Magistratura democratica
giurisprudenza di merito

Azione di risarcimento dei danni da mancato riconoscimento e termine di prescrizione

di Gloria Carnevale
MOT presso il Tribunale di Bari
Il Tribunale di Roma ha affrontato la questione del dies a quo del termine di prescrizione per l'azione di risarcimento dei danni, per mancato riconoscimento, e l'azione di regresso del genitore che ha provveduto al mantenimento del figlio nei confronti dell'altro inadempiente
Azione di risarcimento dei danni da mancato riconoscimento e termine di prescrizione

Con la sentenza in commento il Tribunale di Roma torna ad occuparsi del dies a quo del termine di prescrizione per l’esercizio dell’azione di risarcimento del danno da mancato riconoscimento del figlio e dell’azione di regresso intentata dal genitore, che da solo ha provveduto al mantenimento del figlio, nei confronti dell’altro rimasto inadempiente e che solo in un momento successivo ha compiuto il riconoscimento (o la cui paternità o maternità sia stata solo successivamente dichiarata).

La giurisprudenza ritiene proponibili tali domande anche nel giudizio teso ad accertare il rapporto di filiazione (Cassazione 17914/2010). Qualifica il dovere di mantenimento dei genitori come obbligazione di natura solidale che legittima, quello che dei due abbia provveduto interamente al suo adempimento, ad agire in regresso per la restituzione della quota gravante sull’altro, sulla scorta delle regole di cui agli artt. 1299 e ss. c.c.. Riconosce il risarcimento del danno c.d. endofamiliare per violazione degli obblighi genitoriali, inteso sia come danno derivante dalla violazione dell’obbligo economico di mantenimento, che si concretizza nella perdita di chance di raggiungere una posizione decorosa nell’ambiente sociale e lavorativo, sia come danno non patrimoniale derivante dal mancato apporto da parte di entrambi i genitori alla cura, protezione ed educazione del figlio (Cass. 5652/2012).

Nel caso sottoposto all’esame del giudice romano, agivano in giudizio la madre ed il figlio chiedendo, in uno con la dichiarazione giudiziale di paternità del convenuto, la condanna di quest’ultimo al rimborso di una quota delle spese di mantenimento che dalla prima erano state sostenute sin dalla nascita del figlio e al risarcimento del danno non patrimoniale da entrambi sofferto a causa del mancato riconoscimento.

Si costituiva in giudizio il convenuto il quale contestava qualsiasi legame biologico con l’attore, rifiutando però di sottoporsi al test del DNA ed eccepiva in ogni caso la prescrizione di qualsiasi diritto connesso all’accertamento giudiziale di paternità. Posto  che il diritto al mantenimento del figlio sorge con la nascita (avvenuta nel caso di specie nel 1965) e che nessuna pretesa era stata mai avanzata da allora dagli odierni attori, se non nell’ambito del presente giudizio instaurato nel 2009, doveva ritenersi abbondantemente decorso il termine di prescrizione dei diritti fatti valere.

Il tribunale, traendo dal rifiuto del convenuto di sottoporsi agli esami emato-genetici la prova della fondatezza della domanda di dichiarazione giudiziale di paternità, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., dichiarava il convenuto padre naturale dell’attore. Con riguardo all’azione di regresso e di risarcimento del danno accoglieva l’eccezione di prescrizione sollevata dal convenuto rigettando le richieste attore.

Ritiene il tribunale che il diritto del figlio al mantenimento, all’educazione ed istruzione ed i corrispondenti obblighi solidale gravanti su entrambi i genitori, sorgano per il fatto stesso della procreazione, a prescindere da un accertamento formale dello status di figlio. L’azione di regresso, come quella di risarcimento per violazione degli obblighi genitoriali, possono pertanto essere azionate anche senza la necessità di una sentenza sullo status, ma in modo autonomo nell’ambito di un giudizio in cui il legame biologico verrà accertato, anche in via meramente incidentale, solo qualora il convenuto ne  contesti l’esistenza.

Ne consegue che la prescrizione decennale dell’azione di regresso proposta dal genitore decorre non dalla pronuncia che dichiara la genitorialità o dal riconoscimento del figlio, ma da ogni singola prestazione, mentre, per l’azione di risarcimento danni il dies a quo coincide  con il momento in  cui il figlio raggiunge l’indipendenza economica, quanto ai danni derivanti dalla violazione dell’obbligo di mantenimento. Lo stesso momento rileva anche per i danni derivanti dalla violazione degli altri obblighi genitoriali, coincidendo con esso presuntivamente anche il conseguimento di quell’autonomia psicologica che fa cessare i doveri di giuridici di protezione da parte dei genitori.

La decisione in commento si presenta di particolare interesse in quanto si distacca completamente da quello che costituisce l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza sul tema della decorrenza del termine di prescrizione dell’azione di regresso.

Afferma infatti la giurisprudenza di legittimità che “nell'ipotesi in cui al momento della nascita il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto perciò a provvedere per intero al suo mantenimento, non viene meno l'obbligo dell'altro genitore per il periodo anteriore alla pronuncia di dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale, essendo sorto sin dalla nascita il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato da parte di entrambi i genitori. Da ciò consegue, per un verso, che il genitore naturale, dichiarato tale con provvedimento del giudice, non può sottrarsi alla obbligazione nei confronti del figlio per la quota parte posta a suo carico, ma è tenuto a provvedere sin dal momento della nascita, e, per altro verso, che il genitore il quale ha provveduto in via esclusiva al mantenimento del figlio ha azione nei confronti dell'altro per ottenere il rimborso pro quote delle spese sostenute dalla nascita. Tale azione non è tuttavia utilmente esercitabile se non dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di accertamento dellafiliazione naturale (atteso che soltanto per effetto della pronuncia si costituisce lo status di figlio naturale, sia pure con effetti retroagenti alla data della nascita); con la conseguenza che detto momento segna altresì il dies a quo della decorrenza della prescrizione del diritto stesso." (Cass. n. 23596/2006; Cass. n. 26575 /2007. Principi confermati di recente da Cass. 7986/2014)

La Cassazione non nega il fatto che il diritto del figlio al mantenimento e la corrispondente responsabilità genitoriale sorgano per il solo fatto della procreazione, tant’è vero che riconosce al genitore, che ha sostenuto per intero i relativi oneri, il diritto di agire per la rifusione pro quota delle spese pregresse, sin dalla nascita del figlio. Pone però come presupposto per l’esercizio di tale diritto l’attribuzione dello stato di figlio anche nei confronti dell’altro genitore o a seguito di riconoscimento spontaneo o a seguito di dichiarazione giudiziale, in quanto è solo l’attribuzione di tale stato che rende utilmente esercitabili i diritti e e le azioni connessi alla filiazione (cfr. Cass. 11 luglio 2006, n.15756; Cass. 2 febbraio 2006, n. 2328; Cass. 6 luglio 2005, n. 15100; Cass. 26 maggio 2004, n. 10124).

Il riconoscimento e la sentenza di accertamento giudiziale di paternità hanno natura intrinsecamente costitutiva, in quanto attribuiscono lo status di figlio e costituiscono pertanto il presupposto per l’esercizio dei diritti ad esso connessi, ma dichiarativa sotto il profilo degli effetti che retroagiscono al momento della nascita (Cass. 23596/2006). Tenuto conto della connessione esistente tra il diritto del figlio al mantenimento ed il diritto del genitore al rimborso, anche l’esercizio dell’azione di regresso presuppone l’accertamento dello status di figlio e con esso del diritto al mantenimento (Cass. 10124/2004). Prima dell’intervento di un provvedimento costitutivo il genitore adempiente si trova nell’impossibilità giuridica di far valere il proprio diritto al rimborso, ai sensi dell'art. 2935 c.c., ragion per cui il termine di prescrizione non può iniziare a decorrere (Cass. 23596/2006).

A tali conclusioni la Cassazione giunge valorizzando alcune disposizioni contenute nel codice civile, quali, innanzitutto gli artt. 261 (ora abrogato v. infra) e 277 dai quali si ricava la conferma che solo con il riconoscimento o con la dichiarazione giudiziale di paternità il genitore assume i doveri e diritti che egli ha nei confronti dei figlio.

Compie poi un parallelismo con l’orientamento più volte espresso in tema di accettazione dell’eredità da parte del figlio nato fuori dal matrimonio. In tale ipotesi la Cassazione è ferma nell’affermare che il termine decennale di prescrizione del diritto di accettare l'eredità decorra dalla data di dichiarazione giudiziale del rapporto di filiazione, se successiva all’apertura della successione. Prima di tale momento il figlio versa in una situazione di impossibilità giuridica e non di mero fatto di accettare l'eredità del genitore (cfr. Cass. 21.3.1990, n. 2326; Cass. 11.6.1987, n. 5075; Cass. 12.3.1986 n. 1648; Cass. 26.6.1984 n. 3709; Cass. 11.1.1983 n. 191).  .

Le conclusioni della Cassazione trovano una ragione meno giuridica, ma ritenuta altrettanto importante, nell’esigenza di favorire il genitore che per anni ha sostenuto da solo le spese per il mantenimento del figlio, con enormi sacrifici, il quale vedrebbe vanificate le proprie legittime pretese restitutorie per effetto dell’opposizione della prescrizione per tutti gli esborsi compiuti più di dieci anni fa.

E’ evidente a questo punto il carattere fortemente innovativo della decisione in commento dove, pur dandosi atto dell’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, se ne mette in luce l’intrinseca contraddittorietà. Osserva infatti il Tribunale come la Cassazione pur sostenendo che gli obblighi genitoriali, tra i quali quello dimantenimento, sorgano per il fatto materiale del concepimento e della nascita, ponga però come presupposto giuridico per l’ esercizio dei diritti e per la proposizione delle azioni connesse, il riconoscimento formale di status di figlio, cosi di fatto facendo derivare siffatti diritti e doveri dalla sua attribuzione e non più dalla procreazione(v. M. Ortore “Ancora sui limiti temporali dell’esercizio dell’azione di regresso nei confronti del genitore inadempiente” in Famiglia e Diritto, 2011, 2, 129; Id, “Mantenimento del figlio e prescrizione dell’azione di regresso nei confronti del genitore inadempiente” in Famiglia e Diritto, 2007, 11, 1007).

In tal maniera la Cassazione svilisce l’art. 30 Cost., norma di natura precettiva che,  stabilendo l’obbligo dei genitori di “mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio”,  si riferisce, in armonia alla recente riforma del diritto di famiglia, a tutti i figli anche non riconosciuti e non riconoscibili. Il Costituente ha voluto imporre la “responsabilità dei genitori per il fatto stesso della procreazione”, indipendentemente da atti formali di riconoscimento biologico (Rosalia Di Cristo, “Obbligo di mantenimento e regresso nei rapporti tra genitori naturali”, in Fam. Pers. Succ., 2008,11,919).

L’orientamento della Cassazione non è tra l’altro coerente con un sistema che invece consente un accertamento incidenter tantum del rapporto di filiazione. L’art. 279 c.c. attribuisce al figlio nato fuori dal matrimonio il diritto di agire "per ottenere il mantenimento, l'istruzione e l'educazione" senza dover esperire l’azione ex 269 c.c., ma sulla base della situazione meramente biologica del concepimento.

La giurisprudenza prevalente interpreta tale norma nel senso che tale azione spetta non solo nel caso in cui non possa proporsi l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o il figlio non sia riconoscibile (casi ormai ridotti a seguito della riforma del 2012) ma anche ai figli riconoscibili (ma in concreto non riconosciuti) che tuttavia preferiscono non agire ai sensi dell'art. 269 c.c. I giudici romani mettono pertanto in evidenza la contraddizione in cui incorre la Cassazione che da un lato afferma la possibilità del figlio di conseguire il mantenimento a prescindere da un formale accertamento dello status, ma semplicemente sulla base di un accertamento incidentale del legame biologico, mentre dall’altro richiede come presupposto necessario per esperire l’azione di regresso e di risarcimento del danno il passaggio in giudicato della sentenza sullo status  (contraddizione rilevata anche in dottrina v. G. Facci “Questioni controverse in tema di prescrizione nell’ambito della responsabilità dei genitori nei confronti dei figli” in Resp. civ. e prev., fasc.1, 2010: “In altri termini, l'art. 279 c.c. ben rappresenta che l'accertamento del fatto storico della procreazione ed il giudizio per l'attribuzione dello status si pongono su piani diversi, tanto che il figlio può agire, indipendentemente dalla qualifica formale dello status”; M. Ortone, in “Mantenimento del figlio e prescrizione…” cit.)

L’art. 30 Cost. e 279 c.c. che del primo costituisce applicazione diretta, confermano che è la mera procreazione, ove positivamente accertata, anche in via incidentale, a rendere i genitori responsabili degli obblighi previsti dagli art.. 148, 315 bis e 316 bis nei confronti del figlio.

Da ciò consegue che l’azione di regresso per il rimborso degli oneri già sostenuti e quella di concorso alle spese future possano essere proposte a prescindere da un formale riconoscimento o da una pronuncia giudiziale di genitorialità, ma previo accertamento anche solo incidentale del rapporto di filiazione, laddove contestato dal genitore convenuto (in dottrina M. Ortone, in “Mantenimento del figlio e prescrizione…” cit).

Verso tale soluzione muovono anche le recenti modifiche legislative in materia di famiglia. Il riferimento è in particolare agli interventi normativi registratisi sull’art. 261 c.c. e 480 c.c., quelle stesse norme che, come sopra evidenziato, sono state invece valorizzate dalla Cassazione per corroborare la propria tesi.

Il d.lgs. 154/ 2013 ha abrogato l’art. 261 c.c. eliminando  così  ogni dubbio sul fatto che i diritti e doveri non siano collegati al formale riconoscimento, ma preesistano ad esso per il fatto stesso della procreazione. Ha inoltre modificato l’art. 480 c.c. positivizzando quel principio più volte affermato dalla Cassazione della decorrenza del termine decennale di accettazione dell’eredità, per i figli non riconosciuti, dal passaggio in giudicato della sentenza che accerta la filiazione. Correttamente osserva il Tribunale di Roma che se il legislatore ha avvertito la necessità di specificare il dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione per il diritto di accettazione è forse perché “in un sistema in cui i doveri genitoriali derivano dal fatto stesso della procreazione ciò non poteva dirsi scontato”.

La soluzione accolta dai giudici romani produce anche l’effetto di colmare i vuoti di tutela che potrebbero derivare dall’applicazione dei principi della Cassazione. Il genitore adempiente potrebbe infatti trovarsi nell’impossibilità di esperire l’azione di regresso, laddove il figlio quattordicenne non dia il consenso al riconoscimento o, ormai maggiorenne decida di non promuovere l’azione di dichiarazione giudiziale paternità o nel caso in cui il figlio non sia riconoscibile o il giudice non autorizzi il riconoscimento tardivo. In tutti questi casi  il genitore adempiente si troverebbe nell’impossibilità di recuperare la quota dell’altro genitore che in tale maniera oltre a non aver contribuito per il passato verrebbe esonerato da qualsiasi obbligo anche per il futuro( M. Ortone, in “Mantenimento del figlio e prescrizione…” cit).

L’esigenza di favorire il genitore adempiente, quale parte debole e danneggiata, potrebbe quindi comunque restare insoddisfatta in tutti i casi in cui non si addivenga ad alcun accertamento del rapporto di filiazione. Slegando invece l’azione di regresso da una sentenza sullo status passata in giudicato si offre alla parte debole una tutela maggiore, consentendole di ottenere la quota parte anticipata semplicemente previo un eventuale accertamento, anche incidentale, del rapporto di filiazione nel caso di contestazione da parte del convenuto.

La soluzione offerta dalla Cassazione, tra l’altro, rischia di minare la certezza dei rapporti giuridici che poi, osserva giustamente il Tribunale, rappresenta la finalità dell’istituto della prescrizione.  I giudici di legittimità, infatti, vengono a ricollegare il termine per l’azione di regresso ad un momento incerto ed indeterminato quale è quello in cui verrà fatto il riconoscimento o accertato giudizialmente il rapporto di filiazione. Se si considera, poi, che l’azione di cui al 269 c.c. è imprescrittibile riguardo al figlio e che, in base all’art. 276 c.c., può essere avanzata anche nei confronti degli eredi del genitore deceduto, si corre il rischio che questi siano chiamati a rispondere della violazione dei suoi doveri anche a distanza di molto tempo dalla morte,con un ulteriore pregiudizio laddove non abbiano accettato con beneficio di inventario (v. G. Facci, op. cit.).

Le medesime argomentazioni portano il Tribunale di Roma ad escludere anche per la proposizione dell’azione di risarcimento danni da mancato riconoscimento la necessità  di una pronuncia giudiziale di accertamento della paternità, individuando il termine di decorrenza della prescrizione nel momento in cui il figlio raggiunge l’indipendenza economica (v. G. Facci, op. cit. contro Tribunale di Venezia,  18 aprile 2006  che afferma il principio secondo il quale, “sino al momento in cui non si forma il giudicato, in ordine alla dichiarazione giudizialedella paternità o maternità naturale, non sorge lo status di figlio naturale; in tal modo, difetta il presupposto per l'esercizio delle azioni e dei diritti che sono connessi a tale status e pertanto la prescrizione del diritto al risarcimento non inizia a decorrere”).

 

12/06/2014
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