fare l’organo”, in una prospettiva operativa nella quale la funzione precede l’organo, e quest’ultimo precede il potere, sintetizzandosi infine tutto ciò nel “modello” di pm.

Questa relazione pratica circolare fra poteri, funzioni e organi in azione, da un punto di vista etico-istituzionale, costituisce un circolo virtuoso nel quale la legittimazione dell’intervento del pm è o confermata o negata. Riteniamo che questo sia l’approccio epistemologico più significativo, poiché le funzioni organizzano in se stesse l’obiettivo dell’intervento degli organi che le esercitano, guidando la prassi e le finalità dei poteri.

In origine, il pm ha la funzione di base di iniziativa o impulso. Questa funzione primaria si traduce in un complesso di interventi, in una caratteristica polimorfa fondata sulla pluralità e varietà delle sue competenze. Ad ogni modo, questo tratto piuttosto inusuale può non contribuire alla facile comprensione del modello portoghese di pm[5].

Essenzialmente, quattro sono le tipologie di funzioni assegnate al pm portoghese[6].

Funzioni o compiti statutari nel settore penale, che includono (i) conduzione delle indagini ed esercizio dell’azione penale; (ii) rappresentanza nei procedimenti penali, nelle fasi di indagine preliminare, processo e appello; (iii) potere di far eseguire le pene e le misure di sicurezza detentive; (iv) azioni di prevenzione criminale nel quadro del proprio statuto e della «Legge Organizzativa delle Indagini Penali», che prevede poteri di supervisione e coordinamento delle attività dei corpi di polizia; (v) esecuzione della politica criminale, legalmente definita dagli organi sovrani.

Funzioni o doveri giudiziali da esercitarsi presso le corti, consistenti nella difesa e promozione dei diritti sociali connotati da una dimensione personale o che siano rilevanti per la vita della comunità, per la sua garanzia o promozione. Esempi di questi poteri si possono riscontrare nei casi in cui il pm interviene principalmente in difesa dei diritti dei bambini, dei giovani, degli anziani, degli adulti con disabilità o che versino in condizione di vulnerabilità, persino degli scomparsi. In questa stessa categoria possiamo includere anche la difesa e la promozione di interessi collettivi e diffusi, come la protezione dell’ambiente, la pianificazione del territorio, i diritti dei consumatori; la rappresentanza ex officio dei lavoratori e delle loro famiglie nella difesa dei loro diritti sociali, nei termini di legge o quando il pm interviene nei casi di bancarotta e nelle procedure di insolvenza. In breve, in qualunque ipotesi in cui la legge attribuisca al pm la competenza per intervenire in via principale o sussidiaria o in tutti i procedimenti connotati da un interesse pubblico. Tali poteri non si riferiscono solamente al procedimento, ma anche all’esecuzione della sentenza conclusiva. 

Funzioni o poteri giudiziali da esercitarsi presso le corti in difesa dell’indipendenza delle medesime, della legalità democratica e della Costituzione, contribuendo così all’attività giurisdizionale in ossequio ai principi dello Stato di diritto. Tali compiti includono il potere di presentare ricorsi o impugnazioni, sia sulla base di un impulso processuale finalizzato a verificare la costituzionalità di atti normativi, oppure nello svolgimento di un’attività di sorveglianza della legalità delle azioni della pubblica amministrazione nei confronti dell’interesse pubblico e nella protezione dei diritti fondamentali, nel quadro del contenzioso amministrativo. 

Funzioni o attribuzioni da esercitarsi presso le corti in rappresentanza dello Stato, delle Regioni Autonome, delle municipalità, in via principale o sussidiaria; l’intervento principale è subordinato alla mancata nomina di un rappresentante o di un difensore autorizzato. 

Per comprendere appieno il modello portoghese di pm, si ritiene inoltre importante identificare quali organi abbiano il potere di esercitare le suddette competenze, e quale sia lo status dei loro agenti. 

 

2.1. La struttura organizzativa del pm portoghese

La struttura del pm si compone di diversi organi e sotto-organi di natura unipersonale o collegiale, con fisionomia di centri istituzionalizzati di poteri funzionali, in base a criteri di competenza per materia (art. 12 EMP).

 

1) La Procura generale è l’organo di vertice del pm. Organo complesso, essa comprende:

a) il Procuratore generale (Pg), organo unipersonale, che presiede e dirige la Procura generale (artt. 19 ss. EMP). Il Procuratore generale rappresenta il pm di fronte alla Corte costituzionale, alla Corte suprema di giustizia, alla Corte suprema amministrativa e alla Corte dei conti. Può essere assistito o sostituito dal viceprocuratore generale. La nomina del Procuratore generale, che non deve necessariamente essere un magistrato, è un atto puramente politico, non sottoposto a specifiche condizioni. Il mandato dura sei anni, al fine di assicurare condizioni minime di stabilità e tenere indenne il Pg da eventuali pressioni esterne. Secondo la Costituzione, la nomina è effettuata dal Presidente della Repubblica, su proposta del Governo. Questo tipo di nomina ha lo scopo di assicurare la relativa autonomia della persona in carica dal potere esecutivo e, dunque, anche dai mutamenti politici che possano intervenire nel Governo. Tuttavia, in assenza di garanzie costituzionali, controbilanciata unicamente dalla tradizione politica, che vede il Pg nominato fra i magistrati, questo regime di legittimazione risulta fragile. Sappiamo quanto il procedimento di nomina del Pg e degli altri procuratori rappresenti un aspetto decisivo nell’assicurare l’indipendenza del pm. Nel caso specifico del Portogallo, ciò non sembra essere in linea con le raccomandazioni della Commissione di Venezia[7]

b) il Consiglio superiore del pm (CSMP) è un organo dotato di poteri di gestione e disciplinari nei confronti dei procuratori (artt. 21 ss. EMP), all’interno del quale opera il Servizio ispettivo del pubblico ministero (artt. 39 ss. EMP). È composto da 19 membri, 7 dei quali eletti dai loro pari, dai 4 viceprocuratori generali regionali, da 5 membri eletti dall’Assemblea della Repubblica, da 2 membri nominati dal Governo, ed è presieduto dal Procuratore generale. Questa struttura è stata confermata dallo statuto attualmente in vigore, sebbene nel corso del procedimento legislativo fossero state avanzate alcune proposte di modifica, che si prefiggevano o di spostare gli equilibri della maggioranza dai membri togati a favore dei membri laici oppure di ridurre il numero di membri elettivi. Il Consiglio si riunisce in seduta plenaria o in sezioni;

c) il Consiglio consultivo della Procura generale è un organo con competenze consultive, che si occupa principalmente di esprimere pareri legali (artt. 43 ss. EMP);

d) i Revisori legali (artt. 51 ss. EMP);

e) i Servizi di supporto tecnico e amministrativo (art. 56 EMP);

f) l’Ufficio di coordinamento nazionale (art. 55 EMP).

Sotto l’autorità del Procuratore generale operano: 

g) Dipartimenti centrali:

i) l’Ufficio per le tecnologie e i sistemi informatici (art. 53 EMP);

ii) l’Ufficio per la cooperazione giudiziaria e le relazioni internazionali (art. 54 EMP);

iii) il Dipartimento centrale per le indagini e l’esercizio dell’azione penale (art. 57 EMP);

iv) il Dipartimento centrale per gli affari legali di Stato e per gli interessi collettivi e diffusi (art. 61 EMP); 

h) l’Unità tecnica consultiva (art. 64 EMP). 

2) I quattro Uffici dei viceprocuratori regionali hanno sede in Lisbona, Porto, Coimbra ed Evora (artt. 65 ss. EMP). Il pm è inoltre rappresentato, presso le cinque Corti d’appello regionali e le due Corti amministrative centrali, dai viceprocuratori generali regionali e dai viceprocuratori generali. Le funzioni di rappresentanza assunte da un viceprocuratore generale con poteri di coordinamento presso le corti d’appello possono svolgersi anche al di fuori dell’ufficio principale della rispettiva corte d’appello, come avviene per la Corte d’appello di Guimarães.

I Dipartimenti regionali per le indagini e l’esercizio dell’azione penale sono disciplinati dagli artt. 70 ss. EMP. 

3) Le 23 Procure distrettuali (artt. 73 ss. EMP) comprendono: 

i) dipartimenti per le indagini e l’esercizio dell’azione penale;

ii) procure presso tribunali specializzati, presso i tribunali di competenza generale, presso i tribunali di prossimità e i tribunali con competenza territoriale estesa.

3.1) Le 4 Procure amministrative e tributarie (artt. 88 ss. EMP):

iii) procure presso i tribunali amministrativi o tributari distrettuali o presso i tribunali misti amministrativi e tributari.

La struttura organizzativa presenta tre livelli gerarchici successivi: è governata al vertice dalla Procura generale, al livello immediatamente subordinato dai viceprocuratori regionali che guidano i rispettivi uffici, e al primo livello dai procuratori coordinatori, ciascuno a capo di uno dei 23 uffici del pubblico ministero dislocati in ognuno dei distretti. 

Indipendentemente dalle funzioni gerarchiche che svolgono, i magistrati del pm sono denominati unicamente “procuratore” e “viceprocuratore generale”. La cd. “carriera automatica”, introdotta recentemente dal nuovo statuto, sembra tuttavia essere incompleta, poiché sebbene l’accesso a determinate funzioni o posizioni, o persino a determinate remunerazioni avvenga tramite concorso, l’accesso alla posizione di viceprocuratore generale avviene ancora tramite promozione, basata su anzianità e merito. 

 

3. L’architettura istituzionale del pm portoghese

 

3.1. Principi costituzionali

3.1.1. Il principio di autonomia e la difesa dell’indipendenza delle corti

Il modello portoghese di pm si fonda su cinque pilastri principali[8]:

∙ l’autonomia del pm[9];

∙ il suo autogoverno;

∙ l’indipendenza e il parallelismo rispetto alla magistratura giudicante;

∙ le competenze chiave e la competenza riservata in qualità di titolare dell’azione penale;

∙ la difesa della legalità democratica quale compito fondamentale.

Nella recente evoluzione storica del pm portoghese, la progressiva emancipazione rispetto all’esecutivo ha rappresentato una conquista democratica, sancita espressamente in Costituzione a seguito della revisione del 1989, e tradotta poi nel 1992 in una modifica dello statuto (l. 20 agosto 1992, n. 23).

L’autonomia del pm è oggi consacrata nella Costituzione, che stabilisce, all’articolo 129, che «Il Pubblico Ministero è dotato di autonomia e di un proprio statuto, stabilito per legge».

Questa autonomia, poi, si traduce e si esplica nell’EMP come caratteristica statutaria di effettiva indipendenza esterna

Secondo l’art. 3 EMP, «Il Pubblico Ministero è autonomo rispetto agli altri organi del potere centrale, regionale e locale (…)».

Che tale autonomia corrisponda a un’effettiva indipendenza, lo si deriva direttamente dalla Costituzione, il cui art. 220, par. 1, afferma che «La Procura Generale è l’organo di vertice del Pubblico Ministero, composto e dotato di competenze secondo quanto previsto dalla legge».

Il fatto che la Procura generale sia l’organo di vertice del pm esclude qualsiasi altra relazione di dipendenza organico-istituzionale con altri organi dello Stato e altri poteri politici[10].

In termini concreti, indipendenza significa che tutti i procuratori, a partire dal Procuratore generale, non dovrebbero chiedere né accettare istruzioni da persone, istituzioni, organi, uffici o agenzie statali, poiché essi hanno il dovere di rispettare tale indipendenza[11]

Indipendente dal potere esecutivo, come si è visto, il pm si caratterizza agevolmente come organo di amministrazione della giustizia, parte del potere giudiziario, pienamente integrato nella funzione giurisdizionale nella sua accezione più ampia. Questo è l’aspetto istituzionale che, in definitiva, preclude che possano essere date istruzioni in casi particolari, e che stabilisce in via di principio l’autodeterminazione nello svolgimento delle funzioni, con i soli limiti previsti dalla legge (assenza di pressioni esterne).

Tale autonomia si caratterizza, inoltre, per la sua eminente aderenza ai criteri di stretta legalità e obiettività e per l’esclusiva subordinazione dei magistrati alle direttive, agli ordini e alle istruzioni previste dallo statuto – una particolarità definita come “autonomia interna”, consacrata in termini attenuati nell’articolo 3 (2) EMP. Questa caratteristica autonomia individuale, meno categorica in quanto autoriferita ai limiti imposti dalla subordinazione gerarchica (a direttive, ordini e istruzioni emanate dai superiori), significa che le azioni dei procuratori non richiedono l’approvazione previa o la successiva conferma ad opera dei superiori, poiché sussistono alcune garanzie legali di non interferenza da parte di questi ultimi (assenza di pressioni interne)[12].

Autonomia e obiettività sono le principali espressioni riassuntive dell’identità del pm. Dopo tutto, esse sono strettamente collegate all’indipendenza e all’imparzialità del potere giudiziario e possono essere interpretate come conseguenza dello status costituzionale del pm. Non soltanto, infatti, l’elemento costitutivo di questa autonomia è legalmente vincolante (come nel caso dell’indipendenza dei giudici); anche l’obiettività si traduce in “lealtà imparziale” nel dare esecuzione alla legge o nell’esercizio di altre funzioni procedimentali. Entrambe sono indispensabili e conseguenti all’idea di Stato di diritto[13].

All’interno del quadro normativo-costituzionale che ne sottolinea l’indipendenza e l’autonomia interna, i procuratori sono magistrati, difensori originari della legalità democratica – art. 4 (1)(a) EMP –, in termini analoghi a quelli utilizzati per i giudici[14]

Come espressamente affermato dall’art. 96 dello statuto, essi sono parte di una magistratura, parallela ma indipendente rispetto a quella giudicante, essendo un organo giudiziario dotato di poteri di iniziativa e impulso. Ciò significa che i procuratori non ricevono dai giudici né ordini né censure[15].

Per questa stessa ragione, l’autonomia del pm sembra indispensabile per l’indipendenza delle corti stesse, specialmente per quanto riguarda l’esercizio dei poteri di perseguimento penale, dal momento che qualunque vincolo esterno su di essi comporterebbe la perdita dell’indipendenza delle corti mediante i rischi connessi alla manipolazione del pubblico ministero. L’unica garanzia risiede dunque nell’autonomia di quest’ultimo.

Questo ruolo di difesa dell’indipendenza delle corti, insieme al potere speciale che assicura che la funzione giurisdizionale sia esercitata in accordo con la Costituzione e con le leggi, è espressamente affermato nell’articolo 4 (1)(j) EMP[16]

Pertanto, la difesa dell’indipendenza delle corti è una competenza decisiva per poter qualificare il pm come organo di giustizia, come garante della legittimità e della legalità democratica nell’amministrazione della giustizia e come detentore di uno status di integrità che lo qualifica come “magistratura”, in linea con gli standard internazionali relativi alla posizione istituzionale del pm[17].

Secondo la mia opinione, è questo l’argomento decisivo che giustifica la creazione e l’accettazione istituzionale del pm come organo di giustizia dotato di autonomia esterna, o indipendenza, e di autonomia interna[18].

La difesa dell’indipendenza delle corti porta necessariamente con sé lo svolgimento di un ruolo di monitoraggio e controllo del rispetto, da parte della funzione giurisdizionale, della legge democratica. La sua efficacia risiede nell’utilizzo di strumenti che consentano il controllo delle sentenze; di conseguenza, al pm devono essere trasmesse tutte le sentenze definitive emanate da qualsiasi corte – art. 4 (3) EMP. 

Naturalmente, la natura giudiziaria del pm e, soprattutto, la sua indipendenza, costituiscono la base di altre caratteristiche che consentano di definire altri principi fondativi che configurano tale organo. Fra questi, possiamo individuare i principi di imparzialità, proporzionalità e obiettività, che saranno discussi in seguito. 

Come abbiamo visto, tali principi sono intrecciati, alcuni costituiscono derivazioni primarie o secondarie di altri, e la maggior parte di essi richiede garanzie affinché ne sia assicurata l’efficacia. Su tutti, il principio di indipendenza e la natura del pm quale organo di giustizia implicano che i suoi membri, i procuratori, debbano offrire la massima garanzia di indipendenza, una caratteristica che attiene tanto alla procedura di nomina, quanto alla definizione previa del loro profilo professionale. 

Da tale indipendenza discendono, dunque, le garanzie di inamovibilità dall’ufficio, un tratto particolarmente rilevante che si traduce in norme speciali che regolano il mandato dei procuratori, la loro carriera, il regime disciplinare e la rimozione dal servizio. 

La natura giurisdizionale del pm quale organo di giustizia comporta a sua volta il rispetto per la Costituzione della Repubblica del Portogallo, per gli strumenti pattizi internazionali, la Cedu e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in primo luogo – nell’ambito dei poteri connessi all’esercizio dell’azione penale – il rispetto per il giusto processo (parità delle armi e lealtà processuale) e per i diritti di difesa nella conduzione delle indagini, nella raccolta delle prove e in qualunque altra attività processuale. 

Questi principi stanno a significare che, nell’ambito della sua attività procedurale e funzionale – con particolare attenzione all’esercizio dell’azione penale – il pm dovrà condurre le indagini con imparzialità, ricercando tutte le prove necessarie per incriminare o per prosciogliere. Ricercare la verità processuale, indipendentemente dalle sue conseguenze giuridiche, appare così l’unica ragione per promuovere la giustizia penale nel caso concreto. 

Dall’altro lato, l’indipendenza non esclude la responsabilità, che connota altresì la magistratura requirente, e che, all’esterno, si concretizza principalmente nei poteri del Procuratore generale di diffondere notizie sull’attività svolta dal pm o di rendere conto dell’attuazione della politica criminale – art. 19 (2)(t), (u) e (v) EMP. 

Ciò è riassumibile nel cd. principio di “responsabilità” democratica, correlato alla procedura di nomina e rimozione del Procuratore generale. Nel modello portoghese, è possibile identificare una certa impronta politica nel metodo di selezione e nomina, o nella possibilità di rinnovarne il mandato. In ogni caso, il Pg è politicamente responsabile solo di fronte al Presidente della Repubblica (eletto a suffragio universale e diretto), così da garantire legittimazione democratica e costituzionale al pm[19].

 

3.1.2. Il principio di difesa della legalità democratica o la supremazia della legge 

Varie dimensioni possono trovare collocazione nel mandato costituzionale di difendere la legalità democratica. In altre parole, questo compito è, in sostanza, totalizzante, poiché la difesa della legalità è inerente a qualsiasi settore di attività e funzione del pm, giacché strettamente correlata alla legge e indipendente dalla separazione dei poteri. Da questa non esclusività discende la difficoltà di tracciarne l’identità e la fisionomia concettuale[20].

Tali dimensioni si traducono ampiamente nell’applicazione della legge e nel rispetto della Costituzione. In quest’ambito di competenza, il pm assicura la legittimità costituzionale delle leggi, promuove l’uniformità della giurisprudenza o difende i diritti di coloro che sono ingiustamente detenuti[21] – art. 4 (1)(a), (j) e (q) EMP[22].

In qualità di magistratura “di intervento pubblico”, il pm deve necessariamente stimolare una decisione di merito, come risposta del sistema giuridico nel suo complesso di fronte a una violazione della legalità democratica e in funzione del suo ristabilimento[23].

Il compito di difendere la legalità democratica significa, inoltre, che il pm non può sostituire criteri politici ai criteri giuridici. Pertanto, tale difesa dev’essere esercitata anche nei confronti della pubblica amministrazione.

Unitamente a questa dimensione, agire nella stretta osservanza della legge significa che «nessuna delle sue decisioni sostanziali o procedimentali può essere guidata dalla libera discrezionalità, da considerazioni soggettive o personali, dall’ideologia, da convinzioni né da imperativi etici, veri o presunti, di coscienza. Tali decisioni possono essere prese unicamente sulla base della propria discrezionalità limitata, ovvero, sulla base dell’obbedienza alla legge, di giudizi di valore giuridico e, soprattutto, di programmi di politica criminale democraticamente definiti, ai quali il pm deve la propria obbedienza e dei quali esso è chiamato a rispondere»[24].

Come sappiamo, la funzione specifica, tipica o primaria del pm è l’esercizio dell’azione penale. Ciò non significa solo formulare accuse: implica l’effettivo esercizio di essa nella fase istruttoria giudiziale e nella fase del giudizio, la possibilità di proporre appello contro una sentenza non conforme alla pretesa punitiva dello Stato o, eventualmente, di presentare ricorso per conto dell’imputato se così imposto dalla legge o dalla giustizia dovuta al singolo caso; implica, infine, la competenza ad applicare sanzioni penali.

Tale funzione è guidata dal principio di legalità. In questo senso, non è subordinata all’idea di amministrare la giustizia “per obiettivi”, siano essi il numero di condanne o di patteggiamenti, come avviene in altri sistemi. Di conseguenza, il pm può e deve chiedere il proscioglimento quando ciò si impone nell’interesse della giustizia. È questo il vero significato di “agire sotto la guida del principio di obiettività”.

Tanto il principio di legalità che quello di obiettività impongono al pm il dovere di difendere e garantire i diritti fondamentali e le libertà dei cittadini, siano essi indagati, imputati o vittime. È questo un dovere trasversale all’esecuzione della politica criminale, alle indagini e anche all’esercizio dell’azione penale. Questo distingue il pm come magistratura che richiede indipendenza, integrità e imparzialità.

L’esercizio dell’azione penale non ha inizio con la formulazione scritta dei capi d’imputazione, ma prende avvio esattamente con la decisione iniziale ed esclusiva di aprire o meno un procedimento penale, seguita dallo svolgimento di indagini preliminari, il cui potere di direzione è riservato al pm. Tale compito comporta la decisione di perseguire penalmente o di chiudere l’indagine o persino, qualora applicabile, la possibilità di una soluzione consensuale o di opportunità.

Tutte le attività investigative sono determinate dal pm, che ne è responsabile.

Organi di polizia o di polizia giudiziaria (Orgãos de Polícia Criminal - OPC) sono incaricati di condurre le indagini disposte dal pm.

Il giudizio sul merito e sulla legalità dell’operato investigativo degli opc è esclusiva responsabilità del pm.

Qualora le misure investigative vadano a incidere su diritti o libertà, tale giudizio spetta anche al giudice esaminatore, quale giudice delle libertà.

Ciò per dire che l’intervento del pm non si verifica al termine delle indagini condotte dagli organi di polizia: è tanto originario quanto contemporaneo ad esse, e implica una direzione effettiva delle indagini stesse. Non si tratta solo di coordinare le relative attività di polizia, bensì di ordinarne l’esecuzione.

L’efficace direzione delle indagini presuppone che il pm sia in grado di supervisionarne la conduzione e include il potere di avocare a sé il fascicolo in qualsiasi momento, il potere di richiedere informazioni sui progressi in corso, il potere di dare istruzioni concrete, di decidere sui mezzi di prova, siano essi esami testimoniali o altri, di raccogliere informazioni, il tutto in funzione della decisione sull’esercizio dell’azione penale, di decisioni di opportunità o relative a soluzioni consensuali.

La scelta a favore di soluzioni di opportunità o consensuali – i cosiddetti criteri di opportunità (o patteggiamento) – non implica alcuna discrezionalità nell’esercizio dell’azione penale, come invece avviene nel sistema americano. I limiti sono sempre prestabiliti dal sistema delle norme di legge, e sono quelli di legalità e obiettività. Ciò significa che la conduzione delle indagini da parte del pm è caratterizzata dalla sottoposizione alla legge, senza alcuna interferenza di ordini diretti o indiretti promananti dal potere politico.

Con riferimento all’interazione fra pm e polizia nel corso delle indagini, si possono identificare tanto un principio quanto un obbligo di assistenza da parte della polizia nei confronti del pm. È ciò che si definisce “dipendenza funzionale” della polizia dal pm nel corso delle indagini.

Tuttavia, queste relazioni trovano il loro limite nell’organizzazione gerarchica della polizia, che a livello organico non dipende dal pm, ma dal Governo. Il SMMP («Sindicato dos Magistrados do Ministério Publico») ha già proposto alcuni cambiamenti a questa architettura, così da avvicinarla a quei sistemi, come quello italiano, nei quali la polizia si relaziona più direttamente con il pm.

In ogni caso, nel modello portoghese, il concetto di dipendenza funzionale è stato inteso dalla dottrina come rigida separazione delle rispettive competenze di polizia e pm, secondo la quale questi dirige e la prima esegue le indagini. Questo è il solo modo di continuare ad attribuire un contenuto utile all’autonomia del pm. Ovvero, nonostante che la polizia si componga di ufficiali della relativa amministrazione dotati di propria gerarchia e autonomia organizzativa, «quando agisce nell’ambito di procedimenti penali, la polizia criminale è sottoposta alla responsabilità dell’autorità giudiziaria e non agli ordini della gerarchia a cui appartiene»[25].

La dipendenza funzionale assicura che le indagini penali non siano esclusivamente nelle mani della polizia e che la struttura che sostiene l’esercizio dell’azione penale e le competenze investigative siano salvaguardate e affidate interamente a un’autorità giudiziaria, il pm. 

 

3.1.3. Il principio di servire e proteggere l’interesse pubblico: gli interessi determinati dalla legge

La natura di un’istituzione come il pm è in primo luogo quella di una magistratura orientata alla difesa di interessi principalmente pubblici. È uno dei compiti essenziali definiti dall’EMP – cfr. art. 4 (19)(f) o (m) EMP.

Sia nella difesa della legalità, o nella difesa della società dal crimine, o nella difesa dell’unitarietà della legge e dell’uguaglianza nell’accesso ad essa, o nella difesa dei più svantaggiati, di coloro che siano privi di capacità di agire, o nella difesa degli interessi collettivi e diffusi, ad essere promosso è sempre l’interesse pubblico. 

 

3.1.3.1. Interessi delle persone prive di capacità di agire, dei lavoratori, interessi collettivi e diffusi

Secondo la Costituzione, la difesa degli interessi determinati per legge conferisce al pm la responsabilità di esercitare una serie di funzioni che ricadono in tre dimensioni (cosicché potrebbe essere più appropriato dire che il pm è definito dalla multidimensionalità di azione più che dalla multifunzionalità che deriva dai compiti ad esso attribuiti):

la dimensione della rappresentanza “orfana” o della promozione degli interessi dei più vulnerabili, che ha natura sociale e si propone di difendere gli interessi di persone prive di protezione, bambini, giovani, anziani con capacità ridotte e che non abbiano adeguata rappresentanza per la difesa dei propri diritti (qui possiamo includere la rappresentanza di persone prive di capacità di agire, di coloro che non hanno una residenza fissa o delle persone scomparse); 

∙ la dimensione sociale della difesa e della rappresentanza della parte debole o economicamente dipendente, come il patrocinio d’ufficio dei lavoratori e delle loro famiglie, per la difesa dei diritti sociali; 

∙ la dimensione di difesa degli interessi collettivi e diffusi, come la protezione sostenibile dell’ambiente, del patrimonio culturale, della salute pubblica o degli interessi dei consumatori. 

Troviamo l’attribuzione di queste diverse dimensioni di intervento del pm nell’art. 4 (1)(b), (d), (e), (g) e (h) EMP. 

 

3.1.4. Principio di legalità contro principio di opportunità nell’esercizio dell’azione penale. Azione penale obbligatoria e ufficialità

Dire che spetta al pm, secondo il principio di legalità, l’obbligo di iniziare d’ufficio le indagini e di perseguire i reati significa, in primo luogo, che il pm non può scegliere se dare avvio o meno a tali indagini né se perseguire o meno i reati di cui venga a conoscenza. In linea di principio, non vi sono giudizi di opportunità nella promozione dei procedimenti penali.

In senso più ampio, l’obbligo di esercitare l’azione penale, come risulta dal principio di legalità, assicura l’uguaglianza di fronte alla legge e promuove l’imparzialità, l’obiettività e l’indipendenza nell’amministrazione della giustizia. Ne risulta che la pubblica accusa non può essere oggetto di rinuncia né di sostituzione, poiché si presume che per i dipendenti pubblici e per tutti coloro a cui è conferito tale diritto, riportare una notizia di reato sia obbligatorio.

Il rispetto del principio di legalità nell’esercizio dell’azione penale da parte del pm implica la possibilità, benché limitata, di sottoporre a controllo una decisione di proscioglimento.

Sebbene l’esercizio dell’azione penale abbia ancora come caposaldo il principio di legalità, il legislatore ha consacrato nel codice di procedura penale il principio di legalità aperta, attraverso un principio di opportunità limitata, che prevede la possibilità di non perseguire un caso in caso di esenzione dalla pena, di sospensione provvisoria del procedimento prenale o qualora sia richiesto un procedimento semplificato speciale. 

Questi istituti di opportunità sono tutti soggetti a controllo giurisdizionale, in linea con il principio di obiettività e imparzialità (non discrezionalità), prevenendo così qualunque apertura a una “giustizia negoziale”, che sembra essere in linea con la regola dell’ufficialità dell’azione del pm.

Una simile legalità aperta, od opportunità limitata, è sottoposta a rigide condizioni previste dalla legge, e con un ambito di applicazione limitato (solitamente, nel contesto dei reati minori e meno gravi punibili con la detenzione non superiore ai 5 anni). In questa tipologia di soluzioni, è sempre possibile trovare motivi di preoccupazione per l’uguaglianza e la proporzionalità nella scelta e nella configurazione concreta di ciascuna di esse, al di là della possibilità di sottoporle a controllo giurisdizionale, come ricordato sopra.

La preoccupazione per l’uguaglianza con riferimento al principio di opportunità ha condotto il legislatore a modificare la disciplina dei relativi istituti contenuta nel codice di procedura penale (cpp), sostituendo la possibilità con il dovere del pm di utilizzarli in tutti quei casi in cui si verifichino le rispettive precondizioni.

 

3.1.5. Principio di partecipazione all’esecuzione della politica criminale

La Costituzione della Repubblica Portoghese ha attribuito al pm anche la partecipazione all’attuazione della politica criminale, come definite dagli organi sovrani (una competenza del Parlamento su proposta governativa), stabilita dall’art. 219 (1) CRP e dall’articolo 4 (1)(c) EMP.

Questo ruolo non è assegnato alla polizia investigativa, ovvero alla polizia giudiziaria. Le indagini condotte da questi organi non sono separate, ma confluiscono nell’azione penale condotta dal pm. In questo senso, la polizia appare essere “in seconda linea” nello svolgimento di tale funzione, poiché si limita ad assistere il pm nell’attuazione della politica criminale.

La consacrazione costituzionale della partecipazione del pm all’attuazione della politica criminale ha avuto inizio con la sua configurazione di norma “vaga”, di “mero” o “inutile proclama”. Tuttavia, ha acquisito un’importanza crescente che – quantomeno nella comparazione fra diversi sistemi – la rende oggi una delle caratteristiche più importanti per la posizione istituzionale del pm, sebbene essa lo esponga al rischio di confusione fra potere esecutivo (o legislativo) e potere giudiziario, o al rischio di essere considerato uno strumento nelle mani di coloro che determinano tale politica criminale.

A causa del sovraccarico del sistema della giustizia penale, le risorse per perseguire anche i reati minori sono sempre meno. Pertanto, l’uso crescente dei summenzionati istituti di opportunità è stato ritenuto una risposta adeguata a tale problema. Di conseguenza, il pm ha acquisito un’importanza decisiva e un ruolo centrale nel sistema della giustizia penale, poiché tende ad avere l’esclusiva titolarità dell’azione penale. De facto e de iure, il pm istruisce e decide la maggior parte dei casi affrontati applicando istituti di opportunità e soluzioni concordate, che raramente sono poi rigettate dal giudice, quando a lui sottoposte.

Nel caso portoghese, l’introduzione di un principio di pura opportunità è stata esclusa (nessun reato può essere escluso dall’azione penale), ma la mediazione politico-criminale effettuata attraverso il pm, anche se programmatica, conduce a giudizi importanti circa le richieste della società sulle priorità dell’azione penale o l’uso preferenziale di determinati rimedi processuali piuttosto che di altri.

Infatti, per quanto riguarda l’ampiezza del contributo del pm all’attuazione della politica criminale, che è stata condizionata da una legge sulla politica criminale secondo la quale è quest’ultima a definire obiettivi, priorità e linee-guida (relative a prevenzione del crimine, indagini, esercizio dell’azione penale ed esecuzione delle sentenze e delle misure di sicurezza), tutte convergenti verso la finalità di una procedura più rapida, la legge quadro sulla politica criminale (l. 23 maggio 2006, n. 17) è andata al di là della prevenzione dei reati.

Secondo questa legge quadro, il pm persegue gli obiettivi e adotta le priorità e le linee-guida contenute nella legge biennale sulla politica criminale, le quali comunque non ne pregiudicheranno l’autonomi[26]. Secondo l’opinione di chi scrive, sono tanto l’appropriatezza dei criteri quanto una gestione razionale delle tempistiche – non l’intervento in sé – che consentono al nostro modello di funzionare senza intoppi, facendo del pm un perno centrale collocato fra potere politico e potere giudiziario, che risponde ai principi di sovranità popolare come fondamento politico della democrazia.

Pur comportando un potere più esteso, questa posizione all’interno del sistema della giustizia penale implica anche il più alto grado di responsabilità[27] menzionato sopra, che alcuni considerano (in particolare quando il pm debba rispondere dell’applicazione della legge sulla politica criminale) una compressione dell’autonomia esterna[28]. Pertanto, può essere oggetto di discussione se le leggi di politica criminale siano una forma di interferenza del potere politico nell’autonomia del pm, poiché esse, con riferimento a particolari fenomeni criminali, determinano obblighi in relazione a priorità ed efficacia nelle indagini e nell’esercizio dell’azione penale[29].

Come può il pm, una magistratura autonoma con status di terzietà, il cui compito principale è quello di promuovere la legalità, sostituire a parametri di indipendenza criteri di opportunità, ancorché limitati, allo scopo di aderire a indirizzi di politica criminale? Questa domanda rimane aperta al dibattito, ma nei limiti dello statuto di autonomia e delle garanzie di legalità e imparzialità che si richiedono al pm per poter svolgere questo compito. 

 

3.2. Principi organizzativi

3.2.1. Principio di autogoverno

L’articolo 219 CRP, al par. 5, afferma che la nomina, la destinazione, il trasferimento e la promozione dei procuratori, così come l’esercizio dell’azione disciplinare, sono responsabilità della Procura generale; l’EMP, successivamente, assegna tale responsabilità al Consiglio superiore del pubblico ministero (Consejo Superior del Ministerio Público - CSMP) – art. 21 EMP.

Il CSMP, politicamente indipendente dal Procuratore generale, è l’organo apicale di gestione e disciplina del pm. Esso è composto da cinque membri eletti dall’Assemblea della Repubblica, undici membri del pm o di diritto, o eletti dai loro pari, e due personalità designate dal Governo per meriti riconosciuti, un requisito che indebolisce la loro indipendenza dall’istituzione che li nomina. Il CSMP è presieduto dal Procuratore generale e adotta le proprie risoluzioni a maggioranza (artt. 22 e 33 EMP).

Sia l’indipendenza esterna, o autonomia istituzionale, o indipendenza dal potere politico, che l’indipendenza interna, organica e funzionale del pm (che impone ai procuratori il rispetto del criterio di legalità e obiettività nell’esercizio delle loro funzioni) sono incarnate e assicurate dall’esistenza del CSMP, un organo di autogoverno nel quale i procuratori – una significativa maggioranza dei quali è eletta dai loro pari – costituiscono la maggioranza[30]

 

3.2.2. Principio di gerarchia e responsabilità dei procuratori

Il pm è organizzato secondo una struttura gerarchica – secondo il diritto comparato, una regola generale. Sebbene in alcuni sistemi ciò possa risultare più evidente che in altri, ogni procuratore deve la propria obbedienza a colui che gli è funzionalmente superiore, secondo una struttura che si sviluppa a partire dai gradi inferiori verso quelli intermedi e poi superiori, questi ultimi dotati di poteri direttivi gerarchici, per culminare nel Procuratore generale (cfr. art. 97 EMP).

L’articolo 14 EMP specifica fermamente che i poteri direttivi, gerarchici e di intervento procedimentale assegnati ai diversi procuratori sono inerenti alla posizione ricoperta, stabilendo in tal modo una gerarchia di organi, più che una gerarchia di agenti[31].

Questa struttura ha natura funzionale, non avendo nulla a che fare con le questioni disciplinari, di nomina o di valutazione, che sono invece esclusiva responsabilità del CSMP[32].

È dunque entro la gerarchia stabilita che si manifestano le tensioni più evidenti nel contesto dell’autonomia interna, poiché ogni specifico caso richiede di essere affrontato secondo la coscienza di ciascun procuratore. Tuttavia, è anche importante assicurare che l’azione del pm nel suo complesso mostri coerenza nel proprio intervento, un obiettivo che si raggiunge osservando le direttive[33], specialmente per quanto concerne l’utilizzo di istituti di opportunità nei procedimenti penali. Ad ogni modo, le direttive devono rispettare la legislazione vigente e devono essere fondate su adeguate motivazioni.

La struttura gerarchica e il corrispondente potere hanno propri ambiti e limiti e, in questo senso, non sono incompatibili, in linea di principio, con l’autonomia di ciascun procuratore, che resta comunque titolare di un potere decisionale autodeterminato nel quadro delle competenze assegnategli.

Per quanto riguarda l’ambito e i limiti menzionati sopra, la gerarchia consiste nella subordinazione dei procuratori di livello inferiore a quelli di livello superiore, secondo lo «Statuto» e senza alcun pregiudizio per la loro autonomia, poiché tutti sono ugualmente tenuti al rispetto della legge e dei relativi principi applicativi[34].

Sussiste un dovere di obbedienza agli ordini emanati in via gerarchica unicamente nei casi definiti dalla legge, in modo tale che non risultino compresse l’autonomia o l’autodeterminazione di ciascuno degli organi sottoposti a vincolo gerarchico. Per questo, l’EMP sancisce, all’art. 100, che i procuratori potranno richiedere che siano loro rivolte istruzioni per iscritto. Il rifiuto di ottemperare ad esse è possibile unicamente se esse sono illegittime o se impongono una grave violazione di coscienza, possibilità che rimane dunque soggetta a controllo. Pertanto, si può affermare che è il principio di autonomia a prevalere, poiché comporta un corrispettivo dovere funzionale di disobbedienza, che in ultima analisi può persino superare la gerarchia, in ragione della legalità e dell’imparzialità dell’azione del procuratore (art. 79, 2 EMP).

Secondo lo statuto, la responsabilità consiste nel fatto che i procuratori sono chiamati a rispondere, secondo la legge, dell’adempimento dei propri doveri e del rispetto del contenuto delle direttive, degli ordini e delle istruzioni, come stabilito dall’art. 97, par. 2, EMP. Anche in questo caso, si potrebbe evidenziare come la responsabilità sia più una conseguenza del “dovere” di autonomia, piuttosto che un limite alla medesima – che è solo parzialmente limitata dalla gerarchia – anche se è vero che la violazione dell’obbligo di obbedienza gerarchica, quando non giustificato nei termini sopra ricordati, comporta una responsabilità la cui valutazione spetta al CSMP, e non al superiore gerarchico[35].

Lo scopo della gerarchia va al di là del semplice esercizio di funzioni amministrative, della razionalizzazione delle risorse o dell’ottimizzazione dei metodi organizzativi. Questi poteri di coordinamento, che ne rappresentano il fulcro essenziale, possiedono, quale loro fondamentale obiettivo, la promozione dell’unità del diritto, e in questo senso promuovono altresì – come vedremo con riferimento al principio di uguaglianza – la difesa dell’uguaglianza dei cittadini nell’accesso al diritto e alla giustizia.

Nel nuovo «Statuto» si afferma che la gerarchia ha una natura funzionale e che sarà il diritto processuale penale a dover disciplinare l’intervento gerarchico nei procedimenti penali, intendendo così che gli unici possibili interventi disciplinari sono quelli disciplinati nel cpp – art. 97 (3) e (4) EMP[36].

Risolvendosi tutto in un intervento gerarchico limitato e puntuale, ciascun magistrato diviene una struttura individuale istituzionalizzata che esprime la – e che è titolare della – “volontà” del pm, il che ci riporta alla nozione di “organo individuale”[37].

Questo equilibrio, o concordanza pratica, che si presume tacitamente fondata sullo «Statuto» e sulla Costituzione – per come interpretata –, ha recentemente rischiato di essere infranta da una direttiva del Procuratore generale, che imponeva al pm di seguire, come dottrina cogente, un’opinione del Consiglio consultivo che, fra l’altro, sosteneva che nell’ambito di procedimenti penali un superiore gerarchico potesse emanare direttive, ordini o istruzioni, generali o particolari, e che esse dovessero essere tenute fuori dagli atti del procedimento[38]

Questa direttiva ha causato – e continua a causare – forti perplessità interne. Alcuni sostengono che essa sia illegittima, stante quanto stabilito dal nuovo statuto al riguardo; altri sottolineano il rischio di una procedura penale “nascosta” o “parallela”, sottratta al controllo trasparente di altri soggetti coinvolti nel procedimento. 

Essa sta, inoltre, cagionando un notevole malcontento nell’opinione pubblica, con interventi provenienti da vari settori della politica e della società che mettono in guardia dal rischio di promuovere una sistematica sfiducia nei confronti dell’imparzialità delle azioni del pubblico ministero nello svolgimento dei procedimenti penali e di divenire permeabili a interferenze indebite, prive di controllo democratico, che possano ostacolare l’autonomia interna ed esterna del pm. L’argomento è oggetto di un dibattito infuocato.

Al di fuori dei procedimenti penali, il nuovo EMP stabilisce espressamente che un superiore diretto ha potere di controllo sulle decisioni definitive dei procuratori, al fine di assicurare l’uniformità di applicazione del diritto – art. 97 (5) EMP –, un’affermazione che si traduce più in una competenza dispositiva che in un vero potere gerarchico[39].

 

3.2.3. Principio di indivisibilità

Una delle caratteristiche del pm è essere una magistratura indivisibile, o unitaria[40]. Ciascun procuratore rappresenta l’intera istituzione e, come tale, non è intercambiabile né sostituibile, a eccezione di quelle situazioni legate alla creazione di team speciali, unità finalizzate a una certa missione, o specifiche nomine di procuratori per interventi ben precisi – artt. 59 (1)(j), 70 (5), 72 (e), 85 (7), 90 (2) e (3), 91, 92 EMP.

Cosa significa, in pratica, il principio di indivisibilità? Significa che un atto del procedimento, compiuto da un singolo procuratore, coinvolge e impegna l’intero pm, assumendo così una funzione rappresentativa, decisionale o di impulso con rilevanza esterna, quale segno inequivocabile che ciascun procuratore è un organo del pm[41].

Nel corso delle varie fasi del procedimento, anche in dibattimento, i procuratori possono sostituirsi a vicenda, senza limiti procedurali. Si nota, peraltro, che ciò non è consentito ai giudici che conducono il procedimento, pena la sua invalidazione.

Le condizioni e i postulati per tale intercambiabilità devono rispettare quanto prescritto dall’EMP, dalla legislazione sulla procedura e sull’organizzazione del potere giudiziario e delle norme che regolano l’organizzazione del pm – art. 90 (1). Lo stesso vale per le condizioni che consentono che un procuratore sia assistito da altri – art. 90 (2) – e l’istituzione di team – art. 90 (3).

Allo stesso modo, il nuovo EMP prevede oggi una serie di norme e limiti per quanto riguarda le sostituzioni (art. 81) – ad esempio, la riassegnazione di un procuratore (il suo collocamento temporaneo presso una corte, una procura distrettuale o una sezione di un dipartimento differente da quella alla quale è assegnato; art. 77) – e la riassegnazione dei casi (la redistribuzione, casuale o specifica, di gruppi di casi o di specifiche indagini a un procuratore diverso da quello al quale essi erano stati originariamente assegnati, secondo i termini che dovranno essere stabili dal CSMP (art. 78 EMP). 

 

3.2.4. Il principio di merito

Per un procuratore, l’autonomia non è un privilegio. Piuttosto, essa è un vero e proprio obbligo etico-giuridico, una vocazione, poiché questi, responsabile dell’attuazione dello Stato democratico di diritto, deve, nell’applicare la legge a casi specifici, perseguire i propri obiettivi, senza sottomettersi a ordini o istruzioni che non siano quelli disciplinati dalla legge.

Agendo per conto della società e in ragione della gravità dell’esercizio dell’azione penale e di una possibile condanna, per poter onorare il proprio ruolo, il pm è tenuto ad alti standard di competenza. Ciò significa che il requisito dell’autonomia non è soddisfatto unicamente per attribuzione costituzionale o legislativa; essa deve essere conquistata, comprovata e difesa da ciascun procuratore, allo stesso modo in cui tale vocazione è garantita, promossa e riconosciuta.

La CRP ha attribuito la competenza sulla disciplina e sulla valutazione dei procuratori alla Procura generale, e in particolare al CSMP. All’interno di tale organo, si trova un gruppo di ispettori che valuta i singoli procuratori – artt. 21 (2)(a), 39, 40, 139, 146 ss. EMP – e fornisce pareri al CSMP circa la definizione del merito di ciascuno di essi.

Tale definizione ha conseguenze importantissime, poiché il merito rappresenta una vera e propria condizione per l’attribuzione di determinate posizioni direttive e gerarchiche o per accedere a determinati dipartimenti o categorie funzionali. L’assenza di merito impedisce inoltre la progressione verso determinati livelli di remunerazione (artt. 146 ss. EMP). 

 

3.3. Principi di intervento

Prima di elencare i principi di intervento, è importante chiarire in quali termini il pm rappresenti lo Stato. Abbiamo discusso supra l’autonomia interna e il modo in cui essa è garantita dall’art. 2 EMP, il quale, al par. 2, afferma che l’autonomia del pm è caratterizzata dall’essere vincolata ai «criteri di legalità e obiettività e dall’esclusiva soggezione dei procuratori alle direttive, agli ordini e alle istruzioni disciplinate dalla presente legge»[42].

L’aspetto statutario dell’autonomia interna, per ciò che concerne la soggezione del proprio intervento ai criteri di legalità e obiettività e la riserva di legge con riferimento all’esecuzione di direttive, ordini e istruzioni, si applica negli stessi termini (e non altri termini speculativi) a quei casi in cui il pm agisce davanti a una corte come legale rappresentante dello Stato, e in particolare quando il Ministero della giustizia, in questo contesto, ha il potere di dare istruzioni specifiche in quei procedimenti civili in cui lo Stato decide di sostenere un interesse – art. 101 (a) e (b) EMP.

In queste situazioni, la posizione è simile a quella di una parte processuale assistita dal proprio avvocato, come evidenzia Inês Seabra, aggiungendo che «anche in tali casi, quando sia in gioco il suo rispetto o la possibilità di un conflitto con essa, si forniscono gli strumenti per proteggere la garanzia della legalità democratica»[43].

La rappresentanza dello Stato è una competenza standard, oltre a essere una delle più tradizionali fra le competenze del pm, non riconducibile all’attività propria e tipica del pm, ovvero esercitare l’azione penale. Come tale, l’intervento del pubblico ministero per conto dello Stato è simile a quello di un avvocato dello Stato, ma anche in questa occasione il pm non può abbandonare il proprio ruolo di difensore della legalità. Questo è comunque in accordo con i criteri che devono caratterizzare l’azione dello Stato nella difesa in giudizio dei propri interessi, come sottolineato da Jorge Miranda e Rui Medeiros, una difesa che non può essere scissa dai parametri di legalità, stretta obiettività e imparzialità[44].

Pertanto, è errato affermare che la difesa della legalità è incompatibile con la posizione del pm quale rappresentante dello Stato, poiché tale rappresentanza non dev’essere confusa, né potrebbe esserlo, con l’esercizio dell’autonomia statale, che può essere esercitata solo da organi politico-amministrativi, in particolare dal Ministero della giustizia. Vale la pena qui aggiungere che di certo è costituzionalmente insostenibile che al pm, nell’assumere il patrocinio dello Stato, possa essere consentito esprimersi contrariamente al principio di legalità[45].

 

3.3.1. Principio di imparzialità

Per quanto riguarda i criteri che dovrebbero governare l’esercizio delle funzioni attribuite al pm, l’imparzialità è uno dei principali. Arala Chaves e Alberto dos Reis hanno evidenziato che gli interventi procedimentali del pm dovrebbero consistere, sempre e soltanto, nel sostenere la verità e la giustizia e nel mantenere la più rigorosa imparzialità, mettendo da parte le passioni o gli interessi personali, poiché esso rappresenta gli interessi generali dello Stato e della società. Il Consiglio d’Europa e la Commissione di Venezia, nell’affermare che il pm deve essere obiettivo ed equo, agire in modo imparziale e, in particolare, assicurare che il giudice abbia tutti i necessari elementi di fatto e di diritto, raccomanda altresì che ciò avvenga necessariamente anche al fine di assicurare un’adeguata amministrazione della giustizia – vds. la raccomandazione Rec(2000)19 del Consiglio d’Europa e Commissione di Venezia CDL-AD(2010)040.

Gli artt. 3 (2) e 4 (q) dell’EMP, che conferiscono al pm uno status di terzietà, contengono riferimenti alla promozione e al rispetto della verità e della giustizia, nonché dell’imparzialità e della difesa della legalità. 

 

3.3.2. Principio di obiettività

L’obiettività, quale principio e criterio per l’azione del pm, consiste nel requisito secondo il quale tale azione deve obbedire soltanto alla verità e al rispetto della legge. Questo è il programma d’azione nella procedura penale. A questo proposito, Figuereido Dias ha scritto: «Nella procedura penale, il pm si pone – caratteristica che conferisce unità al suo intervento – come organo di amministrazione della giustizia, dotato della particolare funzione consistente, secondo la lettera dell’articolo 53 (1) cpp, nel “collaborare con il giudice all’accertamento della verità e all’attuazione del diritto”»[46].

Il pm non è una parte processuale e il suo obiettivo è quello di accertare la verità. Pertanto, il suo potere di dirigere, dare esecuzione e supervisionare gli atti del procedimento penale include quello di archiviare un fascicolo (cfr. art. 53 cpp)[47].

Questa è anche la ragione per cui il pm è un organo processuale non avente natura di parte. Ha interesse al risultato di un procedimento in quanto tale risultato corrisponda alla realizzazione della giustizia e non necessariamente in quanto esso rappresenti il conseguimento di un proprio interesse. 

 

3.3.3. Principio di uguaglianza

Il pm promuove inoltre il principio di uguaglianza nell’accesso al diritto e alla giustizia, creando così le condizioni per una uniformità della giurisdizione, senza discriminazioni. Tale tipologia di intervento si svolge mediante i mezzi di impugnazione attribuiti al pm tanto dallo statuto che dalla legge, e in particolare dal cpp, ma anche nei settori del diritto costituzionale, civile, penale, amministrativo e tributario, promuovendo l’applicazione di giurisprudenza uniforme in casi simili, l’appello nei confronti di decisioni contrarie alla giurisprudenza vincolante, il tutto nell’interesse dell’unitarietà del diritto. Troviamo consacrato questo principio di intervento negli artt. 4 (1)(l), 19 (m) EMP e negli artt. 437 e 446 cpp.

 

3.3.4. Principio di proporzionalità

Sebbene spesso ciò non sia messo in evidenza in quanto tale, il pm dovrebbe considerare la proporzionalità come parametro per la selezione e l’esecuzione di attività investigative o per la definizione in concreto di soluzioni di opportunità, consensuali o di rapidità. Questo principio permea l’intero sistema giudiziario ed è particolarmente presente nel diritto penale e processuale penale. 

 

3.3.5. Principio di integrità e di esclusività funzionale

Per ciò che concerne l’impedimento, la ricusazione e astensione, il cpp e l’EMP applicano ai procuratori gli stessi limiti e restrizioni previsti per i giudici (artt. 39 e 54 cpp). L’EMP impone, inoltre, un regime di esclusività funzionale parallelo a quello previsto per i giudici (artt. 107 e 108 EMP), in linea con la raccomandazione del Consiglio d’Europa Rec(2000)19 e con i pareri della Commissione di Venezia.

 

3.3.6. Principio di rispetto dell’obbligo di riservatezza

Lo statuto del pm impone ai procuratori un obbligo di segretezza e un dovere di riservatezza relativi ai procedimenti giudiziari o ai documenti ai quali essi abbiano accesso in ragione delle proprie funzioni (art. 102 EMP). 

Per quanto riguarda le questioni di servizio, il nuovo EMP ha consacrato nell’ambito degli obblighi, doveri e incompatibilità, gli obblighi di segretezza – cfr. art. 102 (1) –, diligenza (cfr. art. 103), integrità e obiettività (cfr. art. 104) e cortesia («urbanidade», cfr. art. 105).

Il dovere di segretezza è trasversale a tutti gli obblighi predetti e si applica agli altri requisiti di condotta e di servizio.

In democrazia, la fiducia nella magistratura è una condizione essenziale per l’efficacia e la credibilità del sistema della giustizia. Tuttavia, oggigiorno, la giustizia è perennemente coinvolta in contoversie; la magistratura è messa in discussione e alcuni suoi membri sono continuamente presenti nei media. È una situazione che mina alla radice la fiducia nella giustizia, logora l’immagine della magistratura e penalizza l’imparzialità e l’indipendenza. Il dovere di riservatezza dovrebbe rappresentare un argine nei confronti di tali disfunzioni, senza che ciò pregiudichi il coraggio necessario. 

 

3.4. Garanzie di autonomia e indipendenza

Le garanzie sono condizioni legali o misure che assicurano l’effettività dei principi[48].

Si è già visto che alcuni principi sono espressi in un modo tale che è possibile identificarne le garanzie già dalla relativa definizione. Tuttavia, è possibile identificarne di ulteriori e più specifiche, correlate all’indipendenza, e rilevanti tanto per l’autonomia interna che per l’autonomia esterna dei procuratori. 

 

3.4.1. Stabilità o inamovibilità dalla propria funzione

La CRP ha sancito che i procuratori non possano essere trasferiti, sospesi, promossi o congedati o rimossi dal servizio, o vedere in alcun modo modificata la propria posizione, salvo che nelle circostanze previste dall’EMP. Inoltre, la nomina, il collocamento, il trasferimento e la promozione dei procuratori e l’esercizio dell’azione disciplinare spettano alla Procura generale e non a un organo esterno[49] – art. 219 (4) e (5) CRP.

Il contenuto della inamovibilità dei giudici è pressoché identico[50]. Vi è una riserva di legge relativa che impedisce atti discrezionali, sotto forma di sanzioni disciplinari, o ratifica di ragioni di opportunità politica per giustificare, al di fuori del quadro normativo, il trasferimento dei procuratori. Il CSMP è l’unico organo dotato del potere di trasferire i procuratori, come sancito dall’art. 21 (2)(a) EMP, che riguarda la giurisdizione del CSMP, e nell’articolo 152 (1), riferito ai trasferimenti e agli scambi.

Alla luce del contesto qui delineato, è possibile concludere che sussiste – piuttosto che una presunzione – una garanzia funzionale di inamovibilità applicabile ai procuratori e che, sebbene i suoi contenuti possano non essere assoluti, solo la legge può fissare delle eccezioni ad essa, che devono essere previamente tipizzate. Occorre peraltro notare che queste eccezioni sono stabilite da un organo che non ha alcun potere direttivo nei confronti del pm[51]

Il principio di inamovibilità della magistratura, che si applichi ai giudici o ai procuratori, espressamente accettato dalla nostra Costituzione, rappresenta una garanzia del principio di indipendenza delle corti e dell’autonomia del pm[52].

 

3.4.2. La durata vitalizia della carica

I procuratori sono nominati a vita, fino al pensionamento. Le nomine per periodi limitati con possibilità di rinnovo o nuova nomina comportano un elevato rischio che la persona nominata possa trasformare le proprie decisioni in richieste compiacenti di rinnovo, anziché rendere decisioni fondate sulla legge, come affermato dalla Commissione di Venezia – CDL-AD(2010)040.

Il combinato disposto delle norme dello statuto su nomina ed età di congedo consente di concludere che il mandato di un procuratore è vitalizio, senza pregiudizio per le sanzioni disciplinari di congedo anticipato. Anche a seguito del pensionamento, i procuratori mantengono obblighi che suggeriscono la durata vitalizia del loro ufficio – artt. 190 (2), 193 (1) EMP.

 

3.4.3. Autonomia finanziaria

L’autonomia finanziaria è postulata da numerosi organi internazionali (Onu, Unione africana, GRECO, CCPE, Commissione di Venezia), fatto che certifica l’indipendenza del potere giudiziario come essenziale per la separazione dei poteri e per l’effettiva indipendenza del pm.

Il nuovo EMP ha consacrato l’autonomia finanziaria del pm, ancora non definita dalla legge, sebbene in termini in qualche modo limitati alla struttura interessata, essendo attribuita alla Procura generale e non al pm nel suo complesso (articolo 18 EMP). 

 

3.4.4. L’irriducibilità della remunerazione

Anche la sicurezza e la stabilità economica dei procuratori ha come obiettivo quello di assicurare la separazione dei poteri e l’effettiva indipendenza, mediante l’esclusione della possibilità per il potere politico di ridurne arbitrariamente la remunerazione. Secondo la Commissione di Venezia, questa garanzia statutaria è uno dei punti della Rule of Law checklist[53].

Il nuovo EMP ha garantito l’irriducibilità della remunerazione, sebbene come principio che può presentare eccezioni, qualora si verifichino eventi straordinari; in ogni caso, la dignità dell’ufficio e la responsabilità ad esso inerente non dovrebbero mai essere messe a rischio (art. 128 EMP), secondo quanto affermato dalla raccomandazione del Consiglio d’Europa Rec (2000)19. 

 

4. Le sfide future del modello portoghese di pubblico ministero

Molte sono le possibilità da esplorare al riguardo, e fra queste la sfida istituzionale di una più radicale difesa dell’interesse pubblico da parte del pm entro un quadro di giustizia di prossimità.

Il più “ampio quadro” che oggi mette alla prova il pm è quello che guarda alla difesa dei beni comuni, siano essi la giustizia, la conoscenza, la salute pubblica, l’ambiente, la pianificazione urbanistica e del territorio, la qualità della vita, il patrimonio culturale o quello dello Stato, in contrasto rispetto a una società sfiduciata, nella quale i legami della sfera sociale sono ormai diluiti e l’amministrazione della giustizia risulta indebolita dai “doveri” indicati dall’economia[54].

Esiste un vuoto spirituale nella cultura politica del “governo per il mercato” che ha lasciato orfano il “lavoro sulla cittadinanza democratica”. Ci confrontiamo oggi con una stanca società del successo misurato in ricchezza e della ricchezza misurata con il successo, nella quale è in vendita più o meno qualunque cosa. Questa tendenza ha condotto alla solitudine, allo sfaldamento della prossimità e della solidarietà[55].

In questo paradigma, che favorisce la disuguaglianza, cosa attendersi dunque dal pubblico ministero? Come radicare il pm nella giustizia di prossimità e nell’ospitalità?

L’idea di questo pm rinnovato è quella che vede i procuratori come magistratura dotata di responsabilità sociali, un’idea che dovrebbe avere conseguenze pratiche e, come tale, dovrebbe avere una sua centralità nella vita sociale e democratica, così come nella cittadinanza. 

Questo modello di pm come magistratura dotata di responsabilità sociali presuppone una magistratura di promozione e iniziativa, che trova nella società le basi per la propria legittimazione, per i propri obiettivi e metodi, e per la propria responsabilità.

Insieme a queste sfide, che abbiamo sviluppato altrove[56], altre ben più urgenti saranno quelle dettate dall’istituzione della Procura europea e dagli spunti provenienti dalla più recente giurisprudenza della Cgue. 

 

4.1. L’istituzione di EPPO: cronaca di una metamorfosi annunciata

L’istituzione di una Procura europea (EPPO)[57] è un atto ambizioso e simbolico di efficace importanza operativa, poiché rappresenta la nascita di un nuovo potere giudiziario senza precedenti in Europa, foriero di conseguenze ulteriori rispetto alla mera protezione degli interessi economici dell’Unione europea.

EPPO soddisfa i requisiti minimi di indipendenza, sebbene ciò non sia affermato espressamente dall’articolo 86 Tfue. In questo contesto, il regolamento EPPO sancisce all’art. 17 che i procuratori europei delegati debbono prestare tutte le garanzie di indipendenza offerte dal loro sistema di nomina, dal loro mandato e profilo professionale, richiamando vari documenti, specialmente quelli emanati dal Consiglio d’Europa con riferimento ai parametri di indipendenza del pubblico ministero in Europa, e confermando la giurisprudenza che la Corte Edu e la Cgue hanno costruito riguardo all’indipendenza che deve caratterizzare il pm o, in senso più ampio, sul concetto di “autorità giudiziaria” o “funzioni giudiziarie” od “organo giudiziario” per affinità con l’indipendenza tipica della magistratura giudicante.

In applicazione degli artt. 6 e 14 (2)(b) del regolamento EPPO, il Procuratore capo europeo, i suoi due sostituti, il Collegio e le sezioni permanenti, i procuratori europei, i procuratori europei delegati e il relativo staff –, nell’esercizio delle proprie funzioni, non devono in alcun caso richiedere né prendere istruzioni da persone esterne a EPPO, dagli Stati membri, né da qualsiasi altra istituzione, ufficio o agenzia dell’Unione, i quali a loro volta hanno l’obbligo di rispettare tale indipendenza.

Oltre a essere indipendente, EPPO sarà un organo di giustizia tenuto al rispetto della rule of law. Secondo l’articolo 5 (4), EPPO svolge le indagini in maniera imparziale e raccoglie tutte le prove pertinenti, sia a carico che a discarico.

Un altro parametro a cui EPPO e i procuratori delegati sono tenuti a obbedire è quello della proporzionalità nel valutare, scegliere ed eseguire attività investigative – art. 5 (2). Ciò garantisce l’imparzialità – art. (2) – e il rispetto della Cdfue riguardo al giusto processo (parità delle armi processuali) e ai diritti della difesa nella direzione delle indagini, nella raccolta degli elementi di prova e negli interventi processuali – si vedano gli artt. 5 (1) e 41 del regolamento. 

EPPO è un organo autonomo e indipendente, con una struttura stabile e permanente, secondo le disposizioni che regolano la nomina, l’esercizio del mandato e la rimozione (artt. 14, 15, 16 e 17), dai quali emerge un principio di stabilità. I procuratori europei delegati formano parte integrante di EPPO, agiscono sotto l’esclusiva autorità delle sezioni permanenti e dei procuratori europei e, nel condurre indagini e nell’esercizio dell’azione penale, seguono unicamente le loro istruzioni, linee-guida e decisioni (vds. artt. 8, 9, 12 e 13), così stabilendosi un principio di gerarchia e di indivisibilità. Al fine di assicurarne l’effettiva autonomia e indipendenza, EPPO è provvista di un proprio budget, secondo l’art. 91, che consente a essa di dotarsi di risorse umane e materiali appropriate al perseguimento delle proprie finalità. 

Inoltre, allo stesso scopo, il compimento delle attività investigative che essa ordini o di cui richieda il compimento è obbligatorio per gli Stati membri e le rispettive autorità nazionali dovranno darvi esecuzione – vds. artt. 28 e 30 del regolamento e l’articolo 5 (6) relativo alla leale cooperazione. Pertanto, qui si delinea altresì un principio di autonomia materiale e finanziaria. 

Oltre alle sfide politiche e giuridiche, per queste caratteristiche, EPPO si confronterà inoltre con le magistrature nazionali, ed è proprio in quest’occasione che l’indipendenza di EPPO metterà sotto esame lo status dei pm nazionali, rappresentando un modello, un’istituzione di riferimento, di accesso graduale, con ovvie implicazioni interne e un impatto sostanziale sull’architettura del sistema giudiziario, tanto per gli Stati membri che vi prendono parte che per gli altri. 

Data la frammentarietà e la diversità di statuti del pm all’interno dell’Unione europea, l’aspetto dell’asimmetria riferita a tale autonomia esterna, o indipendenza, può essere una fonte di complessità e di paradossi[58]. Nei modelli in cui il pm possiede una struttura gerarchica con al vertice il potere politico-esecutivo, l’indipendenza dell’azione di EPPO può essere ostaggio di motivazioni politiche, che sono esattamente ciò che in origine ci si prefiggeva di escludere, specialmente quando anche la polizia si trova sotto la supervisione del potere esecutivo. 

Nonostante lo sforzo di dotare EPPO di indipendenza e la previsione di alcune garanzie di indipendenza per i procuratori delegati, la sua configurazione mista (“doppio cappello”), a causa della inerente variazione di poteri che essa comporta, non garantisce coerenza di azione né fornisce sufficienti garanzie dell’effettiva indipendenza di EPPO. La struttura istituzionale dei pm nazionali dovrà pertanto affrontare la sfida della necessità di raggiungere un livello di autonomia equivalente a quello di EPPO. Ciò condurrà a profonde riforme dei pm di alcuni Stati membri, o almeno di quelli che supporteranno EPPO. 

L’istituzione di EPPO e il modo in cui il regolamento definisce la sua azione avranno, pertanto, un forte impatto sulle strutture e sul funzionamento dei pm nazionali, con la conseguenza di possibili riforme del relativo statuto e forse di modifiche costituzionali, nei casi in cui il pm nazionale è indipendente dal Governo e non conosce strutture gerarchiche o centralizzate, come nel caso dell’Italia, così come nei casi in cui il pm nazionale, sebbene strutturato gerarchicamente e centralizzato, non sia indipendente dal potere politico. 

Qui si trova forse una delle maggiori tensioni strutturali nell’istituzione di EPPO, nella misura in cui il consolidamento del ruolo del pm nell’azione penale, insieme al riconoscimento della sua rilevanza per la cooperazione internazionale in materia giudiziaria, in larga parte proprio attraverso la proposta dell’istituzione di EPPO, comporterà una convergenza dei rispettivi statuti e soprattutto dell’indipendenza esterna. 

Anche senza l’istituzione di EPPO, la più recente giurisprudenza della Cgue ha già iniziato ad affrontare e a risolvere questa tensione. 

Come ribadito nell’ordinanza della Cgue datata 14 novembre 2013, emessa nella causa C-49/13, per determinare se un organo giudiziario referente sia un “tribunale” secondo il significato dell’art. 267 Tfue – una questione che riguarda unicamente il diritto dell’Ue – la Corte ha preso in considerazione una serie di elementi, quali l’origine legale dell’organo, il fatto che esso sia permanente, la natura vincolante della sua giurisdizione, la natura contraddittoria dei procedimenti, se ha applicato norme di legge, e la sua indipendenza[59].

Nel caso Commissione c. Polonia (C-619/18), che rappresenta uno degli sviluppi più significativi per lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia[60], la Cgue chiarisce che la legittimità di qualsiasi compressione del principio di indipendenza del potere giudiziario è soggetta alla verifica della sua proporzionalità e che questo principio costituisce di per sé un valore pressoché assoluto. Secondo questa stessa sentenza, i requisiti di indipendenza presentano due aspetti:

∙ il primo aspetto, di natura esterna, richiede la capacità dell’organo in questione di svolgere le proprie funzioni in piena autonomia, senza alcuna soggezione a relazioni gerarchiche o di subordinazione rispetto ad altri enti e senza ricevere ordini o istruzioni provenienti da qualsivoglia fonte, a protezione, in tal modo, da interventi esterni o pressioni che possano alterare l’indipendenza dei suoi membri e influenzarne la decisione (sentenza 27 febbraio 2018, ASJP, C-64/16, EU-C-2018: 117, n. 44 e la giurisprudenza ivi citata).

∙ Il secondo aspetto, interno, è invece legato al concetto di imparzialità e persegue l’equidistanza dalle parti del procedimento e dai loro interessi riguardo alla materia del contendere. Questo aspetto richiede il rispetto dell’obiettività e l’assenza di qualsiasi interesse nella decisione della lite che non sia la rigorosa applicazione della rule of law – sentenza 25 luglio 2018, Minister for Justice and Equality (carenze del sistema giudiziario), 216/18 PPU, EU-C-2018:586, par. 65, e la giurisprudenza ivi citata[61].

Tanto il concetto di indipendenza di un’autorità giudiziaria quanto le garanzie che lo sostengono possono essere estesi al pm e rappresentano criteri equivalenti per valutarne la natura. Nel 2016, in Poltorak (C-452/16 PPU, par. 33) e Kovalkovas (C-477/16 PPU, par. 34), la Cgue si è chiesta se il termine “autorità giudiziaria” non dovesse essere interpretato rigorosamente, corrispondendo non solo ai giudici o alle corti di uno Stato membro, ma anche includendo, più ampiamente, «le autorità che partecipano all’amministrazione della giustizia» di un determinato Stato membro, come il pm (Özçelik, causa C-453/16 PPU)[62].

Il 27 maggio 2019, la Cgue si è pronunciata nelle cause riunite C-508/18 OG (Procura di Lubecca) e C-82/19 PPU PI (Procura di Zwickau) e nella causa C-509/18 PF (Procuratore generale della Lituania), a seguito di pronunce preliminari della Corte suprema irlandese, che aveva a sua volta confermato che il pm rappresenta un’autorità che partecipa all’amministrazione della giustizia penale e alla quale, pertanto, si applica il concetto di autorità giudiziaria. 

Per quanto riguarda l’emissione di un MAE, dev’essere garantita l’indipendenza dell’autorità giudiziaria emittente e, in concreto, dev’essere dimostrata l’esistenza di regole statutarie e di una struttura istituzionale capace di assicurare che essa non sia esposta, nella decisione di emettere un MAE, ad alcun rischio di essere soggetta, inter alia, a istruzioni relative a un caso specifico provenienti dall’esecutivo[63]. La Cgue ha concluso che non è questo il caso del pm tedesco, i cui procuratori sono direttamente o indirettamente subordinati al Ministro della giustizia e possono essere soggetti, direttamente o indirettamente, a ordini o istruzioni di un agente politico in un caso particolare connesso alla decisione di emettere un MAE. 

La conclusione che deriva da questa giurisprudenza è la stessa ricordata sopra con riferimento alla cross-fertilisation promossa dall’istituzione di EPPO: la giurisprudenza della Cgue avrà un impatto decisivo non solo in Germania, ma anche su quegli Stati membri che abbiano mantenuto il modello napoleonico di pm e che siano già stati, o siano in procinto di essere, sottoposti al prudente scrutinio della Cgue. 

Gli effetti sullo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia saranno quelli di una metamorfosi di lungo periodo di tali modelli di pm e comporteranno la necessità di riforme dell’organizzazione delle indagini penali e della giustizia penale in generale, specialmente per ciò che concerne la possibilità di dare impulso alla cooperazione giudiziaria e di parteciparvi mediante strumenti fondati sul mutuo riconoscimento, fatto che non mancherà di calibrare l’indipendenza dei pm nazionali. 

Ciò che da questa giurisprudenza appare chiaro a chi scrive è che la Cgue non cesserà di trarvi ispirazione ogni qual volta si trovasse a valutare l’indipendenza dei procuratori europei delegati[64]

 

 

*  Traduzione di Sara Cocchi, avvocato in Firenze, dottore di ricerca in Diritto comparato.

1. Cfr. P. Dá Mesquita, Estatuto do Ministério Público: Raízes, programas, desenvolvimentos, sedimentações e desvios normativos, in M.L. Rodrigues - N. Garoupa - P. Magalhães - C. Gomes - R. Guerra Fonseca (a cura di), 40 anos de políticas de justiça em Portugal, Almedina, Coimbra, 2017, pp. 271-309. Esistono infatti due grandi esempi che incarnano queste due opzioni politico-istituzionali: il modello francese e il modello italiano. In sostanza, nel modello francese resta ben viva l’impronta della rappresentanza del potere esecutivo, i suoi agenti possono essere rimossi, sono gerarchicamente subordinati all’esecutivo e responsabili dell’esecuzione degli ordini da questo ricevuti. Secondo il modello italiano, i suoi agenti sono magistrati, inamovibili, indipendenti dal potere politico e dalla magistratura giudicante. Le differenze e i modelli attuali nell’ambito del Consiglio d’Europa emergono con chiarezza dalla risoluzione dell’Assemblea parlamentare del CoE 1685 (2009).

2. Nel verificare la sussistenza della qualità di “potere” dello Stato, si considera necessariamente l’indipendenza dell’organo che esercita funzioni sovrane. Questa indipendenza si basa sul potere di iniziativa nell’esercizio delle proprie funzioni. Così il pm, organo dello Stato dotato di autonomia costituzionale, dà al potere giudiziario quell’impulso che consente alle corti di svolgere autonomamente le funzioni che la Costituzione attribuisce loro. In tal modo il pm è inteso come organo del “potere giudiziario”. Cfr. A.F. Cluny, O Ministério Público e o poder judicial, in Cadernos da Revista do Ministério Público, n. 6/1994, (IV Congresso do Ministério Público: «Ministério Público: Instrumento do Executivo ou órgão do poder judicial?»), pp. 37-55. Sulla stessa lunghezza d’onda, Cunha Rodriguez allude al pm come potere giudiziario proceduralmente autonomo in due sensi: quello della non interferenza del potere politico nel concreto esercizio dell’azione penale e quello della concezione del pm come vera e propria magistratura, guidata dal principio di separazione e parallelismo rispetto alla magistratura giudicante, un concetto affermato in più occasioni dal codice di procedura penale, in particolare con riferimento all’obbligo di rigorosa osservanza del principio di imparzialità (art. 53 CPP), all’obbligo di condurre indagini a carico e a discarico (art. 262 CPP), all’esclusione del pm dalle regole di condotta dell’avvocato difensore (art. 362 cpp), e al riconoscimento della legittimazione a proporre gravame nell’esclusivo interesse dell’imputato (art. 401 cpp) – cfr. A.F. Cluny, op. ult. cit.
In questo contesto, il preambolo del cpp del 1987 assicura che «(…) al Pubblico Ministero è conferito il potere di disporre e guidare le indagini criminali, così come la competenza esclusiva a esercitare il potere d’impulso processuale: conseguentemente, gli è attribuito non lo status di parte, bensì quello di autentica magistratura, soggetta allo stretta osservanza del dovere di imparzialità».

3. Cfr. J.S. De Moura, Direito ao assunto, Coimbra Editora, Coimbra, 2006, pp. 25-26. Cfr. A. Mota Salgado, Uma brevíssima história do Ministério Público, SMMP, Lisbona, 2016, pp. 5 ss. Senza scendere in dettagli, questa evoluzione si è affermata dopo la rivoluzione democratica del 1974 e si è successivamente consolidata nella Costituzione del 1976. Nell’era democratica, il quadro normativo all’interno del quale si struttura il pm è stato incentrato sulla legge del 5 luglio 1978, n. 39 e successivamente sullo «Statuto del Pubblico Ministero» – EMP, approvato con legge del 15 ottobre 1986, n. 47 con il titolo di «Legge Organica sul Pubblico Ministero», titolo successivamente emendato dalla legge del 27 agosto 1998 n. 60, il cui testo ha subito le vicissitudini derivanti dal progetto di riforma del 2 novembre 1998, n. 29; in seguito, dalle leggi nn. 42/2005 (29 agosto), 67/2007 (31 dicembre), 52/2008 (28 agosto), 37/2009, 55-A/2010 (31 dicembre) e 9/2011 (12 aprile). Una miglior comprensione del modello di pm attualmente in vigore può forse risultare a contrario: il pm non è né un organo della pubblica amministrazione né un organo di governo o afferente al potere esecutivo o al potere politico legislativo. Non è un organo giudicante, un tribunale, né un avvocato dello Stato. Nella giurisdizione penale, non è né una parte in senso sostanziale né una terza parte al di sopra delle altre, come è invece il giudice. Contrariamente a una parte “passiva”, quale è il giudice, il pm è parte attiva del giudiziario, poiché dotata di poteri di impulso processuale. 

4. Cosa significa tutto ciò? Da un lato, che i principi supportano la convergenza ideale verso il miglior modello di pm; dall’altro, che i principi rimangono validi anche se i diversi modelli di pm non sono “puri” nella loro configurazione pratica, oppure sono caratterizzati da una “geometria variabile”.

5. Queste funzioni non sono amministrative, bensì giudiziarie, poiché sono esercitate di fronte a diverse tipologie di corti. Il pm ha inoltre funzioni consultive, che, nel quadro generale della sua polifunzionalità giudiziaria, sono in un certo senso residuali ed estranee sia alla natura giudiziale del suo intervento e della sua collocazione istituzionale, sia alla magistratura e alla condizione dei suoi agenti. 

6. Fra i vari autori di riferimento vds., per tutti, J.S. De Moura, Direito ao assunto, op. cit., pp. 241 ss.

7. Report 2010, adottato nella 85a sessione plenaria.

8. Cfr. M. Rodrigues, A Lei Orgânica do Ministério Público (análise e experiência). Perspectivas e divulgação social do Ministério Público, in O Ministério Público numa sociedade democrática, Livros Horizonte, Lisbona, 1984, pp. 106-124.

9. L’indipendenza del potere giudiziario, in ragione della sua separazione rispetto all’esecutivo, è la pietra angolare dello Stato di diritto. È un’indipendenza con due facce: una istituzionale, che ha a che fare con la posizione istituzionale all’interno della struttura politica dello Stato, e un’altra individuale, che riguarda lo svolgimento delle sue funzioni. “Indipendenza” significa, innanzitutto, indipendenza da altre autorità centrali, regionali e locali (la cd. “autonomia esterna”). 

10. La Commissione costituzionale, nel parere n. 8/1982, relativo al caso del giudice Messias Bento, ha ritenuto che, da un lato, l’indipendenza del pm sarebbe limitata qualora la sua attività dipendesse da giudizi di opportunità provenienti dall’esecutivo e, dall’altro lato, che l’autonomia del pm è altresì, in certi termini, una garanzia per l’indipendenza degli stessi giudici, poiché questi ultimi svolgono un ruolo passivo. 

11. L’inclusione del riferimento all’autonomia, a seguito della seconda revisione costituzionale, non ha di per sé risolto alcuni problemi relativi alla “misura” del suo contenuto. È quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 254/1992, che ha indicato come miglior soluzione la determinazione dell’esatto contenuto dell’autonomia del pm e, in particolare, la distinzione rispetto al concetto di autonomia da applicarsi ai tribunali. È vero che la Corte, con la sua sentenza, ci ha assicurato che il completamento di questo concetto da parte del legislatore farà sì che il pm, responsabile della protezione della legalità democratica, non divenga uno strumento del potere politico. Esso, pertanto, dev’essere organizzato in modo tale da assicurare la sua “terzietà e imparzialità”. In tal modo, si rafforzerà la posizione istituzionale del pm nei confronti degli altri organi del potere politico, contribuendo ad assicurare la separazione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) nel quadro di una democrazia rappresentativa, l’antica teoria di Montesquieu secondo la quale il potere limita il potere (equilibrio reciproco, cooperazione, sostegno e controllo) e solo la separazione dei poteri e la garanzia dell’indipendenza del giudiziario avrebbero assicurato un reale rispetto dei diritti, delle libertà e delle garanzie. Nei vari fori internazionali e anche, recentemente, nel delineare i tratti istituzionali di una Procura europea (nonostante le enormi asimmetrie fra i diversi pm in Europa e al di là di essa), l’indipendenza da altri poteri riveste un’importanza fondamentale e strutturale. 
Per quanto riguarda la nomina del Procuratore generale, la Commissione di Venezia, nel suo report CDL-AD(2021)040 e nel caso dell’Ungheria, ha ritenuto di fondamentale importanza che il processo di selezione del Procuratore generale soddisfi la fiducia dell’opinione pubblica e il rispetto degli altri membri del potere giudiziario e delle altre professioni legali, pur riconoscendo che la tentazione del potere politico di influenzare questa scelta dovrebbe preferibilmente favorire la selezione ad opera di una commissione di saggi. 
La Commissione di Venezia ha altresì sottolineato che il Procuratore generale non dovrebbe essere rinominato né soggetto a rinnovo del mandato, stante il rischio che questi agisca proprio per ottenere un simile trattamento favorevole. L’indipendenza è maggiormente garantita se il mandato non è rinnovabile e ha una durata che non coincide con quella della legislatura. Inoltre, la possibilità della rimozione dalla carica dev’essere prevista dalla legge o dalla Costituzione.

12. Ricompresa nell’obiezione di coscienza, o nel conferimento di ordini per iscritto, naturalmente nei limiti di legge (art. 97 EMP). Sul rifiuto della giustificazione epistemologica dell’autonomia interna, che si diluisce nel quadro di un’autonomia unitaria, necessariamente relativa a ciascun procuratore, quale titolare di un organo unipersonale del pm con poteri di autodeterminazione, a favore di una interpretazione dell’autonomia fondata su tre aspetti (istituzionale, organico e funzionale), cfr. L. Sousa Da Fábrica, A Autonomia do Ministério Público nas vésperas do novo Estatuto, (in corso di pubblicazione).

13. Cfr. J. Figueiredo Dias, Sobre a instituição do Ministério Público, hoje e aqui (algumas notas), in M. Gomes Dias e C. Sousa Mendes (a cura di), Ministério Público, que futuro?, PGR-INCM, Lisbona, 2013, pp. 164-165.

14. Il pm incarna altresì i valori della giurisdizione. Ciò spiega le definizioni concorrenti del pm quale organo autonomo dell’amministrazione della giustizia, organo di giustizia, od organo afferente al potere giudiziario, anche quando il pm svolge compiti e funzioni presso giurisidizioni non penali, siano esse quella civile, del lavoro, amministrativa o costituzionale. In questi casi, esso mantiene le caratteristiche di organo autonomo dell’amministrazione della giustizia, con poteri di iniziativa a comprovare tutto ciò, considerando le finalità perseguite nella difesa della legalità democratica, l’osservanza delle regole procedimentali, il perseguimento dell’interesse pubblico e la difesa dello Stato di diritto. 

15. L’intenzione di consacrare questo parallelismo deriva dalla ragione storica, oggi eccentrica, che intendeva il pm e i suoi agenti come appartenti a una magistratura che costituiva il punto d’accesso alla carriera giudiziaria, una visione politicamente contaminata dalla dipendenza gerarchica dal potere esecutivo sussistente sotto il regime previgente. In un regime democratico, da questo modello si è giunti a un sistema di completa separazione delle carriere. Il vantaggio di questa indipendenza e di tale parallelismo è evidente: nessuno può essere condannato senza che due istituzioni indipendenti – il giudice e il procuratore – pervengano allo stesso verdetto di colpevolezza. È questa la notevole spiegazione, fornita da Heinz Stötzel, di uno dei più importanti risultati ottenuti dallo Stato di diritto – Cfr. Discurso do Presidente de MEDEL, in Cadernos da Revista do Ministério Público, n. 6/1994, p. 15.

16. Qualunque regime che implichi la subordinazione ad altri poteri è incompatibile con la “autonomizzazione funzionale e organica del pm”, sebbene la tentazione, per il potere politico, di interferire con il pm sia antica quanto la società politicamente organizzata. Il rischio è che l’azione penale sia esercitata per scopi politici, repressivi o corruttivi, come avviene nei regimi dittatoriali. Persino nelle democrazie, la “tirannia” della maggioranza può condurre a utilizzare l’azione penale come strumento di oppressione, sia questo perché è facile manipolare le maggioranze, sia perché i politici possono subire pressioni populiste che temono di fronteggiare, specialmente quando sostenute da campagne mediatiche. Anche in una democrazia (liberale, che è diversa dalla democrazia illiberale), questo è l’obiettivo dell’indipendenza – vds. il Report della Commissione di Venezia CDL-AD(2010)040.

17. Ciò che si sta qui cercando di sottolineare è che l’indipendenza del pm è più del parallelismo e dell’indipendenza rispetto alla magistratura giudicante. Cfr. J.P. Ribeiro De Albuquerque, Procurador-Geral da República, in Enciclopédia da Constituição Portuguesa, Quid Juris, Lisbona, 2013, p. 299.

18. Ciò non potrebbe essere inteso altrimenti. Che senso avrebbe attribuire al pm il compito di difendere l’indipendenza delle corti senza essere dotato di uno statuto che ne sancisce l’indipendenza esterna e l’autonomia interna, costituzionalmente consacrate?

19. Cfr. M. Rodrigues, A Lei Orgânica, op. cit.

20. Cfr. J. Figueiredo Dias, Sobre a instituição, op. cit., p. 158.

21. Cfr. G. Marques Silva, Reflexões sobre as atribuições do Ministério Público na defesa da legalidade democrática e na execução da política criminal, in M. Gomes Dias e C. Sousa Mendes (a cura di), Ministério Público, que futuro?, op. cit., p. 109.

22. Il controllo di costituzionalità delle leggi è esercitato nei confronti del potere legislativo, e la relativa iniziativa ricade nell’ambito di competenza del pm. Si tratta eminentemente della difesa dello Stato democratico di diritto, poiché lo Stato portoghese è subordinato alla Costituzione – art. 3 (2) Cost. Con riferimento a questo controllo, il pm dovrebbe intervenire affinché i giudici non applichino norme ritenute incostituzionali dalla Corte costituzionale – artt. 70 e 72 l. 15 novembre 1982, n. 28 («Organizzazione, funzionamento e procedura della Corte costituzionale») – o non applichino quelle che essi ritengano incostituzionali, impugnando le relative decisioni di rigetto; infine, il Procuratore generale può richiedere il controllo astratto successivo di qualunque norma – cfr. artt. 280 (2)(d) e 281 (2)(e) della Costituzione portoghese.

23. Cfr. I. Seabra Henriques Carvalho, Em defesa da legalidade democrática – O estatuto constitucional do Ministério Público, SMMP (collana “Estudos sobre o Ministério Público”), Lisbona, 2012, p. 72.

24. J. Figueiredo Dias, Sobre a instituição, op. cit., p. 163.

25. J.M. Da Cunha, O relacionamento entre autoridades judiciárias e polícias no processo penal (I Congresso de processo penal – Memórias), Almedina, Coimbra, pp. 99 ss.

26. Secondo la legge quadro, la definizione di obiettivi, priorità e linee-guida non può contenere direttive, istruzioni od ordini circa casi concreti, o escludere determinati reati dall’essere perseguiti penalmente. 

27. Non si deve, inoltre, dimenticare che tutte o quasi tutte le tipologie di intervento processuale del pm prevedono una forma di controllo da parte delle corti, il che costituisce naturalmente una forma di responsabilità. 

28. La legge quadro istituisce il dovere per il Procuratore generale di inviare al Governo e all’Assemblea della Repubblica un rapporto sull’attuazione delle leggi sulla politica criminale, che rappresenta, a tutti gli effetti, un’assunzione di responsabilità politica del Pg e, attraverso di esso, di tutto il pm nei confronti dell’effettiva applicazione ed esecuzione della politica criminale, e non una mera “partecipazione” ad essa. 

29. António Cluny mette in guardia rispetto al rischio che leggi di politica criminale contingenti possano rappresentare per l’autonomia del pm, poiché possono limitare l’obbligo costituzionale e statutario di applicare la procedura secondo i criteri di stretta legalità e obiettività. A valle, questa limitazione ha l’effetto perverso di condizionare la stessa indipendenza dei giudici. L’autore sottolinea così il rischio di un’azione penale politicamente manipolata da parte delle leggi di politica criminale. Vds. A. Cluny, Autonomia do Ministério Público, governo próprio e hierarquia: Instrumentos, condicionantes e pressupostos da independência do poder judicial, in Revista Vértice, n. 142/2008, pp. 33-35. Di parere opposto G. Marques Silva, Reflexões, op. cit., p. 110.

30. La Corte costituzionale, nelle sentt. nn. 254/1992 e 279/1998, ha riconosciuto che il CSMP deve difendere l’autonomia costituzionalmente attribuita al pm, sottolineando che tale garanzia è altresì assicurata dalla proporzionalità della sua composizione, che a sua volta limita i vincoli gerarchici esterni o interni, siano essi diretti o indiretti. 

31. Cfr. L. Sousa Da Fábrica, A Autonomia, op. cit.

32. Il significato funzionale della gerarchia consente di collocare questa dimensione organizzativa del pm all’interno della dimensione funzionale dell’autonomia interna, conferendo a entrambe la necessaria importanza costituzionale. È così che dovrebbe essere gestita in pratica l’armonizzazione fra gerarchia e autonomia, rappresentando ciascuna un limite materiale per l’altra. Come tale, essa evita che il potere disciplinare si concentri nelle mani della gerarchia, per essere invece esercitato dal Consiglio superiore del pubblico ministero. 

33. Concettualmente, secondo la direttiva del 19 novembre 2014, n. 5, sono da considerarsi strumenti gerarchici: 
a) la direttiva: contiene comandi e criteri generali per l’interpretazione delle norme, e ha altresì la funzione di strutturare il funzionamento degli organi e degli agenti del pm. È diretta a tutti i subordinati o a tutti coloro che occupino una determinata tipologia di posizioni, definendo in maniera cogente il modo in cui certe disposizioni normative debbano essere interpretate o applicate (direttive interpretative) o riconoscendo l’esistenza di un vuoto normativo (direttive integrative);
b) l’istruzione: contiene disposizioni generali, di natura vincolante rinforzata, relative all’azione e all’organizzazione di questioni minori di maggior dettaglio, diverse da quelle che dovrebbero essere oggetto delle direttive. Essa riguarda la formulazione di direttive per azioni future in casi futuri; 
c) l’ordine: contiene obblighi vincolanti per gli agenti, consistenti in una specifica azione o astensione, sulla base e con riferimento a uno specifico oggetto, diretti a, o provenienti da un’organizzazione e nell’area di operatività dei rispettivi serivizi.

34. Ciò appare chiaro dall’art. 9 (2) LOSJ. 

35. Cfr. L. Sousa Da Fábrica, A Autonomia, op. cit. Il contenuto statutario della responsabilità dei procuratori è simile a quello previsto per i giudici, ovvero: il procuratore non deve essere responsabile altro che per la propria cattiva condotta personale nell’esercizio delle proprie funzioni (il che può integrare ipotesi di responsabilità disciplinare), ma essa non può implicare alcun tipo di responsabilità processuale “tributaria”, in quanto a un procuratore non può essere ordinato di pagare alcun tipo di multa o somma di denaro come avviene per qualunque altro ricorrente, e non può essere ritenuto responsabile per le posizioni funzionali adottate in uno specifico caso, poiché l’effettività della responsabilità è limitata dallo statuto, come emerge dall’art. 98 EMP. Inoltre, i procuratori che siano interessati da provvedimenti o pronunce del procuratore coordinatore di una procura distrettuale possono fare appello presso il CSMP. 

36. Sull’argomento e la relativa bibliografia vds., per tutti, R. Cardoso, Intervenção hierárquica no processo penal no novo Estatuto do Ministério Público – primeiras notas para a revisitação da questão, in RMP, n. 159/2019, pp. 23-42.

37. Cfr. L. Sousa Da Fábrica, A Autonomia, op. cit.

38. Direttiva del 4 febbraio 2020, n. 1. 

39. Cfr. L. Sousa Da Fábrica, A Autonomia, op. cit.

40. Questo è anche un corollario del principio di autonomia, poiché l’essere magistratura dotata di unità o indivisibilità presuppone autodeterminazione ed esclusiva sottomissione ai principi di legalità e obiettività (cfr. Tribunal Constitucional, n. 581/2000). Per una critica dell’idea di indivisibilità del pm che enfatizza la natura organica di ciascun procuratore, vds. Cfr. L. Sousa Da Fábrica, A Autonomia, op. ult. cit.

41. Per Luís Fábrica ciò significa che i procuratori sono «dotati di una sfera di competenza definita dalla legge, che deve essere qualificata come loro propria o come comune, a seconda della procura distrettuale, del dipartimento o del servizio presso cui si trova un determinato procuratore o un gruppo di essi, e sottoposta a un organo di governo. Dalla qualificazione di un procuratore come “organo” derivano, ad esempio, la natura vincolante delle sue decisioni; la sua responsabilità; le limitazioni dei poteri di governo nei termini specificamente regolamentati; la sottoposizione degli interventi operativi di altri organi agli istituti della sostituzione o della supplenza (incluse le relative precondizioni) e la possibilità di impugnare gli atti che ne invadano la sfera di competenza o che in qualunque modo ne comprimano l’autonomia delineata dalla legge» (cfr. L. Sousa Da Fábrica, A Autonomia, op. ult. cit.).

42. Sebbene il principio di gerarchia apparentemente allontani il pm da un’indipendenza paragonabile a quella dei giudici, poiché essi devono esclusiva obbedienza solo alla legge (con alcune sfumature, dato che le corti inferiori devono obbedienza a quelle superiori che valutano il medesimo caso e la relativa decisione in grado d’appello), tale differenza non è effettiva, poiché anche il pm non può non obbedire e non essere vincolato alla legge e al proprio statuto. Ciò significa che la gerarchia non può, né dovrebbe, incidere sull’obbligo di imparzialità che caratterizza la magistratura del pm nel contesto del proprio intervento. Una simile violazione dell’imparzialità, o la sua relativizzazione per mezzo di ordini gerarchici è proibita dalla legge, poiché i procuratori sono legalmente tenuti a rifiutare ordini illegittimi provenienti dai propri superiori. 

43. Cfr. I. Seabra Henriques Carvalho, Em defesa da legalidade democrática, op. cit.

44. Cfr. J. Miranda e R. Medeiros, Constituição Portuguesa anotada – Tomo III, Coimbra Editora, Coimbra, 2007, p. 215.

45. Ibid.

46. J. Figueiredo Dias, Sobre os sujeitos processuais no novo Código de Processo Penal, in Revista do Centro de Estudos Judiciários do Conselho da Justiça Federal (CEJ), Jornadas de Direito Processual Penal. O Novo Código de Processo Penal, Almedina, Coimbra, 1988, p. 25.

47. Ciò giustifica le parole di Figueiredo Dias (op. ult. cit., ibid.), quando questi afferma che «(…) stante dunque la finalità incondizionata di verità e giustizia – come anche è incondizionata quella del giudice – che presiede all’intervento del PM nel procedimento penale, è chiaro che l’atteggiamento di quest’ultimo non si risolve nell’interesse ad esercitare l’azione penale, ma piuttosto nel rispetto dei principi di stretta legalità e obiettività».

48. Obiettività, legalità ed esclusiva soggezione alla verità e alla giustizia, come avverte Claus Roxin, sarebbero una menzogna se non ci fossero basi istituzionali a garantire l’indipendenza materiale e personale. Cfr. Id., Posición jurídica y tareas futuras del Ministerio Público, in Aa. Vv., El ministerio público en el proceso penal, Ad Hoc, Buenos Aires, 1993 (ried.), pp. 50-51.

49. Secondo la Commissione di Venezia, una delle possibilità di esercitare influenza su un magistrato consiste nel trasferirlo altrove senza il suo consenso. Le minacce di trasferimento possono rappresentare un illegittimo strumento di pressione sui magistrati “disobbedienti”, che possono così essere rimossi da un caso sensibile.

50. Con sentenza n. 336/1995, la Corte costituzionale ha affermato che, similmente ai giudici, i procuratori godono della garanzia costituzionale dell’inamovibilità relativa.

51. Per quanto riguarda la stabilità o l’inamovibilità dei procuratori, la Commissione costituzionale, con parere n. 33/82, ha affermato l’incostituzionalità delle regole che consentivano il trasferimento per ragioni di opportunità di servizio e sulla base di una valutazione di “sufficienza”. Dopo aver comparato lo statuto della magistratura giudicante con quello del pubblico ministero, il parere afferma che «(…) indipendentemente dall’esatta posizione del giudice e del pubblico ministero con riferimento alla inamovibilità, in ogni caso, due cose sembra che possano affermarsi a ragione. Una è questa: quantomeno in base alla Costituzione attualmente vigente, che si prefigge di conferire dignità al PM, gli agenti di questa magistratura godono di una stabilità speciale. L’altra è che, nella questione affrontata da questo parere (il trasferimento dei procuratori per ragioni di opportunità, classificate come “sufficienti”), non sussiste alcuna ragione per distinguere fra le due magistrature». E aggiunge: «(…) sarebbe inaccettabile per il costituente, in una questione tanto delicata, spalancare le porte al legislatore ordinario, consentendo eccezioni o limitazioni al principio di inamovibilità che finirebbero per sovvertire o snaturare tale principio. Ciò che è ragionevole che il costituente abbia voluto – e che, secondo i canoni interpretativi [articolo 9 (3) del Codice Civile], si presume abbia voluto – è stato limitare l’ambito di azione della legge ordinaria. In che modo? Certamente limitando la mobilità dei magistrati, tanto giudicanti che requirenti, a ipotesi numerate, non ambigue o definite quantomeno con un minimo di precisione tale da precludere vaghezza e indeterminatezza. Questo è il caso, già notato, della richiesta o del consenso delle parti interessate, della regola dei sei anni, o della decisione nei procedimenti disciplinari. In questi “tipi” di soluzioni, i presupposti per il trasferimento sono definiti con precisione. E, correttamente, potremmo dire che l’articolo 221 (1) e l’articolo 225 (1) coinvolgono, oltre al summenzionato principio di legalità, una sorta di principio di “tipizzazione legale”». 

52. Vi sono elementi sistematici che indeboliscono questa conclusione attraverso la posizione istituzionale del Procuratore generale e del suo regime di esclusione. Per questo motivo, una delle opinioni di minoranza nel parere n. 33/82 della Commissione costituzionale riporta quanto segue: «Come possiamo sostenere che la Legge fondamentale garantisce l’inamovibilità del Pubblico Ministero se la Costituzione stessa, all’articolo 136 (1) consente al Presidente della Repubblica, in qualunque momento su proposta del governo, di rimuovere il Procuratore Generale? Se questo magistrato, al vertice della gerarchia, e senza alcun dubbio, non gode di inamovibilità, perché gli altri magistrati dovrebbero avere tale privilegio?». Il parere costituzionale, tuttavia, stava a significare che, con riferimento alla inamovibilità, non vi era ragione di distinguere fra le due magistrature del potere giudiziario. 
I segni della fragilità del principio di inamovibilità, con un corrispondente attacco alla prevalenza dell’autonomia sulla gerarchia, sembrano acuirsi nel nuovo statuto, per quanto riguarda le modalità di accesso alle cariche direttive o ad alcuni dipartimenti. Nella maggior parte dei casi, esse sono attribuite da commissioni speciali, con la conseguente insicurezza che deriva da simili modalità. Avvalorano questa stessa conclusione ulteriori argomentazioni collegate agli strumenti di mobilità previsti dagli artt. 76 ss. EMP, i quali, sebbene soggetti alla regolamentazione del CSMP, appaiono contravvenire al principio di supremazia della legge e, come tali, sono di dubbia costituzionalità. In questo senso, cfr. L. Sousa Da Fábrica, A Autonomia, op. cit.

53. Testo adottato nella 16a seduta plenaria dell’11-12 marzo 2016.

54. La società tende al cambiamento, e gli ultimi anni sono paradigmatici di una simile trasformazione, specialmente tecnologica, delle comunicazioni, finanziaria, commerciale ed economica, ma anche ideologica, culturale e filosofica, secondo la quale lo Stato-nazione è a poco a poco sbiadito, conducendo così a quel fenomeno chiamato globalizzazione o alla semplice internazionalizzazione del libero commercio. 

55. Cfr. B.-C. Han, A agonia de Eros, Relógio d’Água, Lisbona, 2014.

56. J.P. Ribeiro De Albuquerque, Public prosecutors to defend the public interest: Legitimacy, objectives, methods and accountability, in Revista académica da Escola Superior do Ministério Público do Ceará (Brasile, anno IX), n. 1/2017.

57. Regolamento del Consiglio (UE) 2017/1939 del 12 ottobre 2017, attuativo della cooperazione rafforzata per l’istituzione di una Procura europea (OJ 31-10-2017, No 283).

58. Per quanto riguarda l’armonizzazione istituzionale, lo status dei diversi pm nazionali, i loro poteri investigativi e la direzione delle indagini fanno emergere difficoltà di cooperazione, in ragione dei differenti contesti nei quali essi indagano e perseguono i reati, a seconda del fatto che prevalgano o si combinino (o meno) i principi di legalità e di opportunità. 
Il modello gerarchico e decentralizzato certamente comporterà l’istituzione di meccanismi di cooperazione fra EPPO e la gerarchia del pm nei vari Stati membri, al fine di assicurare l’efficacia e la qualità delle indagini, e certamente comporterà meccanismi organizzativi nel modello di gerarchia interna, in funzione della possibilità per EPPO di indirizzare istruzioni ai procuratori europei delegati. 
L’istituzione di EPPO condurrà, inoltre, a riforme dei sistemi giudiziari e processuali nazionali, quantomeno con riferimento alle procedure penali preliminari, nella direzione di un’armonizzazione o approssimazione dei poteri e delle attività investigative, nonché della struttura dei diritti fondamentali e della standardizzazione delle garanzie per il loro rispetto (questo è l’obiettivo dell’art. 41 del regolamento). 
Se così non fosse, il riferimento al diritto nazionale applicabile – in materie escluse dal regolamento EPPO, vds. art. 5 (3) del regolamento – avrebbe come conseguenza un’asimmetria dei poteri di EPPO e un’ulteriore frammentazione dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia dell’Ue.

59. Si vedano, in particolare, le sentenze del 17 settembre 1997, Dorsch Consult, C-54/96 [1995] ECR I-4961, n. 23; 31 maggio 2005, Syfait e altri, C-53/03, Colet., p. I-4609, n. 29; 14 giugno 2007, Häupl, C-246/05, Colet., p. I-4673, par. 16, e 31 gennaio 2013, Belov, C-394/11, par. 38. Tali garanzie di indipendenza e imparzialità, necessarie per poter qualificare un organo come “corte” o “tribunale” secondo il significato dell’articolo 267 Tfue, postulano l’esistenza di norme, in particolare riferite alla composizione dell’organo giudiziario, della sua individuazione, della durata dell’ufficio e dei motivi di astensione, impugnazione e nomina dei suoi membri, per precludere, a coloro che vi si rivolgano in cerca di giustizia, qualsiasi legittimo dubbio circa la impermeabilità a fattori esterni di tale organo giudiziario e circa la sua terzietà relativamente agli interessi coinvolti (vds., in particolare, l’ordinanza del 14 maggio 2008, Pilato, C-109/07 ECR I-3503, par. 24, e la sentenza 31 gennaio 2013, D. e A., C-175/11, par. 97, o le sentenze 19 settembre 2006, Wilson, C-506/04, EU:C:2006:587, par. 53, e la giurisprudenza ivi citata, e 25 luglio 2018, Minister for Justice and Equality, C-216/18 PPU, EU:C:2018:586, par. 66 e la giurisprudenza ivi citata).

60. Vds. anche sentenza 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses, C-64/16, ECLI:EU:C:2018:117.

61. In particolare, l’indispensabile libertà dei giudici da qualunque intervento o pressione esterna richiede, come la Cgue ha ripetutamente sottolineato, alcune garanzie adeguate alla protezione di coloro che esercitano le funzioni di giudice, quali l’inamovibilità. Si veda la sentenza 25 luglio 2018, Minister for Justice and Equality, cit., par. 64, e la giurisprudenza ivi citata.
Più precisamente, il principio di inamovibilità richiede che i giudici possano rimanere in carica fin quando raggiungano l’età obbligatoria per il congedo o fino al termine del loro incarico, quando ne sia predeterminata la durata. Sebbene non assoluto, tale principio può ammettere eccezioni solo quando giustificate da motivazioni legittime e prioritarie, sempre nel rispetto del principio di proporzionalità. Di conseguenza, è comunemente accettato che, sempre secondo procedure adeguate, un giudice possa essere congedato qualora vi siano cause di incapacità o gravi ragioni di condotta che lo rendano inabile all’esercizio delle sue funzioni. 
A tale proposito, emerge con maggior precisione dalla giurisprudenza della Corte che il requisito di indipendenza richiede che le regole che governano il regime disciplinare e, conseguentemente, la rimozione di coloro che esercitano funzioni giurisdizionali offrano le garanzie necessarie a evitare qualsiasi rischio che tale regime sia utilizzato per fini di controllo politico del contenuto delle decisioni delle corti. 
Di conseguenza, l’adozione di norme che definiscano in particolare tanto le condotte integranti violazioni disciplinari quanto le sanzioni specificamente applicabili, disponendo l’intervento di un organo indipendente in linea con una procedura che garantisca pienamente i diritti sanciti negli artt. 47 e 48 della Cdfue, in particolare il diritto di difesa, e prevedendo la possibilità di impugnare di fronte a un giudice le decisioni degli organi disciplinari, rappresenta un complesso di garanzie per la salvaguardia dell’indipendenza del potere giudiziario (sentenza del 25 luglio 2018, Minister for Justice and Equality, cit., par. 67).

62. Tale interpretazione ampia trova sostegno nella logica del MAE, che si propone di favorire la libera circolazione dei provvedimenti giudiziali, compresi quelli pre-giudiziali, per quanto concerne la conduzione di indagini penali. 

63. Questo è esattamente quanto è stato riaffermato nelle sentenze emesse nelle cause riunite del 12 dicembre 2019, Parquet général du Grand-Duché de Luxembourg (Procuratori della Repubblica di Lione e di Tours), C-566/19 PPU e C-626/19 PPU, ECLI:EU:C:2019:1077, nella sentenza del 12 dicembre 2019, Openbaar Ministerie (Procura, Svezia), C-625/19 PPU, ECLI:EU:C:2019:1078, e nella sentenza del 12 dicembre 2019, Openbaar Ministerie (Procuratore del Re di Bruxelles), C-627/19 PPU, ECLI:EU:C:2019:1079.

64. Le maggiori tensioni riguardanti il modello portoghese di pm derivano dalle disposizioni degli artt. 35 e 36 del regolamento EPPO e dalla compressione della cd. autonomia interna. Cfr. J.P. Ribeiro De Albuquerque, EPPO – Building Federal? A instituição da Procuradoria Europeia e os estatutos dos Ministérios Públicos dos EM da UE: parâmetros mínimos de independência, in Aa. Vv., Os novos desafios da cooperação judiciária e policial na União Europeia e da implementação da Procuradoria Europeia, Centro de Investigação Interdisciplinar em Direitos Humanos (CIIDH), Escola de Direito da Universidade do Minho (Braga), 2017, pp. 135-172 (www.jusgov.uminho.pt/wp-content/uploads/2018/02/Ebook_18-de-Maio_Os_novos_desafios_da_cooperacao_judiciaria_e_policial_na_Uniao_Europeia_e_da_implementacao_da_Procuradoria_Europeia_comp.pdf).