Magistratura democratica
Pillole di Sezioni Unite

Sentenze di febbraio 2023

a cura di Redazione

Le più interessanti sentenze emesse dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel mese di febbraio 2023

La felice esperienza, ormai pluriennale, delle “pillole” della giurisprudenza CEDU e CGUE ci ha spinti ad estendere questa rilevante fonte d’informazione sulla giurisprudenza più recente anche alle pronunce delle Sezioni Unite.

Le ragioni non risiedono come per la giurisprudenza sovranazionale nelle difficoltà di conoscenza e di circolazione delle decisioni, ma nell’esigenza di poter avere una rassegna periodica dei principi di diritto a carattere nomofilattico espressi dalle S.U. della Corte di Cassazione, attraverso una sintesi agile e semplificata delle questioni poste dalle ordinanze interlocutorie, delle risposte fornite e del percorso logico giuridico ad esse sottese.

Tutto questo al fine di facilitare la conoscenza anche critica della giurisprudenza di legittimità, di coglierne il senso e la prospettiva, la coerenza o il deficit di uniformità.

Siamo infatti convinti che una maggiore consapevolezza degli orientamenti che costituiscono il diritto vivente non può che favorire da un lato l’obiettivo della certezza e della prevedibilità e dall’altro la sensibilità costituzionale che deve costituire il fondamento del nostro agire.

***

Fondazioni lirico – sinfoniche e convertibilità dei contratti di lavoro a termine in contratti a tempo indeterminato (Cass., Sez. Unite, 22/2/2023, nn. 5542 e 5556) 

Le Sezioni Unite, con le due sentenze nn. 5542 e 5556 del 2023, risolvono il contrasto di giurisprudenza – indicato nelle ordinanze interlocutorie della Sezione Lavoro della Corte, nn. 18885 e 18886 del 2022 − sulla questione della convertibilità in rapporto a tempo indeterminato del contratto a termine con clausola di durata affetta da nullità nelle ipotesi in cui la legislazione speciale, pur a fronte della natura privatistica del rapporto di lavoro, imponga un generalizzato divieto di assunzione a tempo indeterminato o subordini l’instaurazione del rapporto al previo superamento di procedure concorsuali o selettive. 

Le S.U. chiariscono che la questione, seppure prospettata in relazione alle fondazioni lirico-sinfoniche, tuttavia involge un tema più generale, che riguarda la possibilità di ritenere costituito fra le parti, come conseguenza dell’inefficacia o nullità della clausola appositiva del termine, un valido rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, in presenza di discipline di settore che vietino di instaurare rapporti di detta tipologia, ovvero impongano il rispetto di forme di reclutamento finalizzate alla selezione dei più meritevoli ed alla verifica della sussistenza dei requisiti richiesti per l’assunzione (es. Consorzi di bonifica, enti pubblici economici della Regione Sardegna e della Regione Sicilia, società partecipate). 

Fatta questa premessa, le Sezioni Unite hanno l’occasione di affermare (o di ribadire) i seguenti principi: 

a) in caso di successione di leggi nel tempo la legittimità della clausola di durata apposta al contratto a tempo determinato e le conseguenze che derivano dall’invalidità della stessa devono essere valutate facendo applicazione della disciplina vigente al momento dell’instaurazione del rapporto; 

b) l’art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, nel testo antecedente alle modifiche apportate dalla legge n. 92 del 2012, impone di specificare nel contratto le ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive che giustificano l’assunzione a tempo determinato e detto obbligo di specificazione non può essere soddisfatto per le fondazioni lirico-sinfoniche attraverso la sola indicazione dello spettacolo o dell’opera, non sufficiente, rispetto ad un’attività che si caratterizza per essere finalizzata alla produzione in ogni stagione di una serie di rappresentazioni, a rendere evidenti le ragioni oggettive del ricorso al rapporto a tempo determinato; 

c) nei casi di rapporto a tempo determinato con clausola affetta da nullità, l’instaurazione del rapporto a tempo indeterminato è impedita dalle norme imperative settoriali, vigenti al momento della stipulazione del contratto, che fanno divieto assoluto di assunzione a tempo indeterminato o subordinano l’assunzione stessa a specifiche condizioni oggettive e soggettive, fra le quali rientra il previo esperimento di procedure pubbliche concorsuali o selettive; 

d) in caso di reiterazione di contratti a tempo determinato, affetti da nullità perché stipulati in assenza di ragioni temporanee, ove la conversione sia impedita dalle norme settoriali richiamate al punto che precede, vigenti ratione temporis, le disposizioni di diritto interno, che assicurano il risarcimento in ogni ipotesi di responsabilità, vanno interpretate in conformità al canone dell’effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE e, pertanto, al lavoratore deve essere riconosciuto il risarcimento del danno con esonero dall’onere probatorio nei limiti previsti dall’art. 32 della legge 4 novembre 2010 n. 183 (successivamente trasfuso nell’art. 28 del d.lgs. 15 giugno 2015 n. 81), ferma restando la possibilità di ottenere il ristoro di pregiudizi ulteriori, diversi dalla mancata conversione, ove allegati e provati.

 

Meritevolezza del contratto di leasing e clausole di indicizzazione del canone (Cass., Sez. Unite, 23/02/2023, n. 5657)

Con la pronuncia in esame le S.U., nel ritenere valido e “meritevole”, il contratto di leasing per cui è causa, ha chiarito cosa debba intendersi per giudizio di meritevolezza ai sensi dell’art. 1322, comma 2, c.c.

In primo luogo, si evidenzia la distinzione tra giudizio di meritevolezza e giudizio di liceità del contratto: mentre la liceità implica un controllo negativo relativo alla mancanza di contrasto della causa o dell’oggetto con i limiti esterni dettati da norme imperative, ordine pubblico e buon costume, il giudizio di meritevolezza deve investire non il contratto in sé, ma il risultato perseguito dalle parti, cioè lo scopo pratico o causa concreta (Ss.Uu., sent. n.4222 del 2017).

Quanto ai parametri in base ai quali valutare la meritevolezza del risultato perseguito dalle parti, le S.U. hanno chiarito che il principio sancito nel paragrafo 603 della Relazione al Codice, che fa riferimento alla coscienza civile, all’economia, al buon costume e all’ordine pubblico, pur se antecedente alla Carta Costituzionale, viene da questa ripreso e consacrato negli artt. 2, comma 2, 4, comma 4, e 41, comma 2. 

Pertanto, l’immeritevolezza dipende dalla contrarietà dello scopo perseguito dal contratto con i principi di solidarietà, parità e non prevaricazione posti a fondamento dei rapporti tra privati.

In applicazione di tali principi, la pronuncia in esame evidenzia come la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto non meritevoli di tutela ai sensi del secondo comma dell’art. 1322 c.c., contratti che avevano lo scopo o l’effetto di:

a) attribuire a una delle parti un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita per l’altra;

b) porre una delle parti in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all’altra;

c) costringere una delle parti a tenere condotte contrastanti coi superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti.

Nel caso in esame, la Corte non rinviene alcuna delle predette situazioni. In particolare, le S.U. smentiscono tutti gli argomenti posti dalla Corte d’Appello di Trieste a fondamento dell’immeritevolezza della clausola di indicizzazione dei canoni contenuta nel contratto di leasing. 

Il giudice d’appello, infatti, motivava l’immeritevolezza della clausola di “rischio cambio” in virtù di tre argomenti: il calcolo per la determinazione dei canoni con riferimento al tasso di cambio tra euro e franco svizzero era “astruso, macchinoso, complesso e oscuro”; la clausola che disciplinava il “rischio cambio” era caratterizzata da aleatorietà e squilibrio, in quanto la base di calcolo dell’indicizzazione differiva a seconda che l’euro si fosse deprezzato o apprezzato rispetto alla valuta di riferimento; fin dalla stipula del contratto era prevedibile un costante apprezzamento del franco svizzero rispetto all’euro.

Con riguardo al primo argomento le S.U. evidenziano che una clausola contrattuale “astrusa” o “oscura” non rende il contratto nullo perché immeritevole ex art. 1322 c.c., posto che il negozio dovrà essere interpretato dal giudice secondo i canoni di ermeneutica di cui agli artt. 1362-1371 c.c.: la clausola oscura andrà interpretata, in mancanza di altri criteri, in modo che le si possa dare un senso (art. 1371 c.c.), oppure contra proferentem (art. 1370 c.c.); del pari, una clausola “macchinosa” o “complessa” non può considerarsi di per sé immeritevole e, in quanto tale, condurre alla nullità del contratto: qualora la clausola sia contenuta in un testo contrattuale predisposto unilateralmente il proponente sarà tenuto al risarcimento del danno per non aver fornito alla controparte le necessarie informazioni precontrattuali, ove imposte dalla legge o dal dovere di buona fede; mentre laddove il consenso del contraente sia stato dato per errore o carpito con dolo, il rimedio esperibile sarà quello dell’annullamento del contratto per vizi del consenso, non incidendo, in nessun caso, sulla meritevolezza del contratto. 

Viene disattesa la tesi del giudice d’appello secondo cui l’aleatorietà e lo squilibrio determinate dalla clausola comporterebbero l’immeritevolezza del contratto.

Un contratto aleatorio non ne determina, di per sé, l’immeritevolezza ex art. 1322 c.c. nè è inibito alle parti di stipulare contratti aleatori atipici (ad esempio in materia di vitalizio atipico, ex multis Cass. Sez.2, n.8209 del 2016), o inserire elementi di aleatorietà in contratti commutativi. Analogamente, occorre distinguere tra squilibrio giuridico ed economico.

Invero, ad essere censurabile per immeritevolezza non è il contratto economicamente svantaggioso per una parte, essendo rimessa alla libertà negoziale ogni valutazione circa la convenienza dell’affare, ma il contratto che attribuisce a una parte un vantaggio che non è in alcun modo bilanciato da un corrispondente beneficio per l’altra. Ad essere immeritevole di tutela e quindi nullo ex art. 1322 c.c. non è, dunque, il contratto ingiusto, bensì quello ingiustificato.

Le Sezioni Unite precisano al riguardo che:

A) La libertà negoziale è un principio cardine del nostro ordinamento e del diritto e del diritto dei contratti. Non è dunque lo iato tra prestazione e controprestazione che può rendere un contratto immeritevole di tutela ex art. 1322 c.c., se quella differenza sia stata in piena libertà ed autonomia compresa ed accettata;

B) Lo squilibrio delle prestazioni non può farsi coincidere con la convenienza del contratto: l’intervento del giudice sul contratto non può che essere limitato a casi eccezionali, pena la violazione del fondamentale principio di libertà negoziale;

C) Lo squilibrio economico tra prestazioni se è genetico legittima la rescissione per lesione; se sopravvenuto la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta. L’esistenza di tali rimedi, subordinati alla ricorrenza di bene definiti presupposti, esclude dunque la necessità di ricorrere alla nozione di immeritevolezza per un contratto che preveda “prestazioni squilibrate”.

D) Anche a voler ammettere che il calcolo degli interessi, così come previsto dal contratto fosse più vantaggioso per il concedente rispetto all’utilizzatore, i rimedi a disposizione della parte svantaggiata sarebbero altri e diversi dal giudizio di meritevolezza ex art. 1322 c.c.: si potrà valutare se la clausola fosse valida ex art. 1341c.c.; oppure determinata dall’approfittamento di uno stato di bisogno; o se non sia stata adeguatamente illustrata in sede precontrattuale: ma nel primo caso soccorrerà il rimedio della nullità; nel secondo quello dell’annullamento del contratto per errore o del risarcimento del danno.

In conclusione il giudizio di immeritevolezza dell’art. 1322 c.c. non può essere lo strumento attraverso cui veicolare un inammissibile intervento del giudice sulla convenienza dell’affare.

La pronuncia in esame nega l’esistenza di contrasti interpretativi circa la validità delle clausole di indicizzazione degli interessi inserite in vari contratti (di leasing o di mutuo): le clausole di indicizzazione tendenzialmente non sono nulle. Le clausole di indicizzazione del canone non sono qualificabili come derivati. Gli “strumenti finanziari derivati” sono accordi negoziali definiti dall’art. 1 d.lgs. n.58/1998: la clausola in oggetto non rientra in tale previsione né avuto riguardo al testo vigente all’epoca della conclusione del contratto, né al testo oggi vigente, né facendo ricorso all’analogia.

Quanto all’analogia, l’art.1 d.lgs. n.58/1998 comprende ipotesi molto diverse tra loro raggruppabili però in quattro fenotipi fondamentali:

a) La compravendita (acquisto di futures);

b) La copertura di rischi (es., i credit default swap);

c)  La concessione dietro corrispettivo del diritto di opzione;

d) Lo scambio di pagamenti il cui importo è determinato rinviando a variabili differenti.

La clausola in esame non è riconducibile a nessuna di queste categorie: non costituisce una compravendita, né un’opzione e tanto meno ha lo scopo di coprire un certo rischio o scommettere sull’andamento dei cambi; la clausola era inserita in un contratto di leasing e si limitava ad agganciare il debito dell’utilizzatore a un indice monetario (rappresentato dal tasso di cambio euro-franco svizzero). Le Sez. Unite, richiamando un precedente arresto (Cass. n. 19226 del 2009), evidenziano che rientrano nella categoria degli “strumenti finanziari collegati alla valuta”, soltanto quelli per mezzo dei quali le parti intendono speculare sul mercato delle valute e non quelli che si limitano a determinare il valore di una prestazione rinviando ad un indice monetario.

Nel caso di specie si tratterebbe di un reciproco scambio di flussi di denaro, in assenza di un interesse speculativo delle parti, che attraverso detto contratto non hanno inteso lucrare sulle fluttuazioni valutarie.

Nella fattispecie concreta, peraltro, secondo quanto risulta dall’esposizione dello sviluppo processuale, secondo quanto affermato dal giudice di prime cure che dichiarò la nullità del contratto, l’importo dei canoni residui del leasing, in conseguenza dell’applicazione della clausola di indicizzazione, passa da 78.000,00 € a ben 138.000,00 €, il che potrebbe porre qualche dubbio sulla mancanza di intento speculativo.

Le Sezioni unite, dopo aver richiamato gli elementi che caratterizzano gli “strumenti finanziari derivati” secondo Cass., S. U. n.8770 del 2020, contestano la nozione di “derivato implicito” che è fuorviante e rischia di allargare troppo l’ambito di applicazione della normativa.

In conclusione, un finanziamento (non importa se in forma di mutuo o di leasing) è un debito di valore e non di valuta: la clausola in oggetto è una normale clausola valore.

In secondo luogo, quanto alla questione, sottoposta all’esame delle S.U., se la clausola di rischio cambio snaturi la causa del contratto di leasing, la Cassazione ha concluso nel senso di ritenere che la presenza di detta clausola non muta la causa del contratto. Non è, infatti, possibile desumere da tale previsione che scopo dell’utilizzatore non fosse quello di acquistare l’immobile, ma di investire denaro per realizzare un lucro finanziario speculando sul tasso di cambio. La previsione di maggiori o minori obblighi a carico di una delle parti, rispetto a quelli scaturenti dallo schema contrattuale tipico, non è di per sé sufficiente a concludere che quel contratto in conseguenza di quegli obblighi aggiuntivi abbia mutato causa e natura. 

Se così è, e se dunque l’inserimento di tale clausola non muta la natura di contratto tipico del negozio in esame, tale valutazione, sarebbe già di per sé idonea ad assorbire il giudizio di “meritevolezza”, atteso che secondo quanto affermato dalla nota pronuncia delle S.U. n. 22437 del 2018, ancora di recente ribadita da Cass., sez.III, 12981 del 2022, in materia di clausole “claims made”, tale valutazione concerne i contratti “atipici”. 

 

In merito all’ultima questione devoluta all’esame delle S.U., queste ultime hanno ritenuto che la previsione di una clausola di rischio non costituisca, da sola, violazione dei doveri di correttezza e buona fede da parte della società concedente. Nell’escludere la contrarietà a buona fede della clausola le S.U. evidenziano la distinzione tra meritevolezza del contratto e rispetto del dovere di buona fede. Invero, la violazione dei doveri di correttezza e buona fede nella fase delle trattative o nell’esecuzione del contratto potrà condurre all’annullamento del contratto per vizio del consenso, ovvero a una responsabilità precontrattuale o da inadempimento, non potendo, però, mai determinare l’immeritevolezza del contratto.

07/03/2023
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