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giurisprudenza di merito

Contratto bancario e forma scritta: sottoscrizione del funzionario ed esecuzione

di Gianmarco Marinai
RID Toscana
Una sentenza del Tribunale di Reggio Emilia ribadisce che la banca non può disconoscere il valore vincolante del contratto da essa predisposto, anche in mancanza di una valida sottoscrizione riferibile all'istituto
Contratto bancario e forma scritta: sottoscrizione del funzionario ed esecuzione

La sentenza del Tribunale di Reggio Emilia si segnala per aver affrontato approfonditamente il tema del valore della sottoscrizione del funzionario della banca in calce al contratto di conto corrente e, in particolare, la validità del contratto di conto corrente bancario siglato in calce dal funzionario della banca e comunque eseguito dalle parti.

Com'è noto, l'art. 117 del testo unico bancario (d.lgs. 385/1993) prevede che "i contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti" e "nel caso di inosservanza della forma prescritta il contratto è nullo".

L'introduzione di stringenti requisiti formali per i contratti bancari (sconosciuta in precedenza all'ordinamento) è certamente conseguenza dell'esigenza di protezione del contraente debole nei confronti dell'Istituto bancario, ratio analoga a quella che ha portato la giurisprudenza a sanzionare di nullità una serie di clausole standard, di contenuto scarsamente determinato o determinabile, come, ad esempio, le clausole di rinvio agli usi bancari, o ad altre condizioni non chiaramente specificate nel contratto scritto (si pensi alla capitalizzazione degli interessi nel conto corrente bancario).

A conferma di ciò, il successivo art. 127 c. 2 t.u.b. qualifica la nullità per carenza di forma scritta come relativa, potendo essere fatta valere solo dal cliente.

Si comprende, allora, come sia stato possibile che in dottrina e giurisprudenza sia stata sostenuta la tesi – criticata dalla sentenza in commento – secondo cui un contratto di conto corrente, predisposto unilateralmente dalla banca e sottoscritto dal cliente, qualora sia siglato in calce dal funzionario di banca con la dicitura "dichiara valide e raccolte a cura di questa dipendenza le firme apposte", non possa considerarsi valido, in quanto la sottoscrizione del funzionario varrebbe solamente come autentica della firma del correntista e non come manifestazione di volontà dell'istituto.

Correttamente, però, il giudice di Reggio Emilia non accede a tale tesi sulla base di una serie di considerazioni.

Innanzitutto, il funzionario di banca non ha alcun potere certificativo dell'autenticità della sottoscrizione (non previsto da nessuna norma), con la conseguenza che l'unico significato che la sua sottoscrizione in calce alla scheda contrattuale può assumere non può che essere quello di estrinsecare la volontà negoziale dell'Ente che in quel momento rappresenta, ex art. 2210 c.c., norma senz'altro applicabile anche al funzionario di banca che contrae con il cliente dell'Istituto, come confermato da Cass. civ., sez. I, 28-05-2003, n. 8553 che ha statuito, in un caso analogo, che quando l'imprenditore si avvale per la propria attività di un apparato organizzato di mezzi e di personale, anche gli ausiliari subordinati (commessi), cui sono affidate mansioni esecutive che li pongono a contatto con i terzi, hanno un (limitato) potere di rappresentanza, pure in mancanza di specifico atto di conferimento e possono compiere, ai sensi dell'art. 2210, 1º comma, c.c., gli atti che ordinariamente comporta la specie delle operazioni di cui sono incaricati, salve le limitazioni contenute nell'atto di conferimento della rappresentanza.

D'altra parte la Suprema Corte (Cass. civ. Sez. lavoro, 08-11-2003, n. 16804) riconosce che la figura del funzionario di banca, è caratterizzata, anche al di fuori delle particolari ipotesi di investitura formale della qualifica o di preposizione ad agenzie di città o di filiali con un determinato organico di personale, proprio dal conferimento, da parte dell'istituto di credito, della facoltà di firma sociale consistente in un potere di rappresentanza da esercitarsi in via generale e continuativa nel nome e per conto della banca in relazione a mansioni che comportino il compimento di atti di contenuto gestionale, a rilevanza esterna, pertinenti all'esercizio dell'impresa.

Anzi, proprio in conseguenza dell'esigenza di protezione del contraente debole, laddove il testo del contratto sia predisposto dalla Banca, diverse decisioni hanno ritenuto sufficiente ad integrare la forma scritta di cui all'art. 117 t.u.b. (anche qui, a mio avviso, correttamente), la sottoscrizione del correntista: l'Istituto, insomma, non può disconoscere il valore vincolante del contratto da essa predisposto, anche in mancanza di una valida sottoscrizione riferibile alla banca, allorché sia chiara la volontà delle parti di avvalersi del contratto, come quando, ad esempio, sia stata data, magari per anni, regolare esecuzione al contratto, senza alcuna contestazione.

Tale interpretazione, peraltro, è stata anche recentemente accolta dalla Cassazione (Cass., sez. I, 22-03-2012, n. 4564) in un caso in cui la banca aveva depositato in giudizio una copia del contratto di conto corrente prodotta dai ricorrenti, sostenendo che la copia in possesso di questi ultimi conteneva la firma della banca e che quindi il negozio si era regolarmente concluso nel rispetto della forma scritta: è principio consolidato, infatti, che nei contratti per cui è richiesta la forma scritta "ad substantiam" non è necessaria la simultaneità delle sottoscrizioni dei contraenti, e sia la produzione in giudizio della scrittura da parte di chi non l'ha sottoscritta, sia qualsiasi manifestazione di volontà del contraente che non abbia firmato, risultante da uno scritto diretto alla controparte e dalla quale emerga l'intento di avvalersi del contratto, realizzano un valido equivalente della sottoscrizione mancante, purché la parte che ha sottoscritto non abbia in precedenza revocato il proprio consenso ovvero non sia deceduta (cfr. Cass. 16.10.1969 n. 3338; Cass. 22.5.1979 n. 2952; Cass. 18.1.983 n. 469; Cass. 5868/94; Cass. 2826/00; Cass. 9543/02; Cass. 22223/06).

Non appare, al contrario, condivisibile la posizione (espressa relativamente ad un contratto di intermediazione finanziaria, ma applicabile anche in materia di contratti bancari, essendo speculari le norme che prevedono la necessità della forma scritta ad substantiam) secondo cui andrebbe dichiarato invalido per difetto di forma scritta il contratto di negoziazione sottoscritto dal solo cliente, in quanto il requisito formale richiesto dall’art. 23 t.u.i.f. implica la sottoscrizione di entrambe le parti e alla mancanza di forma scritta non può supplirsi con la produzione in giudizio da parte della banca convenuta del contratto-quadro di negoziazione, posto che l’incontro delle volontà può dirsi perfezionato solo se la parte del processo che ha sottoscritto il contratto al momento della produzione non abbia già manifestato la revoca del proprio consenso, volontà di revoca che deve essere individuata nella domanda con la quale l’investitore deduce appunto la nullità del contratto per mancanza della forma (T. Verona, 01-10-2009): non pare corretto, invero, attribuire alla domanda diretta a far valere la nullità del contratto per difetto di forma la valenza di revoca del consenso in precedenza validamente espresso.

Inoltre, prosegue la Cassazione n. 4564/2012, anche nel caso in cui non si ritenesse esistente una copia firmata del contratto da parte della banca, l'intento di questa di avvalersi del contratto risulterebbe comunque, oltre che dal deposito del documento in giudizio, dalle manifestazioni di volontà da questa esternate ai ricorrenti nel corso del rapporto di conto corrente da cui si evidenziava la volontà di avvalersi del contratto (bastano a tal fine le comunicazioni degli estratti conto) con conseguenze perfezionamento dello stesso.

In conclusione, non appare accettabile (in quanto, tra l'altro, non conforme al principio della buona fede contrattuale nell'esecuzione del contratto) il comportamento del contraente (banca o cliente che sia) che approfitta, abusandone, di una posizione contrattuale di vantaggio conferita dalla legge, e invoca la nullità di un contratto che per anni ha avuto regolare esecuzione.

 

03/07/2013
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