Magistratura democratica
giurisprudenza di merito

Libertà, sessualità e diritto: un percorso giuridico e culturale

di Ilaria Boiano , Teresa Manente
avvocate in Roma
Nota a Trib. Roma, 7 maggio 2014, Pres. Liotta, Est. Di Nicola
Libertà, sessualità e diritto: un percorso giuridico e culturale

1. La relazione controversa che passa tra corpo, sessualità e diritto si è composta nel corso della modernità seguendo linee irregolari e concorrenti con altre categorie come la libertà individuale, l’autonomia e l’autodeterminazione, ma anche la sicurezza, il controllo e il potere, tutti fili che si intrecciano a formare la fitta trama dei rapporti sociali tra i sessi[1].

Il Tribunale di Roma con la sentenza 7 maggio 2014, n. 7835 ci restituisce l’attualità della complessità di questa relazione e incoraggia una riflessione sul ruolo che il diritto ha nella strutturazione, ancora diseguale, dei rapporti sociali.

Il procedimento penale definito dalla sentenza in esame prende avvio dalla denuncia di un uomo italiano che si rivolge alle forze dell’ordine lamentando di essere vittima di richieste estorsive da parte di una donna nigeriana. L’uomo in sede di denuncia e durante il suo esame testimoniale ha sostenuto di conoscere la donna per averle prestato soccorso. Raccolta la denuncia dell’uomo, le forze dell’ordine hanno organizzato un appostamento nel luogo concordato per la consegna della somma di denaro richiesta e nell’immediatezza della dazione del denaro hanno proceduto all'arresto in flagranza della donna. Quest’ultima è stata chiamata a rispondere davanti al Tribunale di Roma del delitto di estorsione, aggravato perché commesso in concorso con un uomo italiano che l’ha aiutata a tradurre i messaggi di testo minatori inviati al denunciante.

Dalle risultanze processuali è emersa la piena credibilità della ricostruzione dei fatti fornita dall’imputata, giovane nigeriana prostituta, di appena diciannove anni che non conosce la lingua italiana, con la quale il denunciante aveva consumato un rapporto sessuale senza corrisponderle il prezzo pattuito per la prestazione. Per questo dopo alcuni giorni dall’incontro la donna gli aveva richiesto una somma di denaro tramite messaggi telefonici scritti in italiano.

Il Tribunale di Roma ha escluso la configurabilità del delitto di estorsione ritenendo “giusto” il profitto perseguito e ha riqualificato i fatti oggetto del capo di imputazione nei termini di violenza privata per l’idoneità dei messaggi inviati a coartare la volontà del denunciante.

L’apparato motivazionale della sentenza che si annota si sviluppa ricostruendo le traiettorie tracciate dalla giurisprudenza di legittimità sul rapporto tra cliente e prostituta, mettendo in discussione l’ingiustizia del profitto conseguito dalla prostituta a fronte della sua prestazione sessuale e la tradizionale nozione di buon costume, interrogandosi sul comportamento del cliente che «per arroganza ed esercizio di potere» ha ritenuto di non dover pagare il corpo e il tempo  che la giovane donna ha messo a sua disposizione.

Il collegio giudicante nel costruire la motivazione ha indagato, adottando una strategia che potremmo definire “diagnostica”, le trame più antiche della razionalità giuridica contemporanea, rileggendole attraverso la lente delle fonti internazionali e di diritto europeo, così come si richiede all’interprete della legge di un ordinamento “multilivello” e “integrato”.

Tra i molteplici profili di analisi che la sentenza in commento sollecita, nell’ambito di questa nota, la riflessione si concentrerà in primo luogo sul metodo prescelto nello sviluppo dell’apparato argomentativo sul piano della ricostruzione fattuale; si affronteranno poi le nozioni di “profitto ingiusto” e di “buon costume” così come ricostruite nella decisione in esame richiamando le fonti di diritto sovranazionale che vincolano l’ordinamento italiano, concludendo con un breveapprofondimento dell’attuale politica del diritto in tema di prostituzione e tratta di esseri umani ai fini di sfruttamento sessuale.

2. Il percorso motivazionale della sentenza in commento ha svelato la marcata connotazione maschile della relazione cliente-prostituta mantenuta nella giurisprudenza e la sua funzionalità a lasciare intatto lo storico privilegio degli uomini di avere accesso arbitrario al corpo delle donne. Già dalle prime battute della motivazione si coglie una rinnovata assunzione di responsabilità da parte dell’organo giudicante nel condurre l’accertamento e l’attività ermeneutica: il collegio, infatti, si distacca dall’idea del diritto come strumento esterno con il compito di consolidare gli schemi ordinari interpretativi delle relazioni sociali. I principi di terzietà, imparzialità ed equidistanza che guidano l’esercizio della giurisdizione incoraggiano un accertamento dei fatti attento alle contraddizioni derivanti dalle disparità di potere che connotano l’ordine sociale[2] soprattutto ove è necessario ricercare la coerenza di fatti che attengono alla libertà, ai corpi e alla sessualità, intrisi dei pregiudizi e degli stereotipi sottesi agli squilibri di potere tra i sessi.

È su tale giustificazione sociale, riprodotta giuridicamente, e sull’insieme di pregiudizi dominanti che contava il protagonista della vicenda oggetto del caso in esame: «la parola di un uomo professionalmente affermato ed italiano» (pag. 8 della sentenza annotata) avrebbe avuto di sicuro maggiore credibilità di quella di una giovane prostituta nigeriana priva di documenti e per di più incapace di comunicare in italiano. E così è stato fino al processo: le forze dell’ordine si sono attivate tempestivamente a salvaguardare «l’apparato di famiglia perfetta» che l’uomo vedeva minacciato dalle richieste della prostituta (pag. 8 della sentenza). Non si è registrato, invece, alcun intervento delle forze dell’ordine  volto a rilevare la  sussistenza degli  indici pur evidenti ed idonei per l’avvio, a favore della giovane donna nigeriana, del programma di protezione sociale previsto dall’art. 18 d.lgs. 286/1998[3].

L’organo giudicante non si è limitato a confrontare le contrapposte versioni della persona offesa e dell’imputata e a ricercare i riscontri (comunque sussistenti e a sostegno delle dichiarazioni della donna), ma ha proceduto a scandagliare i comportamenti dei soggetti coinvolti in vista di una valutazione oggettiva[4]. Può ritenersi oggettiva, infatti, a parere di chi scrive, una descrizione del mondo nella sua complessità che restituisce valore epistemologico alle singole storie di vita: metodo e piano di indagine che consente di non perpetuare la concezione delle donne ridotte ad oggetto, processo tipico delle relazioni costruite dalla prostituzione[5].

Il denunciante è comparso in giudizio forte della credibilità derivante dalla sua identità maschile, dalla nazionalità e dalla sua posizione sociale ed economica. Tali fattori non sono valsi a minare la credibilità e l’attendibilità delle dichiarazioni rese dalla giovane nigeriana che ha ricostruito  le dinamiche sottese ai fatti, rendendo visibile la sua posizione di disparità per  sesso, età e origine geografica rispetto: 1) al cliente, che si è «servito della sua posizione di potere per non pagare i servizi sessuali ricevuti, ritenendo il corpo della ragazza come di suo libero dominio» (pag. 26 della sentenza); 2) alla società di accoglienza, che alimenta l’idea di «un accesso illimitato degli uomini ai corpi delle donne in forza del solo potere economico che rende i loro desideri sessuali una sorta di diritto cui la prostituta non si può sottrarre» (pag. 25 della sentenza);  3) alla struttura economica, sociale e politica che ne ha determinato il progetto migratorio verosimilmente coartato dal momento che «le persone come la XX che noi definiamo prostitute sono nella stragrande maggioranza vittime della tratta […] che- costituisce fatto notorio, per affrontare il viaggio si indebitano per anni con i loro sfruttatori e una volte giunte in Europa sono private da parte dei trafficanti dei documenti, di ogni risorsa economica e di qualsiasi contatto umano» (pag. 18 della sentenza).

3. Il collegio giudicante, come già suggerito in un primo commento alla sentenza che si annota[6], avrebbe potuto escludere l’ingiustizia del profitto ricercato e conseguito dalla giovane donna rifacendosi alla tesi tradizionale che risale ad Antolisei e che ritiene giusto il profitto conseguito dalla prostituta[7], perché la sua attività riceve una tutela da parte dell'ordinamento giuridico, seppure indirettasub specie di concessione della soluti retentio, analogamente a quanto dispone l'art. 2034 c.c. per le obbligazioni naturali (ad es., per la somma corrispondente a un credito di gioco). Ai sensi dell'art. 2035 c.c., infatti, «chi ha eseguito una prestazione per uno scopo che, anche da parte sua, costituisca offesa al buon costume non può ripetere quanto ha pagato». Ricorrendo a tale tesi l’organo giudicante avrebbe potuto ugualmente riqualificare i fatti come violenza privata[8].

Il collegio giudicante ha intrapreso, invece,  un  diverso articolato percorso giuridico e culturale e si è domandato: in primo luogo se effettivamente può ritenersi ingiusto il profitto della prostituta in un contesto nel quale l’identità maschile, pur attraverso la mediazione del denaro, si manifesta ancora nel legame tra potere e accesso ai corpi delle donne[9]; in secondo luogo sul contenuto della nozione di “buon costume”, nel tentativo di attualizzarne il significato e di liberarla da «un larvato stereotipo di genere che stigmatizza la donna in quanto tale» (p. 12 della sentenza annotata).

Nel dispiegarsi dell’iter logico-giuridico l'interprete si è confrontato, oltre che con le regole positivamente disciplinate dalle fonti interne, anche con quelle di diritto internazionale ed europeo. Al giudice, infatti, è oggi affidata un’attività esegetica complessa che impone di definire il contesto delle fonti rilevanti, il loro differente grado di prescrittività, la possibile conciliazione, o l'ordine di prevalenza, per poi individuare i contenuti della singola regola di giudizio applicabile[10].

L'interpretazione si è articolata quindi a partire dai principi fondamentali comuni degli ordinamenti internazionale ed europeo in materia di tutela dei diritti sessuali come diritti umani (in virtù delle disposizione della CEDAW, ratificata dall’Italia il 10 giugno 1985, ordine d’esecuzione dato con legge 14.03.1985 n. 132), per procedere poi, rileggendo le nozioni rilevanti alla luce del quadro normativo integrato, ad individuare il contenuto della regola applicabile alla fattispecie concreta. Tale percorso è stato tracciato, ad avviso di chi scrive, in modo rigoroso e rispettoso dei margini di integrazione affidati all'interprete nel nuovo scenario dell’ordinamento multilivello ed in ossequio all’obbligo dell’autorità giudicante di «adottare interpretazioni costituzionalmente orientate anche al fine di evitare di proporre lo scrutinio di costituzionalità» (pag. 30 della sentenza).

Il tentativo di una lettura costituzionalmente orientata è apparso doveroso nel caso di specie  dinanzi alla consolidata interpretazione dell’art. 2035 c.c., «sostanzialmente a tutela dei clienti delle prostitute che allorché non pagano la prestazione sessuale possono andare esenti da qualsiasi conseguenza» e si inserisce nel solco dell’evoluzione giurisprudenziale che ha ravvisato violenza sessuale nella pretesa di aver accesso al corpo della prostituta a prescindere dalla corresponsione del prezzo pattuito[11].

Ritornando al percorso tracciato nella sentenza, il collegio giudicante risponde al primo interrogativo ritenendo “giusto” il profitto che consegue alla prestazione sessuale fornita dalla prostituta e ciò alla luce della complessità dei rapporti e delle dinamiche che sottendono la prostituzione nell’epoca contemporanea: la prostituzione «non è più una questione morale o di costumi sociali, ma un fenomeno spesso gestito dalla criminalità» (pag. 16 della sentenza annotata), raramente è caratterizzata dalla pienaautonomia e libertà di scelta[12], ed è per lo più connotata da rapporti di forza svantaggiosi per le donne. In ragione di tali rilievi, riconoscere come giusto il profitto della donna che si prostituisce consente di evitare «un’immotivata e irragionevole disparità, che comunque è già presente nel rapporto di forza descritto» (pag. 26 della sentenza).

Il percorso argomentativo seguito in materia di prostituzione, diritti sessuali e sfruttamento fino ai livelli di schiavitù delle donne, si snoda secondo l’iter logico giuridico che, sulle medesime questioni ha seguito la Corte di Strasburgo nella sentenza Rantsev c. Cipro e Russia del 7 gennaio 2010[13]. La vicenda da cui trae origine il caso citato non è sovrapponibile a quella oggetto della sentenza annotata, in quanto i giudici di Strasburgo hanno esaminato il ricorso del padre di una giovane ragazza russa uccisa, in circostanze mai chiarite, a Cipro dove era emigrata grazie ad un visto come artista ma poi costretta a prostituirsi [14]. La decisione della Corte EDU offre, tuttavia, la medesima ricostruzione del contesto contemporaneo della prostituzione e del suo sfruttamento da parte della criminalità organizzata e dell’insieme delle fonti di diritto, dalle quali discendono in capo agli Stati precisi obblighi a tutela dei diritti fondamentali (§§101-107). La Corte EDU procede richiamando la cornice normativa di riferimento interna ai singoli Stati e quella sovranazionale (§§108- 145), per poi approfondire la questione del traffico degli esseri umani (§146) citando come punto di partenza la Convenzione contro ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne (CEDAW), riferimento primario anche nella sentenza che si commenta, quindi richiama il protocollo di Palermo del 2000 in materia di prevenzione e repressione del traffico di esseri umani, la Convenzione europea contro la tratta di esseri umani del 2005 e gli atti in materia dell’Unione Europea.

Il Tribunale di Roma nella sentenza che si annota aggiorna tale quadro richiamando il quadro di misure introdotto dalla direttiva del Consiglio e del Parlamento europeo in materia di prevenzione del traffico di esseri umani 2011/36/UE, attuata in Italia con d. lgs. 24 marzo 2014, n. 24[15], e lo approfondisce con un’ampia riflessione sul rapporto tra tutela dei diritti sessuali e prostituzione alla luce della Risoluzione del Parlamento europeo del 26 febbraio 2014 su sfruttamento sessuale e prostituzione e sulle loro conseguenze per la parità di genere (2013/2103(INI).  Ciò al fine di rispondere anche al secondo interrogativo posto: l’attuale significato della nozione di buon costume in relazione alla prostituzione.

La nozione di “buon costume” risulta connotata da una forte relatività storica dovuta al fatto che «varia notevolmente secondo le condizioni storiche d’ambiente e di cultura»[16]: per il suo carattere storico-sociologico, il concetto di buon costume è elastico, cioè esposto ai mutamenti sociali, politici, ed etico-morali che attraversano la realtà. Esso però è rimasto immobile in tema di sessualità femminile[17]: le “donne perdute” rappresentano ancora, nell’immaginario collettivo e nel linguaggio, il paradigma dell’impurità e dell’immoralità, dal momento che esse trasgrediscono con la propria sessualità i confini della rispettabilità femminile[18].

Una lettura attualizzata della nozione di buon costume impone di svincolarla da personali concezioni etiche[19], ricercando una nozione minimale, dal momento che «sul terreno morale non esiste garanzia di accordo né di compromesso, ma solo possibilità di reciproca tolleranza»[20], e tale da non determinare ulteriori discriminazioni nei confronti delle donne. Nel caso di specie il collegio giudicante conclude ritenendo che se una questione di buon costume può porsi, nel caso di specie riguarda «la condotta del cliente che pretende da una prostituta giovane, straniera, e di certo vittima di sfruttamento, la prestazione sessuale come gratuita proprio in considerazione della disparità sociale, economica e di genere tra i due soggetti del rapporto» (pag. 32 della sentenza).

Arrivando a tale conclusione, il focus dell’iter logico giuridico si sposta dalla donna e dalla sua sessualità “eccedente” i confini della moralità condivisa, per dirigersi sul cliente, mettendo in discussione la neutralità della domanda di servizi sessuali che, malgrado le trasformazioni in corso del mercato del sesso, pare ancora imperniata intorno all’esercizio del potere di accesso ai corpi delle donne, seppure nel contesto dell’economia dei consumi, e non più nei modelli disciplinari della modernità industriale[21].

4. Così come lo sguardo dell’organo giudicante si è spostato in direzione del cliente, anche le ricerche più recenti condotte sulla prostituzione e sulle molteplici forme di scambi che hanno per oggetto la sessualità si focalizzano sul soggetto fruitore delle prestazioni sessuali[22]. La medesima traiettoria segue la più recente politica del diritto, che in questo paragrafo conclusivo si intende brevemente ricostruire per aprire all’esterno il confronto avviato da chi scrive a partire dalla sentenza annotata. Preliminarmente si precisa che l’esigenza che accomuna le autrici è quella di ritornare a parlare della sessualità e del valore di quest’ultima nei rapporti di potere che determinano le relazioni tra i sessi e le disparità di genere, anche dinanzi al diritto, sottraendo la riflessione agli strepiti di contrapposizioni manichee che si ripropongono allorché si affronta la questione prostituzione. Sempre di più, infatti, ogni tentativo di indagine sul valore simbolico che per la società e per il diritto contemporaneo ha l’accesso a pagamento da parte di determinati soggetti, in genere maschili, ai corpi di altri soggetti, per lo più delle donne, viene ridotto alla diatriba sull’opportunità o meno di riaprire le “case chiuse” o di creare zone “a luci rosse”. Dell’assenza di complessità di questo dibattito si nutrono, peraltro, le varie ordinanze dei sindaci a tutela del “decoro pubblico” e a salvaguardia della sicurezza[23], e le recenti richieste di referendum abrogativi della l. 20 febbraio 1958, n. 75[24].

Prende le mosse invece proprio dalla complessità delle dinamiche sociali che sottendono la prostituzione la recente Risoluzione del Parlamento europeo del 26 febbraio 2014 su sfruttamento sessuale e prostituzione, e sulle loro conseguenze per la parità di genere (2013/2103(INI), citata nella sentenza che si annota.

La Risoluzione presentata dalla parlamentare Mary Honeyball, che ha proceduto ad una ricognizione degli studi e rapporti prodotti sulla prostituzione e sul traffico di esseri umani, affronta la questione richiamando l’attenzione, da un lato, sulla dimensione commerciale della prostituzione, dall’altro sulle implicazioni che essa ha rispetto alla configurazione dell’ordine “di genere”.

La prevalenza della dimensione economica conduce ad inquadrare l’attività di prostituzione nel contesto delle attività commerciali e come tale da regolamentare giuridicamente, fiscalmente e a livello previdenziale al fine di sottrarre i soggetti che vi si dedicano agli arbitrii tipici del mercato senza regole. Sostiene tale prospettiva anche una parte del movimento delle donne che considera l’accesso al mercato dei servizi sessuali da parte di soggetti autodeterminati come esercizio di libertà che l’ordinamento deve garantire[25]. Su tali considerazioni, alle quali si aggiungono finalità di tutela della sicurezza e della salute pubblica, si articola il modello regolamentarista seguito dall’ordinamento olandese e da quello tedesco, ove è definito un sistema pubblico di licenze ed autorizzazioni dell’attività di prostituzione. Un’evoluzione di tale modello si è registrata in Nuova Zelanda che ha proceduto a decriminalizzare ogni condotta associata alla prostituzione e a liberalizzarla completamente, non ritenendo utile a favorire “l’uscita” dal mercato del sesso la regolazione attraverso licenze e autorizzazioni. Nel solco di quest’ultima prospettiva si inserisce anche il disegno di legge n. 1201, comunicato alla presidenza del Senato italiano il 10 dicembre 2013.

La Risoluzione “Honeyball” invita gli ordinamenti a riflettere sulle conseguenze di tale approccio marcatamente “neoliberista” sul conseguimento dell’uguaglianza sostanziale tra uomini e donne: non si può trascurare infatti che, funzionando come qualsiasi attività commerciale, la prostituzione crea un mercato in cui i diversi attori, in particolare i procacciatori e i protettori, entrano in relazione perseguendo l’obiettivo di accrescere il proprio mercato e di massimizzare i profitti[26]. In tale contesto il diritto all’autodeterminazione rispetto al proprio corpo[27] e l’individuale libertà di scegliere risultano condizionati dall’ordine di genere esistente ancora marcatamente definito da sistemiche disuguaglianze di genere che la mercificazione della sessualità contribuisce ad alimentare[28].

Particolarmente interessante e innovativa è l’attenzione rivolta dalla Risoluzione alle questioni sanitarie connesse all’acquisto e alla vendita di servizi sessuali: in genere le iniziative e i modelli suggeriti, ivi compreso quello neoregolamentarista che ispira il disegno di legge depositato al Senato, si pongono la finalità di assicurare controlli sanitari per prevenire il contagio delle malattie sessualmente trasmissibili e propongono screening sanitari innanzitutto alle providers dei servizi, ricordando il sistema di schedatura e trattamento sanitario obbligatorio abrogato dalla legge Merlin[29]. Sono invece generalmente trascurati i traumi sessuali, fisici e psichici che caratterizzano il vissuto delle donne prostituite, a prescindere dall’autonomia della scelta, la maggiore esposizione delle stesse alla dipendenza da stupefacenti e alcool, la perdita di autostima, sindromi depressive e l’alto tasso di mortalità delle donne coinvolte nel mercato del sesso rispetto al resto della popolazione[30]. Si ignora inoltre il dato che molti degli acquirenti di servizi sessuali chiedono spesso sesso a pagamento non protetto, soprattutto se acquistano da minorenni.

Dopo secoli di silenzio e di rimozione della responsabilità dei clienti, la domanda dei servizi sessuali a pagamento oggi diviene la questione centrale, come segnala la Risoluzione “Honeyball”: essa è il parametro rispetto al quale si definisce e si modifica il mercato sessuale e le traiettorie dei traffici di donne e di bambini ai fini di sfruttamento sessuale; sempre la domanda si rivela il parametro di riferimento delle proposte di regolamentazione della prostituzione e della riorganizzazione urbana perché, dietro il più presentabile obiettivo di garantire sicurezza, trapela la finalità di assicurare sfogo indisturbato a bisogni ritenuti, come all’inizio del XX secolo, arcaici, naturali, incomprimibili.

La domanda è oggetto di attenzione inoltre per limitare la proliferazione dei mercati sessuali, anche attraverso politiche di criminalizzazione, come avvenuto nei paesi baltici, in particolare in Svezia, dove l’acquisto dei servizi sessuali è sanzionato penalmente in quanto si ritiene che la prostituzione costituisca una forma di violenza maschile contro le donne, che può essere prevenuta nel suo complesso «solo quando gli uomini non sono più autorizzati a comprare, vendere e sfruttare le donne nella prostituzione»[31].

A questo punto dell’analisi, si pone la questione dell’opportunità o meno per l’ordinamento italiano di criminalizzare la domanda di servizi sessuali nella sua totalità, e sul punto le autrici si contrappongono: la prostituzione, infatti, è una questione che genera frizioni anche nel confronto tra chi, come coloro che scrivono, condividono la medesima analisi e prospettiva rispetto ai percorsi di mutamento sociale e culturale da realizzare, anche per tramite del diritto, per la piena affermazione della libertà delle donne nella società contemporanea.

È arrivato il momento,  secondo una delle autrici impegnata da oltre venti anni nella difesa in sede processuale delle donne costrette alla prostituzione, di estendere la sanzione penale già prevista per coloro che acquistano sesso dalle minorenni[32] a tutta la domanda di servizi sessuali, l’altra invece non ritiene la sanzione penale della domanda necessaria a fronte della recente restaurazione nella cultura giudiziaria dello stigma nei confronti delle donne prostitute/prostituite, ancor di più se di minore età, dipinte in recenti sentenze di merito come scaltre e bugiarde e pertanto non credibili come vittime[33].

Il punto di accordo infine si rinviene su una strategia nuova che le autrici si auspicano recepirà la politica del diritto e che consiste nella rinuncia alla neutralità per assicurare uno sguardo davvero terzo, imparziale ed equo. Tale prospettiva consente di non legittimare nel processo e attraverso l’interpretazione del diritto la complicità con le dinamiche di potere sottese alla pretesa di accedere arbitrariamente al corpo delle donne, di prendere le distanze dalla concezione patriarcale dei rapporti tra uomini e donne, ancor di più se giovani e straniere, di rigettare una costruzione della sessualità come luogo per eccellenza di sfruttamento del vantaggio di cui gli uomini hanno goduto storicamente in quanto uomini.

A parere di chi scrive la sentenza che si annota si è assunta tale responsabilità ponendo le basi per avviare un percorso di rinnovamento giuridico e culturale volto a spezzare il continuum esistente tra violenza e sessualità e ridefinire le relazioni tra i generi a partire dalla libera manifestazione della sessualità. Quest’ultima, se sottratta al binomio dominio-oppressione avrebbe spazio per manifestarsi nella sua pienezza, in un perenne divenire non misurabile e non traducibile nel linguaggio dell’economia di mercato.

 


[1] C.G. Durante, L’artificio incarnato della vita giuridica, in M. Iacub, Dal buco della serratura. Una storia del pudore pubblico dal XIX secolo al XXI secolo, Ed. Dedalo, Bari, 2010, pp. 5-37.

[2] Sul movimento dei Critical Legal Studies si rinvia a Carrino, A., Storie critiche del diritto, Napoli, 1992. Si veda anche Faralli, C., Dagli anni Settanta all’inizio del XXI secolo, in Storia della filosofia del diritto, a cura di Guido Fassò, Laterza, Bari, 2006, p.377-388. F. Olsen, Feminism and critical Legal theory: an American Perspective, in The International Journal of Sociology of Law, vol.18, n.2, 1990.

[3] Si veda M. G. Giammarinaro, Il permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale previsto dall’art. 18 del t.u. sull’immigrazione, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 1999, p. 4; P. Bonetti, F. Nicodemi,Misure di protezione sociale, 3 settembre 2009, www.asgi.it; D. Mancini, Traffico di migranti e tratta di persone, tutela dei diritti umani e azioni di contrasto, Franco Angeli, Milano, 2008; M.T. Manente, Assistenza specializzata ed integrata per la vittima di tratta degli esseri umani, in Atti incontro di studio del C.S.M sul tema "Sistema penale, flussi migratori e cooperazione internazionale" 4-6 aprile 2011.

[4] D. Haraway, Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, Feltrinelli, Milano, 1995. Per un’introduzione alle epistemologie femministe si rinvia a P. Garavaso, N. Vassallo, Filosofia delle donne, Laterza, Bari, 2007; Tenesini, A., Oggettività, in Donna m’apparve, a cura di N. Vassallo, Codice edizioni, Torino, 2009, p. 103-115.

[5] Collin, F., Il lato nascosto della democrazia: la generazione tra desiderio, tecnica e biopolitica,trad. it. di E. Missana, in Donne si diventa. Antologia del pensiero femminista, a cura di E. Missana, Feltrinelli, Milano, 2014, p. 189.

[6] G.L. Gatta, Risponde di estorsione la prostituta che minaccia il cliente costringendolo a pagare la prestazione? A proposito del concetto di "ingiusto profitto" nei delitti contro il patrimonio, in Diritto Penale Contemporaneo, 25 giugno 2014.

[7] F. Antolisei, Diritto penale. Parte speciale,vol. I, Giuffré, Milano, 2002, p.284. Sul tema Pecorella, Il profitto ingiusto nel diritto penale, Giuffré, Milano, 1966; Greco, Obbligazioni naturali ed ingiusto profitto nei reati contro il patrimonio, in Giust. Pen., 1973, II, p. 483.

[8] F. Antolisei, Diritto penale. Parte speciale, cit., p. 285.

[9]  Si veda per un’analisi approfondita delle caratteristiche del mercato del sesso G. Serughetti, Uomini che pagano le donne. Dalla strada al web, i clienti nel mercato del sesso contemporaneo, Ediesse, Roma, 2013.

[10] V. Manes, Il giudice nel labirinto. Profili delle intersezioni fra diritto penale e fonti sovranazionali, Dike, Roma, 2013.

[11] Cassazione penale, sez. III, sentenza 03.03.2010, n. 8286.

[12] UNODC, Global Report on Trafficking in Persons, 10 dicembre 2014.

[13] CEDU, Rantsev v. Cyprus and Russia (application no. 25965/04), 7 gennaio 2010. I giudici di Strasburgo hanno esaminato il ricorso del padre di una giovane ragazza russa, emigrata a Cipro grazie ad un visto come artista, che vi ha trovato la morte in circostanze che mai le autorità cipriote hanno contribuito a chiarire. Nel caso di specie la Corte ha ravvisato la violazione degli articoli 2, 4 e 5 della CEDU da parte delle autorità cipriote che non si sono dotate di un sistema di intervento e di norme adeguato a prevenire il traffico di esseri umani ai fini di sfruttamento sessuale e per non aver assicurato protezione alla giovane donna, pur avendone riscontrato la situazione di sfruttamento ed il pericolo attuale e concreto per la sua incolumità. La Corte ha ravvisato altresì la responsabilità della Russia per non aver collaborato nell’attività di indagine conseguente alla morte della donna.

[14] Nel caso di specie la Corte ha ravvisato la violazione degli articoli 2, 4 e 5 della CEDU da parte delle autorità cipriote che non si sono dotate di un sistema di intervento e di norme adeguato a prevenire il traffico di esseri umani ai fini di sfruttamento sessuale e per non aver assicurato protezione alla giovane donna, pur avendone riscontrato la situazione di sfruttamento ed il pericolo attuale e concreto per la sua incolumità. La Corte ha ravvisato altresì la responsabilità della Russia per non aver collaborato nell’attività di indagine conseguente alla morte della donna.

[15] F. Nicodemi, Osservazioni al decreto legislativo 4 marzo 2014 n. 24 di attuazione della direttiva 2011/36UE relativa alla prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime e che sostituisce la decisione quadro del Consiglio 2002/629/GAI, giugno 2014, www.asgi.it.

[16] Corte Costituzionale, sentenza n. 191/1970

[17] M. Gibson, Stato e prostituzione in Italia, Il Saggiatore, Milano, 1995, p.12.

[18] G. Serughetti, Uomini che pagano le donne, cit., p. 314

[19] Ciò avviene non solo in tema di prostituzione, ma anche in tema di aborto come rileva S. Mancini, Un affare di donne. L'aborto tra eguale libertà e controllo sociale, PADOVA, Cedam, 2012.

[20] L. Gianformaggio, La riproduzione medicalmente assistita e i diritti dei soggetti coinvolti, in www.forumcostituzionale.it, 2004.

[21] G. Serughetti, Uomini che pagano le donne, cit., p. 316

[22] R. Tatafiore, Sesso al lavoro, Il Saggiatore, Milano, 1997; M. R. Cutrufelli,  Il cliente: inchiesta sulla domanda di prostituzione, Editori Riuniti, Roma, 1996.Si rinvia a G. Serughetti, Uomini che pagano le donne, cit., per un’articolata e approfondita analisi delle ragioni e delle implicazioni per l’intervento pubblico di tale spostamento dell’attenzione sulla domanda del sesso nelle società occidentali contemporanee.

[23] Per una riflessione sulla nozione di “decoro” come strumento di controllo sociale si veda T. Pitch, Contro il decoro,

[24] Gazzetta Ufficiale, n. 175 del 27 luglio 2013. Una nuova raccolta firme è partita il 30 marzo 2014, intanto risulta depositato al Senato il DDL N. 1201, recante Regolamentazione del fenomeno della prostituzione, disponibile all’indirizzo: http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/299276.pdf, ultimo accesso 1/7/2014. Iniziative di abrogazione della legge Merlin e volte ad una nuova regolamentazione della prostituzione non sono nuove al dibattito italiano. Per le proposte avanzate negli anni Novanta si veda D. Danna, Italy: the never-ending debate, in J. Outshoorn, (a cura di), The Politics of Prostitution. Women’s Movements, Democratic States and the Globalisation of Sex Commerce, Cambridge University Press, Cambridge, 2004, p.165-204.

[25] Per una ricognizione delle diverse prospettive femministe sul tema si rinvia di nuovo a G. Serughetti, Uomini che pagano le donne, cit., p. 45 ss.

[26] M.Jyrkinen, McSexualization of Bodies, sex and sexualities: Mainstreaming the Commodification of Gendered Inequalities, in M.Coy, (a cura di), Prostitution, Harm and Gender Inequality.Theory, Research and Policy, Ashgate, Londra, 2012.

[27] Stupisce come autodeterminazione e libertà rispetto al proprio corpo riacquista valore solo quando si parli di prostituzione, ritornando scomodo quando si parla di salute riproduttiva delle donne,

[28] M.Coy, (a cura di ), Prostitution, Harm and Gender Inequality, cit., p.13-32.

[29] tale prevenzione è perseguita ancora attraverso trattamenti sanitari obbligatori che si impongono alle donne

[30] M. Coy, “I Am A Person Too”: Women’s Accounts And Images About Body And Self In Prostitution, in M.Coy, (a cura di ), Prostitution, Harm and Gender Inequality, cit., p.103-120.

[31] V. E. Munro, M. Della Giusta, Demanding Sex: Critical Reflections On The Regulation Of Prostitution, Ashgate, Londra, 2008, p.2.

[32] Articolo 600 bis c.p..

[33] Corte di assise di appello di Roma, 17 gennaio 2012; Corte di assise di appello di Roma, 4 novembre 2013.

21/07/2014
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