Magistratura democratica
Europa

Cedu, la sentenza nel caso Tymoshenko v. Ucraina

di Francesco Buffa
consigliere della Corte di cassazione
La Corte ha pubblicato il 30 aprile le sue decisioni sul caso dell'ex premier ucraina. Secondo l'organismo europeo, i motivi che hanno portato alla detenzione prima del processo erano "arbitrari" e "illegali"
Cedu, la sentenza nel caso Tymoshenko v. Ucraina

La Corte europea dei diritti dell'uomo ha pubblicato il 30 aprile la sentenza di Camera nel caso Tymoshenko v. Ukraine (ricorso n. 49872/11), a seguito dell’udienza pubblica del 28 agosto scorso.

Il caso riguarda la detenzione dell'ex premier ucraina Yuliya Tymoshenko, Primo Ministro dell'Ucraina nel 2005 e tra il dicembre 2007 e marzo 2010, leader di Batkivshchyna, uno dei più forti partiti di opposizione in Ucraina, e del blocco di Yuliya Tymoshenko.

La condanna. Nel 2011 alcuni procedimenti penali erano stati aperti contro di lei con l'accusa di aver fatto un ordine illegale per la firma di un contratto riguardante le importazioni di gas dalla società Gazprom; l'11 ottobre 2011 era stata condannata per abuso di potere e condannata a sette anni di reclusione e all’interdizione di tre anni dai pubblici uffici. Nel 2012 la sentenza era stata confermata in appello ed era divenuta definitiva.

Nel corso del procedimento penale, il 5 agosto 2011 il giudice di merito aveva ordinato la detenzione in attesa di giudizio di Tymoshenko. Lo stesso giorno era stata disposta la custodia cautelare presso la struttura di detenzione di Kiev (SIZO n. 13), dove era rimasta fino al 30 dicembre 2011. Era stata poi trasferita al Colony Correctional Kachanivska a Kharkiv per scontare la pena detentiva.

Allegando problemi di salute, la signora Tymoshenko aveva quindi rilevato l’inadeguatezza delle condizioni di carcerazione in entrambe le strutture e lamentato di non aver ricevuto un adeguato trattamento medico.

Il ricorso alla Cedu. Intanto, il 10 agosto 2011 la sig.ra Tymoshenko aveva depositato presso la Corte europea dei diritti dell'uomo ricorso, invocando l'articolo 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti), l'articolo 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza), della Convenzione, lamentando che le sue condizioni di custodia cautelare erano inadeguate, senza adeguata assistenza medica; che la sua detenzione in attesa di processo era stata arbitraria e privo di fondamento giuridico, e che la sua detenzione aveva secondi fini, di carattere politico, essendo volta ad allontanarla dall’agone elettorale.

La CEDU ha deciso, il 14 dicembre 2011, di dare priorità al caso in vista della natura sensibile delle accuse sollevate.

Il 15 marzo 2012, la Corte ha concesso un provvedimento d'urgenza ai sensi dell’art. 39 del Regolamento della Corte, ordinando al governo ucraino di assicurare alla detenuta un trattamento medico adeguato in un appropriato istituto. A seguito di tale provvedimento provvisorio della CEDU, la signora Tymoshenko è stata trasferita all'ospedale Kharkiv il 20 aprile 2012.

Lo sciopero della fame. La ricorrente ha lamentato tuttavia di aver contestato il trasferimento ed ha allegato che era stata utilizzata la forza per realizzarlo contro il suo volere, cagionandole danni fisici. Ha quindi rifiutato le cure mediche deducendo l’assenza di fiducia nei medici e l’inadeguatezza della struttura, ha fatto il c.d. sciopero della fame in segno di protesta contro la violenza delle guardie carcerarie, ed ha presentato una denuncia alla Procura di Kharkiv per il suo trasferimento forzato in ospedale.

Il 22 aprile 2012, la signora Tymoshenko è stato portata di nuovo in carcere. Il pubblico ministero ha archiviato la denuncia. Il 9 maggio 2012, la signora Tymoshenko è stato nuovamente trasferita all'ospedale Kharkiv, dove ha iniziato il trattamento medico sotto la supervisione di un neurologo tedesco ed ha quindi concluso il suo sciopero della fame.

Successivamente ha presentato una denuncia penale concernente la permanente video sorveglianza in ospedale e la pubblicazione di notizie mediche riservate relative al suo stato di salute. Il pubblico ministero ha deciso di non aprire un procedimento penale. Un ricorso amministrativo per gli stessi fatti e, in particolare, la presunta negazione del suo diritto di effettuare chiamate telefoniche, è stato respinto il 30 ottobre 2012.

Nel ricorso innanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, invocando –oltre che l'articolo 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) e l'articolo 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza)- anche l'articolo 8 (diritto alla vita privata) e l'articolo 18 (limitazione dell'uso di restrizioni ai diritti), della Convenzione- la ricorrente aggiungeva, negli ulteriori motivi di ricorso, che era stata trasferita in ospedale a Kharkiv contro la sua volontà, che aveva subito lesioni durante il trasferimento e che l'incidente non era stato oggetto di alcuna indagine, che era sotto sorveglianza permanente in ospedale; che la sua detenzione in attesa di processo era sempre arbitraria e priva di fondamento giuridico; che i torti subiti non avevano avuto alcuna riparazione.

I motivi respinti. Con il judgement reso il 30 aprile 2013, la Corte ha respinto alcuni motivi di ricorso e ne ha accolti altri.

In particolare, la Corte ha ritenuto che le condizioni della detenzione della ricorrente fossero compatibili con le norme della convenzione, essendo assicurato alla detenuta uno standard di trattamento non inadeguato.

La Corte, pur respingendo il motivo di ricorso, ha ricordato peraltro il principio in base al quale, se una persona è detenuta, lo Stato deve garantire che le condizioni siano compatibili con il rispetto della sua dignità umana, che il modo e il metodo di esecuzione della misura non lo sottopongono a disagio o difficoltà di un'intensità superiore al livello inevitabile di sofferenza inerente la detenzione e che, tenuto conto delle esigenze pratiche della detenzione, la sua salute e il benessere sono adeguatamente garantiti da, tra le altre cose, fornendogli l'assistenza medica necessaria (Kudła v Polonia [GC], no 30210. / 96, § 94, CEDU 2000-XI), e che nel valutare le condizioni di detenzione, devono essere considerati gli effetti cumulativi di queste condizioni e la durata della detenzione (vedi Ostrovar v Moldova, n. 35207/03, § 80, il 13 settembre 2005).

La Corte ha altresì respinto il motivo di ricorso con il quale la ricorrente -rifiutando di consentire le prestazioni mediche di medici diversi da quelli di sua fiducia e lamentando maltrattamenti da parte dl personale medico ed infermieristico dell’ospedale- aveva denunciato la mancanza di un adeguato trattamento medico durante la sua detenzione: la Corte ha tuttavia ritenuto che il trattamento medico assicurato alla ricorrente fosse trasparente ed adeguato.

La Corte ha escluso poi che l’indagine a seguito della denuncia della ricorrente circa il trasferimento forzato in ospedale fosse stata inadeguata, escludendosi una violazione della Convezione con riferimento a tale accadimento: pur se a sola maggioranza, e per 4 voti a 3, la Corte ha ritenuto che non vi è stata violazione dell'articolo 3 della Convenzione per quanto riguarda la censura della ricorrente relativa suo presunti maltrattamenti durante il suo trasferimento in ospedale il 20 aprile 2012 e l'efficacia dell'indagine interna.

Il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, ai sensi dell'articolo 35 § § 1 e 4 della Convenzione, è stato invece il motivo della declaratoria di inammissibilità del motivo di ricorso relativo alla presunta violazione dell’art. 8 per la videosorveglianza permanente in ospedale e per la pubblicazione di dati medici relativi alla ricorrente sui media ucraini.

Le violazioni ravvisate. I motivi di ricorso ulteriori sono stati invece accolti.

La Corte ha dichiarato, e all'unanimità, che vi è stata:

  • una violazione dell'articolo 5 § 1 della Convenzione;

  • una violazione dell'articolo 5 § 4 della Convenzione;

  • una violazione dell'articolo 5 § 5 della Convenzione;

  • una violazione dell'articolo 18 della Convenzione in combinato disposto con l'articolo 5 della convenzione.

Esaminiamole brevemente, seguendo le argomentazioni della CEDU.

Invocando l'articolo 5 § 1 (b) della Convenzione, la ricorrente aveva lamentato che la sua detenzione preventiva era stata illegale e arbitraria. Aveva anche lamentato ai sensi dell'articolo 5 § 3 che non vi erano ragioni della sua detenzione continuata. La ricorrente aveva inoltre denunciato ai sensi dell'articolo 5 § 4, che non era stata in grado di contestare efficacemente la legittimità della sua detenzione preventiva.

La Corte ha ricordato in proposito che, per ritenere un provvedimento di privazione della libertà privo di arbitrarietà, ai sensi dell'articolo 5 § 1 della Convenzione, non è sufficiente che il provvedimento sia reso in conformità al diritto nazionale, dovendo anche essere esso necessario nelle circostanze (vedi Nešťák v. Slovacchia, n. 65559/01, § 74, 27 febbraio 2007 e Khayredinov v. Ukraine, no 38717/04, § § 27-28, 14 ottobre 2010.) La Corte ha rilevato poi - tema ricorrente nella giurisprudenza contro l'Ucraina derivante da lacune legislative - che la detenzione della ricorrente è stata disposta per un periodo indeterminato di tempo, il che di per sé è in contrasto con il requisito di legalità sancito dall'articolo 5 della Convenzione (vedi, ad esempio, Yeloyev v. Ukraine, n. 17283/02, § § 52-55, 6 novembre 2008; Solovey e Zozulya v Ukraine, nos 40774/02 e 4048/03, § 59, il 27 novembre 2008;. ed Doronin v. Ukraine, no 16505/02, § 59, 19 febbraio 2009).

La Corte ha rilevato quindi che, come traspare dal provvedimento di fermo, così come dalla domanda del pubblico ministero, la principale giustificazione per la custodia cautelare della ricorrente era il suo presunto ostacolo della procedura ed il suo sprezzante comportamento, e che questo motivo non è però compreso tra quelli che giustifichino la privazione della libertà ai sensi dell'articolo 5 della Convenzione. Non va sottaciuto neppure, ha osservato ancora la Corte, che la previsione dell'obbligo della ricorrente di non lasciare la città sarebbe stata una misura preventiva più appropriata alle circostanze (tanto più che, prima di essere trasferita in carcere, l'ex premier non aveva mai lasciato Kiev, così come gli era stato ordinato, e si era sempre presentata a tutte le udienze), che nessuna proposta di liberazione su cauzione era stata fatta, e che i giudici nazionali non avevano motivato in alcun modo circa la necessità della misura custodiale rispetto ad altre alternative analogamente efficaci. Inoltre, i giudici osservano che le autorità ucraine non avevano mai rianalizzato attentamente i ricorsi presentati da Tymoshenko contro il carcere preventivo, nonostante lei avesse presentato specifiche argomentazioni per il suo rilascio.

La Corte ha ravvisato anche violazione dell'articolo 5 § 5 della Convenzione in ragione dell’assenza nel diritto ucraino di misure di risarcimento per una privazione della libertà in violazione di una delle altre lettere dell'articolo 5 della Convenzione (vedi, ad esempio, Nechiporuk e Yonkalo v Ukraine, n. 42310/04, § 233, 21 aprile 2011).

La Corte ha accolto infine il motivo di ricorso relativo alla presenza di secondi fini nella misura custodiale della ricorrente, avendo ella lamentato, invocando l’art. 18 in combinato disposto con l’art. 5 della Convenzione, che la sua detenzione era stata utilizzata dalle autorità per escluderla dalla vita politica e per evitare la sua presentazione alle elezioni parlamentari del 28 ottobre 2012.

"Arbitrari e illegali". La Corte non è arrivata a dire che la detenzione preventiva era stata determinata dalla volontà di escludere la ricorrente dalla vita politica e dall'intenzione di impedirle di candidarsi alle elezioni nell'ottobre 2012, tuttavia è stato stabilito che i motivi che avevano portato l'ex premier in carcere prima del processo erano "arbitrari e illegali", e che quindi l'Ucraina ha violato il diritto alla libertà di Tymoshenko.

La Corte ha qui richiamato il proprio precedente nell’altrettanto noto caso Lutsenko, relativo ad altro uomo politico di opposizione ucraino. La Corte ha già stabilito che, anche se la detenzione della ricorrente è stata formalmente effettuata per le finalità di cui all'articolo 5 § 1 (c), della Convenzione, sia il contesto fattuale e la giustificazione addotta dalle autorità suggeriscono che il vero scopo della misura è stato quello di punire la ricorrente di una mancanza di rispetto nei confronti del giudice che si diceva fosse stata manifestata dal suo comportamento durante il procedimento. Alla luce di queste considerazioni e con un approccio simile a quello che aveva seguito l'interpretazione giuridica nelle circostanze analoghe del caso Lutsenko, la Corte non ha potuto che constatare che la restrizione della libertà della ricorrente non è stata operata al fine di portare dinanzi ad un'autorità giudiziaria competente il caso per il ragionevole sospetto di aver commesso un reato, ma per altri motivi: << In the light of these considerations and using a similar approach to the one which it has applied to the legal interpretation of the comparable circumstances in the Lutsenko case, the Court cannot but find that the restriction of the applicant’s liberty permitted under Article 5 § 1 (c) was applied not for the purpose of bringing her before a competent legal authority on reasonable suspicion of having committed an offence, but for other reasons>>.

 

02/05/2013
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