Magistratura democratica
Pillole di Sezioni Unite

Sentenze di marzo-aprile 2023

a cura di Redazione

Le più interessanti sentenze emesse dalle Sezioni Unite (civili) della Corte di Cassazione nel periodo marzo-aprile 2023

Soddisfacimento in sede concorsuale del titolare di un diritto reale di garanzia per credito vantato nei confronti di un soggetto diverso dal fallito (Cass., Sez. Unite, 27 marzo 2023, n.8557) 

Le Sezioni Unite, con la sentenza n.8557 del 2023, affermano che anche dopo le modifiche introdotte dal d.lgs. n.5 del 2006 e dal d.lgs. n.160 del 2007, in forza della legge fallimentare (R.D. 267/42) i creditori titolari di un diritto reale di garanzia su un bene compreso nell’attivo fallimentare, in forza di un credito vantato nei confronti di un soggetto diverso dal fallito, non possono avvalersi del procedimento di verificazione dello stato passivo, in quanto non sono creditori del fallito e non possono proporre domanda di separazione ex art. 103 l. fall; non risultano inoltre tra i destinatari dell'avviso del curatore ex art. 92 l. fall.

La pronuncia dà continuità all’indirizzo di legittimità assolutamente prevalente (tra le più recenti, Cass.18790 del 2019; 1067 del 2021; 16939 del 2022) evidenziando che, in forza della legge fallimentare (anche a seguito delle modifiche introdotte dai d.lgs. su citati), le ragioni del creditore del terzo, il quale sia titolare di garanzia reale su un bene del fallito, deve trovare attuazione in sede di distribuzione del ricavato.

Le Sezioni Unite chiariscono che è al riguardo del tutto innovativa la disciplina introdotta dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs. n.14 del 2019) che, all’art. 201, comma 1, prevede che sono soggette al procedimento di accertamento del passivo anche «le domande di partecipazione al riparto delle somme ricavate dalla liquidazione di beni compresi nella procedura ipotecati a garanzia di debiti altrui», disponendo altresì, al comma 3, che in tale ipotesi il ricorso indichi «l’ammontare del credito per il quale si intende partecipare al riparto se il debitore nei cui confronti si è aperta la liquidazione giudiziale è terzo datore d’ipoteca».

Tale disciplina, peraltro, non è applicabile alle procedure aperte anteriormente alla sua entrata in vigore, che restano soggette alla legge fallimentare.

Le Sezioni unite, per le procedure regolate dalla legge fallimentare (RD 267/1942), affermano dunque che:

a) il titolare di un diritto reale di garanzia su beni del fallito che non sia creditore di quest’ultimo ha l’onere di far valere la propria pretesa in sede concorsuale non già attraverso una inammissibile domanda di insinuazione al passivo, ma domandando di partecipare alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione del bene stesso: a ciò è preordinata la comunicazione del curatore nei suoi confronti, ex art.107, comma 3 , l. fall;

b) in sede di riparto di tali somme, la verifica del curatore ha ad oggetto la validità ed attualità, oltre che l’efficacia (avendo particolare riguardo alla non revocabilità) della garanzia reale ed è altresì estesa ad esistenza ed entità del credito garantito, con poteri sovrapponibili a quelli contemplati dall’art. 95, comma 1 l. fall. (essendo mancata la previa ammissione al passivo del credito stesso);

c) il deposito del piano di riparto va comunicato al titolare del diritto reale di garanzia ed ai creditori, i quali sono legittimati al reclamo ex art. 110, comma 3, e 36 l. fall., ma non anche al debitore, che non è legittimato al reclamo;

d) il reclamo ex art. 36 l. fall. assicura la verifica giurisdizionale della pretesa del soggetto che non sia creditore del fallito; il relativo accertamento è operante (unicamente) sul piano endo concorsuale e non è opponibile al debitore rimasto estraneo al procedimento fallimentare, ove sia esercitata la rivalsa nei suoi confronti.

 

Giudicato nazionale e normativa inderogabile di protezione del consumatore (Cass., Sez. Unite, 6 aprile 2023, n.9479) 

Le Sezioni Unite, con la sentenza n.9479 del 2023, dettano alcuni principi di diritto in relazione ai limiti del “giudicato” formatosi a seguito di un decreto ingiuntivo in favore di un professionista che il consumatore non ha opposto; questione che deriva da quattro coeve pronunce della CGUE del 17.5.2022, una delle quali - cause riunite C-693/19, SPV Project 1503, e C-831/19, Banco di Desio e della Brianza - a seguito di rinvio pregiudiziale del Tribunale di Milano.

La CGEU, nella citata pronuncia, ha affermato che, al fine di ovviare allo squilibrio esistente tra consumatore e professionista, il giudice nazionale è tenuto ad esaminare d’ufficio il carattere abusivo  di una clausola contrattuale che ricada nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13: in assenza di detto controllo, il rispetto dei diritti conferiti dalla direttiva 93/13 non può essere garantito e le legislazioni nazionali non possono pregiudicare la sostanza del diritto spettante ai consumatori di non essere vincolati da una clausola abusiva. Da ciò la conseguenza che la normativa nazionale non può considerare coperto dal “giudicato” un provvedimento, quale un decreto ingiuntivo, privo di alcuna motivazione sull’eventuale carattere abusivo delle clausole: in tal caso l’esigenza di tutela giurisdizionale effettiva impone che tale valutazione possa essere effettuata, anche per la prima volta, dal giudice dell’esecuzione.  Tale arresto della Corte di Giustizia, che deroga al principio dell’autorità del “giudicato”, trova fondamento nell’integrazione sempre più profonda tra ordinamenti, in cui non riveste più carattere assorbente l’efficienza del mercato, ma acquistano preminenza le esigenze di tutela della persona. In tale prospettiva assume rilievo centrale la figura del consumatore, alla quale i Trattati attribuiscono un ruolo essenziale nella definizione e nell’attuazione di altre politiche o attività dell’Unione (art.12 TFUE), tale da garantirne un elevato livello di protezione che va oltre gli interessi economici, per estendersi alla salute ed alla sicurezza (169 TFUE), in una prospettiva che la Carta di Nizza complessivamente ascrive al principio di solidarietà (art 38 CDFUE).

Nell’effettuare la necessaria “saldatura” tra ordinamenti, sovranazionale ed interno, le Sezioni unite affermano che il mancato rilievo officioso e la omessa motivazione, in modo specifico, sul carattere abusivo delle clausole di un contratto concluso tra professionista e consumatore comporta che la decisione adottata, sebbene non fatta oggetto di opposizione non è suscettibile di dar luogo alla formazione del giudicato. 

Al riguardo affermano che:

I. Il giudice del monitorio, investito da istanza d’ingiunzione fondata su tale tipologia contrattuale, sarà pertanto tenuto ad effettuare tale valutazione preliminare, richiedendo, se necessario, al ricorrente l’integrazione della documentazione originariamente prodotta, mediante l’esercizio dei poteri istruttori attribuiti dall’art. 640 cpc. Laddove, peraltro, la valutazione sulla “vessatorietà” richieda accertamenti complessi il giudice dovrà rigettare l’istanza d’ingiunzione: il ricorrente in tal caso potrà riproporre il ricorso ovvero affidarsi al giudizio ordinario. 

II. Per accogliere la domanda di ingiunzione, il giudice dovrà escludere il carattere abusivo delle clausole che abbiano incidenza sull’accoglimento (integrale o parziale) della domanda stessa, facendone espresso riferimento in motivazione; dovrà inoltre avvisare il consumatore che, in assenza di opposizione, egli decadrà dalla possibilità di far valere il suddetto carattere abusivo. In tal caso, la mancata opposizione non consentirà più successive contestazioni sulla questione della abusività delle clausole contrattuali.

III. Laddove, al contrario, il decreto venga emesso senza una espressa valutazione sull’(assenza di) abusività delle clausole del contratto presupposto, l’esigenza di una tutela giurisdizionale effettiva impone che tale valutazione venga effettuata, anche per la prima volta, in sede esecutiva, ancorché il decreto non sia stato opposto nei termini e sia dunque divenuto irrevocabile.

IV. A tal fine il G.E., sino al momento della vendita o dell’assegnazione del bene e/o del credito ha il potere/dovere di verificare, anche d’ufficio, l’esistenza di clausola abusiva incidente su sussistenza o entità del credito, procedendo se del caso ad una sommaria istruttoria al riguardo.

V. All’esito di tale controllo (sia positivo, che negativo) avviserà il debitore che può proporre, entro 40 giorni, opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 650 cpc, al solo fine di far accertare l’abusività delle clausole; anche nell’ipotesi in cui il debitore abbia già proposto opposizione ex art. 615 comma 1, cpc, il G.E., previa riqualificazione della domanda, rimetterà la decisione al giudice dell’opposizione ex art. 650 cpc (translatio iudicii).

VI. Fino alle determinazioni del giudice dell’opposizione tardiva al decreto ingiuntivo in ordine alla sospensione dell’esecutorietà del decreto, ex art. 649 cpc, il G.E. non procederà alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito.

 

Disconoscimento di paternità ed altro accertamento della paternità: quale rapporto tra le due azioni (Sezioni Unite Civili sentenza n. 8268 del 22 marzo 2023)

Con la pronuncia in esame è stato affrontato il tema, molto dibattuto in dottrina e che ha visto l’intervento recente della Corte Edu e della Corte Costituzionale, del rapporto tra azione demolitiva dello status filiale e azione di dichiarazione giudiziale di paternità.

La decisione è stata sollecitata dalla richiesta della Procura Generale presso la Corte di Cassazione di enunciare il seguente principio di diritto nell’interesse della legge ex art. 363 , c.1. c.p.c: il giudizio di disconoscimento di paternità è pregiudiziale rispetto a quello nel quale viene chiesto altro accertamento di paternità così che in caso di contemporanea pendenza, si applica la sospensione del processo ex art. 295 c.p.c.

La necessità di ricorrere all’enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge è stata determinata dal passaggio in giudicato della sentenza della Corte d’Appello che aveva dichiarato l’inammissibilità della domanda di accertamento giudiziale della paternità perché non ancora definita l’azione demolitiva dello status.

La Procura Generale si è fatta carico dei rilievi sollevati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 177 del 2022 e della Corte Edu con la sentenza del 6/10/2022 relativa al ricorso M.S. contro Italia.

La Corte Costituzionale pur giustificando la necessità della preventiva azione demolitiva per evitare «un’instabilità ed un’incertezza dello status» e consentire a chi è già titolare dello status di genitore di essere parte nel giudizio che può incidere sul suo legame familiare, hanno evidenziato che la disposizione contenuta nell’art. 253 c.c. non è priva di criticità costituzionale perché espone al rischio di rimanere privi di status ma per rimuovere questo vulnus è necessario un intervento legislativo strutturale.

La Corte Edu ha ritenuto sussistente la violazione dell’art. 8 Cedu sotto il profilo della carenza di garanzie del rispetto del diritto alla vita privata dovuto ad un sistema normativo che non assicurerebbe la continuità dello status filiale con tutte le conseguenze che ne derivano.

Le Sezioni Unite, hanno ritenuto l’esistenza di un nesso di pregiudizialità tecnico giuridica tra l’azione demolitiva e quella costitutiva dello status filiale, superando la precedente esegesi degli artt. 253 e 269 c.c. che escludeva l’applicabilità dell’art. 295 c.p.c. nell’ipotesi di contestualità delle due azioni, e postulava l’inammissibilità dell’azione costitutiva prima che si fosse formato il giudicato ablativo.

Hanno, conseguentemente, enunciato il principio di diritto così come proposto dalla Procura generale e, nella motivazione, hanno posto in luce che non si ravvisano ostacoli alla proposizione cumulativa delle due azioni, proprio al fine di superare le criticità sollevate dalla Corte Costituzionale, dovendosi sottolineare, al contrario, la preferenza del simultaneus processus rispetto allo strumento della sospensione ex art. 295 c.p.c. che rappresenta un’extrema ratio e produce una battuta d’arresto nel processo di riconoscimento dei diritti azionati.

Del resto, il legislatore ha di recente introdotto la possibilità di proporre cumulativamente domanda di separazione personale e di divorzio (art. 473 bis.49 c.p.c.) proprio al fine di promuovere, mediante la concentrazione dei giudizi, la conclusione concordata e di evitare dispersioni temporali e virtuali conflitti tra provvedimenti di identico contenuto, assunti in procedimenti diversi.

 

Legittimazione del fallito ad impugnare l’atto impositivo i cui presupposti siano anteriori alla dichiarazione di fallimento (Cass., Sez. Unite, 28 aprile 2023, n.11287) 

La pronuncia in esame ha ad oggetto la legittimazione straordinaria del fallito ad impugnare un atto impositivo in caso di inerzia del curatore fallimentare, nonché la rilevabilità d’ufficio del difetto di capacità processuale del fallito. 

La giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato che, in deroga alla regola generale stabilita dall’art. 43 l. fall. -  riaffermata con identica formulazione dall’art. 143 d.lgs.14/2019 (Codice della Crisi d’impresa) - , il fallito mantiene la legittimazione ad impugnare atti impositivi relativi a rapporti d’imposta i cui presupposti si siano formati prima della dichiarazione di fallimento, nel caso di inerzia degli organi della procedura (Cass., sez. 1, 13814/2016; Cass. sez. 1, 2626/2018). 

Il consolidato indirizzo della S.C.  è inoltre nel senso che l’avviso di accertamento per debiti fiscali i cui presupposti siano antecedenti alla dichiarazione di fallimento va notificato non solo al curatore ma anche al contribuente; ed anzi, nei confronti di quest’ultimo l’avviso non diventa definitivo fino ad avvenuta notifica, atto dal quale decorre il termine per l’impugnazione (Cass, sez.5, 5392/16).

Il contrasto interpretativo nella giurisprudenza di legittimità che ha dato luogo alla pronuncia in commento concerne la nozione di “inerzia”.

Diverse pronunce della S.C. avevano ammesso la legittimazione del fallito per il solo fatto che il curatore si fosse astenuto dall’impugnare l’atto.

Altro, più recente, orientamento di legittimità non ha reputato sufficiente l’inerzia, richiedendosi un ulteriore elemento, vale a dire che la mancata impugnazione non sia dovuta ad una scelta del curatore all’esito di una specifica valutazione di opportunità e convenienza per la massa (Cass. , sez.5, 34529/21;Cass., sez.5, 8132/18).

Le Sezioni unite affermano che un’interpretazione dell’art. 43 l. fall. costituzionalmente orientata in  relazione all’ art. 24 Cost., induce ad ammettere il contribuente fallito ad impugnare in proprio l’atto impositivo per il solo fatto che a ciò non provveda, per qualunque ragione, il curatore. 

Da ciò discende che il solo fatto che il curatore si sia attivato in sede giurisdizionale in relazione ad un determinato rapporto patrimoniale di cui è titolare il fallito esclude di per sé l’inerzia ed implica l’apprensione del rapporto al concorso, con applicazione della regola generale dell’art. 43 l. fall. e correlativa incapacità processuale del fallito che non può dunque che esser rilevata d’ufficio.

12/05/2023
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