Magistratura democratica
giurisprudenza di merito

Crisi economica e reati finanziari commessi dall'imprenditore

di Giovanni Zaccaro
Giudice del Tribunale di Bari
Ancora sentenze di merito sull'incidenza della crisi economica dell'imprenditore sulla sussistenza dei reati tributari a lui ascritti
Crisi economica e reati finanziari commessi dall'imprenditore

Dopo la pubblicazione della sentenza del Tribunale di Novara, torniamo ad occuparci degli imprenditori imputati di reati tributari, i quali alleghino la propria insolvenza incolpevole e dunque l’impossibilità di adempiere all’obbligo fiscale.

La giurisprudenza di legittimità non ammette quale causa esimente della responsabilità la sopravvenuta ed incolpevole crisi economica.

In particolare, sia pure in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali (art. 2, comma primo bis, del D.L. 12 settembre 1983, n. 463, conv. con modd. in L. 11 novembre 1983, n. 638), è ricorrente la massima secondo la quale il reato è configurabile anche nel caso in cui si accerti l'esistenza del successivo stato di insolvenza dell'imprenditore, in quanto è onere di quest'ultimo ripartire le risorse esistenti al momento di corrispondere le retribuzioni ai lavoratori dipendenti in modo da poter adempiere all'obbligo del versamento delle ritenute (fra tutte, Cass. sez. 3, Sentenza n. 38269 del 25/09/2007 dep. 17/10/2007).

A fronte di tale rigido orientamento si obietta che, trattandosi di reato omissivo, la sopravvenuta ed incolpevole impossibilità di adempiere al debito tributario, rende inesigibile la condotta dovuta ed impone l’assoluzione del prevenuto: ad impossibilia nemo tenetur.

Del resto, la particolare natura dell’IVA impone il versamento dell’imposta anche a fronte di somme non ancora effettivamente incassate e dunque ancora di più carica sull’imprenditore tenuto al versamento i rischi dell’inadempimento dei suoi debitori.

A tale proposito, il Tribunale di Trento ha appunto assolto un imprenditore, vittima dell’inadempimento dei suoi patner commerciali.

Il Gip presso il Tribunale di Milano ha invece assolto l’imprenditore, addirittura vittima dell’inadempimento dell’amministrazioni sanitarie in favore delle quali aveva somministrato forniture di beni.

Nel caso di specie, il Gip, dopo avere emesso il decreto penale di condanna, era stato investito di un’istanza dell’imputato, corredata della documentazione idonea a provare il suo dissesto economico, incolpevole perché dovuto ai ritardi nei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni debitrici. Invocando il diritto dell’imputato ad una celere definizione del processo. il Gip allora lo ha prosciolto ai sensi dell’art. 129 cpp, bene consapevole di avere compiuto un atto abnorme. Invero, una volta emesso il decreto penale di condanna e non essendo state avanzate richieste di riti speciali (unico caso in cui avrebbe potuto decidere nel merito), a fronte di opposizione da parte l’imputato, il Gip non può che dare ulteriore impulso al procedimento, disponendo la trasmissione al competente giudice dibattimentale, che appunto deciderà sull’opposizione. In tale senso dispongono le norme di rito ed hanno deciso le sezioni unite della Corte di Cassazione, decisione ben nota dal giudice meneghino che pure la cita nella sentenza. Se le ragioni di celerità processuale, di cui all’art. 111 Cost., possono giustificare la decisione adottata, resta da osservare che così facendo si preclude al pm di interloquire con la richiesta difensiva e contro dedurre in ordine alla documentazione allegata (fondamentale per la decisione) con palese violazione del principio di parità fra le parti processuali, pure tutelato dall’art. 111 Cost.

Appare, invece, condivisibile l’orientamento consolidatosi in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare.

Materia simile a quella in esame: anche qui vi è un obbligo di pagamento il cui inadempimento integra il reato. La Corte di Cassazione ha spesso ammesso l’astratta possibilità di giustificare l’inadempimento del genitore onerato con le sue condizioni economiche, tali da rendergli impossibile la prestazione. Ha però preteso un rigido onere di allegazione a carico dell’interessato che non potrà difendersi deducendo solo il dato formale del suo stato di disoccupazione ma dovrà indicare gli elementi fattuali dai quali desumersi l’impossibilità di adempiere (da ultimo, Cass. Sez. 6, Sentenza n. 7372 del 29/01/2013 dep. 14/02/2013).

Nel caso dell'omesso versamento dell'IVA, sembra necessario pretendere la prova non solo della sopravvenuta impossibilità di adempiere ma anche della sua incolpevolezza, ossia della assoluta non riconducibilità alle strategie imprenditoriali dell’imputato e della sua non prevedibilità secondo le regole generali della contabilità e della finanza aziendale.

Appaiono, pertanto, interessanti altre due decisioni che si spendono generosamente sulla ricostruzione delle vicende finanziarie dell’imputato e sulla verifica in concreto dell’impossibilità di adempiere alla prestazione dovuta.

Nonostante la mole di argomenti difensivi, il Tribunale di Roma ha condannato l’imputato; la giudice capitolina, oltre alla serrata disamina degli elementi costitutivi del reato contestato e della “scusanti” addotte, per la quale si rimanda alla lettura della motivazione, ha valorizzato proprio le dichiarazioni dibattimentali dell’imputato .

Costui ha ammesso che, nella pratica degli affari, dapprima si paga il ceto bancario, quindi i fornitori, solo infine e se avanzano fondi l’Erario: una sostanziale confessione dell’evitabilità dell’inadempimento ascritto, se solo l’imprenditore avesse invertito l’ordine di priorità dei pagamenti.

Più meritevole di considerazione umana la vicenda finanziaria dell’imputato assolto dal Tribunale di Milano.

Il caso è interssante perché l’imputato era divenuto amministratore e dunque soggetto attivo del reato quando le somme da destinare al pagamento dell’IVA già non erano state accantonate.

Si pone, dunque, il dubbio se sia colpevole dell’omesso pagamento, anche se dovuto ad un omesso accantonamento a lui non addebitabile. Dubbio invincibile per il giudice, alla luce del dispositivo assolutorio “per non avere commesso il fatto”.

Comunque, il giudice non trascura la valutazione della sfortunata storia economica dell’azienda; le spiegazioni addotte dall'imputato e confermate dai testi della difesa sono tali da provare che il mancato versamento dell'IVA è dovuto ad un’ipotesi di causa maggiore e non al desiderio dell'imputato di sottrarsi agli obblighi trbutari.

In conclusione, ed in attesa di altri contributi giurisprudenziali, appare chiaro che la questione debba essere affrontata non solo con l’elegante speculazione sulla categoria utilizzabile (caso fortuito, inesigibilità) ma con un’attenta verifica della storia economica dell’imprenditore, per comprendere la quale sempre più il giudice di merito necessita di competenze finanziarie e di contabilità.

 

10/06/2013
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