Magistratura democratica
Protocolli

Procedimenti in materia di esercizio della potestà genitoriale da parte di genitori di figli minori nati fuori dal matrimonio

di Gloria Servetti
Presidente della IX Sezione civile del Tribunale di Milano
Introduzione al «rito partecipativo» realizzato dalla sezione nona civile (famiglia e minori) del Tribunale di Milano
Procedimenti in materia di esercizio della potestà genitoriale da parte di genitori di figli minori nati fuori dal matrimonio

La Legge 10 dicembre 2012 n. 219, con la riscrittura dell’art. 38 disp. att. c.c., ha attribuito alla competenza del Tribunale ordinario i procedimenti ex art. 316 comma IV c.c. (già procedimenti ex art. 317-bis c.c. prima del d.lgs. 154/2013), attinenti alle controversie in materia di esercizio della potestà genitoriale tra genitori di figli minori nati fuori dal matrimonio.

La riforma non ha modificato il rito processuale applicabile che resta quello camerale su diritti soggettivi, ex art. 737 c.p.c. Come noto, ove i genitori siano uniti da matrimonio, il rito processuale è, invece, quello ordinario, per il cumulo oggettivo delle domande inerenti la prole con quella principale involgente lo status dei coniugi: in questo modello processuale, la famiglia può beneficiare di una fase procedimentale preliminare nell’ambito della quale le parti sono convocate e sentite per un tentativo di conciliazione (dinanzi al Presidente) che non ha solo il fine di provocare la ricostruzione del legame familiare in crisi ma anche, eventualmente, la conversione del rito da giudiziale a consensuale/congiunto anche mediante l’intervento del magistrato che suggerisce possibili soluzioni risolutive del conflitto.

La fase “conciliativa” ha una evidente importanza: l’eventuale soluzione condivisa dei genitori risolve il conflitto; la decisione giudiziale si limita a chiuderlo. Il rito camerale non prevede una fase preliminare di conciliazione che, invero, con la riforma della legge 219/12 ha acquisito una maggiore pregnanza.

La novella, infatti, amplifica il ruolo del giudice-mediatore, quale soggetto che non si limita a «decidere dall’alto» ma prova a costruire «dal basso» il nuovo statuto della famiglia disgregata, con la complicità dei genitori, responsabilizzati nell’interesse primario dei figli. Il Tribunale di Milano reputa che la gestione del contenzioso inerente le controversie tra genitori non uniti da matrimonio debba offrire al nucleo familiare in crisi l’opportunità di una fase preliminare di tipo conciliativo – in analogia a quanto avviene nel rito della separazione e del divorzio - in cui ai genitori viene anche «suggerito», dal giudice delegato, un possibile assetto regolativo delle nuove dinamiche relazionali: la fase in questione, deve consentire ai genitori di avere un lasso di tempo ragionevole per valutare la proposta del giudice e successivamente deve consentire agli stessi di essere ascoltati.

La conclusione della fase pre-contenziosa può, così, concludersi con un accordo dei genitori, recepito dal Collegio: accordo che corrisponde alla proposta del giudice designato; accordo che consiste in una soluzione totalmente o parzialmente diversa, elaborata dai genitori grazie alla assistenza dei difensori nominati, che certamente possono utilizzare il suggerimento del magistrato al fine di convincere le rispettive parti a confrontarsi sui problemi emersi ed a dialogare come padre e madre.

La fase conciliativa può anche concludersi con un tentativo di composizione bonaria infruttuosamente espletato: in questo caso, gli atti vengono rimessi al Collegio che provvede alla definizione giudiziale del procedimento, se del caso, previa nuova convocazione dei genitori. Il procedimento così proposto prevede – come avviene per il rito della separazione e del divorzio – una sorta di switch procedimentale: dalla fase conciliativa, in caso di fallimento, si passa alla fase contenziosa.

La procedura così concepita certamente può beneficiare dell’apporto collaborativo dei giudici onorari – in quanto già magistrati addetti alla trattazione dei procedimenti ex art. 316, comma IV, c.c. dinanzi al tribunale per i Minorenni. Quanto alla possibilità per giudice di formulare proposte conciliative non vi è ormai ragione di dubitare atteso che la legge 4 novembre 2010, n. 183 modificando l’art. 420 c.p.c. ha espressamente previsto e tipizzato l’istituto, con norma che – come osservato dalla giurisprudenza - non è eccezionale ma emersione in un determinato settore di una regola generale.

Ve ne è conferma nel nuovo art. 185-bis c.p.c., introdotto dal decreto legge 21 giugno 2013 n. 69, considerato da questo Ufficio come norma generale (Trib. Milano, 26 giugno 2013). Ovviamente, nel caso in esame, l’intervento giudiziale più che una proposta è un «suggerimento» autorevole, in analogia con quanto previsto dall’art. 316 c.c.; suggerimento che non è vincolante e che viene formulato con spirito conciliativo, in attuazione di quella funzione di “mediazione giudiziale” che in altra sede il Codice espressamente assegna al magistrato della famiglia (v. art. 145 c.c.).

La scansione procedimentale, nei suoi tratti essenziali, prevede che, una volta depositato il ricorso da parte del genitore-ricorrente, il Presidente dispone lo scambio delle difese con la controparte, riservando, all’esito la valutazione in ordine ai presupposti o non per la fase conciliativa. Lette le difese, il Collegio può: a) fissare direttamente udienza dinanzi a sé, non ritenendo sussistenti i presupposti per formulare un suggerimento conciliativo; b) rimettere le parti dinanzi al giudice delegato con il compito di suggerire ai genitori una possibile soluzione conciliativa, riservandosi di intervenire successivamente, se fallito il tentativo di conciliazione; c) pronunciare provvedimenti provvisori, in presenza di conclusioni parzialmente conformi dei genitori (es. entrambi chiedono l’affido condiviso).

La procedura in esame, creando una sinergica collaborazione, e valorizzando anche il ruolo degli Avvocati – cui viene garantito uno spazio processuale di dialogo – consente anche di accelerare i tempi di accesso alla prima udienza giudiziale, cosicché i genitori non debbano attendere 6/8 mesi per la prima convocazione (essendo la prima udienza conciliativa tenuta dinanzi al giudice relatore delegato, accendendo dunque al ruolo delle udienze monocratiche, con tempi di fissazione più brevi).

Quanto alla delega al giudice relatore, come noto essa è pacificamente ammessa: costituisce l’espressione di un principio generale immanente (Cass. civ., Sez. I, 16 luglio 2005, n. 15100) quello secondo cui un giudice può essere delegato dal collegio alla raccolta di elementi probatori da sottoporre, successivamente, alla piena valutazione dell'organo collegiale, principio vitale in difetto di esplicite norme contrarie che trova applicazione anche nelle ipotesi di procedimento camerale applicato a diritti soggettivi per quelle ragioni di celerità e sommarietà delle indagini, cui tale particolare tipo di procedimento è ispirato (Cass. civ., Sez. Unite, 19 giugno 1996, n. 5629 In Giust. Civ., 1996, I; Famiglia e Diritto, 1996, 4, 305).

Il rito sin qui descritto viene definito come «partecipativo» in quanto consente ai genitori di “partecipare” sostanzialmente alla costruzione di una decisione comune, in cui il Ruolo del giudice non è avvertito in termini di soggetto terzo che “impone” la soluzione.

 

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13/06/2014
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