Magistratura democratica
giurisprudenza di merito

Non mi hai detto subito che non è figlio mio? Ed io ti chiedo – ed ottengo – il risarcimento del danno!!

di Paolo Pisani
Avvocato del Foro di Firenze
Commento a Tribunale Firenze, 2 febbraio 2015. Responsabilità à gogo ma i figli sono un dono e non un danno
Non mi hai detto subito che non è figlio mio? Ed io ti chiedo – ed ottengo – il risarcimento del danno!!

Sommario: 1) il caso; 2) l'ingiustizia del danno; 3) il danno non  patrimoniale; 4) la correlazione tra l'azione risarcitoria ed il nuovo testo dell'art. 263 c.c.; 5) L'estensione dell'ambito di applicazione dell'azione risarcitoria al matrimonio, alla convivenza stabile ed all'inseminazione eterologa; 6) altri danneggiati dall'illecito.       

1) Tizio e Caia hanno tra di loro una relazione sentimentale che non sfocia, pur perdurando per alcuni anni, in una stabile convivenza. Nell'anno 2009 Caia partorisce una bambina che viene felicemente riconosciuta da Tizio. Dopo pochi mesi dalla nascita della bambina, la relazione amorosa tra Tizio e Caia cessa. Nei primi mesi dell'anno 2011 Caia confessa a Tizio che la bambina è stata da lei concepita con un altro uomo. Tizio impugna immediatamente il riconoscimento della bambina ex art. 263 c.c. ed introduce successivamente un giudizio di natura risarcitoria nei confronti di Caia, colpevole di avergli nascosto che la bambina, da lui riconosciuta, non era in realtà frutto della loro relazione sessuale. Il Tribunale fiorentino accoglie la domanda ma riduce notevolmente la pretesa risarcitoria di Tizio.

2) La sentenza del Tribunale fiorentino costituisce – ad una prima lettura “a caldo” - l'inevitabile approdo ([1]) dell'adozione, ormai consolidata, della tecnica risarcitoria all'interno delle relazioni amorose ([2]). A livello di sistema, ormai da tempo, l'art. 2043 c.c. rappresenta il rimedio di punta nella tutela dei diritti inviolabili della persona ([3]), a prescindere da eventuali perdite patrimoniali subìte dal danneggiato e dalla presenza di altre forme di tutela c.d. speciale, come quelle, anche di recente conio, introdotte nel diritto di famiglia ([4]).

Nel caso di specie, peraltro, mancando persino una stabile convivenza, il Giudice ha “mani libere” per procedere all'applicazione della tecnica aquiliana senza doversi confrontare con quei filtri ([5]) che, di volta in volta, la giurisprudenza ha individuato per arginare la tecnica risarcitoria nell'ambito della relazione familiare. Ad esempio, il Tribunale fiorentino ritiene sufficiente ai fini dell'attribuzione di responsabilità la prova della sola colpa della convenuta, mentre, come è noto, i casi giurisprudenziali di responsabilità endofamiliare richiedono generalmente la ricorrenza del dolo in testa al danneggiante ([6]). Invece, è proprio tramite un'oculata applicazione della regola aquiliana al caso concreto che il Tribunale di Firenze riesce a calibrare una risposta equilibrata alla domanda di giustizia che gli era stata rivolta da Tizio. Il Giudice opera sezionando analiticamente il fatto illecito nei suoi elementi costitutivi: riconosce la presenza dell'ingiustizia del danno ma riduce drasticamente l'area del danno risarcibile.

Nell'indagine sul piano dell'ingiustizia del danno, il Tribunale gigliato valorizza il diritto fondamentale all'autodeterminazione di Tizio che è stato indotto a riconoscere una figlia biologicamente non sua. In tal modo, risulta evidente che Tizio sia stato leso nella sua identità personale all'interno del primario contesto genitoriale rilevante ex artt. 2 e 13 Costituzione. 

Dalla parte della convenuta il Giudice adito non trova sufficienti giustificazioni alla sua condotta omissiva. Pur non avendo Caia alcuna posizione di garanzia o di controllo nei confronti di Tizio, la convenuta, tacendo informazioni significative sulla paternità biologica della bambina, ha tenuto una condotta scorretta. Il silenzio di Caia ha creato un ragionevole affidamento in Tizio sulla sua paternità biologica inducendolo a riconoscere la neonata.                 

Il bilanciamento degli interessi delle parti ([7]) non poteva pertanto che pendere in favore di Tizio: l'attore ha subìto la lesione di un diritto fondamentale, la convenuta ha violato il principio generale di buona fede.

A mio avviso, il Giudice avrebbe potuto rintracciare specifici indici di valutazione normativa da cui trarre le necessarie conclusioni in tema di ingiustizia del danno ([8]); ad esempio, un confronto del caso indagato con quanto disposto dall'art. 129 bis c.c. ([9]) e dall'art. 5 della legge 194/1978 ([10]) sarebbe stato sicuramente opportuno. Il mero riferimento al principio di buona fede, la cui operatività in tema di regola aquiliana non trova certo unanime la dottrina ([11]), rende un po' astratto e generico il bilanciamento degli interessi operato dal Giudice.

3) Accertata l'ingiustizia del danno e la presenza della colpa della convenuta, il Giudice passa ad occuparsi dell'area del danno risarcibile. Il Tribunale compie una rigorosa selezione soprattutto in tema di danno non patrimoniale. La motivazione adottata a sostegno del mancato riconoscimento del danno esistenziale è la parte più originale e condivisibile della sentenza commentata. Se in sede di ingiustizia del danno il Giudice valorizza l'autodeterminazione della persona nel contesto genitoriale, sul piano del danno conseguenza il Tribunale assume che non sia sufficiente, ai fini della risarcibilità del danno esistenziale, l'indubbio stravolgimento dello stile di vita dato dalla nascita della figlia putativa; al contempo, il Tribunale però rileva che tale lieto evento non ha danneggiato ma ha arricchito spiritualmente Tizio. I figli (anche “temporanei” e putativi) sono comunque doni meravigliosi ([12]) per i genitori; dunque, essi non possono rappresentare un evento peggiorativo della qualità di vita. La crisi di coppia e l'illecito commesso dalla convenuta non possono inficiare il valore positivo della genitorialità anche non biologica.

Viceversa, il Tribunale riconosce dovuto a Tizio il risarcimento del danno morale transeunte liquidandolo però in soli Euro 5.000,00. Qui non condivido l'argomentazione del Giudice. Del resto, come rileva il Tribunale, se l'attore non può dolersi dell'infedeltà della partner ([13]), allora non si può prospettare, quale danno giuridicamente rilevante, lo shock per il tradimento. Poi, come riconosce lo stesso attore, se il rapporto con la bambina è stato un felice investimento emotivo - che è stato interrotto dallo stesso Tizio che ha presentato domanda d'impugnazione del riconoscimento - non si capisce dove sia la sofferenza giuridicamente rilevante sub specie danno morale.

In realtà, a mio avviso, la condanna a soli euro 5.000,00 costituisce poco più di un nominal damages, una limitata reazione ordinamentale alla mera lesione, in presa diretta (un “tort actionable per se”) ([14]), del diritto inviolabile all'autodeterminazione nel contesto genitoriale. In sostanza, il Giudice non ritiene sufficiente a governare l'intero fatto il solo ricorso al rimedio speciale dell'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità: la condotta scorretta della convenuta deve trovare un'ulteriore risposta ordinamentale. D'altro canto, la limitazione a soli euro 5.000,00 della condanna a titolo di danno non patrimoniale, dimostra che il Giudice adito non vuole assecondare un processo di trasformazione di una relazione d'amore finita male in una pena privata, travestita da pretesa risarcitoria. La moderata valutazione equitativa del risarcimento, ex art. 1226 c.c., consente al Giudice di dare tutela al bene leso scongiurando, al contempo, il pericolo di quella deriva smaccatamente sanzionatoria che sta, con sempre maggiore veemenza, assalendo il rimedio aquiliano ed,  in particolare, l'art. 2059 c.c..

D'altro canto, la sentenza qui in commento, depurata dal riferimento alla sofferenza del danneggiato, viene a trovare significativi riscontri nella recente giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione che affranca sempre più spesso il danno morale dal danno biologico, attribuendo al primo il ruolo di diretto guardiano del principio fondamentale della dignità della persona, la cui lesione è  risarcibile in quanto tale ([15]). 

4) Il ricorso alla tecnica aquiliana non è mai uno strumento neutro andando ad incidere, spesso pesantemente, sull'assetto patrimoniale prodotto dal diritto c.d. speciale. Si valuti ad esempio quanto ora andiamo ad esporre. La nuova formulazione dell'art. 263 c.c., dovuta al dlgs n. 154/2013, non è applicabile ratione temporis ([16]) ai fatti della causa decisa dalla sentenza che qui si commenta. Occorre però domandarsi de futuro – ma non può certo essere questa la sede per articolare una risposta appena sufficiente al quesito - quali siano gli effetti dell'azione risarcitoria nel caso in cui non sia più possibile ricorrere da parte dell'uomo all'azione d'impugnazione del riconoscimento per l'avvenuto decorso del termine annuale di decadenza ([17]) previsto dal nuovo testo dell'articolo in esame. Ebbene, il padre “legale” potrà chiedere a titolo risarcitorio alla donna che gli ha taciuto la reale paternità biologica del figlio, il rimborso delle spese di mantenimento dello stesso e ciò fino al raggiungimento della sua autosufficienza economica o fino a quando costui decida di esercitare l'azione, per lui imprescrittibile,  prevista dall'art. 263 c.c.?

5) Non vi è ragione perchè l'azione risarcitoria in questione non possa essere svolta sia dal convivente more uxorio che dal marito che apprenda che il figlio nato in costanza della relazione stabile o del matrimonio, non sia biologicamente frutto del suo seme. Infatti, come si è detto, il diritto leso in questione riguarda l'autodeterminazione della persona, a prescindere dalla presenza o meno della relazione familiare o quasi familiare.

Ugualmente, il principio giurisprudenziale sancito dalla sentenza qui commentata andrà applicato anche nel caso d'inseminazione eterologa ([18]) avvenuta “abusivamente” e cioè quando il partner maschile ritenga in buona fede di essere il padre biologico del neonato.

6) L'accoglimento dell'azione risarcitoria in favore dell'uomo che ha eseguito il riconoscimento del figlio non suo, non deve oscurare che l'illecito in questione commesso dalla donna sia possibile causa di gravi danni anche al padre biologico ed al figlio.  

Il padre biologico - naturalmente nel caso in cui egli sia all'oscuro della sua paternità - viene leso nella sua genitorialità qui intesa nel senso dell'impossibilità di godere del figlio frutto del suo seme ma riconosciuto da un'altra persona.

Ancora più grave è la lesione agli interessi affettivi ed identificativi della personalità del figlio che prima si vede attribuito un padre che non è quello biologico, e poi perde questo padre a seguito dell'impugnazione del suo riconoscimento; per di più, egli vede la madre, divenuta l'unico suo genitore, convenuta in giudizio da questo “signore” al fine di ottenerne - pare con successo - un risarcimento del danno. Se poi il padre “legale” è decaduto dal potere di impugnare il riconoscimento, è forse sostenibile che le somme necessarie al mantenimento del figlio vengano dal padre “recuperate” richiedendole a titolo risarcitorio alla madre: un bel guazzabuglio. Sul piano sociale avremo una famiglia monogenitoriale e sul piano giudiziario un contenzioso multiplo. Saranno certo felici gli Avvocati ed i centri di accertamento scientifico della paternità che dovranno evadere, su richiesta delle madri, molte pratiche ai fini della prevenzione dell'illecito colposo. Con la previsione del termine annuale di decadenza dall'azione ex art. 263 c.c. il legislatore italiano ha dimostrato di attribuire una valenza limitata al principio di verità ([19]) sviluppando un'esigenza normativa di stabilità della relazione padre – figlio che l'uragano giudiziario, provocato dall'esercizio delle azioni aquiliane sopra individuate, potrebbe sconvolgere. Alla dottrina ed alla futura giurisprudenza va l'arduo compito di comporre diritti inviolabili – sempre più voraci e pervasivi di ogni ambito del diritto civile - e status acquisiti e ciò in presenza di un concetto di famiglia, sempre concepito come primo fondamentale legame sociale, ma profondamente destrutturato e deistituzionalizzato.Mala tempora currunt se si affida al denaro questa fenomenologia di conflitti. La conversione in  denaro ([20]) e la violenza sono oggi le uniche forme di risoluzione della conflittualità sociale, anche nell'ambito familiare. Si pretende l'informazione ma non si riesce a comunicare veramente ([21]). Si assiste impotenti al fallimento del valore simbolico della Parola ([22]).



[1] Come già preannunciato dalla dottrina: si veda L. Gaudino, La responsabilità civile endofamiliare, Resp.civ. e prev., 2008 pag. 11 dell'estratto.

[2] Tra i tanti contributi: Cendon, Dov’è che si sta meglio che in famiglia?, Resp.civ.e prev., 2003 pag. 941 e ss;  Facci, Il danno da adulterio, Resp. Civ.e prev., 2012 pagg.1418 e ss.; E. Camilleri, Illeciti endofamiliari e sistema della responsabilità civile nella prospettiva dell'European Tort law, Europa e dir. priv., 2010 pag. 145 e ss, A.Gatto, Natura della responsabilità derivante dalla violazione dell'obbligo di fedeltà tra i coniugi, Giust. Civ, 2012 pag 2602 e ss.; C. Nassetti, L'illecito endofamiliare fa ingresso nella famiglia di fatto, Resp civ prev., 2013, pagg 1882 e ss..

[3] Tra le tante, in tema di illecito endofamiliare, Cass n. 7713/2000 in Fam dir., 2001,pag.159 con nota di Dogliotti, Cass. n.9801/2005 in DeG, 2005, 22, 14 con nota di Dosi; Cass. n.26205/2013 in Diritto della famiglia e delle persone (II) 2014,2, 605 e Cass n.15481/2013 in Resp. civ. e prev. 2013,6,1877 con nota di Nassetti; in altri settori dell'ordinamento tra le tante:  Cass. n. 10741/2009 in Dir. Famiglia, 2009, 3, 1159 con nota di Ballarani; Cass n.6507/2002 in DeG,2001,22,15 con nota di Rossetti e da ultimo la discussa Cass n.1361/2014 in tema di danno da perdita della vita; Cass. Sezioni Unite 26972 - 5/2008 e Cass. n.8827 e 8828/2003; Corte Costituzionale n.233/2003. 

[4] Il riferimento è ovviamente agli artt. 342 bis e 342 ter c.c. ed all'art. 709 ter cpc. In giurisprudenza sull’art. 709 ter Trib. Messina, 3.10.2012 in Diitto e Giustizia on line, 2012, 24 ottobre. Tra i tanti contributi G. Spoto, Dalla responsabilità civile alle misure coercitive indirette per adempiere agli obblighi familiari, Dir. Famiglia, 2010, pag.910 e ss.;  A. Nicolussi, Obblighi familiari di protezione e responsabilità, Europa e dir.priv. 2008, pag. 929. 

[5] Si veda ad esempio, G. De Rosa, Violazione dei doveri coniugali e risarcimento del danno, in Funzioni del diritto privato e tecniche di regolazione del mercato, a cura di M. Maugeri e A. Zoppini,2009, pag. 487 e ss.;  Facci, Il danno da adulterio, op.cit, pag.407 e ss. ed L. Gaudino, op. cit., pag. 1238 e ss..

[6] Il dolo viene ravvisato proprio nel caso giurisprudenziale che ritengo più vicino a quello deciso dal Tribunale di Firenze nella sentenza che qui si commenta. Intendo riferirmi a Corte  D'Appello di Milano, 12 aprile 2006, Fam. dir., 2006, 459 con nota di Facci, L'illecito endofamiliare tra danno in re ipsa e risarcimenti ultramilionari. Nel caso deciso dalla Corte milanese l'uomo aveva appreso da terzi e solo dopo il matrimonio di non essere il padre del bambino che fino a quel momento aveva ritenuto in buona fede come proprio; lo stato di gravidanza era stato utilizzato dalla donna come forma di pressione per ottenere dal partner il matrimonio “riparatore”.  La malafede della donna nel caso milanese è certa  e la sua condotta pare motivata da ragioni di egoismo personale dirette ad ottenere il matrimonio. Nel  caso milanese il coefficiente di  scorrettezza nella condotta della donna è stato maggiore di quello che si registra nell'odierno caso fiorentino. Tanto è vero che il risarcimento attribuito al marito dalla Corte milanese ha raggiunto i 10.000 euro.  

[7] L'adesione del Tribunale fiorentino alla concezione dell'ingiustizia del danno accolta dalla sentenza  n. 500/1999 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione è evidente.

[8] Si veda per questa preziosa indicazione metodologica,  G. Vettori, Diritti della persona e unità della famiglia trenta anni dopo, in Diritti e tutele nella crisi familiare a cura di I. Mariani e G. Passagnoli, Milano, 2007 pag.10.

[9] Come è noto, secondo giurisprudenza consolidata ormai da decenni per l'applicabilità dell'art.129 bis c.c.: “ non è sufficiente la riferibilità oggettiva della causa d'invalidità del matrimonio e non basta neppure la consapevolezza, certa o probabile di essa, occorrendo altresì un comportamento ulteriore, commissivo o omissivo, contrario al dovere generale di correttezza, che abbia contribuito alla celebrazione del matrimonio nullo (così ad esempio, Cass. n. 348/1993, n.23073/2005 e n. 9484/2013). Ma perchè tale quid pluris sussista è sufficiente l'occultamento in malafede al partner della causa d'invalidità (così  ad esempio Cass n. 9484/2013). Traccia un'importante linea di continuità tra la fattispecie normativa di cui all'art. 129 bis c.c. e la regola generale di responsabilità aquiliana la fondamentale sentenza  n. 9801/2005 della Corte di Cassazione sopra cit.. L'omessa informazione sulla propria incapacità sessuale può costituire fatto a cui applicare l'art. 129 bis c.c. in caso di nullità del matrimonio ed, in caso contrario, la regola aquiliana. In entrambi i casi la mancata comunicazione viola il diritto fondamentale del partner nelle “sue aspettative di armonica vita sessuale, nei suoi progetti di maternità, nella sua fiducia in un vita coniugale fondata sulla comunità”.  E se sta  “nell'omessa informazione” l'illecito, “quale fatto violativo dell'obbligo di lealtà”, anche il caso qui indagato va ammesso al risarcimento. Proprio il riferimento all'art. 129 bis c.c. fa emergere la necessità di valutare l'applicabilità al caso qui indagato, in luogo dell'art.2043 c.c., dell'art.1338 c.c..  L'esplicazione di tale tema, che coinvolge anche delicate questioni di teoria generale delle obbligazioni, non può certo essere affrontata nello spazio di una nota a sentenza, anche perchè il diverso inquadramento non pare che avrebbe comportato un diverso esito del giudizio. Si veda comunque il contributo di A. Nicolussi, op.cit, spec. pag. 5 ss. dell'estratto e le note 27- 29. 

[10] Detta norma lascia la donna unica responsabile della decisione di interrompere la gravidanza senza alcun obbligo di informare il suo partner. Tale norma ha superato il vaglio di costituzionalità ( così Corte Costituzionale, 31.3.1988 n. 389); dunque, l'azione di risarcimento del danno promossa dall'uomo per violazione dell'obbligo d'informazione è da rigettarsi perchè manca l'ingiustizia del danno ( si veda la sentenza n. 11094/1998 della Corte di Cassazione, in Famiglia e diritto, 1999,125 con nota di Ferrando; la Corte di Cassazione ha risolto il caso rilevando la mancanza dell'elemento soggettivo dell'illecito in quanto la donna ha comunque agito facendo affidamento su una norma di legge – in attesa di un suo nuovo esame di costituzionalità - che le consentiva quella condotta omissiva).  A mio avviso, nel caso dell’art. 5 legge 194/1978 il diritto della donna a non informare il compagno va letto alla luce della particolare incidenza che la scelta di abortire o non abortire può determinare sulla sua salute fisica e psichica. Nel caso qui commentato, la donna non può addurre una simile giustificazione all'omissione dell'informazione; tale differenza di valori in campo sposta in favore dell’uomo il bilanciamento degli interessi nel caso qui indagato. Insomma, la decisione del Tribunale fiorentino pare in linea con gli indici normativi che ho, sia pure brevemente, sondato.  

[11] Si veda in diversa prospettiva Busnelli – Navaretta, Abuso del diritto e responsabilità civile, in L'abuso del diritto, Diritto privato 1997, Padova, 1997; C. Scognamiglio, Buona fede e responsabilità civile, Europa e diritto privato, 2001,2, pag.343 e ss..

[12] Su questi temi si veda  Godbout, Lo spirito del dono, 1993, Torino

[13] Come è noto la giurisprudenza  nega che la semplice infedeltà anche nel corso del matrimonio  possa dar vita ad  un'azione  di risarcimento del danno. Si veda ad esempio Cass, n.18853/2011, Fam. pers. succ., 2012, 94 con nota di Basini, Infedeltà matrimoniale e risarcimento. Il  danno “endofamiliare” tra coniugi; Cass n.610/2012 e Cass. n. 8862/2012.

[14] Si veda C. Castronovo, La responsabilità civile in Italia al passaggio del millennio, Europa e dir., 2003, pag. 136

[15] Da ultimo,  Cass. n. 10524/2014 consultabile nella rivista elettronica Persona e Danno, con nota di Paolo Russo. 

[16] La Corte Costituzionale ha sempre rigettato la questione di costituzionalità dell’art. 263 c.c. che, nel testo precedente a quello attuale, prevedeva l’imprescrittibilità, anche per l’autore del riconoscimento, dell’azione: si vedano le sentenze  n. 134/1985,  112/1997 e  7/2012. Secondo quest’ultima sentenza: “ la crescente considerazione del favor veritatis non si pone in conflitto con il favor  minoris poiché anzi la verità biologica della procreazione  costituisce una componente essenziale dell’interesse del medesimo minore, che si traduce nella  esigenza di garantire ad esso il diritto alla propria identità e, segnatamente, all’affermazione di un rapporto di filiazione veridico”. La diversa disciplina della decadenza, a seconda del soggetto che promuove l’azione, pare una scelta felice del nuovo legislatore. Si veda il caso forse limite deciso dal Tribunale di Firenze con la sentenza  n. 38641/2014 pubblicata  su De Jure: il figlio è nato nel 1997 e viene subito riconosciuto dall’attore il quale  apprende dalla madre di non esserne il padre nel 2006 ed attende  il 2013 per agire ex art. 263 c.c. (ricordiamo che il dlgs n. 153/2013 è entrato in vigore il 7 febbraio 2014). Nel caso di specie,  al momento del riconoscimento l’uomo era in buona fede; dunque non si può fare  riferimento né a quella giurisprudenza  minoritaria che in caso di malafede non ritiene ammissibile l’azione d’impugnazione  ( es. Trib. Roma, 5 ottobre 2012,  Corr.  Giur., 2013 p.343 con nota di Festi)  né alla giurisprudenza che accoglie  l’azione  aquiliana  promossa dal figlio (esempio, Corte di Appello di Milano, 17.6.2005, in Giustizia a Milano, 2005, 11, 74 s.m.). Tale azione nel suddetto caso deciso da Trib. Firenze n. 38641/2014  sarebbe stata ancora più difficile perché padre e figlio non avevano mai convissuto rendendo dunque più ardua  la prova della lesione di un’affettività che forse mai era sorta.                

[17] Si veda però Corte Europea dei diritti dell’uomo, 24 novembre 2005, n. 74826, Shofman C. Russia, in Fam. pers. e succ., 2006, p. 188, alla cui stregua “L'istituzione di un termine per l'esercizio dell'azione di disconoscimento della paternità può essere giustificata dalla preoccupazione di garantire la certezza giuridica dei rapporti familiari e di proteggere gli interessi dei minori. Peraltro la previsione di un termine tale da impedire di esercitare un'azione di disconoscimento della paternità a colui che è venuto a sapere solamente un anno dopo la nascita del figlio di non esserne il padre, non è proporzionata agli scopi legittimi perseguiti. Ne consegue che non vi è un bilanciamento tra l'interesse generale alla protezione della certezza legale delle relazioni parentali e il diritto del ricorrente a far cadere la presunzione di paternità di fronte all'evidenza dei risultati ematologici”. Si legga anche Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, Sez. I, 12.1.2006 n.26111 Mizzi c. Malta, in Guida al Diritto, 2006 Supp. II, s.m., con nota di Galluzzo. Si potrebbe dunque prospettare da parte dell'uomo, che ha riconosciuto in buona fede un figlio non suo, un'azione risarcitoria nei confronti  dello Stato Italiano avanti alla Corte Europea dei diritti dell'uomo per violazione del diritto al rispetto alla vita privata e familiare di cui all'art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. Inoltre, a mio avviso, l'art. 263 c.c. è fortemente sospetto d'incostituzionalità, ex art. 24 Cost., perchè fa decorrere il termine di decadenza non dal momento della conoscenza della non paternità ma dall'annotazione del riconoscimento sull’atto di nascita (si veda, infatti, per l’azione disconoscimento ante riforma del 2013, la sentenza n.134/1985 della Corte Costituzionale in Foto it, 1985,I, 1905 e la nuova invece corretta formulazione del secondo comma dell’art. 244 c.c. che fa decorrere  per il marito il termine per l’azione di disconoscimento dalla conoscenza dell’adulterio della moglie).   

[18] Come è noto, il divieto di inseminazione eterologa è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 162/2014. Giustamente il primo comma dell'art. 9 della legge n.40/2004  prevede che qualora si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, il coniuge o il convivente il cui consenso sia ricavabile da atti concludenti non possano, il primo, esercitare l'azione di disconoscimento della paternità nei casi previsti dall'art. 235 c.c., ed il secondo  l'impugnazione di cui all'articolo 263 del c.c.

[19] Come insegna anche la Corte di Cassazione: “Il favor veritatis non è un principio valore di rilevanza costituzionale assoluta, tanto più che l'art. 30 Costituzione conferisce al legislatore ordinario il potere di attuare, in una materia delicata quale è quella degli status personali e familiari, un equo e fecondo contemperamento tra l'esigenza della verità e l'esigenza della certezza” così Cass. n. 3529/2000; più di recente, si veda l'ordinanza del Tribunale di Roma dell'8 agosto 2014, sullo scambio di embrioni, che correttamente rileva: “ Il diritto alla personalità costituito dal diritto all'identità appare sempre più sganciato dalla verità genetica della procreazione e sempre più legato al mondo degli affetti ed al vissuto della persona cresciuta  ed accolta all'interno della famiglia”. Si veda anche la già citata  sentenza n.  38641/2014 del Tribunale di Firenze.   

[20] Si veda D. La Rocca, Diritti e denaro, il valore della patrimonialità, Milano 2006 spec. pag. 258 e ss.

[21] Si veda F. Merlini, La comunicazione interrotta, Dedalo, Bari, 2004

[22] Chi fosse interessato a questi temi,  veda P. Barcellona, La parola perduta, Dedalo, Bari, 2007 spec. pag.10 e ss..

19/03/2015
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