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Giurisprudenza e documenti

"Data retention" e diritto transitorio: un possibile punto fermo giurisprudenziale

di Marcello Buffa
giudice del Tribunale di Varese

In una recentissima pronuncia (Cass. Pen. Sez. III, n. 11993/2022) la Suprema Corte si confronta con le indicazioni provenienti dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sancendo l’utilizzabilità dei dati di traffico telefonico e telematico acquisiti in un procedimento penale prima dell’entrata in vigore della recente modifica ad opera del legislatore dell’art. 132 D.lgs. n. 196/2003.

1. Premessa

La pronuncia in commento aggiunge un ulteriore tassello – possibilmente l’ultimo, considerato il livello di approfondimento delle questioni affrontate dalla sentenza – alla nota vicenda legislativa e giurisprudenziale che ha di recente interessato la disciplina dei c.d. dati esterni. Tra le questioni affrontate dalla sentenza, ve ne è una di grande interesse, sintetizzabile nel seguente interrogativo: quale sorte riservare, nell’ambito di un procedimento penale ancora pendente, ai dati di traffico acquisiti prima della modifica normativa intervenuta sull’art. 132 D. Lgs. n .196/2003 ad opera del D.L. n. 132 del 30.9.2021 e della successiva legge di conversione? In altri termini: devono ritenersi affetti da inutilizzabilità tutti i dati acquisiti con decreto del Pubblico Ministero ovvero per reati che non possano considerarsi “gravi” alla stregua dei parametri fissati dal novellato art. 132 co. 3 del D.lgs. n. 196/2003?

Prima di porre l’attenzione sul profilo di maggiore interesse affrontato dalla sentenza in commento, appare opportuna una sintetica ricognizione[1] delle principali tappe attraverso le quali si è giunti all’attuale assetto normativo in materia di dati esterni.

 

2. Il quadro antecedente alla novella e l’intervento della Corte di Giustizia con la sentenza Grande Camera, 2.3.2021, H.K. c. Prokuratuur, C-746/18

Fino alla recente modifica intervenuta con D.L. n. 132 del 30.9.2021 (poi convertito con legge n. 179 del 23.11.2021, con una rilevante differenza della quale si dirà) l’art. 132 del D.lgs. n. 196/2003 riconosceva al Pubblico ministero il potere di acquisire, con decreto motivato, i dati relativi al traffico telefonico e telematico (tra i quali rientrano i c.d. tabulati telefonici)[2], senza che fosse necessario – diversamente da quanto richiesto dagli artt. 267 ss. c.p.p. in materia di intercettazioni telefoniche – un provvedimento autorizzativo da parte del Giudice delle indagini preliminari e senza la previsione di un catalogo di reati per i quali era consentito l’impiego del mezzo di ricerca della prova.

Tale pluriennale assetto è stato stravolto dalla ormai celebre sentenza della Corte di Giustizia H.K. c. Prokuratuur, C-746/18, che ha affermato due principi:

1) l’art. 15 paragrafo 1 della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali, osta ad una normativa nazionale, che consenta alle autorità pubbliche nazionali una conservazione «generalizzata e indifferenziata» dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all'ubicazione, cioè senza che tale accesso sia circoscritto al contrasto di gravi forme di criminalità;

2) la medesima disposizione osta ad una normativa nazionale che consenta al Pubblico Ministero (rectius, «al soggetto il cui compito è di dirigere il procedimento istruttorio penale e di esercitare, eventualmente, l’azione penale») di autorizzare direttamente l’acquisizione di tali dati, in assenza di un controllo da parte di un giudice ovvero di «un’entità amministrativa indipendente»[3].

La pronuncia della Corte di Lussemburgo ha sin da subito messo gli interpreti – non ultimi i giudici di merito – di fronte al problema del se e del come la sentenza eurounitaria potesse incidere in ambito nazionale, soprattutto ove si consideri l’amplissima portata applicativa dello strumento investigativo dei c.d. tabulati telefonici nella quotidiana prassi giudiziaria. In questa sede ci si limita a ricordare come la Corte di Cassazione, già con una prima pronuncia[4] di poco successiva alla sentenza della Corte di Giustizia, aveva ritenuto quest’ultima di per sé improduttiva di effetti diretti nell’ordinamento giuridico interno: ciò in virtù del consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale per cui l’adattamento diretto del diritto interno a quello eurounitario (in altri termini, la c.d. disapplicazione diretta della norma interna in contrasto con quella comunitaria) è possibile solo in caso di norme europee che siano provviste di efficacia diretta, cioè che siano per loro natura capaci di incidere direttamente sul tessuto normativo nazionale, come avviene nei casi di norme contenute in regolamenti o in direttive c.d. self executing. Nel caso di specie, la norma in questione è contenuta in una direttiva[5] che, alla stregua dei criteri elaborati dalla giurisprudenza costituzionale, risulta priva di efficacia diretta.

 

3. Il primo intervento del legislatore sulla materia: il D.L. 30 settembre 2021, n. 132

In un contesto di soluzioni eterogenee adottate dalle prime pronunce di merito[6], il legislatore aveva fornito una risposta ai dubbi degli interpreti con il D.L. 30 settembre 2021, n. 132, riscrivendo l’art. 132 D.lgs. n. 196/2003, che recitava: «3. Entro il termine di conservazione imposto dalla legge, se sussistono sufficienti indizi di reati per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, determinata a norma dell'articolo 4 del codice di procedura penale, e di reati di minaccia e di molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono, quando la minaccia, la molestia e il disturbo sono gravi, ove rilevanti ai fini della prosecuzione delle indagini, i dati sono acquisiti presso il fornitore con decreto motivato del giudice su richiesta del pubblico ministero o su istanza del difensore dell'imputato, della persona sottoposta a indagini, della persona offesa e delle altre parti private». «3-bis. Quando ricorrono ragioni di urgenza e vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave pregiudizio alle indagini, il pubblico ministero dispone la acquisizione dei dati con decreto motivato che è comunicato immediatamente, e comunque non oltre quarantotto ore, al giudice competente per il rilascio dell'autorizzazione in via ordinaria. Il giudice, nelle quarantotto ore successive, decide sulla convalida con decreto motivato. Se il decreto del pubblico ministero non è convalidato nel termine stabilito, i dati acquisiti non possono essere utilizzati»;

Venivano così recepite le indicazioni provenienti dalla Corte di Giustizia, operando su un fronte duplice:

- sul piano soggettivo, una giurisdizionalizzazione della procedura di acquisizione dei dati, prevedendo che gli stessi possano entrare nel procedimento penale solo con decreto motivato del giudice procedente (fatti salvi i casi in cui l’acquisizione dei dati si riveli urgente);

- sul piano oggettivo, il requisito della “gravità” dei reati (elemento che nell’impostazione della Corte sovranazionale funge da contrappeso all’incisione sul diritto alla riservatezza) si è tradotto nel limitare l’uso del mezzo di ricerca della prova a quei reati puniti con reclusione non inferiore a tre anni (insieme ad altri delitti tassativamente previsti).

 

4. Il problema del diritto intertemporale

Risolto, dunque, il problema pro futuro, l’interprete si trova però di fronte a un interrogativo di non poco conto: quale sorte riservare ai dati che hanno già fatto ingresso nel procedimento penale, sotto la vigenza della disciplina antecedente alla novella legislativa e, quindi, senza rispettare le maggiori garanzie richieste dal diritto europeo? Come accade ogni qualvolta alla successione di norme processuali non si accompagni un’apposita disciplina transitoria che regoli gli effetti del passaggio dalla vecchia alla nuova disciplina, si pone quindi il problema di individuare la disciplina processuale applicabile. 

A tale problema, generalmente, può porsi rimedio in due modi: il primo – preferibile perché maggiormente rispettoso del principio di legalità penale, intesa quale prevedibilità – è l’espressa previsione da parte del legislatore di una disciplina intertemporale; il secondo, chiamato a operare in assenza del primo, è il ricorso ai principi generali in materia di successione di leggi nel tempo.

Muovendo dal primo dei due rimedi, la bozza del D.L. 132/2021 conteneva una disciplina intertemporale[7]: l’art. 2 co. 1 prevedeva che i dati acquisiti nel vigore della precedente disciplina fossero comunque utilizzabili «quando l’acquisizione è stata disposta dall’autorità giudiziaria», mentre il secondo comma disegnava una procedura di acquisizione nel contraddittorio delle parti («ai fini del comma 1, nella prima udienza successiva alla data di entrata in vigore del presente decreto il giudice, sentite le parti, provvede con ordinanza alla convalida del provvedimento di acquisizione dei dati»). Sennonché, nella versione del testo di legge poi entrata in vigore, tali disposizioni sono state soppresse.

Scartata la strada della disciplina transitoria, non resta che far ricorso ai principi generali che, nel caso di specie, sembrano condurre all’applicazione del principio tempus regit actum. Costituisce infatti approdo consolidato – anche nella giurisprudenza sovranazionale[8] - quello per cui i principi del divieto di retroattività della legge sfavorevole e di retroattività della lex mitior, presidi del diritto penale sostanziale, di regola non trovano applicazione per il diritto processuale. Tale materia è invece regolata dall’opposto principio del tempus regit actum, brocardo che sintetizza la regola generale fissata nell’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale («La legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo»).

Non a caso, nell’affermare che il principio non opera automaticamente in materia di misure cautelari personali – ambito in cui risulta particolarmente evidente, in termini di capacità di incisione sulla libertà personale, una certa “vicinanza” della norma processuale a quella sostanziale – le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, hanno ribadito la valenza di regola generale del tempus regit actum, «brocardo che costituisce una guida logica, semplice e certa per il compimento dell’atto e consente di risolvere spesso senza incertezze i problemi di diritto intertemporale che insorgono, o possono insorgere, quando una determinata materia sia regolata da norme di diverso contenuto che si susseguono nel tempo»[9].

Così tratteggiata la cornice teorica della questione, torniamo al nostro interrogativo iniziale, muovendo un passo ulteriore: la regola del tempus regit actum può essere applicata anche rispetto a una norma – l’art. 132 del D.lgs. n. 196/2003 – che opera in materia di prove?

Al quesito pare potersi dare risposta affermativa, trattandosi di norma certamente processuale e scevra di ricadute di tipo sostanzialistico[10]. Del resto, già nella contigua materia delle intercettazioni telefoniche si era affermato che «l'individuazione dei requisiti e dei presupposti legittimanti i mezzi di ricerca della prova e l'utilizzazione dei relativi elementi è regolata dal principio tempus regit actum»[11].

Muovendo da tali premesse, in una prima pronuncia resa prima dell’entrata in vigore della legge del 23 novembre 2021 n. 178, la Corte di Cassazione aveva ritenuto che, in mancanza di una disciplina intertemporale, gli elementi di prova acquisiti dovessero ritenersi utilizzabili, essendo «indubbio che si verta su materia processuale riguardante la ricerca della prova»[12]

La soluzione, rispettosa dei principi generali, aveva incontrato il favore dei primi commentatori[13]. Si poteva però immaginare un ulteriore problema, legato al tipo di norma processuale interessata: posto che il procedimento probatorio non ha natura istantanea, bensì si compone di più fasi (ammissione, assunzione, acquisizione)[14], quale dei tre momenti costituisce il punto esatto – cioè l’actus – nel quale le lancette dell’orologio processuale si fermano, individuando così il tempus a cui fare riferimento? 

Muovendo da simile considerazione– nonché dalla premessa per cui la normativa interna in materia di data retention sarebbe nella sua totalità contraria al diritto comunitario – vi è chi ha osservato come finché il procedimento probatorio non sia concluso, il giudice di primo grado così come quello dell’impugnazione sarebbero comunque tenuti a un controllo sulla legittimità dell’elemento probatorio acquisito, dovendo se del caso rilevare d’ufficio anche un’illegittimità sopravvenuta[15].

 

5. Il secondo intervento del legislatore: l’introduzione di una disciplina transitoria

L’interrogativo è destinato per il momento a non trovare risposta, poiché a soli due mesi di distanza dall’introduzione del D.L. n. 132/2021, il legislatore è nuovamente intervenuto sulla materia in sede di legge di conversione (legge del 23 novembre 2021 n. 178) e, colmando l’evidente lacuna dell’originaria disciplina, ha aggiunto all’art. 1 del citato decreto il comma 1-bis, che recita: «I dati relativi al traffico telefonico, al traffico telematico e alle chiamate senza risposta, acquisiti nei procedimenti penali in data precedente alla data di entrata in vigore del presente decreto, possono essere utilizzati a carico dell’imputato solo unitamente ad altri elementi di prova ed esclusivamente per l’accertamento dei reati per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, determinata a norma dell’articolo 4 del codice di procedura penale, e dei reati di minaccia e di molestia o disturbo alle persone con il mezzo del telefono, quando la minaccia, la molestia o il disturbo sono gravi».

Si tratta a tutti gli effetti di una norma transitoria, la cui applicazione conduce, nel merito, al medesimo esito a cui si perviene facendo applicazione dei principi generali: si sceglie la via dell’utilizzabilità dei dati relativi al traffico telefonico e telematico che siano stati acquisiti nei procedimenti penali in un momento precedente all’entrata in vigore del D.L. 132/2021, utilizzabilità subordinata alla condizione – ulteriore, rispetto al requisito della “gravità” del reato, già previsto nella originaria formulazione del decreto legge – che gli elementi probatori in tal modo acquisiti vegano valutati unitamente ad altri elementi di prova.

 

6. La norma transitoria al vaglio della Corte di Cassazione, Cass. n. 11993/2022

Così riassunti i principali passaggi che hanno condotto all’attuale assetto normativo della materia, disponiamo ora delle coordinate interpretative per la lettura della sentenza in commento[16], chiamata ad affrontare la questione dell’utilizzabilità dei tabulati acquisiti prima dell’entrata in vigore della Legge del 23 novembre 2021 n. 178 e a confrontarsi con la nuova disciplina transitoria.

La peculiarità della fattispecie concreta portata all’attenzione dei giudici di legittimità si riflette nell’articolazione dei motivi di impugnazione formulati del ricorrente: ai primi motivi di doglianza, nei quali si chiedeva la disapplicazione della disciplina nazionale perché ritenuta in contrasto con i dettami della sentenza CGUE Prokuratuur c. HK, se ne sono poi aggiunti altri ex art. 585 co. 4 c.p.p. poiché, successivamente al deposito del ricorso, in un primo momento, veniva emanato il D.L. 132/2021 e, poco dopo, interveniva la relativa legge di conversione, che ha introdotto la disciplina transitoria di cui si è detto. I motivi aggiunti del ricorrente si concentrano proprio sull’ultima novella, della quale si lamentano due livelli di illegittimità: 

- costituzionale, poiché sarebbe irragionevole legittimare l’utilizzabilità dei tabulati acquisiti sotto la disciplina previgente in assenza di una sanzione processuale, essendo insufficiente a garantire il rispetto dei vincoli europei la previsione dell’obbligo di valutare i dati acquisiti unitamente ad altri elementi di prova;

- eurounitario, perché la norma transitoria consente comunque di utilizzare dati acquisiti unilateralmente da una parte processuale, il Pubblico Ministero, in violazione dell’art. 15 della direttiva 2002/58 CE.

Pur dichiarando infondato il ricorso per motivi di rito, la Suprema Corte affronta comunque il merito delle questioni sollevate, in un articolato obiter dictum, ritenendole infondate. 

Ripercorrendo in maniera puntuale i principali passaggi motivazionali della sentenza HK c. Prokuratuur, i giudici di legittimità richiamano a più attenta lettura della stessa, evidenziando come la Grande Camera non abbia decretato in modo assoluto l’inutilizzabilità dei dati acquisiti in violazione dell’art. 15 della direttiva 2002/58 CE. In realtà, osserva la Cassazione, la Corte di Lussemburgo ha lasciato agli Stati membri la possibilità di porre rimedio alla violazione del diritto europeo attraverso tre strade alternative: l’inutilizzabilità tout court dei dati acquisiti in violazione della direttiva, la previsione di limiti ulteriori in tema di valutazione della prova, la valutazione in punto di dosimetria della pena. Osserva la Suprema Corte come il legislatore italiano abbia optato per la seconda via, prevedendo che i dati acquisiti prima delle modifiche apportate nel 2021 possano essere utilizzati solo per l’accertamento di reati gravi e soltanto unitamente ad altri elementi di prova. In un’ottica di necessario bilanciamento degli interessi in gioco, si rimedia a un vulnus di (supposta) imparzialità dell’Autorità Giudiziaria che dispone l’acquisizione dei dati mediante un rafforzamento dell’onere probatorio e motivazionale in capo al giudice. Non solo: anche l’ulteriore condizione della garanzia del principio del contraddittorio risulta rispettata, potendo la difesa concretamente esercitare tale diritto costituzionale attraverso il diritto alla prova contraria[17]

Nel caso di specie, che vede il ricorrente imputato del reato di cui agli artt. 609-bis e 609-octies c.p., la Corte ritiene soddisfatti tutti i requisiti di utilizzabilità: si tratta di un reato grave (violenza sessuale di gruppo) che rientra nei limiti edittali previsti dalla nuova normativa, i tabulati sono stati valutati dai giudici di merito unitamente ad altri elementi di prova (dichiarazioni rese dalla persona offesa e dall’imputato) e la difesa ha esercitato il diritto al contradditorio invocando i tabulati quale prova contraria.

 

7. Osservazioni conclusive

Al di là del merito – condivisibile[18] – della soluzione adottata, rispetto ad altre pronunce di legittimità che pure hanno affrontato e risolto la questione pervenendo al medesimo esito[19], la pronuncia in esame suscita particolare interesse per l’iter motivazionale seguito, poiché perviene ad affermare l’utilizzabilità dei tabulati acquisiti nel vigore della previgente disciplina operando un controllo in concreto del rispetto, da parte del legislatore nazionale, dei principi enunciati dalla sentenza CGUE HK c. Prokuratuur.

Pur non trovandovi esplicita menzione, la pronuncia in commento fa applicazione del c.d. principio di autonomia procedurale degli Stati membri[20], principio cardine che regola i rapporti tra diritto dell’Unione e diritti nazionali, nelle parole della stessa Corte di Giustizia così definibile: «in assenza di norme dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro, in virtù del principio dell’autonomia procedurale, stabilire le regole di procedura applicabili ai ricorsi giurisdizionali destinati a garantire la tutela dei diritti riconosciuti ai singoli dal diritto dell’Unione, a condizione però che le regole suddette non siano meno favorevoli di quelle disciplinanti situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano impossibile in pratica o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (principio di effettività)»[21].


 
[1] Per una trattazione approfondita del tema della data retention, si vedano le due Relazioni del Massimario della Corte di Cassazione, nn. 55/2021, https://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/14_10_21_Relazione_n_55_2021.pdf e 67/2021, https://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/Rel.67-2021.pdf  

[2] Con il termine “dati” richiamato dall’art. 132 co. 3 D.lgs. n. 196/2003, in realtà, si fa riferimento a una nozione più ampia, che comprende «qualsiasi dato sottoposto a trattamento ai fini della trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica o della relativa fatturazione», nella definizione datane dall’art. 2 della direttiva 2002/58 CE.

[3] Punti 53 ss. della sentenza.

[4] Cass. Pen. Sez. II, n. 33116, ud. 7.9.2021, est. Pellegrino.

[5] Dir. 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 luglio 2002, Direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche.

[6] Per una panoramica sulle prime pronunce della giurisprudenza di merito, si veda la Relazione del Massimario della Corte di Cassazione, nn. 55 del 2021, p. 15.

[7] Sebbene i due termini vengano spesso usati come sinonimi, la dottrina più attenta distingue tra norme “transitorie” in senso stretto (cioè quelle che regolano ad hoc situazioni createsi sotto la vecchia disciplina, ma non ancora esauritesi al sopravvenire della nuova) e norme “intertemporali” (quelle che indicano i criteri in base ai quali stabilire se applicare la legge previgente o quella nuova). Due strumenti normativi diversi aventi una medesima funzione, stabilire in quali limiti un atto processuale compiuto sotto la vigenza della previgente disciplina possa conservare valore quando questa cessi di avere vigore. Sul punto, Chiavario, Norme processuali penali nel tempo: sintetica ri-visitazione (a base giurisprudenziale) di una problematica sempre attuale, in La Legislazione Penale, 2017, https://www.lalegislazionepenale.eu/wp-content/uploads/2017/08/studi_chiavario_2017.pdf, p. 2 ss.

[8] Sentenza Grande Camera Corte EDU Scoppola c. Italia, 17.9.2009.

[9] Cass. Pen. S.U., n. 27919/2011, ud. 31.3.2011, est. Blaiotta.

[10] L’argomento del carattere schiettamente processuale della norma viene valorizzato anche nella Relazione del Massimario della Corte di Cassazione n. 55 del 2021, p. 32.

[11] Cass. Pen. Sez. III, n. 21451/2015, ud. 29.1.2015, est. Di Nicola.

[12] Cass. Pen. Sez. V, n. 1054/2022, ud. 6.10.2021, est. Pezzullo.

[13] G. Battarino, Acquisizione di dati di traffico telefonico e telematico per fini di indagine penale: il decreto legge 30 settembre 2021 n. 132, in Questione giustizia online, 4 ottobre 2021; G. Spangher, Data retention: svolta garantista ma occorre completare l'impianto, in Guida al diritto, 2021, n. 39, pag. 14.

[14] Si veda Cass. Pen., S.U. n. 4265/1998, ud. 7.04.1998, che distingue tra un singolo atto «che si esaurisce senza residui nel suo puntuale compimento» e il procedimento probatorio, per cui «finché la regiudicanda non è divenuta res iudicata perché sono ancora possibili ulteriori interventi decisori di un giudice chiamato a valutare gli esiti gnoseologici della prova, il procedimento probatorio deve considerarsi ancora in atto e non può ritenersi esaurito».

[15] In tal senso, Marcolini, La disciplina processuale italiana sulla data retention, in Flor-Marcolini, Dalla data retention alle indagini ad alto contenuto tecnologico, p. 60.

[16] Cass. Pen. Sez. III, n. 11993/2022, ud. 16.2.2022, est. Semeraro.

[17] In un’altra recente pronuncia, Cass. Pen. Sez. III, n. 11991/2022, ud. 31.1.2022, est. Andreazza, la Suprema Corte ha affermato la compatibilità della disciplina transitoria introdotta con il diritto europeo, normativa che, nelle parole della Cassazione, «non solo ha inteso perseguire la logica non dispersione dei dati già acquisiti, condizionata tuttavia, ai nuovi parametri di significativa illiceità penale […] quale requisito di compensazione rispetto alla mancanza di un provvedimento di acquisizione, fino ad oggi non richiesto, da parte del giudice, ma anche, evidentemente esposto i dati così conservati al contraddittorio delle parti». Anche in questo caso si è ritenuto che il principio del contraddittorio fosse stato rispettato, poiché nel corso del dibattimento il ricorrente si era avvalso di un consulente tecnico per confutare la valenza probatoria dei tabulati.

[18] Si veda G. Battarino, CGUE e dati relativi al traffico telefonico e telematico. Uno schema di lettura, in Questione Giustizia online, 21 aprile 2021, che, già prima della modifica operata con la legge di conversione del Dl. 132/2021, auspicava l’introduzione di una disciplina intertemporale. Contra, Marcolini, La disciplina processuale italiana sulla data retention, cit., p. 62 ss., secondo cui anche la normativa transitoria contrasterebbe con il diritto eurounitario, sia per la mancata previsione di limiti al carattere generalizzato e indifferenziato della raccolta dei dati, sia per la «scarsa significatività» della previsione di un onere probatorio-motivazionale rafforzato, essendo nella prassi giudiziaria la data retention «già quasi sempre valutata in un contesto probatorio in cui vi sono anche ulteriori elementi a carico, di riscontro o di approfondimento di quelle risultanze». Contrario anche De Martis, Successione di leggi processuali in materia di tabulati: tempus regit actum? Nota a Cass. pen. n. 1054/2022, in https://www.penaledp.it/successione-di-leggi-processuali-in-materia-di-tabulati-tempus-regit-actum/ , che nella norma transitoria individua «un’ingiustificabile iniquità, tra vecchia e nuova disciplina, relativamente ai criteri di valutazione della prova».

[19] Oltre alla appena citata Cass. Pen. Sez. III, n. 11991/2022, l’argomento è stato affrontato da Cass Pen. Sez. VI, n. 9204/2022, ud. 1.3.2022, est. Aprile. Pur giungendo alla medesima conclusione della sentenza in commento – esclusione del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia per contrarietà della disciplina transitoria all’art. 15 della direttiva 2002/58 CE – tale pronuncia vi perviene valorizzando quella giurisprudenza della CGUE che ritiene legittime le norme nazionali che limitano gli effetti dichiarativi delle sentenze della Corte nei casi in cui l’applicazione immediata dei principi enunciati dovesse mettere in crisi il principio generale di certezza del diritto.

[20] Per una panoramica sul principio in questione, spesso richiamato nelle pronunce della Corte di Giustizia sulla “rottura” del giudicato interno ad opera del diritto europeo, si vedano le pronunce 18.7.2007, Lucchini c. Ministero dell’Industria, C-119/05 e 3.9.2009 Fallimento Olimpiclub s.r.l. c. Agenzia delle Entrate, C-2/08.

[21] Punto 42 della sentenza della Grande Camera, 2.3.2021, H.K. c. Prokuratuur, C-746/18. Sempre in materia di data retention, il principio viene richiamato al punto 128 della recente sentenza della Grande Camera G.D. c. Commissioner of An Garda Síochána, C-140/20, che ribadisce ed amplia i principi già espressi nella sentenza Prokuratuur.

04/07/2022
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04/07/2022
Acquisizione di dati di traffico telefonico e telematico per fini di indagine penale: il decreto-legge 30 settembre 2021 n. 132

Il governo è intervenuto con un decreto-legge a disciplinare la materia della richiesta e utilizzo a fini di indagine di dati relativi al traffico telefonico e telematico dopo che la sentenza del 2 marzo 2021 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea aveva individuato limiti all'accesso di autorità pubbliche. 

05/10/2021
CGUE e dati relativi al traffico telefonico e telematico. Uno schema di lettura

La sentenza del 2 marzo 2021 nella causa C- 746/18 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea individua limiti all'accesso di autorità pubbliche ai dati relativi al traffico telefonico e telematico, che coinvolgono la loro richiesta e utilizzo a fini di indagine. Incombe ora sulla concreta attività di pubblici ministeri, difensori, giudici, uno “scenario mobile” suscettibile di essere affrontato con una serie di strumenti.

21/04/2021