Magistratura democratica
giustizia internazionale

All’incrocio tra diritto e ragion di stato

di Francesco Florit
Giudice del Tribunale di Udine
Aperto davanti al Tribunale Internazionale del diritto del mare il caso dei fucilieri di marina Girone e Latorre
All’incrocio tra diritto e ragion di stato

Il 10 agosto 2015 si è aperto ad Amburgo davanti al Tribunale Internazionale del diritto del mare il contenzioso tra Italia e India sulla giurisdizione nel caso ‘Enrica Lexie’.

Operativa da meno di una ventina d’anni come agenzia delle Nazioni Unite per l’amministrazione degli aspetti giuridici della 3° convenzione internazionale sulla legge del mare (UNCLOS), il tribunale internazionale con sede ad Amburgo è un organo sui generis con funzioni sia giudiziali sia consultive chiamata a dirimere controversie o a prevenire potenziali conflitti tra nazioni aderenti alla convenzione.

Le materie sulle quali la Corte ha giurisdizione sono tutte quelle che sorgono dalla interpretazione della convenzione, che spaziano dalla sicurezza in mare alla delimitazione dello sfruttamento del fondo marino, alla tutela dell’ambiente marino, oltre alle materie ‘confinarie’ ed alle questioni tradizionali di diritto internazionale marino, nella nuova prospettiva di un mare non più ‘terra di nessuno’ (ci si scusa per il gioco di parole) ma ‘ricchezza di tutte le nazioni’, da amministrare con oculatezza e giustizia; le parti contraenti della convenzione possono inoltre stipulare convenzioni con le quali assegnano uno specifico caso o aree di materie alla Corte, anche al di fuori della competenza convenzionale. In più, anche Stati o agenzie internazionali che non siano parti della convenzione possono concordare la devoluzione di specifiche questioni alla competenza della Corte.

L’Italia ora porta dinnanzi al Tribunale internazionale il caso dei due fucilieri di marina Salvatore Girone e Massimiliano Latorre chiedendo innanzi tutto (questo l’oggetto della presente fase processuale) un provvedimento che consenta al primo di lasciare l’India per fare rientro in Italia ed al secondo di rimanere nel nostro Paese in convalescenza.

Si tratta della richiesta di una misura di urgenza, consentita dalle regole della convenzione (art.290.5 UNCLOS: Pending the constitution of an arbitral tribunal … the International Tribunal for the Law of the Sea … may prescribe, modify or revoke provisional measures … if it considers that prima facie the tribunal which is to be constituted would have jurisdiction and that the urgency of the situation so requires”) nelle more di svolgimento dell’arbitrato internazionale promosso dall’Italia ed al quale l’India ha dichiarato che non intende opporsi.

Le ragioni poste a base della istanza urgente sono tanto di natura umanitaria che giuridica: da un lato si sottolineano le protratte condizioni di privazione di libertà di movimento alle quali è soggetto Girone e le precarie condizioni di salute di Latorre; dall’altro, si evidenzia l’incertezza ed indeterminatezza dell’intero procedimento a carico dei due rappresentanti delle nostre Forze Armate, che a distanza di tre anni dai fatti, pur soggetti alla giurisdizione indiana ed a restrizioni della libertà, non sono stati ancora formalmente accusati di alcun reato (para 24, pg.5 della mozione italiana).

L’esposizione si conclude denunciando che fino ad ora il sistema giudiziale indiano (“the Indian legal process”) ha fallito nel rispondere alla posizione italiana sulle questioni della (carenza di) giurisdizione e dell’immunità.

La mozione italiana, che può essere letta qui, ha un tono principalmente giuridico. Si evita di portare la questione sul piano politico.

La replica indiana, che può essere letta qui, ha un carattere più polemico, giungendo ad accusare l’Italia di aver omesso particolari rilevanti nella ricostruzione dei fatti, distorcendoli (“the story told by Italy is as short and straightforward as it is misleading”; “Italy’s silence seriously distorts reality” : para 1.5 pg.2 e seguenti della risposta scritta) e di non aver tenuto in passato un comportamento corretto e leale.

In ogni caso si fa riferimento al punto centrale della disputa tra l’Italia e l’India, negando vi sia stata, tra la petroliera italiana su cui si trovavano i fucilieri e la barca delle vittime indiane alcun contatto o incidente di navigazione. Da ciò deriva, secondo la prospettiva indiana, l’infondatezza della pretesa italiana che i due militari siano assoggettati alla giurisdizione domestica: l’art.97 UNCLOS prevede che: “in the event of a collision or any other incident of navigation concerning a ship on the high seas, involving the penal or disciplinary responsibility of the master or of any other person in the service of the ship, no penal or disciplinary proceedings may be instituted against such person except before the judicial or administrative authorities either of the flag State or of the State of which such person is a national”. Poiché non vi è stata una collisione e poiché se incidente vi è stato, esso ha riguardato solamente la barca delle vittime, si conclude che la pretesa italiana di esercitare la giurisdizione è arbitraria.

La corte, secondo le regole di procedura, dovrebbe decidere nel volgere di due settimane.

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L’ampiezza dei temi in discussione, come si vede dai pochi estratti sopra riportati, consente margini di manovra alla Corte.

Come detto all’inizio, il Tribunale svolge sia funzioni giurisdizionali che di “advisoring”.

Se all’ampiezza dei compiti ed all’ambizione del disegno costitutivo si aggiunge che, soprattutto nella composizione originaria della corte, i giudici sono stati talora nominati per meriti diplomatici, avendo partecipato ai lavori preparatori della Convenzione (ad esempio, il giudice della Repubblica delle Isole di Capoverde, José Luis Jesus, capo della delegazione del suo Paese ai lavori della convenzione immediatamente dopo la laurea e quindi diplomatico onusiano per oltre 15 anni), si comprende che la Corte è per natura destinata ad intendere e bilanciare le ragioni del diritto assieme alle ragioni di Stato. O quanto meno ad intendere le questioni giuridiche con il ricorso al linguaggio ampio e generale proprio del diritto pubblico internazionale, in cui clausole di appropriatezza, ragionevolezza, adeguatezza sono ampiamente utilizzate, consentendo soluzioni di compromesso tra gli interessi delle parti, che non facciano ‘perdere la faccia’ a nessuno dei contendenti.

Ciò di cui Italia ed India hanno disperato bisogno nel caso concreto, al di là delle dichiarazioni di facciata.

Infatti, l’Italia è sembrata inizialmente trattare l’India come un Paese in cui il Governo potesse (ancora) ordinare alle Corti come comportarsi e cosa fare per soddisfare i buoni rapporti internazionali. Ciò ha provocato la piccata reazione del Governo (mentre la Corte Suprema indiana ha mantenuto un profilo basso) che ha dovuto ricordare al nostro Governo che “l’India è la più grande democrazia al mondo” e che in democrazia il Governo non istruisce le Corti.

All’irrigidimento delle rispettive posizioni sono seguiti due anni di stallo, ai quali l’Italia tenta di porre rimedio anche con l’iniziativa odierna.

In questa situazione, la procedura arbitrale avviata è l’unica in grado di sbloccare la situazione, trovando una via di mezzo che soddisfi ambo le parti.

Si può azzardare fin d’ora la soluzione? La ragion di stato alla fine prevarrà con la rinuncia alla giurisdizione da parte dell’India, il rientro in Italia dei militari ed un congruo indennizzo corrisposto alle famiglie dei poveri pescatori morti.

 

11/08/2015
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