Magistratura democratica

Introduzione

di Filipe Marques, Alessandro Simoni e Mariarosaria Guglielmi

Filipe Marques*[1] 

 

1. Quello discusso in questo numero di Questione giustizia è un argomento di vitale importanza per qualunque società democratica.

Come affermato dal segretario generale delle Nazioni Unite alla cerimonia della campana della pace, in occasione della Giornata internazionale della pace: «Abbiamo prove consistenti che i diritti umani, il rispetto per lo Stato di diritto, l’accesso alla giustizia e a uguali opportunità per tutti siano i mattoni con cui costruire comunità e società pacifiche»[2].

L’assoluta necessità di una protezione attiva e completa del potere giudiziario non è una preoccupazione recente. Già nel 1788, Alexander Hamilton giustificava il bisogno di uno statuto ad hoc per la magistratura, che ne consentisse la difesa da qualsiasi interferenza da parte di altri poteri dello Stato, affermando che il giudiziario era «il più debole dei tre poteri», sprovvisto della possibilità di esercitare la propria influenza sugli altri due e dipendente da essi per lo svolgimento delle proprie funzioni e per l’esecuzione delle proprie decisioni[3].

Inoltre, il potere giudiziario trova la propria legittimazione non nella volontà dei cittadini, espressa attraverso il voto, ma nel diritto e nelle argomentazioni che sorreggono le sue decisioni. Come spiega Luigi Ferrajoli, la legittimazione del potere giudiziario non può essere di tipo politico, ma unicamente quella fondata nella verità processuale e nell’argomentazione giuridica di decisioni motivate. Ecco perché il giudiziario è spesso un potere contro-maggioritario: «un buon giudice è quello capace di prosciogliere – in assenza di prove – quando chiunque altro (opinione pubblica, potere politico, mezzi di comunicazione) chiede la condanna, o quello che ha il coraggio, la forza, di condannare i potenti quando chiunque altro ne chiede il proscioglimento»[4].

È questa particolare natura del giudiziario che lo rende più vulnerabile a influenze illegittime e, pertanto, più bisognoso di specifiche misure che ne salvaguardino l’indipendenza. 

In anni recenti, gli attacchi all’indipendenza della magistratura sono cresciuti di numero e di intensità.

Nel loro volume, Come muoiono le democrazie[5], Steven Levitsky e Daniel Ziblatt descrivono come il sistema democratico venga catturato e sovvertito dall’interno da parte degli autocrati: «È così che gli autocrati eletti sovvertono la democrazia: manipolando la composizione dei tribunali e di altri organismi neutrali e usandoli come arma, comprando i media e le aziende (o costringendoli al silenzio) e riscrivendo le regole della politica per sbilanciare il confronto a proprio favore. Il tragico paradosso della via elettorale all’autoritarismo è che gli assassini della democrazia usano le sue stesse istituzioni – in modo graduale, sottile e perfino legale – per ucciderla»[6].

Non è un caso che il primo passo sulla via per l’autoritarismo descritto da questi Autori sia la manipolazione delle corti – solo corti indipendenti sono capaci di difendere i diritti fondamentali dei cittadini contro gli eccessi delle maggioranze o contro letture unilaterali della società. Per questo minare l’indipendenza del potere giudiziario rappresenta la prima mossa di qualunque governo autoritario o populista. 

Se guardiamo da vicino le mosse recenti di alcuni governi all’interno dell’Unione europea, troviamo esempi evidenti di ciò, come in Polonia, dove da quando nell’ottobre 2016 il partito Diritto e Giustizia ha vinto le elezioni parlamentari, è stata orchestrata e condotta una campagna finalizzata a sottoporre il potere giudiziario al controllo totale del potere esecutivo. 

Secondo una cronologia affatto casuale (il Ministro della giustizia ha apertamente affermato che il presupposto per le «riforme» del sistema giudiziario sarebbe «sbarazzarsi» del Tribunale costituzionale), questi sono i passi compiuti per mettere fine all’indipendenza del potere giudiziario in Polonia: 

1. “disattivare” il Tribunale costituzionale;

2. unire le posizioni di Ministro della giustizia e Procuratore generale;

3. modificare il sistema di formazione e nomina dei nuovi giudici – reintroducendo la posizione di giudice di corte inferiore/valutatore, precedentemente ritenuta incostituzionale;

4. modificare la legge sulle corti ordinarie, aumentando l’influenza del Ministro della giustizia;

5. prendere il controllo del Consiglio superiore della giustizia;

6. prendere il controllo della Corte suprema.

Tali mosse sono state accompagnate da pressanti campagne mediatiche contro la magistratura, con manifesti e annunci pubblicati sui mezzi di comunicazione, fra cui i social media. Vi si dipingono i magistrati come disonesti, corrotti, incompetenti, subordinati e legati al sistema comunista (sebbene l’età media di un giudice in Polonia sia quarant’anni). 

Fra molti altri, l’esempio polacco dimostra quanto sia essenziale avere regole chiare a protezione del potere giudiziario e dei magistrati. 

Tuttavia, se nel caso dei giudici, l’essenza della loro indipendenza rispetto al potere esecutivo è accettata quasi in modo unanime (anche da coloro che cercano di infrangerla), nel caso dei procuratori questa conclusione non è pacifica, e in diversi Stati il pubblico ministero fa parte di una struttura gerarchica pienamente controllata dal Governo. In Francia, ad esempio, il Parquet non ha alcun tipo di autonomia e la Germania è già stata espressamente invitata dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ad «abolire la possibilità per i Ministri della giustizia di dare ai procuratori istruzioni relative a casi concreti»[7].

In ogni caso, la protezione dei procuratori è importante quanto quella dei giudici, poiché essi esercitano attivamente il potere punitivo dello Stato nei confronti di coloro che infrangono la legge, ponendosi così in una posizione ancor più delicata per quanto riguarda possibili manipolazioni da parte del potere esecutivo. 

 

2. MEDEL ha costantemente riaffermato che un pubblico ministero autonomo e indipendente è uno dei pilastri di un potere giudiziario veramente indipendente. 

Nella Dichiarazione di Palermo («Elements of a European Statute of the Judiciary») adottata il 16 gennaio 1993, MEDEL ha affermato che l’autonomia del pubblico ministero rappresenta uno strumento fondamentale dell’indipendenza del potere giudiziario e che i procuratori assicurano l’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge e svolgono le proprie funzioni in modo autonomo rispetto al potere politico, vincolati unicamente al principio di legalità e al diritto. 

Tre anni più tardi, nella Dichiarazione di Napoli («MEDEL Declaration of Principles Concerning the Public Prosecutor», approvata il 2 marzo 1996), MEDEL ha affermato chiaramente che il pubblico ministero è un organo giudiziario, di conseguenza autonomo dall’esecutivo, poiché l’autonomia del pubblico ministero costituisce uno strumento indispensabile per garantire l’indipendenza del potere giudiziario e l’uguaglianza di fronte alla legge. Pertanto, gli organi dell’esecutivo non possono dare istruzioni generali o specifiche al pubblico ministero, poiché questi è tenuto unicamente al rispetto del diritto ed è governato in via esclusiva dai criteri di legalità, imparzialità e obiettività

Più recentemente, nel suo contributo alle «Assises de la Justice», organizzate dalla Commissione europea a Bruxelles il 21 e 22 novembre 2013, MEDEL ha riaffermato che non c’è indipendenza del potere giudiziario senza un corpo autonomo di procuratori, che la loro selezione, nomina e carriera non dovrebbe essere influenzata in alcun modo dall’esecutivo, e che essi dovrebbero godere di garanzie di inamovibilità stabilite dalla legge. 

 

3. I principi fondamentali che dovrebbero guidare lo statuto del pubblico ministero e il suo ruolo istituzionale e costituzionale sono stabiliti in una serie di documenti internazionali di riferimento, i più rilevanti fra i quali si può dire che siano:

- a livello globale:

◦ le Guidelines on the Role of Prosecutors, approvate dall’VIII Congresso delle Nazioni Unite sulla prevenzione del crimine e la giustizia penale (L’Avana, 27 agosto-7 settembre 1990)[8];

◦ l’opinione dello Human Rights Committee delle Nazioni Unite nella Comunicazione n. 521/1992 (Vladimir Kulomin v. Hungary)[9];

◦ gli Standard di responsabilità professionale e dichiarazione dei doveri e dei diritti essenziali dei pubblici ministeri, documento adottato il 23 aprile 1999 dall’International Association of Prosecutors (IAP)[10];

◦ i rapporti annuali del Relatore speciale sull’indipendenza dei giudici e degli avvocati delle Nazioni Unite[11];

◦ il documento del 2014 The status and Role of Prosecutors – a United Nations Office on Drugs and Crime and International Association of Prosecutors Guide[12];

 

- a livello europeo:

◦ la raccomandazione del Consiglio d’Europa Rec(2009)19 del Comitato dei ministri agli Stati membri sul ruolo del pubblico ministero nel sistema della giustizia penale[13];

◦ il Report on European Standards as Regards the Independence of the Judicial System: Part II – The Prosecution Service, adottato dalla Commissione di Venezia nella sua 85a sessione plenaria (Venezia, 17-18 dicembre 2010)[14];

◦ la risoluzione 1685(2009) dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa Allegations of politically motivated abuses of the criminal justice system in Council of Europe member states[15];

◦ la raccomandazione 1896(2010) dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa: «encourages the Consultative Committee of European Prosecutors (CCPE) to persevere in its role as guardian of the due application of Committee of Ministers Recommendation Rec(2000)19 on the role of public prosecution in the criminal justice system, bearing in mind particularly the independence of prosecutors»[16];

◦ le conclusioni delle conferenze dei Procuratori generali europei, principalmente le Linee-guida di Budapest (European Guidelines on Ethic and Conduct for Public Prosecutors)[17];

◦ le opinioni del CCPE, principalmente la Dichiarazione di Bordeaux, adottata congiuntamente dal CCPE e dal CCJE – Giudici e magistrati del pubblico ministero in una società democratica[18].

 

Dagli importanti documenti sopra elencati possiamo trarre schematicamente queste linee principali, che possiamo definire un quadro degli standard minimi per un pubblico ministero veramente democratico e indipendente:

- processo di selezione giusto ed equo, che prevenga qualsiasi forma di discriminazione o influenza politica;

- gestione della carriera basata su criteri oggettivi di competenza ed esperienza;

- condizioni di servizio adeguate, che includano una remunerazione adeguata, proporzionata all’importanza della funzione svolta;

- lo Stato deve essere responsabile per la previsione di un quadro normativo armonizzato e di opportune condizioni di lavoro (numero adeguato di procuratori e di unità di personale, strutture adeguate, etc.);

- distribuzione interna dei casi fondata unicamente su criteri oggettivi di imparzialità, indipendenza e massima efficacia del sistema della giustizia penale;

- garanzia di indipendenza per i procuratori nello svolgimento delle loro funzioni rispetto ai poteri esecutivo e legislativo, nonché rispetto al potere economico e ad altre forze politiche;

- l’obbligo di cooperazione con altre istituzioni, in particolare con la polizia, che concretizza l’efficacia della politica criminale, non deve limitare il potere di agire nei confronti di membri di altre autorità pubbliche quando essi commettano un reato; 

- indipendenza esterna: indipendenza dalle istruzioni dell’esecutivo o dal potere politico con riferimento a casi specifici, anche qualora siano linee-guida generiche per la definizione della politica criminale;

- indipendenza interna: nonostante l’organizzazione gerarchica interna, i procuratori devono compiere il proprio dovere senza che sia necessaria alcuna approvazione previa da parte dei loro superiori, né alcuna conferma delle loro azioni – devono essere istituite garanzie scritte di non interferenza da parte dei superiori, cosicché l’attività dei procuratori, ad esempio nel corso del dibattimento, sia libera da qualsiasi pressione esterna o interna. Ciò include norme relative alla nomina, norme disciplinari e norme sulla distribuzione dei casi, così come sulla loro gestione e sui procedimenti decisionali;

- la nomina dei procuratori:

i. non deve essere nella disponibilità della gerarchia del pubblico ministero: i metodi e le procedure devono essere trasparenti;

ii. non può essere temporanea o soggetta a rinnovo;

iii. dev’essere proibito il trasferimento senza consenso;

- per quanto riguarda il Procuratore generale:

i. il sistema di nomina (da attribuirsi in via preferenziale a una commissione parlamentare) dovrebbe garantirne la non politicizzazione, assicurare la fiducia dell’opinione pubblica e il rispetto degli attori del sistema giudiziario e delle professioni legali;

ii. occorre garantire la stabilità istituzionale (il mandato non dovrebbe coincidere con la durata della legislatura, non dovrebbe essere temporaneo né rinnovabile);

iii. la composizione e la nomina dell’ufficio, la durata dell’incarico e le condizioni e il procedimento di rimozione sono altri aspetti importanti che devono essere disciplinati con chiarezza e obiettività dalla legge;

iv. la necessità di render conto pubblicamente dell’attività svolta (accountability) non dovrebbe riguardare casi specifici, ma questioni generali di politica criminale od organizzative;

- l’esistenza di un Consiglio superiore dei procuratori, composto a maggioranza di procuratori democraticamente eletti dai loro pari, quale garanzia che assicura la legittimazione democratica e l’indipendenza del pubblico ministero.

 

Le regole ci sono, e sono scritte in tutti i documenti rammentati sopra, alcuni risalenti a decenni fa, e dunque conosciuti da tutti. Tutto ciò che dobbiamo fare – e per cui dobbiamo batterci – è mettere in pratica queste regole. 

MEDEL spera e crede che questo numero di Questione Giustizia sarà un contributo importante in vista di questo obiettivo. 

 

4. Quando abbiamo cominciato a preparare il convegno di Firenze che è stato il punto di partenza di questa pubblicazione, più di un anno fa, nessuno poteva immaginare i tempi difficili che il mondo, e soprattutto l’Italia, avrebbero dovuto affrontare. A Mariarosaria Guglielmi, segretaria generale di Magistratura democratica, a Nello Rossi, direttore di Questione giustizia, al professor Alessandro Simoni e al rettore Luigi Dei dell’Università di Firenze vorrei esprimere la mia profonda gratitudine per aver reso possibile che il convegno fiorentino avesse luogo, organizzandolo in condizioni così difficili.

Ma voglio credere che non sia stata una coincidenza che nel momento in cui abbiamo bisogno, più di ogni altra cosa, di speranza nel futuro, ci siamo riuniti proprio a Firenze, il luogo di nascita del Rinascimento, il luogo dove si sviluppò dalla cultura locale e dall’umanesimo un diverso modo di pensare il mondo e l’uomo.

Le sfide che dobbiamo affrontare oggi per la protezione dello Stato di diritto nelle società democratiche sono enormi. Chiedono un dibattito aperto, una riflessione approfondita e azioni coraggiose.

In nessun posto migliore di Firenze potevamo iniziare questa strada. In Italia e a Firenze che, ancora una volta, ci hanno mostrato il cammino verso quella che speriamo sia una nuova era, basata sull’umanesimo e sul rispetto della libertà e dei diritti umani.

 


*  Traduzione di Sara Cocchi, avvocato in Firenze, dottore di ricerca in Diritto comparato.

1. Relazione presentata alla conferenza «Pubblico Ministero e Stato di diritto in Europa», organizzata da: MEDEL, Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università degli Studi di Firenze, Magistratura democratica e Questione giustizia, 18 settembre 2020, Firenze, Italia.

2. Vds. www.un.org/sg/en/content/sg/statement/2020-09-17/secretary-generals-remarks-the-peace-bell-ceremony-the-occasion-of-the-39th-anniversary-of-the-international-day-of-peace-delivered.

3. A. Hamilton, The Judiciary Department, in Federalist, n. 78, McLEAN’S Edition, New York, 28 maggio 1788 (https://constitution.org/1-Constitution/fed/federa78.htm).

4. L. Ferrajoli, intervistato da Eduardo Maia Costa e José Mouraz Lopes, in Julgar, n. 6/2008 (settembre-dicembre), Coimbra Editora, Coimbra, p. 13.

5. S. Levitsky e D. Ziblatt, How Democracies Die, Crown Publishing Group, New York, 2018 – ed. it.: Come muoiono le democrazie, trad. di Fabio Galimberti, Laterza, Bari-Roma, 2020.

6. Ivi (op. ult. cit.), Introduzione, p. 5.

7. Risoluzione 1685(2009), 30 settembre 2009, http://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTML-en.asp?fileid=17778&lang=en.

8. Vds. www.ohchr.org/EN/Professionalinterest/Pages/RoleOfProsecutors.aspx.

9. Vds. http://hrlibrary.umn.edu/undocs/html/VWS52156.htm.

10. Vds. www.iap-association.org/getattachment/5f278b49-dd58-49ee-97d0-3d2d51a1af37/IAP_Standards.aspx.

11. Vds. www.ohchr.org/en/issues/judiciary/pages/annual.aspx.

12. Vds. www.unodc.org/documents/justice-and-prison-reform/14-07304_ebook.pdf.

13. Vds. www.refworld.org/docid/43f5c8694.html.

14. Vds. https://rm.coe.int/1680700a60.

15. Vds. http://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTML-en.asp?fileid=17778&lang=en.

16. Vds. www.assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTML-en.asp?fileid=17806&lang=en.

17. Vds. https://rm.coe.int/conference-of-prosecutors-general-of-europe-6th-session-organised-by-t/16807204b5.

18. Vds. https://rm.coe.int/1680747391. 

 

 

Alessandro Simoni

 

1. Questo numero monografico di Questione giustizia esce a conclusione di un percorso non semplice, con difficoltà simili a quelle di tante altre iniziative scientifiche e culturali che si sono dovute confrontare con l’emergenza della pandemia da Covid 19. I lavori contenuti prendono infatti le mosse da un convegno intitolato «Pubblico ministero e Stato di diritto in Europa/Public prosecution and rule of law in Europe» già programmato per l’aprile 2020, e forzatamente cancellato. Il convegno alla fine si tenne – con tutte le cautele del caso – a Firenze in settembre, negli ultimi giorni di quella che poi scoprimmo essere solo una tregua prima della ripresa dell’ondata dei contagi, e gli organizzatori possono quindi considerarsi fortunati. Nonostante le difficoltà, non venne mai presa veramente in considerazione l’alternativa di cancellare o rinviare sine die l’iniziativa, anche a fronte della costante incertezza (con tutte le ricadute pratiche che questa implicava) che continuava a dominare la vita e il lavoro di tutti. Questa perseveranza si spiega senza difficoltà se si pone il tema del convegno sullo sfondo di quelle che sono le priorità culturali e valoriali dei tre soggetti che hanno insieme ideato il convegno e successivamente lavorato alla realizzazione di questo fascicolo, ossia Questione giustizia, MEDEL e il Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università di Firenze. 

La protratta incertezza su come e quando il convegno si sarebbe potuto svolgere ha avuto, paradossalmente, anche effetti positivi, facilitando una riflessione su come valorizzare al meglio quella che appariva come un’importante occasione di confronto. Piuttosto che puntare sulla velocità di pubblicazione delle relazioni, si è preferito lasciare ai partecipanti la possibilità di una rielaborazione anche sostanziale di quanto detto, occasione colta dalla maggior parte, e chiedere un contributo anche a studiosi che non erano intervenuti al convegno, ma che potevano arricchire il lavoro con prospettive culturali che non erano state adeguatamente approfondite. 

Mi soffermerò in questa brevissima introduzione sulle ragioni che fanno sì che un tema come quello del rapporto tra pubblico ministero e Stato di diritto in Europa si inserisse perfettamente nella tradizione di ricerca del Dipartimento giuridico fiorentino, oltre ad essere centrale per Questione giustizia e MEDEL per le tante ragioni che bene emergono dagli scritti qui raccolti. 

Vi è ovviamente un piano più generale che potrebbe in fondo già da solo giustificare il concretizzarsi proprio a Firenze di un progetto come questo. Tutti i principali settori disciplinari coinvolti hanno da sempre nell’Ateneo fiorentino un profilo molto alto, con figure di primo piano. Questo è vero per le discipline pubblicistiche come per quelle penalistiche, per il diritto dell’Unione europea come per la comparazione. Questa solida tela di fondo ha permesso di avere già come relatori nel convegno o, successivamente, come coautori studiosi che non hanno bisogno di presentazione, come Francesco Palazzo per il diritto penale, Giovanni Tarli Barbieri e Filippo Donati (attualmente consigliere laico presso il Csm) per la dimensione costituzionale. Il loro insostituibile apporto è stato poi utilmente integrato da due studiosi molto più giovani, Alessandro Rosanò per la giurisprudenza europea, e Jacopo Mazzuri, che pur se dottorando in diritto pubblico “nazionale” si è offerto per un non semplice esercizio di comparazione con gli Stati Uniti. 

 

2. È proprio alla dimensione comparatistica che vorrei dedicare qualche parola di approfondimento. Il convegno e il volume presentano il quadro normativo e i nodi giuspolitici della funzione requirente in una pluralità di ordinamenti europei oltre all’Italia. I lettori troveranno informazioni e analisi molto dettagliate su Francia, Spagna, Portogallo, Polonia e Serbia, oltre a un saggio più breve che sottolinea alcune specificità della situazione greca. Si tratta di materiali che portano un contributo conoscitivo molto importante. Innanzitutto, perché sono la voce di magistrati, e non di accademici, aspetto non trascurabile in un ambito in cui la lettera delle norme può risultare particolarmente ingannevole ed è bene raccogliere la voce di chi vive dall’interno il quotidiano dipanarsi della prassi. Sono ordinamenti che offrono complessivamente un blocco di case studies particolarmente rilevanti per chi è immerso nel dibattito italiano. Alcuni sono Paesi frequentemente oggetto di attenzione da parte dei giuristi nostrani, anche per l’assenza di importanti barriere linguistiche (Francia, Spagna e Portogallo); altri, invece (Polonia, Serbia), sono generalmente poco noti. 

Senza eccezione, sono tutti però modelli dove il controllo della funzione requirente non è un qualsiasi argomento tecnico, ma un crocevia di tensioni politiche, che gli standard desumibili dai vari documenti internazionali fanno fatica a imbrigliare e canalizzare. In almeno un caso, la Polonia, gli interventi sul pubblico ministero sono stati, e continuano ad essere, uno dei principali segmenti del sistematico smantellamento dello Stato di diritto che si è verificato nel Paese. I due contributi presenti nel fascicolo offrono ai lettori italiani un quadro puntuale di cosa è avvenuto, e delle sue implicazioni future. È evidente come sotto questo specifico aspetto il risultato finale dimostri le potenzialità della collaborazione tra organizzazioni con finalità e storie molto diverse tra loro. L’interesse accademico a un approfondimento sulle vicende polacche non avrebbe, infatti, potuto essere facilmente soddisfatto senza la rete di collaboratori e il filo diretto con i giuristi e la società civile del Paese che MEDEL e Questione giustizia hanno costruito attraverso gli anni, fornendo informazioni e analisi puntuali quando gran parte della magistratura e dell’accademia rimanevano disattenti o si limitavano a esprimere solidarietà. 

Ma al di là della recente crisi dello Stato di diritto in alcuni Paesi membri dell’Ue e in altri Paesi europei, va preso atto di come i comparatisti accademici, in Italia ma non solo, non abbiano mai avvertito il pubblico ministero come un’istituzione degna di particolare attenzione per la comprensione della dinamica complessiva dei tratti profondi di un ordinamento. Se si prende un qualsiasi manuale di “sistemi giuridici comparati”, il pubblico ministero è semplicemente assente. 

Questa assenza è dovuta all’interagire di fattori che operano su piani molto differenti tra loro. 

Un primo fattore è dovuto alle invisibili ma rigidissime frontiere che intercorrono tra i settori disciplinari e le relative comunità accademiche. La comparazione in Italia è stata a lungo fortemente sbilanciata verso la componente privatistica, e questo vale particolarmente per gli affreschi generali (la “sistemologia”). Basti pensare ai nomi di autori a tutti noti come Sacco, Gambaro, Mattei, a cui si deve la più autorevole manualistica. Il diritto penale comparato è poi dal canto suo, come noto, tipicamente studiato e insegnato dai penalisti. 

Vi è però un secondo fattore, forse meno intuitivo: nella ricerca dei dati più stabili e caratterizzanti di un ordinamento, dei suoi dati “sistemologici”, i comparatisti, anche quelli più raffinati, tendono – al di là del dato legislativo – a concentrarsi unicamente sul giudice, visto come uno degli attori che contribuiscono alla formazione delle norme, con un esplicito ruolo creativo o per un inevitabile apporto interpretativo. La comprensione di un ordinamento straniero è quindi avvertita come capacità di giungere a corrette conclusioni circa il “diritto vigente”, ossia quale lettura darà dei fatti un giudice al momento di pronunciare la sentenza. Il pubblico ministero rimane, in una tale visione, inevitabilmente confinato nell’anticamera della nascita del diritto “vero”. 

Non vi è in questo naturalmente nulla di intrinsecamente sbagliato, e chi insegna diritto comparato sa quante trappole già così attendano chi si avventuri nella comprensione della legislazione e della giurisprudenza di un altro ordinamento. A molti fini, il pubblico ministero può essere legittimamente trascurato. 

È possibile però utilizzare uno sguardo differente alla lettura di un sistema giuridico, non in conflitto con quello appena descritto, ma che lo integra aggiungendo una prospettiva nella quale il pubblico ministero assume sicura rilevanza. Questo sguardo spiega perché non è un caso che il progetto comparato e transnazionale che qui si concretizza nasca proprio a Firenze. 

Facciamo un breve passo indietro. La comparazione giuridica fiorentina nelle sue forme attuali è il risultato dell’intuizione di Mauro Cappelletti, già in origine atipica rispetto al quadro al quale abbiamo accennato. Nasce infatti come comparazione processualcivilistica, con uno sguardo sempre attento alla tutela dei diritti fondamentali e alla giurisdizione costituzionale. Ma soprattutto a Firenze si delinea la prospettiva dell’accesso alla giustizia, con un mastodontico progetto che vuole far partire un «worldwide movement to make rights effective»[1], avviando a livello globale un nuovo approccio alla comprensione del fenomeno giuridico che, se non ha certo prevalso, è ormai stabilmente radicato nell’agenda di infinite organizzazioni internazionali. 

È chiaro che l’access to justice implica inevitabilmente una fuga in avanti antiformalista e antipositivista. L’attenzione va infatti non tanto verso il contenuto delle norme, i diritti astrattamente attribuiti dall’ordinamento a un soggetto, ma alla sua concreta possibilità di ottenere tutela, alla luce degli ostacoli posti da fattori extragiuridici (economici, sociali, culturali). Entrano così nell’ambito di interesse del giurista, ad esempio, i fenomeni di non applicazione delle norme, o di applicazione selettiva a favore di gruppi privilegiati o avverso gruppi vulnerabili. Il lavoro di Cappelletti crea un reticolo intellettuale che va ad abbracciare, tra molto altro, le elaborazioni sulla “cultura giuridica”, e in particolare sulla “cultura giuridica interna” delle professioni legali, di Lawrence M. Friedmann[2] e quelle di Marc Galanter sull’incapacità del processo di correggere diseguaglianze di ricchezza e potere[3]. Non a caso entrambi autori che compaiono nei volumi di access to justice

Questo approccio alla comparazione, una volta applicato alla giustizia penale, non può non considerare ogni dato sul pubblico ministero come assolutamente centrale alla comprensione di un ordinamento. Se il movimento sull’access to justice ci ricorda, pensando al processo civile, che la «giustizia è aperta a tutti, come l’Hotel Ritz»[4], l’immagine si può ribaltare nella dimensione penalistica pensando anche ad altre porte che si aprono e chiudono non sempre allo stesso modo, come quelle delle carceri e delle camere di sicurezza. Ovviamente sappiamo che lo Stato di diritto moderno ha tra i suoi elementi essenziali, con formule variabili, il controllo giurisdizionale sulle decisioni di qualunque autorità, pubblico ministero compreso, che limitano le libertà individuali. È evidente tuttavia che, così come le varie polizie, anche il pubblico ministero è ovunque un’autorità che dispone di una frazione della forza dello Stato sufficiente a creare una “pressione giuridica” enorme su determinate categorie di soggetti verso i quali decida di esercitare le sue prerogative. Una pressione che può, certo, essere circoscritta e alla fine bloccata da un controllo giurisdizionale effettivo, ma che può rimanere altissima. Non si tratta sin qui, ovviamente, di nulla che non sia generalmente noto a chi ha un minimo di dimestichezza con le cose della giustizia. Ciò nonostante, nella rappresentazione (e autorappresentazione) “alta” dei sistemi giuridici, in primis nell’insegnamento universitario, l’immagine del giudice tuttora tende a prevalere su quella di qualsiasi altro attore, eventualmente integrata da quella dell’avvocato che nella cultura popolare ha decisamente più spazio di quella del pubblico ministero. L’omissione del pubblico ministero nei manuali di diritto comparato è quindi assai poco traumatica. 

 

3. È interessante notare come, a livello internazionale, siano comparsi di recente alcuni eccellenti lavori comparatistici sul pubblico ministero, ampiamente citati da alcuni degli autori qui raccolti, scritti da giuristi di formazione statunitense, che non sono tecnicamente dei comparative lawyers, ma studiosi della giustizia penale con un approccio interdisciplinare[5]. La prospettiva che hanno assunto è quella della rilevanza del modello di pubblico ministero per il complessivo equilibrio delle democrazie moderne, che sembrano poter convivere con soluzioni istituzionali molto diverse tra loro, e con livelli assai differenti di discrezionalità e subordinazione all’esecutivo.

Non credo ci si debba stupire del fatto che questo sguardo innovatore provenga dagli Stati Uniti, dove l’apertura transnazionale del giurista non va mai data per scontata. Viene naturale pensare che sia proprio il dominare incontrastato della discrezionalità che caratterizza il sistema statunitense a portare alcuni studiosi di oltreoceano a una maggiore apertura mentale, vista l’impossibilità di rifugiarsi dietro lo scudo di una qualche forma di obbligatorietà dell’azione penale, anche se non radicata in Costituzione come nel caso italiano. Già nel 1977, in un articolo uscito nel Yale Law Journal a firma di Abraham Goldstein e Martin Marcus, contenente uno studio volto a confrontare appunto la discrezionalità statunitense con i principali modelli continentali tra cui l’Italia, gli autori sottolineavano come vi fosse «pochissima ricerca sul campo su come i sistemi operino in pratica» e «anche nelle conversazioni, accademici e funzionari descrivano il loro sistema come è presentato nel codice penale piuttosto che come esso si manifesta nel suo effettivo operare. Una discussione aperta su cosa viene fatto nella pratica – che può comportare la disapplicazione di norme giuridiche o la subordinazione di una norma ad un’altra è rara (…). Questo approccio contrasta drammaticamente con una letteratura americana che è più familiare con la pratica e che ammette un buon grado di dissonanza tra norme giuridiche e legal operations»[6].

A quaranta e passa anni di distanza, la realtà italiana non sembra radicalmente mutata, mentre almeno la Francia sembra averci sorpassato nella capacità di impostare studi empirici seri sul pubblico ministero[7]. Certamente, il contesto generale, anche politico, è molto cambiato e una discussione, in termini di legittimità costituzionale e in generale di politica del diritto, sulla discrezionalità del pubblico ministero è oggi in corso, ed emerge in molti dei saggi qui raccolti relativi al nostro ordinamento. L’attacco frontale all’autonomia del pubblico ministero in corso nell’Europa centrale ha poi posto il problema del rapporto tra tutela dei diritti fondamentali e statuto del pubblico ministero in termini molto brutali, aumentando l’interesse per uno sguardo transnazionale non formalista, capace di andare a indagare dove in ogni Paese si trovino gli elementi che rappresentano un rischio di torsione politica del pubblico ministero a fini illiberali o, viceversa, una salvaguardia della sua autonomia. Le prospettive di ricerca comparata sul pubblico ministero sono infinite, e si pongono a livello sia “micro” che “macro”. Su un piano “micro”, sempre sulla scia americana, si possono, ad esempio, ipotizzare indagini sulle scelte processuali dei pubblici ministeri volte a indagare in che misura queste ultime possano essere influenzate da specifiche rappresentazioni circa caratteristiche culturali di specifiche categorie di persone[8].

 

4. I dati “macro” sull’articolazione del pubblico ministero nel suo complesso, in diversi Paesi, offerti nel presente volume sono estremamente interessanti, anche perché si intrecciano con le analisi sulla recente istituzione della Procura europea (EPPO), la cui operatività dal 1° giugno avvia un interessante esperimento di comparative law in action, nel quale dovranno trovare una sintesi le differenti “culture della pubblica accusa” che sino ad oggi sono coesistite in Europa, dimostrando una particolare refrattarietà all’armonizzazione e un solido legame con il nocciolo duro della sovranità.

È interessante notare come anche la fase embrionale dell’EPPO offra interessanti spunti di comparazione e ricordi, ancora una volta, la necessità di sguardi che abbraccino gli aspetti complessivi della cultura giuridica di un Paese. Un esempio interessante si trova guardando ai quei Paesi che non prendono parte all’EPPO (oltre a Irlanda e Danimarca, vista la loro particolare posizione rispetto allo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia), che sono ad oggi Polonia, Ungheria e Svezia. Se la posizione di Polonia e Ungheria non stupisce vista la loro evoluzione politica, la presenza della Svezia nella lista apre una finestra interessante su un ordinamento spesso trascurato. Nel novembre 2019 il Governo a guida socialdemocratica, modificando la sua precedente posizione contraria alla partecipazione all’EPPO, ha incaricato una commissione di studio di proporre gli interventi normativi necessari per partecipare a tale forma di cooperazione rafforzata. Il rapporto della commissione è stato completato nel dicembre 2020[9], ed è stato successivamente sottoposto all’usuale procedura di consultazione pubblica. Tra i pareri pervenuti vi è quello di Svea hovrätt, la Corte d’appello di Stoccolma. Questa, sottolineando come si trattasse del primo caso di «attribuzione permanente della responsabilità dell’esercizio di poteri coercitivi assai pervasivi diretti versi singoli individui nel proprio territorio», ha ritenuto insufficiente l’analisi delle implicazioni per la Svezia della partecipazione all’EPPO. Tale presa di posizione è senza dubbio un valido indicatore delle specificità della cultura giuridica svedese, nella quale Svea hovrätt, è da sempre una voce molto autorevole. La critica è basata proprio su argomenti di rule of law, che fanno riferimento «all’inapplicabilità all’EPPO di quegli strumenti di controllo (…) che normalmente bilanciano l’esercizio di potestà pubbliche da parte del pubblico ministero», con il rischio di «aprire la via a simili deroghe in altri contesti e quindi in prospettiva affossare importanti principi dello Stato di diritto»[10]. Posizioni che possono essere oggetto di differenti valutazioni[11], ma che tuttavia non possono essere liquidate come una posizione aprioristicamente antieuropeista, e che ci ricordano come l’assetto del pubblico ministero rispetto ai sistemi nazionali di tutela dei diritti di libertà sia difficile da ricondurre a modelli predefiniti. Una difficoltà che deve servire da stimolo a replicare ed espandere analisi come quelle illustrate nel presente fascicolo, che sono il migliore antidoto contro le semplificazioni ricorrenti nel dibattito politico. 

La qualità finale del contenuto di questo numero di Questione giustizia sarà giudicata dai lettori. Certamente i curatori non potranno attribuire eventuali debolezze a chi ha contribuito alle varie fasi della sua preparazione. Mosè Carrara Sutour e Sara Cocchi (entrambi dottori di ricerca in Diritto comparato a Firenze), si sono presi carico rispettivamente del lavoro redazionale e delle traduzioni da varie lingue, con la sola eccezione del saggio sul sistema serbo per il quale abbiamo potuto far ricorso ad Aleksandar Simonović, che sta anche lui per completare il suo percorso dottorale fiorentino. Ad Alice Metulini va un caloroso ringraziamento per la pazienza dimostrata nel fornire un impeccabile service editoriale.

 

 

1. M. Cappelletti e B. Garth, Access to Justice: The Worldwide Movement to Make Rights Effective. A General Report, in Id. (a cura di), Access to Justice. A World Survey (vol. 1 - Book 1), Giuffrè/Sijthoff and Noordhoff, Milano/Alphenaandenrijn, 1978, pp. 33 ss. 

2. In italiano il riferimento è L.M. Friedman, Il sistema giuridico nella prospettiva delle scienze sociali, Il Mulino, Bologna, 1978, pp. 371 ss. 

3. M. Galanter, Why the “Haves” Come out Ahead: Speculations on the Limits of Legal Change, in Law & Society Review, vol. 9, n. 1/1974, pp. 95 ss. Il movimento sull’access to justice è ben ricostruito in Id., Access to Justice in a World of Expanding Social Capability, in Fordham Urban Law Journal, vol. 37, n. 1/2010, pp. 115 ss.

4. La celebre battuta è attribuita a James Matthews, un giudice irlandese di epoca vittoriana. Vds. M. Hayes, Access to Justice, in Studies. An Irish Quarterly Review, vol. 99, n. 393, 2010, p. 29.

5. M. Langer e D.A. Sklansky, Prosecutors and Democracy. A Cross-National Study, Cambridge University Press, Cambridge, 2017. 

6. A.S. Goldstein e M. Marcus, The Myth of Judicial Supervision in Three “Inquisitorial” Systems: France, Italy, and Germany, in Yale Law Journal, vol. 87, n. 2/1977, p. 245 (traduzione mia).

7. Per un esempio, vds. C. Mouhanna e C. Bastard, Procureurs et substituts: l’évolution du système de production des décisions pénales, in Droit et société, vol. 74, n. 1/2010, pp. 35 ss.

8. Al di fuori della giustizia penale, mi permetto di segnalare su questo filone un lavoro sulle giurisdizioni minorili, a mio parere di enorme valore anche se apparentemente mai oggetto di vero dibattito, che fornisce informazioni interessanti anche sull’operato degli organi requirenti. Si tratta di C. Saletti Salza, Dalla tutela al genocidio? Le adozioni dei minori rom e sinti in Italia (1985- 2005), CISU, Roma, 2010. 

9. SOU 2020:74, En europeisk åklagarmyndighet i Sverige.

10. I passaggi riportati sono in Svea hovrätt, Yttrande över betänkandet En europeisk åklagarmyndighet i Sverige (SOU 2020:74), p. 1 (traduzione mia). Critiche dello stesso tenore sono state formulate anche da altre autorità, come il Justitieombudsman. Vds. M. Davidsson, Myndigheter ser problem med EU-åklagare, in Svenska dagbladet, 5 aprile 2021 (www.svd.se/myndigheter-ser-problem-med-eu-aklagare). 

11. È interessante, infatti, notare come almeno un’altra corte di appello, quella di Jönköping, non ha invece ritenuto di dover formulare rilievi rispetto alla proposta. Vds. Göta hovrätt, Yttrande över betänkandet En europeisk åklagarmyndighet i Sverige (SOU 2020:74).

 

 

Mariarosaria Guglielmi

 

1. Se in altri tempi il giudice è stato il protagonista principale e il principale responsabile dell’efficacia e della trasparenza dell’amministrazione della giustizia in ambito penale, oggi – sempre più e nei più diversi contesti – questo ruolo centrale è svolto dal pubblico ministero. 

Partendo da questa considerazione in apertura del volume collettaneo «Prosecutors and democracy. A Cross-National Study»[1], Maximo Langer e David Alan Sklansky evidenziano che, nonostante le sostanziali diversità di ruoli, di funzioni e di poteri dell’organo “dell’accusa”, nei vari contesti nazionali, ovunque si assiste a una crescita della sua discrezionalità e della sua responsabilità. 

Da qui pressanti interrogativi e domande di fondo: qual è il rapporto fra il pubblico ministero e la democrazia; quali implicazioni ha per la democrazia la crescita del suo ruolo; quali bilanciamenti esigono questa tendenza espansiva, tale rafforzamento di presenza e di capacità di incidere; in che misura questa evoluzione risponde al ruolo complementare della sua funzione rispetto alla tutela giurisdizionale dei diritti e delle libertà e al cambio di paradigma prodotto dalla dimensione sovranazionale assunta dalla giurisdizione nello spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia; quali garanzie statutarie minime, nella diversità di statuti e di assetti ordinamentali, esige questa funzione.

Tutta la riflessione che si sviluppa attraverso i contributi raccolti in questo volume monografico, riprendendo ed ampliando quella che abbiamo dedicato al tema «Pubblico ministero e Stato di diritto in Europa» nella conferenza dello scorso anno[2], si confronta con questi interrogativi e con quelli che riguardano più da vicino l’esperienza del nostro Paese, esaminata nel contesto sovranazionale e nel sempre più imprescindibile ambito di riferimento rappresentato dall’Europa.

E l’esempio di uno statuto forte di indipendenza del pubblico ministero, come quello italiano, è al tempo stesso anche il migliore banco di prova per tutti quei meccanismi che possono rafforzarne la legittimazione democratica, necessario completamento di quella istituzionale derivante dalla sua collocazione costituzionale nell’ambito di un unico ordine giudiziario, autonomo e indipendente.

 

2. Affrontare il tema del rapporto fra pubblico ministero e democrazia significa necessariamente porsi in una prospettiva di analisi comparata: le diverse soluzioni ordinamentali e le scelte relative alla sua collocazione istituzionale rispondono infatti a differenti opzioni di bilanciamento dei valori, e riflettono i percorsi di evoluzione (o regressione) democratica dei singoli ordinamenti.

I contributi che abbiamo raccolto sulle diverse esperienze nazionali danno conto della persistente complessità del panorama europeo. Un panorama oggi arricchito dalla dirompente presenza di una Procura europea

Primo esempio di ufficio requirente sopranazionale indipendente e autonomo, al tempo stesso fortemente innestato negli ordinamenti e nelle giurisdizioni nazionali attraverso i procuratori europei delegati, questa istituzione è destinata a produrre significativi cambiamenti, strutturali e di sistema, necessari a garantire le condizioni di effettiva indipendenza di esercizio delle sue funzioni anche rispetto ai singoli Stati[3].

Se questa nuova presenza apre ulteriori prospettive di evoluzione verso un modello europeo di pubblico ministero, proprio nei Paesi membri dell’Unione oggi ci confrontiamo con scenari di inediti e gravissimi processi di regressione democratica, che hanno condotto allo smantellamento dell’indipendenza dei sistemi giudiziari e delle istituzioni di auto-governo.

La Polonia rappresenta l’esempio più recente ed eclatante di una crisi sistemica dello Stato di diritto, innescata dalle riforme che hanno portato alla presa dell’esecutivo sulla magistratura e, a partire proprio da interventi sull’assetto del pubblico ministero, a sovvertire il principio stesso della separazione di poteri: i ruoli di Ministro della giustizia e di Procuratore generale sono stati infatti riunificati con una legge del 2016, e si è così interrotto il percorso, durato sei anni, di costruzione di una procura indipendente.

Anche in altri contesti di forte instabilità per lo Stato di diritto, l’assetto del pubblico ministero è da sempre al centro di permanenti tensioni: la storia e le esperienze recenti confermano che la sua collocazione rappresenta uno snodo decisivo nella riconfigurazione degli equilibri istituzionali a vantaggio dell’esecutivo, e della sua capacità di controllo e di presa sui sistemi giudiziari[4]

Ma dovunque lo statuto di indipendenza del pubblico ministero risente di una perenne instabilità o di una sostanziale “incompiutezza”: si promuovono riforme per ridefinirne l’assetto di “forte indipendenza” e per ricondurlo alla sfera di controllo dell’esecutivo, inevitabile punto di approdo della cd. “separazione delle carriere”, mai scomparsa dall’orizzonte politico del nostro Paese; altrove, si protrae lo stato di limbo e di sostanziale dipendenza dal Ministro (è il caso del Parquet francese).

 

3. Rispetto a questo panorama, diversificato per varietà delle soluzioni ordinamentali e problematico per le specificità e le criticità che caratterizzano i contesti nazionali, è possibile parlare di un modello europeo di pubblico ministero, indipendente e imparziale e di comuni standard ordinamentali per garantirne l’indipendenza? 

Molti contributi del volume si confrontano con questi interrogativi e danno conto del percorso che ha portato all’affermazione di una comune visione dell’identità del pubblico ministero costruita, più che su un modello ordinamentale ideale, sulla sua funzione e sul suo ruolo rispetto alla giurisdizione. 

Carte, raccomandazioni, norme di soft law, attraverso l’enunciazione di principi condivisi su indipendenza esterna e interna, imparzialità, etica, professionalità e responsabilità, descrivono la fisionomia del pubblico ministero che, nella diversità delle soluzioni relative alla sua collocazione, può dirsi all’altezza del paradigma costituzionale delle nostre democrazie: è il pubblico ministero «organo di giustizia, promotore dei diritti»[5], che agisce «in nome della società e nell’interesse pubblico per rispettare e proteggere i diritti dell’uomo e le libertà, così come sono previsti, in particolare, nella Convenzione CEDU e nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo»[6].

A questa comune visione si è giunti attraverso un percorso evolutivo avanzato sotto la spinta di due diverse ma complementari esigenze: da un lato, rafforzare le funzioni di garanzia del pubblico ministero nella tutela della legalità, dei diritti e delle libertà; dall’altro, ampliare la base della sua legittimazione democratica attraverso meccanismi funzionali alla trasparenza ed efficienza della sua azione, e idonei a dar conto dell’equità e imparzialità delle scelte discrezionali compiute.

Partendo da angoli visuali diversi, gli autori descrivono il processo di armonizzazione della funzione requirente nella difesa dello Stato di diritto, prodotto dal cambio di paradigma dovuto al pluralismo di fonti e di giurisdizioni, all’interazione fra le corti e i tribunali nazionali, alla costruzione di uno spazio comune di giustizia e di cooperazione e di necessaria reciproca fiducia fra sistemi giudiziari. In questo contesto, anche la fisionomia del pubblico ministero è mutata: da organo dell’accusa ad attore fondamentale nell’amministrazione della giustizia, che concorre ad assicurarne equità, imparzialità ed efficienza[7].

E, in relazione a queste sue funzioni, è destinato a rafforzarsi il nucleo di garanzie statutarie e ordinamentali di presidio alla “sua” indipendenza, quale «corollario indispensabile dell’indipendenza del potere giudiziario»[8].

A ragione si può dunque sostenere che, quando si parla del pubblico ministero come componente della judicial machinery[9] e quando le carte e i documenti internazionali richiamano l’importanza di uno statuto che, come quello dei giudici, sia garantito al più alto livello della legislazione, si parla del pubblico ministero pensando in realtà al giudice e ai diretti riflessi che un assetto non idoneo a garantirne l’indipendenza può avere sulla giurisdizione e sulla tenuta dello Stato di diritto.

L’ulteriore sviluppo di un percorso evolutivo che va verso un rafforzamento delle garanzie, anche ordinamentali, necessarie per il suo agire indipendente e imparziale, si coglie nella verifica alla quale lo statuto del pubblico ministero è sottoposto nella giurisprudenza delle Corti europee e dei giudici che dialogano con le Corti.

La capacità di agire in modo indipendente, e al riparo da interferenze dell’esecutivo, diventa il parametro per valutare di volta in volta la compatibilità delle diverse soluzioni ordinamentali con la titolarità di funzioni che incidono sui diritti e sulle libertà, e che chiamano per questo in causa il ruolo del pubblico ministero quale primo garante di decisioni eque e imparziali.

Oggetto di approfondimento nel volume sono, in particolare, la giurisprudenza della Corte di giustizia europea che, su rinvio pregiudiziale dei giudici nazionali, si è pronunciata sulla nozione di autorità giudiziaria (emittente e di esecuzione) riferita a diverse procure di Paesi membri rispetto all’emissione del MAE, e le decisioni che hanno escluso tale qualifica in ragione di poteri del Ministro di dare istruzioni nei casi individuali[10]

Ma vale la pena ricordare anche le pronunce più risalenti della Corte Edu sulla capacità del pubblico ministero di esercitare il controllo giudiziario in caso di provvedimenti che incidono sui diritti delle persone.

La conclusione che se ne può trarre è che la centralità assunta dalla tutela dello Stato di diritto nel panorama europeo e dalla verifica – affidata anche alle giurisdizioni nazionali – dell’effettiva capacità di tutti i sistemi nazionali di garantire lo stesso livello di garanzia per i diritti, le libertà e il rispetto della legalità, segna una nuova tappa nel percorso verso la costruzione di un modello europeo del pubblico ministero, con effetti necessariamente conformativi sui necessari standard di indipendenza dei singoli ordinamenti.

 

4. L’indipendenza del potere giudiziario è alla base di una comunità tenuta insieme non dalla forza di un esercito o di una polizia comune, ma dai principi dello Stato di diritto. Partendo da questa nota affermazione, nella sentenza Les Verts la Corte di giustizia è giunta ad affermare che tutti gli Stati membri hanno l’obbligo di garantire l’indipendenza dei sistemi giudiziari per una effettiva tutela giurisdizionale dei diritti come principio che discende dagli artt. 6 e 13 della Cedu, riaffermato dall’art.  47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue[11].

Un principio ribadito in tutte le pronunce relative alle riforme del sistema giudiziario in Polonia, e alla base dell’investimento delle istituzioni europee su nuovi strumenti e meccanismi di intervento per la tutela dello Stato di diritto negli Stati membri, messi in atto a partire dal marzo 2014, e sperimentati per la prima volta con la procedura di infrazione a carico della Polonia.

Anche su questo fronte si assiste, dunque, a un ulteriore progresso nel percorso evolutivo che, riaffermando la centralità del principio di indipendenza dei sistemi giudiziari, pone l’esigenza di standard comuni e verificabili[12] anche per la collocazione del pubblico ministero al riparo dalle interferenze dell’esecutivo.

 

5. La nostra riflessione si è soffermata anche sull’altro aspetto del complesso e mutevole rapporto fra democrazia e pubblico ministero: quello dell’accountability e delle condizioni necessarie per rafforzarne la legittimazione democratica.

Un’esigenza che accomuna contesti ed esperienze diverse e che evidenzia come, anche sotto questo profilo, sia in atto quel processo di avvicinamento, di cui parla Nello Rossi, fra sistemi connotati dal principio di legalità, come il nostro, e sistemi caratterizzati dal principio di opportunità dell’azione penale.

Nella costruzione della comune visione della identità del pubblico ministero si è attribuito un ruolo sempre più centrale, e strettamente connesso a quello dell’indipendenza, ai profili e all’individuazione dei meccanismi e delle procedure che garantiscono non solo responsabilità a livello individuale (anzitutto per gli aspetti dell’etica e della professionalità), ma uniformità e correttezza dell’azione penale, trasparenza e comprensibilità delle decisioni e delle scelte di impiego delle risorse, attitudine a rendere conto alla collettività del proprio operato.

I contributi che si confrontano con queste problematiche, riferite all’esperienza italiana, evidenziano come questa esigenza di un rafforzamento della legittimazione democratica del pubblico ministero sia attuale e pressante anche rispetto al nostro modello ordinamentale, unico per assetto di indipendenza esterna e interna, obbligatorietà dell’azione penale, assenza di una strutturazione gerarchica in senso proprio nel rapporto fra uffici e carattere tendenzialmente diffuso del potere giudiziario. 

Come sottolineato da Giovanni Salvi, l’obbligatorietà dell’azione penale copre infatti solo una parte dell’agire del pubblico ministero e non sempre la più rilevante: le scelte (di non agire) soggette al controllo giudiziario sono infatti precedute dalle decisioni generali (non sindacabili), di organizzazione del lavoro e distribuzione delle risorse.

Rispetto alla più ampia sfera dei poteri connotati da discrezionalità, capaci di incidere sulle modalità di esercizio dell’azione penale e sulla trasparenza delle scelte, assumono dunque rilievo tutti quei meccanismi che portano in evidenza il profilo della responsabilità e del rendere conto a vari livelli: nel circuito dell’autogoverno, con un recupero del ruolo del Csm nel controllo del progetto organizzativo e delle scelte di fondo compiute dal dirigente dell’ufficio; nella dimensione esterna, con l’attività di rendicontazione e di comunicazione; nel circuito interno, attraverso l’esercizio delle attribuzioni di vigilanza delle procure generali in funzione di stimolo alla uniformità dell’approccio organizzativo e del corretto, efficace e uniforme esercizio dell’azione penale.

Acquisire consapevolezza della rilevanza dei profili di accountability, che devono connotare l’agire del pubblico ministero, e della legittimazione democratica che ne discende è oggi una delle sfide culturali da affrontare: anche per questa via il nostro modello di pubblico ministero potrà mostrarsi più resiliente a fronte dei tentativi di stravolgimento del suo assetto voluto dai nostri Costituenti, a garanzia dei diritti e delle libertà delle persone, e dell’eguaglianza di tutti di fronte alla legge. 

 


1. Cambridge University Press, Cambridge, 2017. 

2. La conferenza, che si è svolta a Firenze il 18 settembre 2020, è stata organizzata da MEDEL, Questione giustizia e dal Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università di Firenze; la registrazione dei lavori si può ascoltare a questo link: www.questionegiustizia.it/articolo/pubblico-ministero-e-stato-di-diritto-in-europa_28-02-2020-php.

3. Essi sono «membri attivi delle procure o della magistratura dei rispettivi Stati membri che li hanno designati», art. 17, comma 2, regolamento (UE)2017/1939; « agiscono per conto dell’EPPO nei rispettivi Stati membri e dispongono degli stessi poteri dei procuratori nazionali in materia di indagine, azione penale e atti volti a rinviare casi a giudizio» (art. 13, comma 1, reg. cit.).
«I procuratori europei delegati dovrebbero essere parte integrante dell’EPPO e, in quanto tali, nell’indagare e perseguire i reati di competenza dell’EPPO, dovrebbero agire esclusivamente per conto e in nome dell’EPPO nel territorio dei rispettivi Stati membri. Ciò dovrebbe comportare che sia loro conferito, ai sensi del presente regolamento, uno status funzionalmente e giuridicamente indipendente, diverso da qualunque status conferito a norma del diritto nazionale» (reg. cit., considerando 32).

4. Un’analisi dettagliata dei profili di criticità delle riforme avanzate in Romania, nell’ambito del più generale processo di revisione dell’ordinamento giudiziario avviato a partire dal 2017, espressi nella relazione del 13 novembre 2018 della CE, adottata nel contesto del meccanismo di cooperazione e verifica (MCV), si può leggere nei pareri della Commissione di Venezia pubblicati il 20 ottobre 2018 (nn. 924/2018 e 930/2018), e nel rapporto GRECO del marzo 2018. Rilievi specifici riguardano l’assetto della Procura e le nuove procedure previste per la  nomina e la revoca dei magistrati  requirenti nelle posizioni di “vertice”, poiché destinate ad accrescere di fatto i poteri del Ministro della giustizia, riducendo quelli del Presidente della Repubblica. La Commissione di Venezia evidenziava che il nuovo sistema  di nomina riduceva l’indipendenza della magistratura requirente e tale circostanza era particolarmente preoccupante nel contesto di tensione con la politica creato dall’azione di contrasto alla corruzione svolta dalla magistratura.
Numerosi report della Commissione europea emessi nel contesto del meccanismo di cooperazione e verifica per la Bulgaria hanno evidenziato le carenze relative alla struttura della Procura. Un assetto che, per la combinazione fra concentrazione di poteri e assenza di responsabilità, rappresenta «un modello che favorisce l’unione anziché la separazione dei poteri» e concorre a definire un contesto di aggressione all’indipendenza della magistratura e ai singoli giudici (cfr.  E. Baksanova, Lo Stato di diritto in Bulgaria: una “Fata Morgana”?, in Questione giustizia online, 13 marzo 2020, www.questionegiustizia.it/articolo/lo-stato-di-diritto-in-bulgaria-una-fata-morgana_13-03-2020.php).

5. Il documento approvato dalla Rete dei procuratori generali, del 28 maggio 2011, definisce il pubblico ministero come l’organo che si riconosce «nel ruolo di garanzia e promozione dei diritti, che deve essere svolto con indipendenza e imparzialità».

6. Punto II del parere n. 9 del 2014 del CCPE, «Norme e principi europei sul pubblico ministero» (cd. “Carta di Roma”).

7. «In tutti gli ordinamenti giuridici, i membri del pubblico ministero (da qui in poi denominati “i procuratori”) contribuiscono ad assicurare che lo Stato di diritto sia garantito, in particolare da un’amministrazione della giustizia equa, imparziale ed efficiente, in tutti i casi e gradi dei procedimenti di loro competenza» (Carta di Roma, punto I). 

8. «L’indipendenza e l’autonomia del pubblico ministero costituiscono un corollario indispensabile dell’indipendenza del potere giudiziario (…)» (Carta di Roma, punto IV).

9. Corte Edu, Lesnik c. Repubblica slovacca, ric. n. 35640/97, 11 marzo 2003.

10. Cfr. sentenze Cgue, nelle cause riunite C-508/18 e C-82/19 PPU, 27 maggio 2019, relative al pubblico ministero tedesco. 
Nella successiva decisione (sentenza nella causa C-584/19, Staatsanwaltschaft Wien/A. e.a.), la Corte ha precisato – sempre con riferimento al pubblico ministero tedesco – che, contrariamente al mandato di arresto europeo, un ordine europeo di indagine può essere disposto dalla procura di uno Stato membro esposta al rischio di essere soggetta a istruzioni individuali provenienti dal potere esecutivo (cfr. il comunicato stampa n. 156 dell’8 dicembre 20).

11. Cfr. Cgue, sentenza ASJP (Associação Sindical dos Juízes Portugueses), C-64/16, 27 febbraio 2018: «il principio di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti che i singoli traggono dal diritto dell’Unione, cui fa riferimento l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, costituisce (…) un principio generale di diritto dell’Unione che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, che è stato sancito dagli articoli 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e che è attualmente affermato all’articolo 47 della Carta (v., in tal senso, sentenze del 13 marzo 2007, Unibet, C432/05, EU:C:2007:163, punto 37, e del 22 dicembre 2010, DEB, C279/09, EU:C:2010:811, punti da 29 a 33)».

12. Standard comuni e verificabili di indipendenza dei vari sistemi giudiziari (e di garanzie per i pubblici ministeri equiparabili a quelle dei giudici) che MEDEL («Magistrats européens pour la démocratie et les libertés») ha rivendicato sin dall’inizio del suo percorso (si fa riferimento alla dichiarazione di Palermo del 1993, sullo statuto europeo della magistratura, e a quella di Napoli del 1996).