Magistratura democratica
giurisprudenza di merito

La nozione di "fatto" posto
a base del licenziamento

di Carla Ponterio
consigliere della Corte di cassazione
Può essere interpretato in senso letterale come "mero fatto materiale", allegato dal datore di lavoro la cui sola esistenza deve verificare il giudice, ovvero, in senso costituzionalmente orientato, pretendendo che sia fondato sulle ragioni economiche od organizzative
La nozione di "fatto" posto<br /> a base del licenziamento

Con ordinanza depositata il 5.11.12 il tribunale di Milano, in funzione di giudice del lavoro, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato per ragioni economiche ed ha condannato parte datoriale al pagamento di una indennità risarcitoria pari a venti mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Il provvedimento in esame affronta la difficile interpretazione ed applicazione dell’art. 18 comma 7 dello Statuto dei Lavoratori, dopo le modifiche apportate dalla legge n. 92/2012, e rivela tutti i nodi critici della cd. riforma Fornero in tema di licenziamento per motivo oggettivo.

La formulazione del nuovo articolo 18, “il giudice…può applicare la predetta disciplina (il riferimento è al quarto comma) nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma”, pone l’interprete di fronte al difficile compito di cercare simmetria e coerenza tra la disciplina sanzionatoria, imperniata sulla “manifesta insussistenza del fatto”, e la fattispecie sostanziale di cui all’articolo 3 della legge n. 604/1966, costruita sulle “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regole funzionamento di essa”.

In mancanza di solidi ancoraggi, la dottrina ha variamente definito il requisito in esame ora ravvisandovi, in una impostazione più liberista, il mero fatto materiale (ad esempio, la soppressione della posizione lavorativa) indicato dal datore di lavoro come presupposto della decisione di recesso, ora richiamando, in una lettura costituzionalmente orientata, gli elementi che secondo una giurisprudenza granitica compongono la nozione di giustificato motivo oggettivo, cioè la ragione economica o organizzativa, il nesso causale tra questa ed il licenziamento individuale, l’impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni equivalenti.

Con la conseguenza, nel primo caso, di far confluire nelle “altre ipotesi” ogni licenziamento che non abbia alla base una evidente e clamorosa insussistenza del presupposto fattuale addotto dal datore di lavoro (ad esempio, inesistente riduzione delle commesse e del fatturato) e, nel secondo caso, le decisioni di recesso basate sui requisiti propri del giustificato motivo oggettivo ma quantitativamente insufficienti (ad esempio, riduzione del fatturato legata a problemi transitori e non a situazioni sfavorevoli non contingenti).

Risultando, tra le due categorie, un discrimine quanto mai fugace ed incerto e, tuttavia, decisivo ai fini della tutela applicabile, reintegratoria per insussistenza del fatto e solo risarcitoria nelle altre ipotesi.

Il tribunale di Milano sembra considerare il “fatto”anzitutto come dato empirico, come accadimento materiale, individuato dal datore di lavoro e dal medesimo posto a base della decisione di recesso.

Nel caso di specie, il fatto posto a base del licenziamento è la cessazione dell’appalto.

Tale fatto è recepito nell’ordinanza quale evento in sé, isolato e non inquadrato nel contesto aziendale, in alcun modo indagato nella sua genesi, nelle cause, nella dimensione temporale. Si dà atto nel provvedimento della cessazione dell’appalto ma non si specifica se tale cessazione sia dovuta all’ultimazione dei lavori o se essa sia anticipata e imprevista e perciò rientrante nella patologia dell’attività d’impresa, ricavandosi dalla ragione sociale che la società datoriale svolge attività edilizia, di costruzioni, quindi, presumibilmente, lavori sulla base di appalti, la cui plurima contemporanea esistenza è peraltro ipotizzata dal giudice in relazione alla mancata prova dell’impossibilità di repechage.

Tale rilievo permette di cogliere un primo rischio nell’interpretazione del nuovo articolo 18, quello di recepire l’allegazione datoriale del fatto come oggetto e anche confine e limite dell’accertamento giudiziale, trascurando di coglierne la rilevanza quale componente di una ragione economica o organizzativa.

Rischio aggravato dall’assoluta discrezionalità datoriale nella individuazione del fatto da porre a base del licenziamento, estraneo alla definizione normativa di giustificato motivo oggettivo contenuta nell’art. 3 della legge n. 604/66.

La materiale sussistenza di tale fatto permette, anzitutto, al giudice di escludere il carattere discriminatorio o ritorsivo del licenziamento, secondo una giurisprudenza che esige il ruolo unico e determinante del motivo illecito, nel caso di specie ritenuto non dimostrato, neanche in via presuntiva attraverso la inesistenza del motivo formalmente addotto.

Ora, senza richiamare l’ardita tesi che vorrebbe qualificare come discriminatorio o illecito ogni licenziamento per il quale non sia dimostrata una giusta causa o un giustificato motivo, deve tuttavia rilevarsi una scarsa chiarezza nell’ordinanza in esame quanto al rilievo da attribuire, ai fini della prova presuntiva, alla insussistenza del giustificato motivo di recesso oppure del mero fatto materiale.

Potendo in teoria desumersi il carattere discriminatorio del licenziamento dalla insussistenza del motivo oggettivo, nonostante la dimostrata ricorrenza del “fatto materiale” formalmente addotto.

Accanto all’accertamento della materialità del fatto, cessazione dell’appalto, il tribunale di Milano prende in esame anche il nesso causale tra tale fatto e la decisione di recesso.

Ciò si ricava dall’accento posto sull’assegnazione del lavoratore ricorrente all’esecuzione dei lavori oggetto dell’appalto cessato.

Quindi, delle tre componenti del giustificato motivo oggettivo (ragione economica e organizzativa, nesso causale e impossibilità di repechage), il giudice di Milano sembra far rientrare nel “fatto posto a base del licenziamento”, la cui sussistenza o insussistenza deve accertare, solo le prime due, peraltro svuotando la nozione di ragione economica e facendola sostanzialmente coincidere con il fatto materiale.

Nel prosieguo difatti l’ordinanza fa riferimento solo al requisito residuo, la “impossibilità (nel caso di specie non dimostrata) di reimpiegare il ricorrente in altri appalti gestiti dalla società”, especifica che “tale requisito…esula propriamente dal fatto posto a base del licenziamento, costituendone invero una conseguenza”.

L’obbligo di repechage è quindi ricondotto dal tribunale nell’alveo delle “altre ipotesi” e il difetto di prova riguardo ad esso determina l’applicazione della sola tutela indennitaria.

L’ordinanza rivela l’estrema difficoltà di distribuire tra le due categorie, “insussistenza del fatto” e “altre ipotesi”, le componenti del giustificato motivo oggettivo.

Essa, in particolare, sembra accedere ad una lettura limitativa del “fatto posto a base del licenziamento” inteso come fatto puramente materiale, come accadimento allegato dal datore di lavoro ed a cui riferire, secondo un nesso di derivazione causale, la decisione di recesso, tale da esaurire ed assorbire la ragione economica ed organizzativa, componente essenziale del giustificato motivo oggettivo.

E’ invece patrimonio comune come alla base di un licenziamento ci siano non solo fatti materiali bensì una serie di valutazioni, anche prognostiche, e decisioni dell’imprenditore, aventi nei fatti e nei dati solo la base di partenza, con l’ulteriore complicazione legata all’essere gli stessi fatti e dati intrisi di valutazioni (ad esempio, l’andamento del fatturato).

Se si adotta un’interpretazione strettamente letterale e si intende il fatto in senso solo materiale e non quale elemento di una ragione economica e organizzativa, a cui riferire in termini di nesso causale la decisione di recesso,si arriva all’assurdo di precludere la tutela reintegratoria di fronte, ad esempio, alla effettiva cessazione di un appalto pur nella contemporanea esistenza o nell’imminente inizio di altri lavori in appalto a cui adibire il dipendente, il che equivarrebbe a dare spazio e legittimazione all’arbitrio datoriale.

Non sembra vi sia altra strada per ricondurre il sistema a razionalità, se non interpretare il fatto, la cui sussistenza occorre accertare, in senso giuridico, quale fatto integrante il giustificato motivo oggettivo e quindi comprensivo della ragione economica, del nesso causale e dell’impossibilità di repechage.

L’ordinanza del tribunale di Milano dimostra l’illogicità di una cesura tra tutela piena e tutela risarcitoria giocata sulla distinzione tra la cessazione del singolo appalto e l’utilizzabilità del lavoratore in altri appalti, fattispecie rispettivamente ricondotte al fatto materiale posto a base del licenziamento oppure alle conseguenze di esso.

E’ vero che se si intende il fatto in senso giuridico, come comprensivo delle componenti del giustificato motivo oggettivo,si rischia di svuotare di contenuto la categoria delle “altre ipotesi”, che verrebbe limitata ai casi, ad esempio, di licenziamento intimato sulla base di situazioni sfavorevoli contingenti oppure di licenziamento cd. speculativo, finalizzato ad incrementare i profitti.

Ed è anche vero che in tal modo non si asseconda la volontà del legislatore del 2012, di limitare la reintegra a casi residuali, riassunti nella nota formula del “torto marcio” del datore di lavoro.

D’altra parte, nel contesto costituzionale e comunitario di riferimento, se la tutela dei lavoratori contro i licenziamenti ingiustificati può anche assumere contenuti diversi, di reintegra o risarcimento, è necessario che ciò avvenga secondo criteri di ragionevolezza ed uguaglianza, i soli compatibili con la dignità del lavoro e con la premessa che esso rappresenta per il godimento dei diritti fondamentali, criteri assolutamente non rinvenibili nel comma 7 del nuovo articolo 18.

 

16/05/2013
Altri articoli di Carla Ponterio
Se ti piace questo articolo e trovi interessante la nostra rivista, iscriviti alla newsletter per ricevere gli aggiornamenti sulle nuove pubblicazioni.