L’indipendenza e l’imparzialità delle corti internazionali tra accountability e judicial restraint
Dalla fine della Seconda guerra mondiale, il numero delle corti internazionali è aumentato in modo esponenziale. Il loro campo di azione è molto ampio e l’impatto delle loro decisioni, vincolanti sulle politiche interne e sui sistemi giuridici degli Stati, induce a interrogarsi sulla loro legittimità, efficacia e indipendenza.
1. La proliferazione delle corti internazionali e la questione della loro imparzialità e indipendenza / 2. La protezione dell’indipendenza delle corti internazionali / 3. Fattori che influenzano l’imparzialità e l’indipendenza delle corti internazionali / 4. Sostanza o apparenza di imparzialità? / 5. Rapporto tra indipendenza e responsabilità come strumenti di legittimazione delle corti internazionali / 6. Conclusioni
1. La proliferazione delle corti internazionali e la questione della loro imparzialità e indipendenza
Dalla fine della Seconda guerra mondiale, in un mondo in cui i confini nazionali sono sempre più permeabili alle persone, ai beni e alle informazioni, la comunità internazionale si è trovata ad affrontare problemi che non consentivano soluzioni unilaterali e la creazione di giurisdizioni internazionali è stata uno strumento necessario per rafforzare la cooperazione tra Stati.
Si è avuto quindi un aumento esponenziale del numero dei tribunali internazionali, ai quali è stato conferito un campo di azione molto ampio, in quanto decidono questioni che vanno dagli accordi commerciali ai diritti umani, risolvono controversie commerciali di grande impatto economico tra le superpotenze economiche, possono far rispettare la legge del mare, possono condannare gli Stati per violazioni dei diritti fondamentali dei propri cittadini e punire i criminali di guerra.
Dato che le loro decisioni sono vincolanti, è evidente che l’impatto che i tribunali internazionali possono avere sulle politiche interne degli Stati e sui loro ordinamenti giuridici è molto significativo[1]. Si stima che i tribunali internazionali abbiano ormai emesso migliaia di sentenze giuridicamente vincolanti, che si traducono in notevoli cambiamenti nella politica e nelle azioni degli Stati. La giurisdizione obbligatoria di molti di questi tribunali, il fatto che diverse corti internazionali siano aperte ad attori non statali, come individui e società, sono fattori che si traducono in una crescente influenza dei loro giudizi su quelli che, tradizionalmente, vengono considerati aspetti interni degli Stati[2].
Alcuni hanno descritto questo fenomeno come «giurisdizionalizzazione dell’ordine giuridico internazionale», che significa che il diritto internazionale, che tradizionalmente è la “legge del più forte”, è progressivamente soggetto ai principi dello Stato di diritto attraverso la volontà degli Stati stessi[3].
Il fenomeno della proliferazione dei tribunali internazionali e il loro ampio potere hanno suscitato un crescente interesse per la loro credibilità, legittimazione ed efficacia.
La riflessione sulla legittimazione delle corti internazionali è strettamente connessa al tema della loro imparzialità e indipendenza da altri poteri, che – molto familiare nel diritto interno – è relativamente inesplorato in ambito internazionale.
A questo proposito, la prima questione da valutare è se l’indipendenza dei tribunali internazionali debba essere affrontata in termini diversi rispetto a quella delle giurisdizioni nazionali. In altre parole, i tribunali internazionali e i loro giudici devono essere considerati dispensatori di giustizia imparziale, che emettono decisioni basate su norme giuridiche, oppure sono, piuttosto, una manifestazione del potere e dell’influenza statale nelle relazioni internazionali ed emettono decisioni che sono ispirate da motivazioni diverse da quelle strettamente giuridiche? I giudici internazionali sono «diplomatici in toga»[4] oppure agiscono secondo gli stessi principi di indipendenza dei sistemi giuridici nazionali?
Si pone, quindi, la questione se l’indipendenza di un giudice internazionale debba essere valutata secondo i parametri propri degli ordinamenti nazionali oppure sulla base di uno standard diverso, opportunamente calibrato per il contesto internazionale.
Alla base di tutte queste domande c’è una questione fondamentale da analizzare: l’indipendenza della magistratura internazionale deve essere valutata come quella dei giudici nazionali oppure c’è qualcosa di qualitativamente diverso nelle corti internazionali? In altre parole, la giustizia internazionale è uno strumento di politica internazionale tale da richiedere l’applicazione di regole diverse rispetto alla giurisdizione nazionale e un livello diverso o inferiore di indipendenza?
Nel corso della presente analisi vedremo che, nel contesto dei tribunali internazionali, è meno evidente quale debba essere il significato di indipendenza e imparzialità.
2. La protezione dell’indipendenza delle corti internazionali
L’indipendenza e imparzialità dei giudici delle corti internazionali può essere considerata un dato formalmente acquisito nel diritto internazionale[5].
Ad esempio, l’articolo 10 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo afferma che «tutti hanno diritto in piena uguaglianza ad un processo equo e pubblico davanti a un tribunale indipendente e imparziale nella determinazione dei suoi diritti e obblighi e in merito a qualsiasi accusa penale contro di lui».
L’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu) afferma che «ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti».
Inoltre, la conferenza internazionale in cui la comunità internazionale ha deciso di istituire la Corte penale internazionale (Cpi) ha affermato che «c’è un ampio consenso sul fatto che la Corte dovrebbe essere un sistema giudiziario penale internazionale indipendente, giusto, imparziale, efficace e ampiamente rappresentativo, e che dovrebbe essere libero da influenze politiche o di altro tipo». È stato, inoltre sottolineato, che la Cpi non dovrebbe diventare uno strumento di lotte politiche o un mezzo per interferire negli affari interni di altri Paesi[6].
Sebbene esistano profonde differenze tra l’indipendenza dei giudici nazionali e quella delle corti internazionali, come meglio si dirà in seguito, sembra possibile individuare un minimo comune denominatore secondo il quale si tratta di un requisito imprescindibile, che consente ai giudici di decidere senza essere influenzati o vincolati dalle preferenze e opinioni di altri soggetti.
L’indipendenza dei giudici internazionali, così com’è intesa, è riconosciuta come un fattore essenziale per la salvaguardia della credibilità e della legittimazione delle corti e dei tribunali internazionali.
A questo proposito, infatti, sono emerse nel contesto internazionale almeno due esigenze imprescindibili: innanzitutto, la necessità di garantire che il giudice possa decidere senza essere influenzato da preferenze e opinioni altrui; in secondo luogo, garantire l’indipendenza delle corti e dei tribunali internazionali dagli organismi politici[7].
In tale ottica, ad esempio, molti trattati e regolamenti che istituiscono e disciplinano le corti internazionali prevedono espressamente che i giudici, una volta eletti, non sono delegati di alcuno Stato membro e che devono esercitare il loro mandato in modo imparziale[8].
Oltre a godere della inamovibilità[9] i giudici delle corti internazionali godono, inoltre, dei privilegi e delle immunità diplomatiche, anche dopo la fine del mandato, per ogni responsabilità relativa all’attività svolta e/o alle opinioni espresse durante lo svolgimento delle loro funzioni[10].
In alcuni casi il mandato è rinnovabile una volta (ad esempio, per i giudici della Corte internazionale di giustizia e della Corte europea di giustizia); in altri casi è, invece, esclusa la possibilità di rielezione (ad esempio, per la Corte penale internazionale e per la Corte europea dei diritti dell’uomo)[11].
Talvolta, le norme che regolano il funzionamento dei tribunali internazionali prevedono divieti di svolgimento di quelle attività che possano compromettere l’indipendenza e l’imparzialità[12].
3. Fattori che influenzano l’imparzialità e l’indipendenza delle corti internazionali
Sebbene, prima facie, il concetto di indipendenza sembri applicarsi ai giudici internazionali allo stesso modo di quelli nazionali, una serie di caratteristiche dell’ordinamento sovranazionale suggerisce che il recepimento diretto dei principi validi a livello nazionale non è sempre appropriato[13].
I giudici delle corti internazionali condividono con i giudici nazionali analoghe problematiche relative all’indipendenza dal potere politico, ma si confrontano con questioni ulteriori, derivanti dalla diversa natura dell’ordinamento giuridico internazionale.
La dottrina evidenzia, in proposito, l’esistenza di una serie di meccanismi di controllo ex-ante ed ex-post che i governi potrebbero utilizzare per influenzare l’azione dei tribunali internazionali[14].
In proposito, va evidenziato, in primo luogo, che una differenza fondamentale tra il funzionamento del sistema internazionale e quello interno agli Stati è il modo in cui vengono applicate le sentenze e le decisioni.
Negli ordinamenti nazionali, le corti e i tribunali svolgono il loro ruolo nell’ambito di un ordinamento giuridico complesso e di carattere originario, che non deriva la sua validità da nessun altro ordinamento superiore, in cui il potere legislativo, esecutivo e giudiziario agiscono attraverso norme e decisioni vincolanti per tutti i cittadini. I tribunali nazionali operano all’interno di un sistema giuridico che ha portata universale entro i confini dello Stato e dispongono, quindi, di strumenti efficaci per eseguire le sentenze[15].
Le corti internazionali, invece, non operano come parte di un governo mondiale coerente, unificato e sovrano, ma agiscono all’interno di un sistema senza organizzazione gerarchica, in cui l’esecuzione delle loro decisioni è lasciata alla volontà degli stessi Stati da cui traggono la loro legittimazione[16].
L’esecuzione delle sentenze delle corti internazionali dipende da meccanismi molto più complessi, rimessi alla volontà degli Stati che devono accettare di eseguirle e che possono minacciare di non farlo o, più o meno implicitamente, ignorare le sentenze o addirittura abbandonare la giurisdizione di un tribunale.
Ad esempio, la Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte Edu) non ha il potere di far rispettare le sue decisioni e sentenze in modo coercitivo e le parti contraenti devono accettare la legittimità delle sentenze della Corte, anche quando si è pronunciata contro di esse[17].
Allo stesso modo, senza un proprio meccanismo di applicazione, l’efficacia e l’effettività dell’azione della Corte penale internazionale dipende in larga misura dalla cooperazione che riceve dagli Stati, dalle Nazioni Unite, dalle organizzazioni regionali e da altri soggetti rilevanti, sin dalla fase delle indagini[18].
Un altro aspetto che rende più esposte a pressioni politiche le giurisdizioni internazionali è la loro dipendenza dagli Stati per il finanziamento delle proprie attività. Lo strumento finanziario è probabilmente quello con cui gli Stati possono maggiormente influenzare il corretto funzionamento delle corti e dei tribunali internazionali. Le consultazioni che precedono l’adozione del bilancio dei tribunali internazionali non sono solo di natura finanziaria, ma sono ispirate da ragioni politiche, riguardanti il modo in cui gli Stati concepiscono il loro ruolo nel sistema giuridico internazionale[19].
Oltre che nel controllo delle risorse materiali e umane, la dottrina ha evidenziato, tra i fattori determinanti più importanti in tema di indipendenza e imparzialità dei giudici internazionali, i meccanismi di selezione e di permanenza in carica dei giudici.
I meccanismi di nomina e la durata del mandato sono indicati quali componenti importanti dell’indipendenza dei tribunali internazionali perché aiutano a proteggere i giudici dalle ritorsioni dei governi per sentenze sfavorevoli; ciò significa che l’indipendenza delle corti internazionali è più forte quando i governi hanno meno opportunità di influenzare la selezione e il mandato dei giudici[20].
Un altro meccanismo che può influenzare l’indipendenza dei tribunali internazionali è la partecipazione degli Stati, direttamente o indirettamente, ai procedimenti, ad esempio attraverso la nomina di giudici nazionali ad hoc[21].
In sostanza, i meccanismi di nomina dei giudici delle corti internazionali appaiono rivolti, nella maggior parte dei casi, a porre dei filtri tra la designazione, pur sempre governativa, del candidato e l’elezione da parte di organi che sono in ogni caso espressione dei governi degli Stati membri, in modo da garantire, quantomeno in apparenza, l’indipendenza del giudice dallo Stato che lo ha designato[22].
La letteratura si occupa quasi esclusivamente del grado in cui i governi influenzano i tribunali internazionali, ma molti altri soggetti possono esercitare concretamente la loro influenza. Ad esempio, le organizzazioni non governative possono fare pressione sui governi e sulle organizzazioni intergovernative per rinnovare finanziamenti, prorogare le scadenze e per altri tipi di sostegno[23], o intervenire come terza parte davanti alle corti per contestare leggi, prassi e interpretazioni nazionali, per stabilire precedenti[24] e promuovere determinate interpretazioni del diritto[25].
Ciò si potrebbe tradurre in una potenziale minaccia all’indipendenza delle corti internazionali, che ha ricevuto poca attenzione, forse perché gli studiosi la percepiscono come più innocua dell’influenza dei governi o perché lo studio del diritto internazionale è stato tradizionalmente incentrato sugli Stati.
4. Sostanza o apparenza di imparzialità?
Il quadro sinteticamente descritto dimostra che le norme che regolamentano la nomina, la durata del mandato, le incompatibilità e le immunità dei giudici che compongono i tribunali internazionali, pur idonee a garantire un’apparenza di indipendenza e a osservare la regola che i giudici, oltre che essere, devono anche apparire imparziali, possono risultare insufficienti a garantirne la piena indipendenza e imparzialità nella sostanza, in quanto, nella realtà in cui le corti internazionali operano, queste sono esposte a diverse pressioni da parte di soggetti statali e non statali.
Peraltro, pare che la piena indipendenza e imparzialità delle corti internazionali non sia neanche unanimemente percepita quale un valore da tutelare incondizionatamente.
Il riferimento è al dibattito avvenuto tra alcuni studiosi riguardo alla tesi di Eric Posner e John Yoo, i quali hanno sostenuto che «l’indipendenza impedisce ai tribunali internazionali di essere efficaci». Secondo questa teoria, i tribunali internazionali più efficaci sono quelli “dipendenti”, composti cioè da giudici controllati dai governi attraverso il potere di riconferma o la minaccia di ritorsione. Al contrario, i tribunali indipendenti, cioè i tribunali internazionali che assomigliano a quelli nazionali, rappresentano un pericolo per la cooperazione internazionale[26].
A questo proposito, è interessante notare che anche coloro che hanno fortemente criticato tale tesi non sono arrivati ad affermare che i giudici internazionali debbano godere di assoluta indipendenza, ma hanno sostenuto la tesi di una “indipendenza vincolata”. In particolare, Laurence R. Helfer e Anne-Marie Slaughter hanno contestato la tesi secondo cui i tribunali formalmente dipendenti sono più efficaci e hanno sostenuto una contro-teoria di «indipendenza vincolata» («constrained independence»), secondo la quale gli Stati istituiscono tribunali internazionali indipendenti per aumentare la credibilità dei loro impegni in specifici contesti multilaterali e poi utilizzano meccanismi strutturali, politici e persuasivi per garantire che i giudici indipendenti operino comunque entro determinati vincoli legali e politici, e per limitare il potenziale di un eccessivo attivismo giudiziario[27].
Helfer e Slaughter sostengono infatti che: «L’indipendenza vincolata massimizza i benefici della delega a decisori indipendenti minimizzandone i costi. Permette agli Stati di aumentare la credibilità dei loro impegni segnalando al tempo stesso a corti, tribunali e organi di revisione quasi-giudiziari indipendenti quando si stanno avvicinando – o hanno superato – i limiti politicamente accettabili della loro autorità»[28].
In tale contesto, è utile richiamare quella forma di interazione tra i tribunali internazionali e gli Stati che si basa sul principio di sussidiarietà e che può essere vista quale esempio di “indipendenza vincolata”. Il principio di sussidiarietà mira a proteggere la sovranità nazionale lasciando il processo decisionale agli Stati, che sono in una posizione migliore per proteggere i diritti fondamentali dei loro cittadini. La giurisdizione internazionale entra in gioco solo quando gli Stati hanno dimostrato di non riuscire a proteggere questi diritti[29].
Il principio di sussidiarietà può fornire una guida ai tribunali internazionali nell’interpretazione degli obblighi internazionali e, d’altro canto, lasciare spazio a una certa discrezionalità da parte degli Stati.
È noto, ad esempio, che la Corte europea dei diritti dell’uomo applica la dottrina del “margine di apprezzamento” nella sua interpretazione della Cedu, lasciando agli Stati la discrezionalità quanto ai mezzi più idonei a raggiungere gli scopi di tutela imposti dalla Convenzione[30].
Il principio del margine di apprezzamento è collegato a quello di “consenso europeo”, che si riferisce al livello di uniformità presente nei sistemi giuridici degli Stati membri del Consiglio d’Europa su un particolare argomento. La Corte Edu utilizza la dottrina del margine di apprezzamento sia per giustificare un’ampia discrezionalità concessa agli Stati membri in assenza di consenso, frenando così lo sviluppo della giurisprudenza, sia per imporre nuovi standard di tutela dei diritti fondamentali, laddove esista una chiara tendenza nella maggior parte degli Stati membri, facendo in tal modo avanzare l’interpretazione della Convenzione nel suo essere “strumento vivente”.
5. Rapporto tra indipendenza e responsabilità come strumenti di legittimazione delle corti internazionali
Sulla base di queste premesse, quindi, può essere pienamente condivisa l’affermazione secondo cui «l’attività dei tribunali internazionali non può mai essere completamente separata dal mondo della politica internazionale»[31].
Alla luce di queste considerazioni, è stata sollevata in dottrina la questione se i tribunali nazionali debbano attuare le decisioni emesse da giudici internazionali che non sono indipendenti secondo gli standard normativi nazionali, in quanto la loro attività non può mai essere completamente separata dalla politica, e che non sono responsabili in quanto godono delle immunità[32].
Alla base di questa domanda c’è una preoccupazione fondamentale: il diritto internazionale conferisce autorità decisionale a soggetti internazionali che non sono responsabili? L’idea che i soggetti internazionali non siano sufficientemente responsabili delle loro decisioni e azioni viene spesso esposta, in termini generali, come motivo per contestare la legittimità del diritto internazionale[33].
D’altro canto, è opinione diffusa che i tribunali internazionali dovrebbero agire solo entro i limiti dei principi interpretativi riconosciuti dal diritto internazionale e garantire che anche le loro decisioni “strategiche” si muovano sempre entro i confini legali. Essi, infatti, non sono legislatori e non sono organi politici[34].
Si tratta di una questione che è alla base di ogni società democratica dove esiste una stretta correlazione tra potere e responsabilità, e dove la responsabilità è una componente fondamentale della legittimazione.
Il significato di “responsabilità” è estremamente complesso e dipende dalla natura della particolare organizzazione interessata. Pertanto, quando si discute del concetto generale di responsabilità nel diritto internazionale, è difficile individuare una definizione specifica[35].
Poiché l’indipendenza della giurisdizione è una componente fondamentale della democrazia, un presupposto altrettanto fondamentale è che dovrebbero esserci controlli sull’esercizio del potere, che se incontrollato può tradursi in un abuso di potere[36].
Indipendenza e responsabilità giudiziaria non sono necessariamente in conflitto, in quanto «i sistemi giuridici maturi sono caratterizzati sia dall’indipendenza che dalla responsabilità del potere giudiziario»[37].
Come si è visto in merito all’opinione di Helfer e Slaughter sul rapporto tra indipendenza ed efficacia, l’obiettivo pare non essere un’indipendenza illimitata. L’obiettivo sembra, piuttosto, quello di garantire un livello di indipendenza che consenta ai giudici di decidere sui casi «in modo legittimo e imparziale, senza controllo e influenza impropri»[38].
Quindi l’obiettivo sarebbe quello di bilanciare indipendenza e controllo politico al fine di stabilire un livello adeguato di judicial restraint senza compromettere l’essenza dell’indipendenza giudiziaria.
In altre parole, secondo questa impostazione teorica, i giudici internazionali dovrebbero essere messi nelle condizioni di prendere decisioni che non subiscano un controllo inappropriato da parte di altri ma, allo stesso tempo, deve essere garantito un certo livello di controllo altrui nell’esercizio del processo decisionale.
Come sostengono Helfer e Slaughter, i giudici internazionali indipendenti si trovano ad affrontare una serie ancora maggiore di «vincoli strutturali, politici e persuasivi», molti dei quali possono essere manipolati dagli stessi Stati. Il risultato è un sistema giuridico internazionale in cui è improbabile che i tribunali indipendenti oltrepassino i propri limiti, mentre è verosimile che siano molto più propensi a promuovere gli interessi a lungo termine degli Stati[39].
6. Conclusioni
Esiste una costante tensione tra l’aspirazione all’indipendenza delle corti internazionali, da un lato, e la responsabilità verso le aspettative e gli interessi dei principali stakeholder, dall’altro.
Infatti, mentre l’indipendenza del potere giurisdizionale è una componente fondamentale della democrazia, un principio altrettanto fondamentale è che debbano esserci controlli sull’esercizio del potere e, quindi, anche sull’esercizio del potere giudiziario delle corti internazionali, specie per le caratteristiche – in senso ampio – politiche del potere da loro esercitato.
A questo proposito, sembra che la scelta che si pone non sia tra tribunali internazionali dipendenti e indipendenti, ma tra “dipendenza completa” e “indipendenza vincolata”; ciò significa che gli Stati istituiscono tribunali internazionali indipendenti per migliorare la credibilità degli impegni assunti in specifici contesti multilaterali, ma poi utilizzano meccanismi strutturali e politici per controllare la loro indipendenza.
In conclusione, sembra che lo scopo dell’indipendenza e imparzialità dei tribunali internazionali, a differenza di quello dei tribunali nazionali, non sia una “indipendenza incondizionata”. Sembra, piuttosto, che la tendenza sia quella di garantire un livello di indipendenza che consenta ai giudici di decidere sui casi “legittimamente e imparzialmente, senza controlli e influenze improprie”. Pertanto, l’obiettivo sarebbe quello di trovare un equilibrio che consenta di imporre adeguate restrizioni senza compromettere l’essenza dell’indipendenza delle corti internazionali e la loro credibilità.
In altre parole, gli Stati istituiscono tribunali internazionali indipendenti perché sono interessati a perseguire obiettivi politici, ma solo attraverso tribunali indipendenti possono effettivamente perseguire questi interessi, laddove tribunali privi di indipendenza non sarebbero credibili.
Alla luce di quanto sopra, sembra che la questione ancora aperta sia: è concepibile un livello “politicamente ottimale” di indipendenza giudiziaria internazionale o, piuttosto, l’indipendenza è un valore da preservare incondizionatamente? Il punto cruciale, infatti, è se le giurisdizioni internazionali composte da giudici sottoposti a diverse forme di pressione, più o meno visibili e concrete, possano essere considerate credibili ed esercitare una funzione fondamentale come quella di contribuire all’affermazione dello Stato di diritto a livello internazionale.
1. C.P.R. Romano, The proliferation of international judicial bodies: the piece of the puzzle, in New York University Journal of International Law and Politics, vol. 31, n. 4/1999, p. 709 (http://cesareromano.com/wp-content/uploads/2015/05/Romano-on-Proliferation.pdf).
2. C.P.R. Romano, op. ult. cit.
3. L’espressione «judicialization of the international legal order» è di: G. Ulfstein, International Courts and Judges: Independence, Interaction, and Legitimacy, in NYU Journal of International Law and Politics, PluriCourts Research Paper (RP) n. 14-13, 2014, Università di Oslo, Facoltà di Giurisprudenza, RP n. 2014-14 (https://ssrn.com/abstract=2433584).
4. Questa efficace definizione è di: E. Voeten, International Judicial Independence, RP, 30 settembre 2011 (https://ssrn.com/abstract=1936132 o http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.1936132).
5. T. Meron, Editorial Comment: Judicial Independence and Impartiality in International Criminal Tribunals, in The American Journal of International Law, vol. 99, n. 2/2005, p. 359.
6. Press Release, U.N. Diplomatic Conference Concludes in Rome with Decision to Establish Permanent International Criminal Court, U.N. Doc. L/ROM/22n, 17 luglio 1998.
7. R. Mackenzie e P. Sand, International Courts and Tribunals and the Independence of the International Judge, in Harvard International Law Journal, vol. 44, n. 1/2003, pp. 271 ss. (www.pict-pcti.org/publications/PICT_articles/mackenzie2.pdf).
8. Vds., ad esempio, quanto stabilito per la Corte internazionale di giustizia: «Una volta eletto, un membro della Corte non è delegato né del governo del proprio Stato né di quello di qualsiasi altro Stato»; analogamente, per la Corte Edu, l’art. 21, par. 2 della Cedu prevede: «I giudici siedono alla Corte a titolo individuale».
9. Ad esempio: art. 18 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia; art. 23 della Cedu.
10. Solo per fare alcuni esempi, le immunità sono previste dallo Statuto della Corte internazionale di giustizia all’art. 19, dallo Statuto della Corte penale internazionale all’art. 48, dalla Cedu all’art. 51; lo stesso vale per la Corte europea di giustizia, per la quale vds. il Protocollo n. 3 sul relativo Statuto («Protocol no 3 annexed to the Treaties on the Statute of the Court of Justice of the European Union» – https://eur-lex.europa.eu/resource.html?uri=cellar:07cc36e9-56a0-4008-ada4-08d640803855.0012.02/DOC_10&format=PDF).
11. Per una disamina delle norme a tutela dell’indipendenza delle principali corti internazionali, vds. P. Pinto de Albuquerque e Hyun-Soo Lim, Protecting the independence of International judges: current practice and recommendations, in P. Pinto de Albuquerque e K. Wojtyczek (a cura di), Judicial power in a globalized world, Springer Nature, Cham (Svizzera), 2019, pp. 413 ss.
12. Ad esempio: art. 21, par. 3, Cedu: «Per tutta la durata del loro mandato, i giudici non possono esercitare alcuna attività incompatibile con le esigenze di indipendenza, di imparzialità o di disponibilità richieste da un’attività esercitata a tempo pieno»; art. 40, par. 2, Statuto Cpi: «I giudici non devono intraprendere alcuna attività che possa interferire con le loro funzioni giudiziarie o incidere sulla fiducia nella loro indipendenza».
13. K. Dzehtsiarou e D. Coffey, Legitimacy and Independence of International Tribunals: An Analysis of the European Court of Human Rights, in Hastings International and Comparative Law Review, vol. 37, n. 2/2014, pp. 269 ss. (https://ssrn.com/abstract=2584377).
14. Per una panoramica di tali strumenti, vds. L.R. Helfer e A.M. Slaughter, Why States Create International Tribunals: A Response to Professors Posner and Yoo, in California Law Review, vol. 93, n. 3/2005, pp. 899 ss. (https://scholarship.law.duke.edu/faculty_scholarship/2027; https://scholarship.law.duke.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=2655&context=faculty_scholarship).
15. L.R. Helfer e A.M. Slaughter, op. ult. cit.
16. Ivi.
17. D. Forst, The Execution of Judgments of the European Court of Human Rights, in ICL Journal, vol. 7, n. 3/2013, pp. 1-51 (www.icl-journal.com/media/ICL_Thesis_Vol_7_3_13.pdf).
18. R. Sifris, Weighing Judicial Independence Against Judicial Accountability: Do the Scales of the International Criminal Court Balance?, in Chicago-Kent Journal of International and Comparative Law, n. 8/2008, pp. 88 ss. (https://ssrn.com/abstract=2292769); A.S. Weiner, Prudent Politics: The International Criminal Court, International Relations, and Prosecutorial Independence, in Washington University Global Studies Law Review, vol. 12, n. 3/2013, pp. 545 ss.
(https://openscholarship.wustl.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1452&context=law_globalstudies).
19. N. Blokker, The Governance of International Courts and Tribunals: Organizing and Guaranteeing Independence and Accountability - A Appeal for Research, in European Society of International Law (ESIL), Conference Paper n. 5/2015, Oslo, 31 dicembre 2015 (https://ssrn.com/abstract=2709626 o http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.2709626).
20. E. Voeten, The Politics of International Judicial Appointments: Evidence from the European Court of Human Rights, in International Organization, vol. 61, n. 4/2007, pp. 669 ss.; A. Torres Pérez, The Independence of International Human Rights Courts: The Case of the Inter-American Court of Human Rights, Yale Law School, RP, https://law.yale.edu/sites/default/files/documents/pdf/sela/SELA13_Torres_CV_Eng20130524.pdf.
21. S.M. Schwebel, National Judges and Judges Ad Hoc of the International Court of Justice, in The International and Comparative Law Quarterly, vol. 48, n. 4/1999, pp. 889-900 (www.jstor.org/stable/761738); M.D. Kotlik, Ad Hoc Judges and Nationality of Judges in the Inter-American Court of Human Rights, RP, www.corteidh.or.cr/docs/opiniones/OC_2008/obser_kot_ing.pdf.
22. Per una disamina dei sistemi di elezione e per una proposta di soluzione, vds. P. Pinto de Albuquerque e Hyun-Soo Lim, Protecting, op. cit.
23. A.M. Danner, When Courts Make Law: How the International Criminal Tribunals Recast the Laws of War, in Vanderbilt Law Review, 2006, vol. 59, n. 1/2006, pp. 1 ss.
24. L. Van den Eynde, An empirical look at the amicus curiae practice of human rights NGOs before the European Court of human rights, in Netherlands Quarterly of Human Rights, vol. 31, n. 3/2013, pp. 271 ss.; F. Viljoen e A. Abebe, Amicus Curiae Participation Before Regional Human Rights Bodies in Africa, in Journal of African Law, vol. 58, n. 1/2014, pp. 22 ss.
25. A. Danner e E. Voeten, Who is Running the International Criminal Justice System?, in D. Avant - M. Finnemore - S. Sell (a cura di), Who Governs the Globe?, Cambridge University Press, Cambridge, 2010; F. Jeßberger e L. Steinl, Strategic litigation in international criminal justice, in Journal of International Criminal Justice, vol. 20, n. 2/2022, pp. 379 ss.
26. E.A. Posner e J.C. Yoo, Judicial Independence in International Tribunals, in California Law Review, vol. 93, n. 1/2005, pp. 3 ss.
(https://chicagounbound.uchicago.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=2758&context=journal_articles).
27. L.R. Helfer e A.M. Slaughter, Why States, op. cit., part. cap. IV (pp. 942 ss.; https://scholarship.law.duke.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=2655&context=faculty_scholarship) – «Our theory asserts that states (1) establish formally independent international tribunals to enhance the credibility of their commitments, and (2) then rely on a range of structural, political, and discursive mechanisms to ensure that independent judges are nevertheless operating within a set of legal and political constraints».
28. Ivi.
29. P.G. Carozza, Subsidiarity as a Structural Principle of International Human Rights Law, in American Journal of International Law, vol. 97, n. 1/2003, pp. 38 ss. (https://scholarship.law.nd.edu/law_faculty_scholarship/564); M. Kumm, The Legitimacy of International Law: A Constitutionalist Framework of Analysis, in European Journal of International Law, vol. 15, n. 5/2004, pp. 907 ss. (https://academic.oup.com/ejil/article/15/5/907/533491?login=false).
30. Sull’inversione di tendenza dell’attivismo della Corte Edu a partire dalla Conferenza di Brighton in poi, all’esito della quale il principio di sussidiarietà e la dottrina del margine di apprezzamento sono stati inseriti nel Preambolo della Cedu, e sull’impatto sulla indipendenza della Corte Edu, vds. P. Pinto de Albuquerque e D. Cardamone, Efficacia della dissenting opinion, in questa Rivista trimestrale, speciale monografico «La Corte di Strasburgo», a cura di F. Buffa e M.G. Civinini, aprile 2019, pp. 148-155 (www.questionegiustizia.it/data/speciale/articoli/731/qg-speciale_2019-1_27.pdf).
31. D. Terris - C.P.R. Romano - L. Swigart, The International Judge. An introduction to the Men and Women who decide the World’s cases, Oxford University Press, Oxford, 2007 (per un estratto della Introduzione al volume: https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=969035).
32. R. Mackenzie e P. Sand, International Courts and Tribunals, op. cit.
33. A. von Bogdandy, The Democratic Legitimacy of International Courts: A Conceptual Framework, in Theoretical Inquiries in Law, vol. 14, n. 2/2013, pp. 361 ss. (www7.tau.ac.il/ojs/index.php/til/article/view/138/115).
34. G. Ulfstein, International Courts and Judges, op. cit.
35. R.W. Grant e R.O. Keohane, Accountability and Abuses of Power in World Politics, in The American Political Science Review, vol. 99, n. 1/2005, pp. 36-37.
36. R.W. Grant e R. O. Keohane, op. ult. cit.
37. Vds. P. Gewirtz, Independence and Accountability of Courts [2002], in China Law Review, vol. 1, n. 1/2005, pp. 11 ss.
(www.tandfonline.com/toc/rclr20/1/1; https://law.yale.edu/sites/default/files/documents/pdf/Intellectual_Life/CL-independence__eng.pdf).
38. P. Gewirtz, op. ult. cit.
39. L.R. Helfer e A.M. Slaughter, Why States, op. cit.