Magistratura democratica

Terrorismo Internazionale. Quale possibile ruolo per la Corte penale internazionale?

di Cuno Tarfusser

In base dello Statuto di Roma che nel luglio 1998 ha istituito la Corte penale internazionale (Cpi) e che è entrato in vigore l’1 luglio 2002, la Corte esercita la propria giurisdizione sui cosìddetti “crimini internazionali” elencati all’articolo 5 dello Statuto, ovvero sui crimini di genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra. Tra i crimini internazionali rientra anche il crimine di aggressione, anch’esso menzionato dal citato articolo 5, ma per motivi politici, facilmente intuibili considerata la spiccata “politicità” di questo crimine, i Paesi che hanno ratificato lo Statuto non hanno ancora trovato l’accordo per la sua entrata in vigore.

Del crimine di terrorismo non c’è menzione nello Statuto anche se, sia nel corso della conferenza diplomatica di Roma, sia nella prima conferenza di revisione dello Statuto tenutasi a Kampala (Uganda) nel 2010, diverse delegazioni (India, Sri Lanka, Turchia, Trinidad & Tobago, Jamaica,Barbados, Dominica e i Paesi Bassi) hanno variamente proposto di emendare lo Statuto aggiungendo il crimine di terrorismo internazionale tra quelli rientranti nella giurisdizione della Corte.

I motivi per cui queste proposte non hanno trovato accoglimento sono diversi. In estrema sintesi stato obiettato che:

  • non esiste una chiara, univoca e accettata definizione del concetto di terrorismo;
  • solo i quattro crimini elencati dall’articolo 5 dello Statuto, i così detti “core crimes”, rappresentano «i crimini più gravi per la comunità internazionale nel suo insieme» (dal Preambolo allo Statuto) e che il fenomeno terrorismo non ha raggiunto la gravità necessaria per essere investigato e processato dalla Corte;
  • i fatti di terrorismo quale “treaty crimes” vengono già perseguiti in modo efficace dalle giurisdizioni nazionali senza quindi necessità di investirne la Corte;
  • l’inserimento del crimine di terrorismo tra i “core crimes”, avrebbe avuto come conseguenza che diversi Stati non avrebbero firmato lo Statuto con probabile fallimento della conferenza diplomatica di Roma;
  • la Corte avrebbe rischiato una sovraesposizione politica, perdendo credibilità e autorevolezza (come se i crimini di cui la Corte penale internazionale si occupa fossero a-politici …);
  • la Corte penale internazionale si sarebbe sovraccaricata di casi che non sarebbe stata, considerata la struttura e le risorse, in grado di gestire.

Da quanto detto emerge chiaramente come la comunità internazionale riunita a Roma abbia discusso della materia e che consapevolmente non abbia voluto investire la Corte penale internazionale del crimine di terrorismo.

Ciononostante sono convinto che condotte di terrorismo siano suscettibili di rientrare nella giurisdizione della Corte penale internazionale attraverso un’interpretazione evolutiva dello Statuto e quindi anche senza necessità di un suo emendamento che, non solo è altamente improbabile ma che è addirittura pericoloso considerata la mutata sensibilità verso ogni forma di giurisdizione penale sovranazionale.

Innanzitutto bisogna stabilire se è possibile sostenere ragionevolmente che il crimine di terrorismo possa essere considerato, per diritto internazionale consuetudinario, un cd “crimine internazionale”, anziché meramente un mero “treaty crime”.

La differenza è che quest’ultimo vincola solo gli Stati contraenti obbligandoli, o a investigare e perseguire la condotta criminosa, o ad estradare gli accusati (aut dedere aut iudicare).

I “crimini internazionali” che il preambolo allo Statuto di Roma definisce come «i delitti più gravi che riguardano l'insieme della comunità internazionale», invece, seguono il principio dell’universalità che conferisce a ciascuno Stato giurisdizione sul crimine indipendentemente dalla nazionalità dell’accusato o dal luogo in cui il crimine è stato commesso.

Credo che vi siano diversi elementi qualificanti dai quali si può dedurre che il terrorismo sia ormai assurto al - triste - rango di “crimine internazionale”. Mi limito ad accennare a detti elementi:

  1. Le risoluzione del Consiglio di sicurezza delle nazioni unite nn. 1368, 1373 e 1566[1] stanno a dimostrare come la comunità internazionale consideri il terrorismo una delle maggiori minacce alla pace e alla sicurezza; la risoluzione n. 1566 da anche una definizione molto avanzata e dettagliata che può essere presa come solida e valida base di discussione per una definizione del crimine di terrorismo[2].
  2. Il continuo aumentare delle ratifiche dei diversi trattati e protocolli in materia di terrorismo da parte della maggior parte degli Stati che hanno ratificato lo Statuto di Roma[3] rappresentano certamente un ulteriore elemento indiziante.
  3. Vi è anche un elemento indiziante di natura giudiziaria e mi riferisco a tale proposito ad una decisione della Camera d’appello dello Special Tribunal for Lebanon (Stl), presieduta da Antonino Cassese, in cui è stato affermato come il terrorismo sia ormai assurto a crimine internazionale in base al diritto internazionale consuetudinario[4]. La Camera d’appello fondava la propria affermazione fondamentalmente sulla sussistenza di tre elementi, ovvero (i) l’esistenza di una condotta criminosa; (ii) la precisa volontà di terrorizzare la popolazione ovvero di costringere uno Stato o un’organizzazione ad agire o ad omettere di agire, e (iii) l’elemento transnazionale della condotta.

Stabilito quindi come il crimine di terrorismo possa ormai essere considerato un crimine internazionale, occorre ora verificare se ed eventualmente come condotte di terrorismo possano essere sussunte tra quelle descritte nei cd. “core crimes” di cui agli artt. 5, 6, 7 e 8 dello Statuto di Roma.

Mi limito in questa breve analisi al crimine contro l’umanità al quale certamente più che al crimine di guerra e al crimine di genocidio possono essere ricondotti agli atti di terrorismo (e questo nonostante che da diverse parti politiche in relazione a fatti di terrorismo si gridi, del tutto a sproposito a mio avviso, ad uno stato di guerra).

Nello specifico è necessario verificare dapprima la sussistenza del cd. «elemento contestuale» del crimine contro l’umanità, di quell’elemento ulteriore cioè che, rispetto a quello oggettivo e quello soggettivo, qualifica il crimine internazionale rispetto al crimine di competenza delle giurisdizioni nazionali.

L’elemento contestuale del crimine contro l’umanità è un elemento complesso e consiste (i) nell’attacco contro la popolazione civile; (ii) nella larga scala e sistematicità (widespread and sistematic) dell’attacco e (iii) nell’individuabilità di un elemento di “policy”, di un nesso tra le condotte e un piano politico - organizzativo sovrastante[5] [6].

Una volta accertata la sussistenza dell’elemento contestuale – che non dovrebbe rivelarsi troppo difficile in organizzazioni terroristiche che ormai operano a livello internazionale, su larga scala e in modo sistematico, appunto – è necessario vedere in quali delle complessivamente undici condotte descritte dalle lettere da a) a k) dall’articolo 7 dello Statuto[7] gli atti di terrorismo possono essere astrattamente sussumibili.

Nessun dubbio che l’omicidio (art. 7(1)(a) SR) rientra tra le condotte di atti di terrorismo. Difficile, invece, prefigurare astrattamente come atti di terrorismo lo sterminio (art. 7(1)(b) SR), la riduzione in schiavitù (art. 7(1)(c) SR) e la deportazione e il trasferimento forzato di una popolazione (art. 7(1)(d) SR). Per quanto concerne l’imprigionamento o altre forme di privazione della libertà personale in violazione di norme fondamentali di diritto internazionale (art. 7(1)(e) SR) ritengo che tali condotte ben possono rientrare in atti di terrorismo, basti pensare alla presa di ostaggi a fini estorsivi nei confronti di uno Stato. Queste condotte criminose sono peraltro strettamente connesse a quelle di forzata sparizione (art. 7(1)(i) SR) allorquando, ad esempio, il rapimento e la detenzione di persone si accompagna al rifiuto di ogni informazione sul luogo di illegale detenzione come recentemente accaduto in Nigeria ad opera di Boko Haram. Anche la condotta di tortura (art. 7(1)(f) SR) è astrattamente ipotizzabile come condotta di terrorismo, seppure in un contesto terroristico più ampio. Va segnalato come a differenza della tortura quale crimine di guerra (art. 8 SR), nel contesto del crimine contro l’umanità non è necessario che la condotta di tortura venga commessa al fine di ottenere la confessione o ad altri fini coercitivi.[8] Anche l’ipotesi di persecuzione (art. 7(1)(h) SR) può a mio avviso essere parte di una condotta di terrorismo con particolare riferimento al terrorismo a fondamento religioso e in contesti di cd. terrorismo di Stato. In questo caso è necessario individuare l’intento discriminatorio per motivi politici, razziali, nazionali, etnici, culturali, religiosi, di genere o altre ragioni inammissibili in base al diritto internazionale.

Un’attenzione particolare merita l’ultima previsione normativa. Mi riferisco alla lettera k) dell’articolo 7 dello Statuto di Roma che prevede un’ipotesi residuale generica di condotta integrante il crimine contro l’umanità che così è descritta: «altre condotte inumane di simile carattere che intenzionalmente causano grandi sofferenze o serie ferite al corpo o alla salute mentale o fisica» (art. 7(1)(k) SR). Non vi è dubbio che i puristi del diritto penale non possono non avere enormi difficoltà con una previsione così generica. Al fine di evitare la violazione del principio di legalità la soglia di gravità che queste «altre condotte inumane» devono raggiungere deve essere simile per natura e gravità agli atti elencati nell’art 7 dello Statuto. Difficile pensare a condotte diverse da quelle già elencate alle lettere precedenti, ma certamente questa norma, altamente discutibile e da interpretare con estrema cautela, lascia ulteriori spazi di manovra per ricomprendervi atti di terrorismo di particolare gravità non rientranti tra le condotte tipizzate.

Da quanto molto succintamente esposto emerge come, a mio parere, il crimine di terrorismo laddove si manifesta in una delle condotte menzionate all’articolo 7 dello Statuto di Roma ed in presenza dell’elemento contestuale che caratterizza i crimini internazionali, potrebbe già rebus sic stantibus e senza quindi alcuna necessità di emendare lo Statuto, rientrare nella giurisdizione della Corte penale internazionale e quindi da questa essere investigato, perseguito e giudicato.

[1] UN Doc. S/RES/1368 (2001); UN Doc. S/RES/1373 (2001); UN Doc. S/RES/1377 (2001).

[2] «Recalls that criminal acts, including against civilians, committed with the intent to cause death or serious bodily injury, or taking of hostages, with the purpose to provoke a state of terror in the general public or in a group of persons or particular persons, intimidate a population or compel a government or an international organization to do or to abstain from doing any act, which constitute offences within the scope of and as defined in the international conventions and protocols relating to terrorism, are under no circumstances justifiable by considerations of a political, philosophical, ideological, racial, ethnic, religious or other similar nature, and calls upon all States to prevent such acts and, if not prevented, to ensure that such acts are punished by penalties consistent with their grave nature».

[3] Al 31.08.2016, 124 Stati hanno ratificato lo Statuto di Roma.

[4] Special Tribunal for Lebanon, Case No. STL-11-01/I, February 16, 2011, para. 83, 85, 86 and 89.

[5] Statuto di Roma, art. 7 (1): «For the purpose of this Statute, ‘crime against humanity’ means any of the following acts when committed as part of a widespread and systematic attack directed against any civilian population, with knowledge of the attack.».

[6] Statuto di Roma, art. 7 (1): «’Attack directed against any civilian population’ means a course of conduct involving the multiple commission of acts referred to in paragraph 1 against any civilian population, pursuant to or in furtherance of a State or organizational policy to commit such attack.».

[7] (a) Murder;
(b) Extermination;
(c) Enslavement;
(d) Deportation or forcible transfer of population;
(e) Imprisonment or other severe deprivation of physical liberty in violation of fundamental rules of international law;
(f) Torture;
(g) Rape, sexual slavery, enforced prostitution, forced pregnancy, enforced sterilization, or any other form of sexual violence of comparable gravity;
(h) Persecution against any identifiable group or collectivity on political, racial, national, ethnic, cultural, religious, gender as defined in paragraph 3, or other grounds that are universally recognized as impermissible under international law, in connection with any act referred to in this paragraph or any crime within the jurisdiction of the Court;
(i) Enforced disappearance of persons;
(j) The crime of apartheid;
(k) Other inhumane acts of a similar character intentionally causing great suffering, or serious injury to body or to mental or physical health.

[8] Elements of Crime, Art. 8(2)(a)(ii)-1.