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Giurisprudenza e documenti

Ancora sul controverso rapporto tra esibizione sostanziale e processuale in tema di estratti conto bancari: nota a Cass. I Sez. Civ., 13/09/2021 n. 24641

di Beatrice Ficcarelli
Professore associato di diritto processuale civile, Università di Siena

La questione relativa al rapporto tra diritto all’esibizione sostanziale e processuale di documenti si presenta frequentemente nel contenzioso bancario in riferimento agli estratti conto, utilizzati come prova nei giudizi di illegittima applicazione di interessi anatocistici. La giurisprudenza di legittimità offre al problema soluzioni spesso confliggenti, il che importa continua necessità di studio e riflessione sul tema. 

1. Osservazioni introduttive

Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione, prendendo le distanze dagli ultimi orientamenti in materia, si ripropone di affrontare in termini nuovi il problema dell’esercizio del diritto del cliente di un istituto bancario di richiedere in giudizio, per il tramite dell’istanza di cui all’art. 210 c.p.c., l’esibizione di copia della documentazione inerente alle operazioni poste in essere in virtù del rapporto contrattuale intrattenuto con l’istituto medesimo, compresi gli estratti conto. 

Si trattava, precisamente, di giudizio avente ad oggetto la ripetizione dell'indebito per illegittima applicazione di interessi anatocistici con capitalizzazione trimestrale degli stessi da parte della banca al correntista. 

La questione sottoposta alla Corte si concentra sullo snodo del rapporto tra esibizione processuale, qual è quella disciplinata dal codice di procedura civile con la norma succitata e il diritto all’esibizione di carattere sostanziale di cui all'articolo 119, quarto comma, del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (articolo rubricato «Comunicazioni periodiche alla clientela») inserito nell’ambito di un titolo dedicato significativamente alla «Trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti») in cui si stabilisce che «Il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell'amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni”, (laddove i commi precedenti precisano che nei contratti di durata le banche o gli intermediari  forniscono per iscritto al cliente, alla scadenza del contratto e comunque almeno una volta all'anno, una comunicazione completa e chiara in merito allo svolgimento del rapporto e che per i rapporti regolati in conto corrente l'estratto conto è inviato al cliente con periodicità annuale o, a scelta del cliente, con periodicità semestrale, trimestrale o mensile e, in mancanza di opposizione scritta da parte del cliente, si intendono approvati trascorsi sessanta giorni dal ricevimento»). 

Ed invero il ragionamento della Cassazione segue un percorso concentrato sugli aspetti sostanziali dell’esibizione di documenti bancari che pare essere considerato assorbente rispetto al profilo strettamente processuale di cui all’art. 210 c.p.c., tanto da culminare nell’affermazione del principio secondo cui  il diritto spettante al cliente ad ottenere, a proprie spese, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni, ivi compresi gli estratti conto, sancito dall'articolo 119, quarto comma, T.U.B., «può essere esercitato in sede giudiziale attraverso l'istanza di cui all'articolo 210 c.p.c., in concorso dei presupposti previsti da tale disposizione, solo a condizione che detta documentazione sia stata precedentemente richiesta alla banca, che senza giustificazione non vi abbia ottemperato».

I passaggi salienti della decisione denotano con sufficiente evidenza l’intento di discostarsi dalla più recente giurisprudenza di legittimità in casi simili; il tutto sulla base di una premessa che la Corte ritiene imprescindibile e che costituisce base e fondamento di tutto il suo ragionare.

Tale premessa si fonda sull’affermazione secondo cui il quarto comma dell’art.119 del T.U.B. contempla una disposizione di natura sostanziale la cui tutela è prevista come situazione giuridica finale e non già strumentale, non rilevando l’utilizzo che il cliente intenda fare della documentazione comprensiva degli estratti conto[1]; il che però non comporta l’esclusione, in via di fatto, che la richiesta di documentazione possa essere avanzata in vista della predisposizione dei mezzi di prova necessari ai fini di un'azione del cliente, o chi per lui, contro la banca[2]

L’affermazione medesima, maturata nell'ambito di controversie che vedono opposto alla banca il curatore fallimentare, ossia un soggetto che non ha automaticamente, come tale, la disponibilità della relativa documentazione, e che anzi deve procurarsela, comporta, secondo la Cassazione, che il cliente può esigere l'adempimento dell'obbligazione, sancita dall'ultimo comma dell'articolo 119, anche con riguardo agli estratti conto, ed indipendentemente dal fatto che la banca abbia esattamente adempiuto l'obbligazione di consegna periodica degli estratti conto medesimi[3].

In particolare, la Corte individua nel quarto comma dell’art. 119 T.U.B. l’esistenza di un diritto potestativo che, fintanto che non venga esercitato, rimane confinato “nel mondo del possibile giuridico”, non comportando un “inadempimento” -eletto quindi questo a evidente parametro del successivo agire del correntista- e da cui conseguirebbe la impossibilità di avvalersi del quarto comma dell'articolo 119 «direttamente in sede giudiziale, se non sia stata preventivamente avanzata alla banca l'istanza prevista dalla norma, e la banca non abbia ottemperato nel termine»[4]; il che rappresenta la questione centrale oggi rivolta alla sua attenzione. 

Questa opzione interpretativa serve alla Corte per motivare lo scostamento da una precedente sentenza, capofila dell’orientamento prevalente, secondo cui il potere del correntista di chiedere alla banca l’esibizione della documentazione relativa al rapporto di conto corrente può essere esercitato, ai sensi dell'articolo 119, comma 4, «anche in corso di causa ed attraverso qualunque mezzo si mostri idoneo allo scopo (Cass. 11 maggio 2017, n. 11554), ivi compresa, cioè, l'istanza di esibizione di cui all'articolo 210 c.p.c.[5]», poiché, «nell'assegnare al "cliente... la facoltà di ottenere opportuna documentazione dei propri rapporti bancari, la norma del comma 4 dell'art. 119 TUB non contempla, o dispone, nessuna limitazione che risulti in un qualche modo attinente alla fase di eventuale svolgimento giudiziale dei rapporti tra correntista e istituto di credito”. D'altra parte, si afferma, non risulta ipotizzabile ragione che, per un verso o per altro, possa giustificare, o anche solo comportare, un simile risultato». E si rammenta che la Cassazione, a quel tempo, aveva rinvenuto la ratio dell’art. 119 T.U.B. nell’essere questo uno dei più importanti strumenti di tutela che la normativa di trasparenza riconosca ai soggetti che si trovino a intrattenere rapporti con gli intermediari bancari[6]

Nell’optare per la diversa soluzione sopra evidenziata, il Supremo Collegio afferma ora di non condividere più la precedente posizione ritenendo, piuttosto, che l’istanza di esibizione ai sensi dell’art. 210 c.p.c. possa essere proposta solo quando il cliente abbia effettuato la richiesta alla banca e questa si sia resa inadempiente al proprio obbligo, fondando il proprio convincimento sul fatto che l'affermazione, contenuta in Cass. 11 maggio 2017, n. 11554, secondo cui la norma «non contempla nessuna limitazione che risulti attinente alla fase di eventuale svolgimento giudiziale dei rapporti», «prova come si suol dire troppo, ed in definitiva finisce per far dire alla norma, che sul punto tace, ciò che essa in effetti non dice». 

Gli argomenti addotti a sostegno della decisione paiono potersi così sintetizzare: laddove il legislatore ponga una determinata disciplina sostanziale, quale quella dettata dal quarto comma dell'articolo 119, essa non può “impattare” sulla complessiva disciplina processuale fissata dal codice di rito, nella quale si colloca anche l'articolo 210 c.p.c., salvo che, naturalmente, non sia lo stesso legislatore a disporre espressamente in tal senso[7]. Utilizzando le sue precise espressioni, è lo stesso legislatore che deve «far saltare», con apposita disposizione, il congegno processuale altrimenti applicabile. Il che non è tuttavia ravvisabile nel quarto comma dell'articolo 119[8].  

La Corte evidenzia, infatti, riportandosi alle proprie argomentazioni precedenti come, in assenza di previsione espressa sul punto, l'articolo 119, quarto comma, non sia norma sull'onere della prova, bensì norma dettata per lo scopo della trasparenza bancaria: la sua formulazione e ratio non consente pertanto di desumere che il legislatore abbia inteso consentire al cliente di richiedere, senza limite alcuno, la consegna degli estratti conto a lite pendente, grazie all'intervento del giudice[9].

Di conseguenza, sul presupposto che l'articolo 119, quarto comma, pone una norma sostanziale che disegna una specifica obbligazione a carico della banca, obbligazione che viene a far parte del contenuto contrattuale (l'obbligazione cioè di consegnare «copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni»)  detta obbligazione, pur derivante dal contratto, rimane per la Suprema Corte “quiescente” fintanto che il cliente non trasmetta alla banca la relativa richiesta, trattandosi, come si premetteva, di un diritto potestativo che, fin quando non esercitato, non impone dal lato della banca di fare alcunché.

Su questo presupposto, l'istanza rivolta in giudizio alla banca a consegnare gli estratti conto, ai sensi del quarto comma dell'articolo 119, si risolve pertanto, per il Supremo Collegio, in un'azione di adempimento. Ed un'azione di adempimento introdotta — non quando l'inadempimento non si è ancora consumato, e nemmeno quando ancora non si è verificata la mora, ma prima ancora — quando l'obbligazione non è ancora attuale, «non ha evidentemente alcun senso, se non altro avuto riguardo alla sussistenza dell'interesse ad agire, ex articolo 101 c.p.c., che consiste nell'idoneità della pronuncia richiesta ad apportare un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice» (il richiamo e’ a Cass. 4 maggio 2012, n. 6749, tra le tante)[10].
All’istituto esibitorio vengono dedicati solamente brevi rilievi, consistenti nel fatto l'esibizione istruttoria non può in alcun caso supplire al mancato assolvimento dell'onere della prova a carico della parte istante, sicché l'ordine in questione può essere impartito ad una delle parti del processo con esclusivo riguardo a documenti di cui l'interessato non possa di propria iniziativa acquisirne una copia e produrla in causa. 

Il requisito della necessaria acquisizione al processo del documento di cui all’art. 210 c.p.c. è pertanto ritenuto dirimente e ricondotto all’esercizio del diritto sostanziale di cui al T.U.B.

 

2. Esibizione sostanziale ed esibizione processuale di documenti

Prendere posizione sull’odierno ragionamento della Corte di Cassazione importa la necessità di una premessa che tenga conto del delicato rapporto tra esibizione sostanziale e processuale di documenti. La sentenza denota infatti alquanto evidentemente come la questione sia stata affrontata partendo dal dato di carattere sostanziale emergente dall’art. 119 T.U.B., restando in tale prospettiva e risolvendolo prevalentemente alla luce di essa. 

La problematica ci appare pare però di più ampia portata. 

Occorre anzitutto premettere che l’espressione «diritto all’esibizione» ricomprende due fenomeni notevolmente diversi fra loro. Il diritto processuale all’esibizione dalla controparte o dal terzo di documenti rilevanti ai fini della risoluzione di una controversia attuale, e il diritto sostanziale volto alla consegna del documento ovvero alla messa a disposizione del documento o anche alle informazioni rappresentate dal documento stesso. 

L’introduzione nel codice di rito vigente di un istituto di esibizione con finalità istruttorie – o, come ci sembra preferibile dire, il riconoscimento di un diritto processuale all’esibizione attuabile nel corso di un giudizio senza il supporto di un diritto sostanziale sul documento o sulla cosa da esibire – non ha comportato il venir meno, per un singolare fenomeno di assorbimento, dei diritti sostanziali all’esibizione ove questi siano previsti da disposizioni di diritto sostanziale (legge o contratto) . 

Nel nostro ordinamento convivono cioè forme di esibizione processuale a tutela dell’interesse di una parte all’acquisizione di un documento (o di un’altra cosa) in possesso della controparte o di un terzo, ogniqualvolta il conseguimento della res exhibenda sia «necessario» all’accertamento giudiziale della verità dei fatti controversi, con forme di esibizione sostanziale a tutela di un diritto sostanziale, sia di natura reale o obbligatoria, suscettibile di essere fatto valere non con una istanza incidentale in un giudizio già in corso in cui si controverta sull’esistenza di un diritto sostanziale, ma come oggetto di un autonomo processo[11], come accade nel caso sottoposto alla nostra attenzione. 

Il documento fuori dal processo e prima di esso è del resto cosa oggetto di diritti privati. In quanto res corporale, esso può essere anzitutto di proprietà di qualcuno; e la rigorosa applicazione delle norme sulla proprietà ha condotto in passato a precisare che il «conflitto tra diversi titolari, che può porsi a seguito dell’utilizzazione di materia altrui per la formazione del documento» si risolve alla luce dell’art. 940 c.c.

Il documento, inoltre, può essere al centro di rapporti obbligatori. Numerose sono le norme privatistiche che pongono a carico di taluno l’obbligo di esibire, mettere a disposizione, consegnare determinati documenti, senza che venga in tal modo intaccato l’eventuale diritto di proprietà dell’obbligato. L’art. 1710, comma 2, c.c., in tema di contratto di mandato, prevede, ad esempio, che il mandatario sia tenuto a rendere note al mandante le circostanze sopravvenute che possono determinare la revoca o la modificazione del mandato medesimo; così come l’art. 1713 c.c. stabilisce che il mandatario medesimo deve rendere al mandante il conto del suo operato e rimettergli tutto ciò che ha ricevuto a causa del suo ufficio. E nonostante la formula «rendere il conto» si possa prestare ad un’interpretazione restrittiva limitata ad una prospettazione numerica, l’art. 1713 c.c. deve essere inteso in senso ampio sì da farvi rientrare non solo un’esposizione contabile che rispecchi le entrate e le uscite, ma una dettagliata giustificazione dell’operato del mandatario con i relativi documenti giustificativi. 

A sua volta, l’art. 1746 c.c. in materia di contratto di agenzia, impone all’agente di fornire al preponente le informazioni riguardanti le condizioni del mercato nella zona assegnatagli e ogni altra informazione utile per valutare la convenienza dei singoli affari. In tema di contratto di assicurazione, l’art. 1892 c.c. prevede poi, come causa di annullamento di questo genere di contratto, le dichiarazioni inesatte e le reticenze del contraente, mentre l’art. 1898 c.c. obbliga lo stesso contraente ad avvisare immediatamente l’assicuratore dei mutamenti che aggravano il rischio assicurativo. E gli esempi nel codice civile si moltiplicano[12]

Alle fattispecie previste nel codice civile, come ben noto, si è venuto affiancando, arricchendole, un numero crescente di nuovi diritti sostanziali ora di «accesso a» ora di «esibizione di» documenti configurati in normative di carattere speciale; diritti sostanziali esercitabili dai loro titolari nei confronti di determinati soggetti passivi. 

Tra questi, il diritto di accesso ai documenti bancari oggetto della nostra indagine il cui scopo principale è stato quello di sancire una «nuova filosofia» ispirata alla trasparenza nella gestione della banca e nei rapporti con i clienti. 

Sotto il profilo tecnico-formale, quando il documento viene in considerazione come oggetto di diritti privati di carattere reale o obbligatorio, l’azione con cui l’avente diritto può far valere contro il detentore del documento il suo diritto reale o il suo diritto di credito è una comune rivendicazione o un’altra ordinaria azione di condanna intesa alla sua consegna al privato proprietario o creditore. In questo caso, la sentenza che accerti l’esistenza del diritto e condanni alla consegna o alla messa a disposizione del documento, può essere senz’altro attuata nelle forme dell’esecuzione in forma specifica ex art. 605 ss. c.p.c. (per la condanna alla consegna) o 612 ss. c.p.c. (per la condanna alla messa a disposizione o al rilascio delle informazioni rappresentate dal documento). 

In tale ristretta ottica, è facile pertanto ravvisare come la Corte di Cassazione non faccia fatica ad affermare che l'articolo 119, quarto comma, pone una norma sostanziale che disegna una specifica obbligazione a carico della banca, obbligazione che viene a far parte del contenuto contrattuale (l'obbligazione cioè di consegnare «copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni»).  Un’obbligazione che, a suo dire, resta “quiescente” fintanto che il cliente non trasmetta alla banca la relativa richiesta, trattandosi, nelle parole della Corte, di un diritto potestativo che, fin quando non esercitato, non impone dal lato della banca di fare alcunché.

Senonchè la Corte fa, per così dire, un passo ulteriore o diverso: ritiene infatti che l'istanza rivolta “in giudizio” -quindi l’istanza di esibizione processuale ex art. 210 c.p.c- alla banca avente ad oggetto gli estratti conto, ai sensi del quarto comma dell'articolo 119, consista in un'”azione di adempimento” che, in quanto tale, sia priva di senso qualora l'inadempimento non si sia ancora consumato, se non altro avuto riguardo alla sussistenza dell'interesse ad agire. 

Di qui l’evidenziata ricostruzione per cui il cliente può, se lo ritiene, e se ne ha l'esigenza, chiedere direttamente alla banca, e non per il tramite del giudice, la consegna degli estratti conto dell'ultimo decennio e, una volta inoltrata la richiesta, la banca è obbligata ad effettuare la consegna entro il termine previsto.

Ciò posto, ci pare che i tratti salienti dell’esibizione istruttoria di cui all’art. 210 c.p.c. meritino una maggiore enfasi rispetto a quella loro tributata dalla Corte di Cassazione rischiandosi, diversamente, di svilirne il fondamento quale espressione essenziale e diretta del diritto costituzionale alla prova oltreché manifestazione dell’onere della prova[13]. Un breve profilo evolutivo dell’istituto pare indispensabile per delinearne i tratti essenziali.

 

3. Fondamento e funzione dell’esibizione istruttoria

Sull’esempio della legislazione francese ed in ossequio al principio individualistico dei codici napoleonici, nella vigenza del codice di procedura civile del 1865, l’obbligo di esibire documenti in un giudizio era limitato alle ipotesi in cui il richiedente vantasse su di essi un diritto di natura privatistica. Nessuno, parte o terzo rispetto al giudizio, poteva essere costretto ad esibire nel processo medesimo documenti di cui non fosse proprietario, comproprietario o quantomeno documenti che non fossero anche a lui comuni, cioè documenti che costituissero la prova di atti o fatti cui il richiedente stesso avesse direttamente contribuito.

Per questo motivo, la possibilità di chiedere l’esibizione era ammessa solamente quando potesse essere vantato un diritto sostanziale sul documento; diritto che fungeva da giustificazione teorica e, contemporaneamente, da limite applicativo dell’ordine giudiziale di esibizione. L’istanza di esibizione veniva così (correttamente) strutturata come una actio ad exhibendum, fondata sul diritto di comproprietà o su un obbligo legale di presentazione.

Con l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura civile, l’idea sostanzialista che fino a quel momento aveva retto interamente la teoria dell’esibizione e che, in assenza di specifiche norme processuali, ne aveva anzi consentito la concreta edificazione, viene superata dal dato normativo degli artt. 210 e seguenti (oltre che dagli artt. 94 e 95 delle disposizioni di attuazione). 

La nuova disciplina libera l’esibizione da qualsiasi presupposto sostanziale e crea un istituto di ratio e funzione esclusivamente processuali, che riconosce alle parti il potere, puramente istruttorio, di pretendere l’esibizione di cose o documenti. Le parti medesime, nel corso del giudizio, possono quindi, da quel momento, ottenere dal giudice la pronuncia di un ordine di esibizione relativamente ad un documento di cui ritengano necessaria l’acquisizione al processo e che sia in possesso della controparte o di un terzo. 

Con il vigente codice, pertanto, alla valutazione privatistica imposta dal rilievo essenziale dato al diritto sul documento, si è sostituita la valutazione meramente processuale che è fondata sugli stessi principi cui sono informati l’interrogatorio formale della parte e la prova testimoniale del terzo.

Il fondamento pubblicistico del nuovo istituto e la sua base esclusivamente processuale, trovano espressa conferma nell’ enfatica presentazione che ne fa il Ministro Guardasigilli nella relazione (n°29) al nuovo codice di procedura civile con cui il legislatore manifesta tutta la sua fiducia in un rimedio di carattere e finalità puramente istruttorie[14]

Su questo presupposto, pare non potersi concordare con la Cassazione nella parte in cui, nella sentenza in commento, afferma che l'istanza rivolta “in giudizio” alla banca a consegnare gli estratti conto, ai sensi del quarto comma dell'articolo 119, si risolve in “un'azione di adempimento”. 

L’esibizione processuale non presuppone come essenziale, ma semmai ammette come puramente eventuale il fatto che la parte istante vanti la titolarità di un diritto sostanziale (nell’ipotesi più forte, la titolarità di un diritto reale di proprietà) sul documento o sulla cosa da esibire, né tantomeno richiede che comunque esista un rapporto sostanziale (di diritto e di obbligo all’esibizione) tra l’avente interesse e il possessore della res exhibenda; esso, invece, persegue una finalità esclusivamente processuale (o probatoria) imponendo al possessore (parte o terzo) un dovere pubblicistico di esibizione ogni qual volta l’interesse della giustizia lo reclama e quindi configurando nella parte che propone l’istanza un valido interesse all’esibizione, siccome svincolato da qualsiasi giustificazione o fondamento sostanziale, ogniqualvolta l’acquisizione forzata della prova sia di per sé necessaria all’accertamento della verità dei fatti controversi[15].

Occorre dunque tenere ben separato e distinto il diritto processuale all’esibizione -il quale, in presenza delle condizioni sancite dalla legge gode di una autonomia puramente strumentale e non può quindi costituire l’oggetto di un autonomo processo ma può essere esercitato solo incidenter nel corso di un giudizio già promosso per la tutela di un diritto soggettivo controverso, avente nulla a che fare con l’esibizione in sé- dai possibili diritti reali sulla res exhibenda o dagli eventuali diritti sostanziali all’esibizione, che invece godono di una propria autonomia giuridica e quindi possono, eventualmente, essere fatti valere con l’esercizio di una autonoma azione giurisdizionale, in sede cognitoria o anche eventualmente cautelare.

Come ha sempre notato la miglior dottrina, vi è, tra le due forme esibitorie, piena autonomia il che non esclude affatto la possibilità che i due diritti possano coesistere. In questo caso, occorre distinguere a seconda che sia stato fatto valere il diritto sostanziale all’esibizione quale autonomo oggetto di domanda giudiziale connessa con altra domanda o invece sia fatto valere solo il diritto processuale all’esibizione in via incidentale all’interno di un processo avente ad oggetto un diritto sostanziale diverso da quello all’esibizione: nella prima ipotesi «il giudice dovrà pronunciarsi con sentenza probabilmente non definitiva) attuabile nelle forme dell’esecuzione forzata; nel secondo con ordinanza e il provvedimento non sarà suscettibile di esecuzione forzata[16]

Nel nostro ordinamento, in altre parole, che a differenza di quelli che conoscono forme di discovery atte a favorire la conoscenza di informazioni utili per un futuro giudizio prima e fuori dallo stesso, la tendenza a dar corpo ad obblighi di informazione e di chiarimento di circostanze fattuali da versare (eventualmente) nel processo ad identificazione di un’azione giudiziale si coglie, per adesso,  nel menzionato riconoscimento di sempre nuove situazioni giuridiche da cui derivano veri e propri diritti sostanziali tesi, volta a volta, alla consegna di documenti ovvero alla messa a disposizione di documenti ovvero ancora alle informazioni rappresentate dal documento; diritti azionabili dai loro titolari nei confronti di determinati soggetti passivi, e finalizzati a consentire, eventualmente anche attraverso il ricorso al giudice, l’accertamento e il soddisfacimento di un diverso diritto di natura sostanziale. 

In questo senso, si è giustamente rilevato che l’elemento distintivo tra esibizione processuale ed esibizione sostanziale è costituito da ciò che il diritto processuale all’esibizione non può mai essere ad explorandum mentre quello sostanziale ha quasi sempre tale finalità in quanto serve a consentire l’acquisizione delle informazioni necessarie per l’esercizio eventuale di ulteriori diritti[17]

Ed è nella stessa prospettiva “processuale” che deve essere letto anche il requisito della “necessarietà” dell’acquisizione al processo espressamente previsto dall’art. 210 c.p.c. e da cui la Corte di Cassazione pare far dipendere il proprio ragionamento.  

Ciò che legittima l’ordine giudiziale di esibizione in giudizio di un documento, difatti, è la sua idoneità a fornire la prova di uno dei fatti in contestazione. Con il requisito della «necessarietà» del ricorso all’esibizione il legislatore si riferisce non al mezzo o alla fonte di prova da acquisire al giudizio bensì all’attività di acquisizione del mezzo o della fonte di prova. Tale attività diventa necessaria se ed in quanto il mezzo istruttorio (il documento) di cui si chiede l’esibizione appare idoneo a fornire elementi di conoscenza utili per l’accertamento dei fatti della causa; in altre parole, se ed in quanto il documento esibendo risulti rilevante. È vero che la valutazione circa la rilevanza dei documenti, quali prove precostituite, avviene normalmente dopo che essi sono stati acquisiti al processo; ma ciò è dovuto al fatto che «normalmente» i documenti entrano nel processo attraverso il semplice atto di parte della produzione. 

Nel caso dell’esibizione, invece, siamo di fronte ad un meccanismo istruttorio che ha bensì come oggetto una prova costituita (il documento), tuttavia essa è da «costituire» attraverso l’ordine del giudice, ragion per cui la rilevanza va vagliata prima che la prova sia acquisita al fine di stabilire se la sua acquisizione sia necessaria. 

Il mezzo istruttorio disciplinato dall’art. 210 c.p.c. non si pone fuori della regola generale vigente nel nostro ordinamento secondo la quale ogni prova rilevante va ammessa, salvo che essa debba escludersi per effetto di una specifica norma di legge. Nel caso dei documenti da assumere tramite l’esibizione non esiste motivo di porre una deroga al generale criterio della rilevanza per particolari ragioni attinenti alla natura del mezzo di prova. 

Diversamente la Corte di Cassazione interpreta oggi il requisito della “necessarietà” alla luce, ancora una volta, del dato puramente sostanziale emergente dall’art. 119 T.U.B., omettendo di considerare quello strettamente processuale che definisce i contorni dell’istanza di esibizione di cui all’art. 210 c.p.c., finendo con assumere che l'ordine di esibizione di un documento non può essere disposto allorquando l'interessato può di propria iniziativa acquisirne una copia e produrla in causa in virtù del suo diritto di esibizione sostanziale sub specie di diritto di accesso ai documenti bancari sancito dal quarto comma dell’art. 119 T.U.B.  

Ma se l’art. 119 T.U.B. ha assunto il diritto del privato all’accesso ai documenti come diritto sostanziale, diversamente, l’acquisizione documentale ai sensi dell’art. 210 c.p.c., costituisce l’esercizio di un potere processuale che non si pone come specifico strumento di tutela dello specifico interesse considerato dalla normativa bancaria ma, piuttosto, manifestazione del diritto costituzionale alla prova[18] in giudizi in cui il diritto fatto valere è diverso da quello di consegna dei documenti accessibili in base alla normativa sostanziale.

 

4. Osservazioni di sintesi

Storicamente, ciò che legittimava l’ordine di esibizione in giudizio di un documento era la preesistenza di un diritto di natura sostanziale della parte richiedente all’esibizione di quel documento; diritto soggettivo che in quanto tale poteva essere esercitato anche in un’autonoma azione giudiziaria, qualora fosse rimasto insoddisfatto dopo la richiesta di esibizione rivolta stragiudizialmente all’obbligato. 

In passato, dottrina e giurisprudenza facevano leva proprio sulla tutela di queste posizioni soggettive reali o obbligatorie per desumere l’esistenza di un potere del giudice di ordinare l’esibizione di prove documentali nell’ambito del processo civile. Solo la preesistenza di un diritto sostanziale giustificava il sacrificio a carico dell’obbligato del principio del nemo tenetur edere contra se

Oggi, il potere giudiziale ha un sicuro fondamento processuale, sebbene il suo esercizio sia confinato entro precisi limiti dalla propria natura istruttoria: è potere – secondo la lettera della norma che lo disciplina – volto ad ordinare l’acquisizione di documenti (o cose) necessari alla prova dei fatti rilevanti in causa – fatti prospettati o esposti a fondamento di una domanda o di un’eccezione quali elementi genetici dell’effetto giuridico invocato (e contestati) – ed è potere subordinato alla pendenza di un procedimento giurisdizionale e attivabile da un’istanza di parte nell’ambito dello stesso. 

Abbiamo avuto modo di rilevare che l’idea «sostanzialistica» che ha contribuito a costruire l’istituto dell’esibizione processuale per conseguire la conoscenza di documenti (o dei fatti in essi rappresentati) necessari ai singoli per curare i propri interessi in giudizio non è stata «assorbita» dall’istituto che ha contribuito a formare. Quell’idea è sopravvissuta all’istituto processuale ed anzi ha conosciuto, in tempo recente, una considerevole espansione grazie al riconoscimento in via legislativa (come pure in via giurisprudenziale) di una serie di diritti soggettivi all’accesso di documenti e alla conoscenza dei dati in questi contenuti, prima e fuori del giudizio. All’esibizione processuale, funzionale alla salvaguardia del diritto di difesa, del diritto di difendersi provando in un giudizio già instaurato, si affianca così, rafforzata, l’esibizione sostanziale finalizzata all’(eventuale) attivazione di rimedi giurisdizionali. 

La correlazione tra «conoscenza di documenti» e «difesa degli interessi del privato» rende palese il nesso di strumentalità tra l’una e l’altra. Quanto alla «cura degli interessi giuridici del privato» a cui la conoscenza di atti e comportamenti è strumentale, essa può sostanziarsi nella valutazione dell’opportunità di proporre un’azione in giudizio per conseguire, mediante il processo, il soddisfacimento di un diritto di natura sostanziale per la cui individuazione è resa necessaria la conoscenza di documenti in possesso di altri. Emerge così il collegamento dell’esibizione sostanziale con la garanzia dell’azione, la sua funzione «servente» rispetto all’azione giurisdizionale. 

Richiamando una delle condizioni stabilite per l’esibizione processuale si è sostenuto a volte che l’esercizio dei diritti di accesso e alla conoscenza di documenti in possesso di determinate categorie di soggetti non può legittimamente risolversi in una domanda di esibizione documentale per scopi meramente esplorativi. Ma il rilievo non è pertinente poiché la finalità di quei diritti non è quella istruttoria in senso tecnico, ovvero la ricerca e la conseguente acquisizione di prove idonee a supportare domande o eccezioni pro-poste nel corso di un giudizio. 

Quei diritti costituiscono autonomi diritti soggettivi all’informazione accordati al cittadino per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, sia in sede giurisdizionale che sostanziale. Mediante la richiesta delle informazioni, i titolari dei diritti in questione possono legittimamente tentare di acquisire dati su fatti, accadimenti, situazioni. La circostanza che in quel momento l’esperimento di un’azione non sia ancora iniziata ma sia meramente eventuale conferisce alla richiesta di informazioni carattere necessariamente esplorativo, laddove questo rappresenta uno dei principali limiti dell’esibizione istruttoria, a determinarne le rispettive aree di confine. 

Alla luce di questa prospettiva, il controverso problema sottoposto all’attenzione della Corte potrebbe forse meritare diversa soluzione. 
 

[1] Il richiamo è a Cass. 19 ottobre 1999, n. 11733 e a Cass. 13 luglio 2007, n. 15669. Come aggiunge la Corte, si tratta di un diritto sostanziale la cui sussistenza era stata in termini analoghi già riconosciuta, in relazione ad epoca in cui la norma in discorso non era stata ancora posta, in applicazione del principio di buona fede oggettiva e della sua attitudine ad operare anche quale fonte d'integrazione della stessa regolamentazione contrattuale ex articolo 1374 c.c., con ciò facendo riferimento a Cass. 22 maggio 1997, n. 4598). Circa la riferibilità della norma anche agli estratti conto, si osserva che sebbene la disposizione non contenga un riferimento espresso agli stessi potendo pertanto essere intesa, sul piano strettamente letterale, seppure con qualche forzatura, come riferita esclusivamente a documentazione concernente, appunto, singole operazioni, e non alla comunicazione sintetica dello svolgimento del rapporto in cui si sostanzia l'estratto conto, cionondimeno la norma si riferisce anche agli estratti conto come da giurisprudenza consolidata sul punto (il richiamo è a Cass. 19 ottobre 1999, n. 11733; Cass. 27 settembre 2001, n. 12093 e Cass. 13 luglio 2007, n. 15669).

[2] Come specifica la Corte nei passaggi della sentenza l’ipotesi è quella di controversie definite “ad alto coefficiente di serialità” che per lo più vedono il cliente, titolare di un rapporto di conto corrente, normalmente affidato, agire nei confronti della banca per ottenere la dichiarazione di nullità parziale di talune clausole contrattuali (clausole anatocistiche, clausole concernenti la quantificazione degli interessi, clausole concernenti spese, e così via), con conseguente domanda di ripetizione di indebito, ai sensi dell'articolo 2033 c.c..

[3] In sintesi, pertanto, ai sensi del secondo comma dell'articolo 119 la banca è tenuta a trasmettere periodicamente gli estratti conto al cliente e, ai sensi del quarto comma il cliente, o chi per lui, ha diritto di ottenere copia degli estratti conto che pur la banca gli abbia periodicamente trasmesso. La differenza, ben lo si vuole precisare, è che mentre la prima obbligazione (quella di cui al secondo comma) sorge con la stipulazione del contratto, che ne regola i tempi, ed in particolare la cadenza, e i modi, (gli estratti conto possono essere consegnati, a scelta del cliente, in cartaceo o su supporto informatico), «con la conseguenza che l'inadempimento dell'obbligazione, tenuto conto che essa è modellata quale obbligazione da adempiersi presso il cliente, creditore della prestazione, si consuma una volta che il termine sia spirato senza che la banca abbia provveduto, salvo il caso della causa non imputabile, alla consegna degli estratti conto nei modi contrattualmente previsti», l'obbligazione di cui al quarto comma che pur sempre nasce dal contratto, diversamente, deve essere adempiuta solo se il cliente abbia avanzato la relativa richiesta, «sicché, fintanto che la richiesta non sia stata avanzata, attraverso l'esercizio della facoltà normativamente contemplata, neppure diviene attuale l'obbligazione in capo alla banca, con l'ulteriore conseguenza che non è pensabile il concretizzarsi di un suo inadempimento, che invece scatta solo ove la richiesta del cliente vi sia stata, e sia spirato inutilmente il termine allo scopo previsto».

[4] Si è in particolare precisato, in controversia sostanzialmente sovrapponibile a quella in commento, che non può aderirsi all'interpretazione secondo cui, in ragione del principio di prossimità o vicinanza della prova, debba essere la banca a fornire la documentazione che la cliente non abbia avuto cura di conservare, giacché «il principio di prossimità o vicinanza della prova, in quanto eccezionale deroga al canonico regime della sua ripartizione, secondo il principio ancor oggi vigente che impone (incumbit) un onus probandi ei qui dicit non ei qui negat, deve trovare una pregnante legittimazione che non può semplicisticamente esaurirsi nella diversità di forza economica dei contendenti, ma esige l'impossibilità della sua acquisizione simmetrica, che nella specie è negata proprio dall'obbligo richiamato dall'art. 117 t.u.b., secondo cui, in materia bancaria, i contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti. L'assunto per cui tale consegna non sarebbe avvenuta, avrebbe dovuto costituire oggetto di una apposita e tempestiva documentata istanza all'Istituto di credito; analoghe considerazioni valgono in relazione agli estratti conto non depositati e mancanti, comunque utili alla ricostruzione dell'andamento del rapporto» (Cass. 4 aprile 2016, n. 6511).

[5] La Corte precisa che il principio è stato pronunciato nell'ambito di una controversia anch'essa sovrapponibile a quella oggi in discussione — conclusasi, in sede di merito, con un rigetto, per difetto di prova, di una domanda di ripetizione dell'indebito proposta da una società nei confronti di una banca, in ragione dell'addebito di interessi anatocistici. Secondo il giudice di appello, in particolare, non poteva trovare accoglimento la richiesta di esibizione della documentazione relativa al conto corrente, ai sensi dell'articolo 210 c.p.c., formulata dal cliente nei confronti della banca: e ciò perché l'esibizione documentale può essere disposta solo quando il richiedente non disponga di altro strumento o modalità per accedere ai relativi documenti, mentre, nel caso di specie, tale documentazione doveva considerarsi nella disponibilità della parte istante, poiché il cliente avrebbe potuto richiederla direttamente alla banca, cosa che non aveva fatto.

[6] «Come è stato rilevato, con tale norma la legge dà vita a una facoltà che non è soggetta a restrizioni ... e con cui viene a confrontarsi un dovere di protezione in capo all'intermediario, per l'appunto consistente nel fornire degli idonei supporti documentali alla propria clientela, che questo supporto venga a richiedere e ad articolare in modo specifico. Un dovere di protezione idoneo a durare, d'altro canto, pure oltre l'intera durata del rapporto, nel limite dei dieci anni a seguire dal compimento delle operazioni interessate. Posta questa serie di rilievi, appare chiaro come non possa risultare corretta una soluzione ... che limiti l'esercizio di questo potere alla fase anteriore all'avvio del giudizio eventualmente intentato dal correntista nei confronti della banca presso la quale è stato intrattenuto il conto. Ché una simile ricostruzione non risulta solo in netto contrasto con il tenore del testo di legge, che peraltro si manifesta inequivoco. La stessa tende, in realtà, a trasformare uno strumento di protezione del cliente ... in uno strumento di penalizzazione del medesimo: in via indebita facendo transitare la richiesta di documentazione del cliente dalla figura della libera facoltà a quella, decisamente diversa, del vincolo dell'onere» (v. ancora Cass. 11 maggio 2017, n. 11554 seguita quasi pedissequamente da Cass. 8 febbraio 2019, n, 3875; Cass. 4 dicembre 2019, n. 31650; Cass. 30 ottobre 2020, n. 24181).

[7] La Corte rammenta come la stessa abbia in più occasioni affermato che la disposizione dell'articolo 1453 c.c., secondo cui nei contratti con prestazioni corrispettive la risoluzione può essere domandata anche quando inizialmente sia stato chiesto l'adempimento, fissa un principio di contenuto processuale in virtù del quale la parte che ha invocato la condanna dell'altra ad adempiere può sostituire a tale pretesa quella di risoluzione non solo per tutto il giudizio di primo grado, ma anche nel giudizio di appello, in deroga agli articoli 183, 184 e 345 c.p.c. (Cass. 4 ottobre 2004, n. 19826; Cass. 24 maggio 2005, n. 10927; Cass. 10 gennaio 2008 n. 1003; Cass. 6 aprile 2009, n. 8234; Cass. 20 giugno 2014, n. 14088; Cass. 28 maggio 2015, n. 11037). Ed ancora, sempre ad esempio, nel giudizio relativo alla prestazione di alimenti, stante l'inequivoco tenore dell'articolo 440 c.c., occorre tener presenti i mutamenti delle condizioni economiche delle parti verificatesi in corso di causa. (Cass. 22 gennaio 2019, n. 1577).

[8] A sostegno si argomenta che l'articolo 12 delle preleggi esige tuttora che nell'applicare la legge non si possa ad essa attribuire altro senso che quello «fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la connessione di esse», oltre che dalla intenzione del legislatore. Invece, nel caso di specie, non vi sarebbe alcun elemento dal quale desumere che il cliente possa “di default” ottenere a lite pendente la consegna degli estratti conto «attraverso qualunque mezzo si mostri idoneo allo scopo» (così la citata Cass. 11 maggio 2017, n. 11554), ivi compreso l'ordine di esibizione impartito dal giudice ai sensi dell'articolo 210 c.p.c., ordine che, viceversa, alla stregua della giurisprudenza della Cassazione stessa non può avere ad oggetto nient'altro che documenti che la parte non possa procurarsi da sé a pena di “scardinare” le regole del riparto degli oneri probatori siccome definite dalla fondamentale disposizione dettata dall'articolo 2697 c.c., applicato alla materia dei contratti di conto corrente bancario secondo giurisprudenza consolidata. V. per es. Cass. 2 maggio 2019, n. 11543, in cui si osserva che, ove sia il correntista ad agire giudizialmente per l'accertamento giudiziale del saldo e la ripetizione delle somme indebitamente riscosse dall'istituto di credito, è esso correntista, attore in giudizio, a doversi far carico della produzione dell'intera serie degli estratti conto.

[9] Nelle sue parole: «Sicché, posto che il legislatore può nella sua signoria senz'altro modificare il riparto degli oneri probatori altrimenti derivanti dall'applicazione della norma basilare, e può modificare le regole processuali applicabili, è tuttavia naturale attendersi che lo faccia con parole chiare: il che nella specie non è, con la conseguenza che trarre dal precetto dettato dell'articolo 119, quarto comma, il principio secondo cui detta norma può trovare applicazione anche a giudizio pendente, “attraverso qualunque mezzo si mostri idoneo allo scopo”, sebbene il correntista non abbia previamente effettuato la richiesta alla banca, e questa non vi abbia adempiuto, significa deviare dall'osservanza del fondamentale criterio di ermeneutica legale previsto dal citato articolo 12 delle preleggi, e dare per dimostrato ciò che dovevasi dimostrare».

[10] Secondo questa ricostruzione, di conseguenza, il cliente può, se lo ritiene, e se ne ha l'esigenza, chiedere direttamente alla banca, e non per il tramite del giudice, la consegna degli estratti conto dell'ultimo decennio e, una volta inoltrata la richiesta, la banca è obbligata ad effettuare la consegna entro il termine previsto. Così come congegnata, la norma, in difetto di alcuna previsione normativa in tal senso, non impatterebbe né sul riparto degli oneri probatori, né sulla disciplina processuale applicabile. Solo in caso di inadempimento della banca dell'obbligazione sancita dal quarto comma dell'articolo 119, il cliente ha così la possibilità di proporre istanza di esibizione ex art. 210 c.p.c. In conclusione, utilizzando le espressioni oggi utilizzate dalla Cassazione nella decisione in oggetto, se il cliente, o chi per lui, ha esercitato il diritto di cui al quarto comma dell'articolo 119, e la banca non vi ha ottemperato, l'ordine di esibizione è, in presenza dei presupposti ora indicati, indubbiamente impartito in conformità alla previsione normativa. Se il cliente non ha invece effettuato la preventiva richiesta non vi sono margini per l'ordine di esibizione di cui all'articolo 210 c.p.c.

[11] In passato la dottrina faceva leva proprio sull’esistenza di posizioni soggettive sostanziali per costruirvi forme di esibizione documentale nell’ambito del processo civile. Così ad esempio Calamandrei affermava che «il dovere (processuale) di esibire in giudizio documenti a sé sfavorevoli sorge nella parte come conseguenza del suo obbligo (sostanziale) di consegnare alla controparte la cosa che a questa è dovuta, o di impedire che questa si serva in giudizio della cosa che le appartiene». Ed in questa prospettiva configurava l’ordine del giudice come una «scorciatoia» nell’ambito del giudizio già instaurato, rispetto all’esercizio dell’azione per via ordinaria in un autonomo giudizio (Conseguenze della mancata esibizione di documenti in giudizio, in Riv. dir. proc., 1930, p. 293). 

[12] A tali disposizioni espressamente previste per singoli contratti tipici si affiancano, poi, anche normative di carattere generale. L’art. 1338 c.c., nel titolo dedicato ai contratti, contiene, per esempio, l’obbligo di comunicazione delle notizie legate alla validità del contratto e tale norma trova la sua correlazione necessaria nel precedente art. 1337 c.c. che, richiedendo alle parti di comportarsi secondo buona fede sia nello svolgimento delle trattative che nella formazione del contratto, dispone indubbiamente un obbligo generale di informazione a carico delle parti. Anche l’art. 1175 c.c., infine, imponendo al creditore ed al debitore di comportarsi secondo regole di correttezza, implica un dovere reciproco di informazione in presenza di ogni rapporto obbligatorio, senza contare gli artt. 1374 e 1375 che vedono nella buona fede una fonte di integrazione del contratto prima ancora che una regola di esecuzione e interpretazione del contratto stesso.

[13] Si rinvia, quanto ad un approfondito esame, ai lavori base di La China, L'esibizione delle prove nel processo civile, Milano, 1960; Sparano, L'esibizione delle prove e la sua evoluzione, in Dir. giur., 1960, 140 ss.; Cavallone, voce Esibizione delle prove, cit.; Graziosi, L'esibizione istruttoria, Milano, 2003; Volpino, Dell'esibizione delle prove, Commento all'art. 210 c.p.c., in Commentario del Codice di procedura civile, a cura di Sergio Chiarloni, Libro II: Processo di cognizione art.191-266, a cura di Michele Taruffo, Istruzione probatoria, Bologna, 2014, 185 ss.

[14] Per una analisi di approfondimento mi permetto di fare rinvio al nostro Esibizione di documenti e discovery, Torino, 2004, p. 252 ss. Come noto, il dato normativo di carattere generale, quello cioè che disciplina l’esibizione documentale come mezzo istruttorio, è rappresentato dal primo comma dell’art. 210 c.p.c. (ordine di esibizione alla parte o al terzo). La norma stabilisce che «negli stessi limiti entro i quali può essere ordinata a norma dell’art. 118 l’ispezione di cose in possesso di una parte o di un terzo, il giudice istruttore, su istanza di parte può ordinare all’altra parte o a un terzo di esibire in giudizio un documento o altra cosa di cui ritenga necessaria l’acquisizione al processo». La disciplina legislativa dell’esibizione processuale é poi completata dall’ art. 94 delle disposizioni di attuazione del Codice di procedura civile, articolo rubricato «istanza di esibizione», ai sensi del quale «La istanza di esibizione di un documento o di una cosa in possesso di una parte o di un terzo deve contenere la specifica indicazione del documento o della cosa e, quando è necessario, l’offerta della prova che la parte o il terzo li possiede». Dal combinato disposto di questi due articoli emergono i seguenti indici normativi che concorrono a delineare la fisionomia dell’istituto e, anzitutto, anzitutto, l'«istanza di parte». L’esibizione processuale, è collocata, non a caso, tra i mezzi di prova a disposizione delle parti in base al principio dettato dall’art. 115 c.p.c. e non già, a differenza dell’ispezione - cui peraltro la disciplina esibitoria rimanda-, tra i «Poteri del giudice». Nella scelta del legislatore vi è evidentemente, oltre all’ossequio dei principi generali -primo fra tutti il “principio dispositivo” che connota il modello processuale cui il nostro ordinamento si è informato e che nel codice di procedura civile trova nel succitato articolo 115 solo una delle sue espressioni-, la considerazione di ordine pragmatico per cui di regola è la parte più che il giudice che è in grado di soddisfare i presupposti a cui è subordinata la possibilità operativa dell’istituto. E’ la parte, cioè, più che il Giudice, la quale conosce se nella sfera giuridica della controparte o di un terzo vi sia un documento rilevante per la dimostrazione dei fatti dalla medesima allegati.  

[15] V. le chiare lettere di L. P. Comoglio, Le prove civili, Torino, 2004, pp. 569-570.

[16] Così Proto Pisani, Note in tema di diritto sostanziale e di diritto processuale all’esibizione, in Riv. dir. proc., 1996, pp. 574-581.

[17] Id. pp. 579.

[18] Sull’elaborazione e sul concetto di “diritto alla prova” nel nostro ordinamento v. Cappelletti, Diritto di azione e di difesa e funzione concretizzatrice della giurisprudenza costituzionale (art. 24 Costituzione e «due process of law clause»), in Giur. cost., 1961, p. 1284; Vigoriti, Garanzie costituzionali del processo civile. Due process of law e art. 24 Cost., Milano, 1970; Trocker, Processo civile e Costituzione, Milano, 1974, p. 513; Taruffo, Il diritto alla prova nel processo civile, in Riv. dir. proc., 1984, p. 74 ss.; Tarzia, Problemi del contraddittorio nell’istruzione probatoria civile, ivi, p. 634; Patti, voce Prova (diritto processuale civile), in Enc. giur. Treccani, XXV, Roma, 1991; L.P. Comoglio, Giurisdizione e processo nel quadro delle garanzie costituzionali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1994, p. 1063; Id., Le prove civili, II ed., Torino, 2004, p. 27 ss.; Andolina-Vignera, I fondamenti costituzionali della giustizia civile, Il modello costituzionale del processo civile italiano, Torino, 1997, p. 97 ss.; Graziosi, L’esibizione istruttoria, Milano, 2003, p. 11 ss. che ripercorre storicamente le tappe principali di elaborazione del concetto.

26/11/2021
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