Magistratura democratica
Editoriali

Le "larghe contese" tengono
in piedi il governo

di Beniamino Deidda
direttore Questione Giustizia
L'editoriale pubblicato sul numero 1/2013 di Questione Giustizia
Le "larghe contese" tengono<br>in piedi il governo

Il breve arco di tempo racchiuso tra questo numero e quello precedente ha proposto dirompenti novità nel panorama politico del Paese. Poche settimane ed è cambiato tutto: siamo passati dal clima di protesta popolare uscita dal voto del 24 febbraio di quest’anno; dallo smarrimento dei partiti che avevano sostenuto il Governo ‘tecnico’; dalla ricerca spasmodica di novità e di cambiamento per uscire dalla crisi che attanaglia il Paese al tentativo, finora riuscito, di dar vita al Governo cosiddetto delle ‘larghe intese’ sostenuto dalle medesime forze che sostenevano il Governo Monti.

In mezzo c’è stata l’elezione del Presidente della Repubblica che ha certificato definitivamente, se mai ce ne fosse bisogno, lo stato di grave crisi che attraversano i partiti politici in Italia. In particolare i partiti di centro sinistra hanno vissuto momenti di forte divisione al loro interno e fra di loro. Il fronte che si è costituito con il Governo Letta, fortemente voluto dal Presidente della Repubblica, assomiglia terribilmente a quello che sosteneva il Governo dei tecnici, con la sola novità di un rafforzamento del partito di Berlusconi, capace di tenere sotto ricatto il Governo del Paese.

Le prime mosse del Governo sono state chiaramente condizionate dalle difficoltà di mettere insieme partiti di diversa ispirazione ideale, che si sono aspramente combattuti per vent’anni. C’è la ricerca spasmodica di misure che allentino il morso della crisi, che creino lavoro per i giovani, che diano respiro alle famiglie che non arrivano a fine mese. Ma uscire dalla crisi non sarà facile. E tuttavia il Governo ha incredibilmente trovato modo di occuparsi dell’abolizione dell’IMU, e di altre misure che certamente non cambieranno il corso della crisi che attanaglia il paese.

È infine di questi giorni l’iniziativa di dar vita alla 'Convenzione’ destinata a varare una riforma della Costituzione. Dietro questa decisione c’è il pericoloso tentativo di rimuovere le proprie responsabilità politiche e di attribuire le attuali difficoltà della politica, clamorosamente emerse durante l’elezione del Presidente della Repubblica, a presunte carenze della Costituzione. Si è proceduto alla nomina una nuova commissione Bicamerale, coadiuvata da un pletorico gruppo di saggi, con l’incarico di modificare il nostro assetto costituzionale. Ciò che appare più grave in questa iniziativa è la decisione di affidare la revisione della Carta costituzionale ad un gruppo misto di parlamentari e di laici, ignorando la via maestra dettata dalla stessa Costituzione per il procedimento di revisione. Siamo di fronte ad una patente violazione della procedura di revisione costituzionale, già denunziata dai più autorevoli costituzionalisti, cui si aggiunge l’allarme per l’oscurità e l’incertezza degli obiettivi che la Commissione si propone: si limiterà a ridurre il numero dei parlamentari? Introdurrà il semi-presidenzialismo? Metterà mano alla pasticciata riforma della giustizia tanto cara a Berlusconi?

Insomma la sensazione che si ha è che si voglia cambiare la Costituzione non per ammodernarla nei pochi punti in cui può apparire superata, ma per contingenti e strumentali esigenze di autodifesa di un’intera classe politica, incapace di uscire dalla crisi e di fare i conti con sé stessa.

Sappiamo che molte forze nel nostro Paese sono interessate all’introduzione del ‘presidenzialismo’: una soluzione che segnerebbe la fine della democrazia parlamentare partecipata e coronerebbe il sogno ventennale di un’oligarchia per la quale le forme della democrazia e i reciproci limiti tra i poteri sono fastidiosi ostacoli al dispiegarsi della forza del potere economico e politico.

C'è qualcosa, infine, che per noi è ancora più preoccupante. Dopo tutto il gran parlare che per anni si è fatto sui problemi della giustizia, l'iniziativa del governo langue. L'organizzazione giudiziaria è in coma, personale e risorse sono ridotti al lumicino, ma non si vede nessuna decisa inversione di rotta. Piccoli provvedimenti settoriali e di tampone sembrano l'unica cosa che è capace di produrre la più larga intesa tra partiti della storia repubblicana. Che sia anche questo un segno che le forze al potere non intendono cambiare niente? E meno che mai in materia di giustizia?

Sul fronte della giurisprudenza infine non si può omettere di rilevare che le sentenze dei giudici destano nell’opinione pubblica giudizi contrastanti e qualche volta un allarme non ingiustificato. Sono di questi giorni due sentenze che hanno visto commenti e reazioni diverse: la sentenza d’appello sui casi di morte per amianto a Casale Monferrato e la sentenza per la morte di Stefano Cucchi. Due sentenze clamorose, la prima per la pena di straordinaria gravità inflitta ai rappresentanti della ditta Eternit, la seconda per l’assoluzione generalizzata degli agenti della polizia penitenziaria che avevano in custodia il Cucchi dopo il suo arresto. Questa Rivista tornerà sulle due sentenze, come si è impegnata a fare, senza timori reverenziali, senza pregiudizi e senza omissioni. C’è oggi una straordinaria necessità di non passare sotto silenzio le decisioni dei giudici e di criticare l’uso disinvolto del terribile potere di giudicare. Nel momento in cui la politica, più o meno scopertamente, vuole regolare i conti con la giustizia è salutare che noi per primi denunciamo gli eventuali errori delle decisioni. Chiudersi a difesa della ‘corporazione’, anche quando sbaglia, è il peggior servizio che si può fare alla magistratura.

 

01/05/2013
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