Magistratura democratica
giurisprudenza di merito

Redditometro:
arma liberticida
o strumento di giustizia?

di Alberto Marcheselli
Professore di Diritto Finanziario nella Università di Genova
L’importanza fondamentale di una applicazione equilibrata degli istituti giuridici. La proporzione tra lo strumento adottato e la correlata “invasione” della relativa sfera privata, da un lato, e il fine perseguito dall’altro
Redditometro:<br>arma liberticida<br> o strumento di giustizia?

1. Premessa

L’ordinanza 21 febbraio 2013 del Tribunale di Napoli, Sez. distaccata di Pozzuoli ha il merito, per così dire, di gettare un grosso sasso giuridico nella piccionaia del dibattito in materia di c.d. redditometro, in particolare, e di lotta all’evasione fiscale, in generale.

Il provvedimento viene adottato dal giudice civile, in esito a un ricorso cautelare con il quale un soggetto chiedeva che all’Amministrazione finanziaria fosse inibita, prima ancora che l’utilizzo fiscale, la raccolta degli indici di spesa rilevanti per la ricostruzione induttiva del reddito.

Il giudice partenopeo accoglie il ricorso, ordina alla Agenzia delle entrate di non raccogliere dati e di distruggere quelli raccolti.

Il provvedimento affronta e risolve una serie di snodi problematici.

 

2. La giurisdizione


Il primo concerne la giurisdizione.

In effetti, a tutta prima, potrebbe lasciare perplessi la affermazione della giurisdizione del GO per una questione apparentemente fiscale, sulla quale vige la giurisdizione, ormai generale, dei giudici tributari, ai sensi dell’art. 2 d. lgs. 546/1992.

Tale prima impressione tuttavia non sarebbe a nostro avviso quella corretta: il ricorrente non azionava una posizione giuridica tributaria: non azionava il diritto (o interesse) al corretto accertamento del tributo dovuto, ma si lagnava della asserita violazione dei suoi diritti fondamentali (la riservatezza e, in senso lato, la libertà) pretesamente provocata dalla raccolta di una mole pervasiva e onnicomprensiva di dati, anche afferenti la vita privata, e anche dati sensibili (salute, opinioni politiche, ecc.), non giustificata e non proporzionata rispetto alla finalità avuta di mira (la lotta alla evasione fiscale).

Il diritto fatto valere era, effettivamente, un diritto “civile”, spettante alla giurisdizione del GO.

Per questa parte l’ordinanza è effettivamente allineata agli approdi della giurisprudenza internazionale più rilevante, anche relativamente ai temi “di confine” rispetto alla fiscalità. La Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha avuto modo di stabilire in effetti il principio secondo il quale le indagini fiscali possono impattare sui diritti fondamentali del soggetto e deve essere prevista la garanzia di una tutela immediata, anche inibitoria da parte di un organo giurisdizionale terzo e imparziale (così CEDU AFFAIRE RAVON c FRANCE 21 febbraio 2008).

 

3. La proporzione del sacrificio
tra filosofia politica e diritto

Il nocciolo centrale del provvedimento concerne la sussistenza di una proporzione tra lo strumento adottato (la sistematica raccolta di dati afferenti le spese del contribuente) e la correlata “invasione” della relativa sfera privata, da un lato, e il fine perseguito (l’accertamento tributario), dall’altro.

Il quesito se e fino a che punto possa sacrificarsi la sfera del singolo per il fine, pubblico, di applicazione dei tributi ha anche un evidente (e assai appassionante) significato politico, giuspolitico e filosofico, aperto alle più diverse opzioni, assiologiche e ideologiche.

Il provvedimento è sicuramente ispirato a una forte tensione ideale di tutela delle ragioni del singolo ma, per vero, appare fortemente radicato anche in considerazioni di tipo prettamente giuridico, ideologicamente indifferenti, molte delle quali suscitano un notevole interesse nello studioso del diritto tributario, e possono ulteriormente completarsi con alcuni rilievi prettamente tributari.

Indipendentemente dal peso relativo che si ritenga di dare a “cittadino”, da una parte e “pubblico potere” dall’altro, ovvero a libertà e uguaglianza, individualismo e solidarietà, profitto e redistribuzione della ricchezza, problemi eminentemente di filosofia politica ed etica, sta il fatto che ogni mezzo giuridico, e quindi anche la raccolta (e l’uso) dei dati concernenti il redditometro, in tanto può giustificarsi, in quanto sia necessario, o proporzionato al fine.

Ebbene, sotto questo profilo, la scelta sottostante il redditometro può in effetti mostrare dei profili di debolezza, che debbono consigliare cautela.

 

4. Il redditometro è la spia
di una crisi del sistema tributario

Intanto, la crisi del sistema tributario che ha portato, da ultimo alla adozione di questo strumento viene da lontano.

Dal 1973, con la riforma tributaria, quando si è generalizzato l'obbligo di tenuta delle scritture contabili.
Gli accertamenti tributari erano fino a quel momento essenzialmente stime della ricchezza effettuate sulla base di indici presuntivi e di visibilità della ricchezza (agricola, ecc.).
Il boom degil anni 50-60 ha comportato la nascita e diffusione anche di aziende di dimensioni tali da dover, per ragioni di organizzazione interna, tenere una contabilità affidabile e precisa.
Ciò ha fatto si che venissero a esistere categorie di contribuenti i cui redditi si possono ragionevolmente fotografare nel dettaglio: innanzitutto i salariati o fornitori di queste aziende (compresi i dipendenti pubblici) attraverso le ritenute, e loro stesse, attraverso la contabilità.
Si è così pensato (ci si è illusi) di poter estendere meccanismi analitici, idonei a individuare il reddito in modo assolutamente preciso e “contabile” anche fuori da questo settore, facendo retrocedere le "stime ragionevoli" a mezzo di seconda categoria.
Ciò ha fatto sì, in primo luogo che tutte le attività economiche che non hanno bisogno di tenere una contabilità affidabile (le attività economiche a gestione personale o familiare) si sono trovate spalancate la strada di una comodissima evasione... basta tenere una contabilità "creativa" e... non emettere scontrini o fatture.

Questo è il fattore strutturale che consente la sacca di evasione che "mediaticamente" si ascrive alle partite IVA.

Con circa un decennio di ritardo (la prima volta nel 1984) è partita la rincorsa: il tentativo di turare la falla.

Ma il danno culturale era stato fatto: per decenni si è cercato di esorcizzare il problema della "ricerca della ricchezza sul campo" creando dei meccanismi analitici, ma presuntivi, che restituissero con esattezza matematica i redditi, senza "cercarli per la strada".
Invece che tornare a cercare i redditi sul campo, creare una specie di catasto astratto della ricchezza.
Il problema esisteva ed esiste, ma per lungo tempo si è cercato di affrontarlo con lo strumento, è ormai una conclusione abbastanza condivisa, sbagliato.

Così come non è possibile trovare una funzione matematica precisa che, data la superficie del bancone del bar, dica quanto incassa il barista (studio di settore), non è possibile dare una funzione matematica che, accertato che Tizio ha un cavallo, dica quanto guadagna Tizio (redditometro).
Questi meccanismi sono utilissimi se usati per quello che sono: spie molto efficaci di situazioni anomale, ma non "prove salvo discolpa".

Ciò per il fatto che le variabili tra contribuente e contribuente sono talmente numerose che ogni forzatura e rigidità comporterebbe, come riconosce il provvedumento in rassegna, sostanziale ingiustizia.

L'Agenzia delle Entrate per più di trenta anni "ha perso il controllo del territorio" e c'è questa tendenza a trovare formule o metodi matematici SOSTITUTIVI della ricostruzione ponderata del caso.

Ricostruzione ponderata, caso per caso, magari partendo da dati standard, che, invece, è il proprium dell'accertamento tributario.

25/02/2013
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