Magistratura democratica

Il processo costituzionale

di Francesca Biondi

L’Autrice ricorda il dibattito che ha interessato la dottrina costituzionalistica sull’esistenza di un processo costituzionale, mettendo in luce come la tenuta delle regole processuali influisca sulla posizione della Corte costituzionale nell’ordinamento; quindi, alla luce della più recente giurisprudenza, si interroga sulla prevalenza, oggi, dell’anima giurisdizionale o politica della Corte.

1. Perché interrogarsi, oggi, sull’esistenza di un processo costituzionale / 2. Alcuni indici o decisioni che paiono denotare un minore rigore nel rispetto del diritto processuale costituzionale / 3. Qualche osservazione conclusiva

 

1. Perché interrogarsi, oggi, sull’esistenza di un processo costituzionale

Il titolo di questo breve contributo presuppone che esista un processo costituzionale con propri e distinti caratteri; si impongono, dunque, alcune preliminari notazioni. La dottrina costituzionalistica (e non solo) si è infatti chiesta (e ancora discute) se davvero quello che si svolge dinnanzi alla Corte costituzionale possa definirsi processo costituzionale; se, cioè, i giudizi siano regolati da un vero e proprio diritto processuale costituzionale o se, invece, siamo al cospetto di un diritto procedurale. 

Ci si è poi domandati se esista un solo processo costituzionale oppure se esistano più processi costituzionali; a chi spetti regolare il processo costituzionale (e, in particolare, di quanta autonomia goda la Corte nel disciplinare il proprio processo attraverso le norme integrative); infine, che natura abbia il processo in via incidentale e, in particolare, se sia o meno un processo di parti. 

Si tratta di aspetti connessi tra loro, come ampiamente messo in luce già nei primi saggi in cui, tra il 1989 e il 1990, furono affrontate tali questioni e poste le premesse per la riflessione degli anni a venire[1]

Oltre a evidenziare la specificità delle regole processuali dei giudizi costituzionali, pur nate dall’estensione delle già note categorie del diritto processuale civile, si iniziò a ragionare di quale sia la domanda di giustizia costituzionale che il giudizio in via incidentale, proprio per la sua origine concreta, intende soddisfare. 

Si delinearono subito due diverse prospettive. 

Secondo la prima impostazione, poiché il giudizio sulle leggi, come depone la sua origine incidentale, è prevalentemente preordinato a garantire i diritti costituzionali, la Corte costituzionale, in qualità di giudice, non può disporre delle regole del proprio giudizio, così come qualunque giudice non può derogare alle regole processuali. Ne consegue che la rilevanza è carattere “necessario” della questione di legittimità costituzionale, che la Corte non può modificare il thema decidendum, che le parti del giudizio a quo devono avere voce nel processo costituzionale (di questo aspetto, in particolare, si occupa il saggio di M. D’Amico, Gli amici curiae, pubblicato in questo numero, a cui interamente si rinvia) e che le decisioni di accoglimento debbono avere una ricaduta sul giudizio principale. In questa lettura, più attenta alla concretezza del giudizio di costituzionalità, vi è anche maggiore spazio per il ricorso a poteri istruttori, auspicabilmente attivati anche su richiesta delle parti.

La seconda prospettiva è rovesciata: poiché quello sulle leggi è un giudizio primariamente finalizzato a garantire il diritto costituzionale, di cui la Corte costituzionale è garante ed “esecutrice”, le sue regole sono derogabili da parte del Giudice delle leggi se ciò serve a rimuovere dall’ordinamento la norma illegittima. Non è, quindi, necessario che alle parti sia dato spazio nel giudizio costituzionale poiché il giudizio a quo è solo un’occasione per sollecitare una decisione su questioni di interesse generale; la rilevanza è carattere normale, ma non necessario; il potere istruttorio, se attivato, è di natura inquisitoria; quanto agli effetti delle decisioni, ciò che conta non è la ricaduta sulle parti e, quindi, sul giudizio a quo, ma sull’ordinamento nella sua interezza[2]. Siamo dunque al cospetto di regole procedurali, poste nell’interesse del buon esercizio della funzione, e non di regole processuali (per quanto speciali) a garanzia dei diritti dei soggetti le cui posizioni possono essere incise dalla decisione della Corte.

Le impostazioni sull’esistenza, o meno, di un vero e proprio processo costituzionale presuppongono evidentemente due diverse teorie della giustizia costituzionale (e, dunque, della collocazione ordinamentale della Corte): la prima enfatizza la natura giurisdizionale della Corte costituzionale, la seconda la sua anima politica

Sul punto, non si possono non richiamare le riflessioni di Gustavo Zagrebelsky e Franco Modugno al convegno tenutosi presso l’Università di Firenze nel 1981. I due saggi, pubblicati nel volume del 1982 Corte costituzionale e sviluppo della forma di governo in Italia[3], costituiscono un momento importante nella definizione del ruolo della Corte costituzionale nell’ordinamento costituzionale italiano, segnando la contrapposizione tra chi affida a tale organo il ruolo di co-determinatore dell’indirizzo politico e chi, invece, vede nella Corte anzitutto un giudice che deve tenersi lontano dalla decisione politica. Si tratta di una contrapposizione che ritorna proprio quando si riflette dell’esistenza di un diritto processuale costituzionale, come chiaramente emerge dalla lettura dei lavori presentati al seminario tenutosi al Palazzo della Consulta e pubblicati nel volume del 1990, edito da Giuffrè, Giudizio “a quo” e promovimento del processo costituzionale[4]

A partire dagli anni novanta si intensificano infatti sia gli studi sul processo costituzionale[5] (tra i quali l’iniziativa degli studiosi della scuola pisana di dedicare ogni triennio un volume dedicato proprio agli aspetti del processo costituzionale[6]), sia le iniziative scientifiche (come quelle organizzate dall’associazione Gruppo di Pisa[7]). Tali lavori contribuiscono a definire e razionalizzare le regole processuali, siano esse normativamente prescritte ovvero frutto dell’elaborazione giurisprudenziale, sul presupposto che queste regole costituiscano, e debbano costituire, la cornice esterna, e inderogabile, dell’attività della Corte. 

Ma ciò che qui preme mettere in luce è che coloro che affermano che quello che si svolge dinnanzi alla Corte è, e deve essere, un vero e proprio processo, ispirato da principi e norme di cui la Corte costituzionale non ha la disponibilità, ritengono che la giuridicità di queste ultime – e, dunque, una maggiore prevedibilità della decisione – sia funzionale ad assicurare il più possibile l’indipendenza della Corte rispetto alla sfera della politica[8]. L’obiettivo, dunque, non è quello di ridurre entro schemi formali il giudizio di legittimità costituzionale, bensì, obbligandola a seguire determinate regole nell’instaurazione e nello svolgimento del suo giudizio, di proteggere la Corte costituzionale. 

Senza affatto negare gli effetti politici che spesso derivano dalle sue decisioni, si ritiene che il rispetto di moduli processuali che guidino le sue decisioni alimenti la legittimazione della Corte sul piano esclusivamente tecnico e che ciò contribuisca a una più intensa tutela dei diritti[9].

Chiarissimo, in questo senso, Vittorio Angiolini, quando si chiedeva che cosa accadrebbe se la Corte, chiamata a occuparsi di questioni politicamente scottanti, «non filtrasse attraverso istituti processuali, pazientemente forgiati dalla giurisprudenza, le proprie determinazioni sulla possibilità di accesso alla giustizia costituzionale, sulla fissazione del tema del decidere e sull’istruttoria, nonché sulla formulazione e gli effetti delle decisioni»: la Corte – a suo avviso – proprio perché priva di legittimazione politica sarebbe «smarrita, e niente affatto capace di reggersi da “sola”, ad ogni minima tempesta politica»[10].

Così sinteticamente enucleati i termini della questione, appare chiaro come la riflessione sulla natura delle regole processuali nei giudizi dinnanzi alla Corte (e, in particolare, in quello incidentale) costituisca ancora oggi una prospettiva importante per comprenderne il ruolo nell’ordinamento costituzionale. In tempi recenti, infatti, come messo in luce nel saggio di Gaetano Silvestri pubblicato in questo fascicolo[11], è stato imputato sempre più spesso alla Corte costituzionale di rompere gli argini e di sconfinare, anche grazie a tecniche decisorie innovative e sempre più raffinate, nella discrezionalità legislativa. Tale tendenza è certamente giustificata da vari fattori, fra i quali la difficoltà del legislatore nel regolare ambiti nuovi e complessi, l’inerzia di quest’ultimo anche rispetto ai moniti che il Giudice delle leggi gli rivolge, nonché forse dalla volontà della Corte di dare tutela ai diritti “prima” delle Corti sovranazionali, ossia per evitare quella che qualcuno ha definito una «fuga dalla giurisdizione costituzionale» dei giudici comuni[12].

In questo contesto, è necessario chiedersi se non sia opportuno tenere però il più possibile saldo il rispetto delle regole processuali, affinché alla Corte non sia rimproverato non solo di decidere “al posto del legislatore”, ma anche di aver scelto se decidere, che cosa decidere e quando decidere[13]

 

2. Alcuni indici o decisioni che paiono denotare un minore rigore nel rispetto del diritto processuale costituzionale

La lettura della giurisprudenza degli ultimi anni suscita l’impressione che la Corte, quanto al rispetto delle regole processuali, abbia un po’ allentato il rigore mostrato precedentemente[14]

Un primo dato oggettivo che sembra confermare tale tendenza è costituito dalla diminuzione del numero delle decisioni di inammissibilità[15]. Certo, esso potrebbe essere determinato dal fatto che i giudici comuni siano diventati più attenti nel redigere le ordinanze di rimessione e solo una ricerca completa e accurata (che analizzi congiuntamente atti di promovimento e decisioni costituzionali) potrebbe fornire risposte certe. Eppure, resta la sensazione che sia la Corte ad avere assunto un atteggiamento meno formalistico nel controllo di ammissibilità. Questo non è certo un male, in sé e per sé, poiché è capitato spesso che problemi di legittimità costituzionale non siano stati risolti per un eccesso di severità da parte della Corte (soprattutto nel riesaminare il percorso logico-giuridico che aveva indotto il giudice a sollevare la questione). Ciò che, però, andrebbe certamente evitato è che il minore rigore nella valutazione dei presupposti processuali di ammissibilità, anziché tutte, riguardi solo alcune questioni, quelle che la Corte vuole decidere nel merito. Se così fosse, il primo dei presupposti che qualificano la Corte come giudice (la circostanza, cioè, che essa non possa scegliere se decidere) ne risulterebbe pregiudicato. 

In assenza (e in attesa) di un’indagine di tale natura, è intanto utile ricordare le più importanti decisioni che, negli ultimi anni, contengono novità processuali, perché, da un lato, costituiscono indici sintomatici di un uso quantomeno diverso delle regole processuali e, dall’altro, possono aprire la strada a una loro trasformazione. 

Un primo gruppo di decisioni interessa i casi in cui l’allentamento del rigore processuale si è dimostrato funzionale alla decisione nel merito di questioni che sarebbero state viceversa inammissibili.

Tra queste, vanno anzitutto annoverate le notissime sentenze in cui la Corte costituzionale ha deciso le questioni di legittimità costituzionale sollevate da giudici ordinari sulle norme che disciplinavano alcuni aspetti della legge elettorale. Il Giudice delle leggi, ammettendo questioni sollevate nell’ambito di azioni di accertamento della pienezza del diritto di voto come regolato dalla legge asseritamente illegittima, ha infatti derogato al requisito della pregiudizialità (che presuppone – come noto – l’esistenza di una distinzione tra oggetto del giudizio principale e oggetto del giudizio di costituzionalità)[16]. Gran parte della dottrina ha criticato tale scelta, osservando come la Corte abbia surrettiziamente introdotto un ricorso diretto in materia elettorale[17]; altri hanno, invece, ritenuto che – come già in passato – il Giudice delle leggi abbia in questa occasione interpretato generosamente i requisiti processuali di accesso al giudizio per garantire il principio di costituzionalità[18]

La Corte, per parte sua, dopo la sentenza n. 1 del 2014, ha ridimensionato l’apertura operata in quella decisione (sent. n. 110/2015, ord. n. 165/2016 e, soprattutto, sent. n. 35/ 2017[19]), così da un lato ammettendo che si è trattato di una deroga a regola che resta ferma; dall’altro, riconducendo tale deroga alla necessità di non lasciare una zona franca dalla giustizia costituzionale in una materia che tocca il cuore dei regimi democratici.

In altre forse meno note decisioni, la Corte, per decidere la questione che era stata portata al suo giudizio, ha invece mostrato di interpretare in modo ampio il requisito della rilevanza. Da segnalare è, anzitutto, la sentenza n. 180 del 2018, con cui la Corte ha ammesso le questioni sollevate in tema di astensione degli avvocati nonostante il rimettente avesse disposto solo la sospensione dell’attività processuale prevista nelle udienze alle quali si riferiva la dichiarazione degli avvocati di adesione all’astensione collettiva, e non – come previsto dall’art. 23 l. n. 87/1953 – dell’intero processo. Anche se ragioni sostanziali possono aver spinto in tale direzione, si tratta di una novità processuale di rilievo. La Corte ha avuto l’attenzione di motivare ampiamente, affermando per la prima volta che se il giudizio a quo si svolge in distinti momenti o segmenti processuali, identificabili in ragione del fatto che la rilevanza della questione di costituzionalità possa ragionevolmente circoscriversi solo a uno di essi, è sufficiente che il giudice rimettente sospenda anche solo quello specifico segmento processuale in cui la questione è rilevante, e non già l’intero giudizio. Resta tuttavia l’impressione che si sia trattato, anziché di un meditato e preparato mutamento giurisprudenziale capace di applicarsi a plurimi casi, di una motivazione costruita ex post per il caso concreto.

Altra interessante decisione è la sentenza n. 196 del 2018, con cui il Giudice delle leggi ha ammesso che la Corte dei conti, in sede di parifica, possa sollevare questioni di legittimità costituzionale per violazione non solo dell’art. 81 Cost. (come già ammesso in passato per tutelare gli equilibri di bilancio), ma anche di altri parametri, così di fatto consentendo al giudice contabile di operare un controllo ampio e astratto di legittimità costituzionale su tutte le leggi regionali che implicano una spesa in materia di competenza legislativa statale o di dubbia competenza regionale. Proprio per evitare che questa decisione costituisse una profonda rottura delle regole che disciplinano il giudizio in via incidentale, la Corte, nelle successive sentenze n. 149 del 2019 e n. 244 del 2020, ha meglio precisato che, ai fini dell’ammissibilità della questione, è onere del rimettente dimostrare che l’asserita violazione della disposizione costituzionale diversa dai parametri sull’equilibrio di bilancio “ridonda” nella lesione dell’art. 81 Cost., precludendo l’attività svolta in sede di parifica. Si tratta, comunque, di una giurisprudenza che segna un deciso ampliamento della nozione di giudice e di giudizio, nonché del presupposto della rilevanza (qui divenuta ridondanza!), in relazione a disposizioni normative che certamente potrebbero essere censurate in altre sedi e occasioni.

Un altro gruppo di decisioni, forse più complesso da identificare, è costituito dalle pronunce in cui la Corte modifica il thema decidendum (il che cosa decidere). Ci si riferisce a ipotesi in cui la Corte decide di offrire una lettura elastica del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, allontanandosi in maniera più o meno importante dalla questione di costituzionalità, come definita dal giudice a quo nel proprio atto introduttivo. Si tratta di interventi che possono, come noto, investire alternativamente oppure cumulativamente la norma oggetto, il parametro, i profili, e che si atteggiano diversamente a seconda che si traducano in un ampliamento oppure in una riduzione del thema decidendum. La giurisprudenza costituzionale non manca in proposito di precisare che rientra nei suoi poteri esplicitare quanto desumibile dall’atto introduttivo[20]. Non si verserebbe, quindi, in un’ipotesi di manipolazione in tutto discrezionale della Corte oppure di ultrapetizione in violazione dell’art. 27, che pure espressamente in un caso consente, in via consequenziale, alla Corte di estendere l’ambito della propria declaratoria di incostituzionalità, bensì piuttosto di una rivisitazione del thema decidendum alla luce del non detto, ma sottointeso all’atto introduttivo[21].

In questo quadro, le pronunce, che in modo più significativo e innovativo hanno evidenziato la latitudine che può assumere l’intervento della Corte nel giudizio in via incidentale sono certamente le due decisioni rese sul cd. “caso Cappato”; due pronunce in cui il Giudice delle leggi sembra essersi spinto in verità ben oltre la mera esplicitazione di contenuti già accolti, seppure implicitamente, dal remittente. Nell’ordinanza n. 207 del 2018 e, soprattutto, nella sentenza n. 242 del 2019, la Corte costituzionale ha infatti optato per una manipolazione del thema decidendum sia con riferimento alla norma oggetto della questione – l’art 580 cp, «Istigazione o aiuto al suicidio» –, delimitando la parte di norma su cui “fare cadere” la declaratoria di incostituzionalità, sia in relazione alle norme parametro, recuperando l’art. 32 Cost., non espressamente evocato dal remittente nell’atto introduttivo[22] ma, pur tuttavia, sotteso alle sue argomentazioni nonché ampiamente richiamato dalle parti costituite nel giudizio di costituzionalità. Così facendo, il Giudice delle leggi ha corretto, se non forse riscritto la questione, scegliendo che cosa decidere.

La sentenza che, fra tutte, ha suscitato le maggiori perplessità è, però, la n. 10 del 2015, con cui la Corte – a distanza di molti anni dal promovimento delle questioni da parte di vari giudici – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma censurata limitando gli effetti della pronuncia al futuro, senza alcuna incidenza neppure sulle posizioni delle parti dei giudizi a quibus[23]. Tale decisione è quella che – per il tema qui trattato – risulta di maggiore interesse, poiché il Giudice delle leggi, in motivazione, ammette la deroga alla regola processuale della “retroattività” degli effetti della decisione di incostituzionalità e spiega che essa è determinata da esigenze di ragioni di finanza pubblica, ossia al fine di evitare che la restituzione della tassa illegittimamente pagata dalle imprese potesse creare disavanzo. In questo modo – come messo in luce dalla dottrina – la regola processuale, che dovrebbe restare estranea al giudizio di merito, entra nel giudizio di costituzionalità e diviene essa stessa oggetto di bilanciamento. Nulla potrebbe essere più dissonante nella prospettiva del “processualista”, per il quale, invece, la regola processuale sta “fuori” dal giudizio di merito, costituendone la cornice[24].

La Corte – sia pure utilizzando un dispositivo formulato in modo differente – ha in seguito richiamato tale pronuncia anche in decisioni assunte nel giudizio in via principale, facendo salvi, in motivazione, provvedimenti adottati sulla base di norme dichiarate illegittime per mancato coinvolgimento delle Regioni ricorrenti, al fine di garantire il principio della continuità dell’azione amministrativa (sentenze nn. 71 e 74 del 2018 e n. 246/2019). Pur meritando tali decisioni certamente attenzione, si tratta però di casi differenti poiché, nei giudizi promossi in via principale, il contenimento degli effetti della pronuncia di accoglimento non pregiudica in modo diretto e immediato le posizioni giuridiche soggettive di parti di giudizi comuni. Riconducibile al modello inaugurato dalla sentenza n. 10 del 2015 è, invece, la recente decisione n. 152 del 2020, con cui la Corte, ancora una volta per contenere le conseguenze di natura finanziaria della pronuncia di accoglimento, ne ha posposto gli effetti al giorno successivo a quello di pubblicazione della sentenza. Le parti del giudizio a quo (e non solo), pur vedendo riconosciuto il loro diritto, ottengono il beneficio, ma solo per il futuro, senza poter chiedere all’Inps somme pregresse.

Pur comprendendosi la preoccupazione della Corte per gli effetti che possono produrre alcune sue pronunce, resta la preoccupazione quantomeno per l’assenza di criteri che possano giustificare, in specifici casi, la modulazione nel tempo degli effetti delle pronunce di accoglimento con espressa deroga dell’effetto “retroattivo” della pronuncia. Detto diversamente, anche ad ammettere che la Corte abbia il potere di decidere se e quando una regola processuale può essere derogata a beneficio di altri principi costituzionali, sarebbe importante che fosse presto definito “uno statuto” di tali pronunce, affinché il ricorso ad esse sia almeno prevedibile.

Alla breve rassegna qui compiuta non si ritiene, invece, di aggiungere le doppie pronunce con cui la Corte costituzionale ha provato a instaurare un dialogo con il legislatore (dopo l’ord. n. 207/2018 e la sent. n. 242/2019, si segnala l’ord. n. 132/2020) ciò non perché esse non meritino attenzione (anzi, forse, sono quelle che ne meriterebbero di più), bensì perché, a parere di chi scrive, tali decisioni non determinano una vera e propria deroga a regole processuali, bensì costituiscono una nuova tecnica decisoria – sia pure favorita dalla possibilità, per la Corte, di gestire con una certa autonomia il proprio calendario di udienza – che incide sul rapporto tra Corte e legislatore[25].

Un ultimo profilo di interesse è, infine, quello che investe il quando decidere, inteso come disponibilità della Corte nella scelta dei tempi delle proprie decisioni[26].

Generalmente, i tempi delle decisioni dei giudizi in via incidentale sono abbastanza prevedibili: oggi la Corte non ha arretrato e dalla pubblicazione dell’ordinanza di rimessione alla sua decisione non trascorre, generalmente, più di un anno e mezzo. Ci sono, tuttavia, casi in cui essa preferisce non inserire in ruolo una questione “difficile” e attende; oppure dispone il rinvio di causa già fissata confidando in un intervento legislativo o per non “interferire” con un procedimento legislativo già in corso; ci sono infine casi in cui essa, al contrario, fissa l’udienza o la camera di consiglio in tempi più rapidi. Insomma, talvolta il tempo della decisione è condizionato dal merito delle questioni sollevate. Ovviamente, nessuno nega che la Corte costituzionale, e in particolare il suo presidente, abbiano e debbano conservare una certa autonomia nella definizione del ruolo e che in tale valutazione possa pesare il contesto in cui tale decisione è destinata a calarsi; oltre che fisiologici, un breve anticipo o un breve rinvio possono talvolta rivelarsi opportuni[27]. Non va, però, nel contempo trascurato che una eccessiva discrezionalità nella gestione del ruolo può alimentare l’anima politica della Corte.

 

3. Qualche osservazione conclusiva

Pur avendo enfatizzato, nella prima parte di questo breve lavoro, la contrapposizione tra chi vede nella Corte un giudice e chi un organo politico al fine di meglio inquadrare ciò che si nasconde dietro allo studio del processo costituzionale, siamo in realtà tutti consapevoli che le due visioni della giustizia costituzionale, quella oggettiva e quella soggettiva, «sono destinate a convivere»[28]: talvolta la Corte opera più come giudice; talvolta, invece, soprattutto quando si preoccupa delle conseguenze ordinamentali delle proprie decisioni, prevale la sua anima politica. Il processo costituzionale è il primo a risentire di questa oscillazione[29]

Se ci poniamo in una prospettiva storica, nei primi vent’anni di funzionamento della Corte costituzionale è certamente prevalsa, anche per la necessità di depurare l’ordinamento da risalenti disposizioni in contrasto con la Costituzione, la visione oggettiva; in seguito, dopo lo smaltimento dell’arretrato, dall’inizio degli anni novanta, insieme a una maggiore collaborazione tra Corte e giudici comuni, si consolida la visione soggettiva. 

Che cosa sta accedendo negli ultimi anni? 

In alcune occasioni la Corte ha mostrato di saper contemperare sapientemente le due prospettive: in questo senso possono utilmente richiamarsi, ancora una volta, le decisioni rese in materia elettorale (sentt. nn. 1/2014 e 35/2017, su cui retro), in cui emerge in modo chiaro l’esigenza di realizzare simile bilanciamento quando la prevalenza esclusiva della visione “processuale” rischia di determinare zone franche strutturali sottratte al controllo di costituzionalità.

In altri casi l’equilibrio tra le due anime è forse meno riuscito e la deroga alla regola processuale non risulta convincente. Vi sono, d’altro canto, limiti alla deroga del diritto processuale costituzionale, superati i quali la Corte rischia di allontanarsi eccessivamente, e pericolosamente, dalla sua natura di organo giudiziario. Essa è certamente giudice in senso assai peculiare, non solo perché può scrivere da sola parte delle regole del suo processo (attraverso le norme integrative), ma soprattutto perché è interprete unico e ultimo di quelle regole. Ma se è accettabile l’interpretazione elastica del diritto processuale costituzionale[30], non lo è un suo aggiramento[31]. Come già si osservato, le regole processuali non possono essere usate per scegliere se decidere, come decidere e quando decidere[32]. E, soprattutto, tali regole dovrebbero sempre restare fuori dal giudizio di merito, non entrare nel bilanciamento con altri principi che la questione mette in gioco, poiché, «[n]el momento in cui si rinuncia alla distinzione tra diritto sostanziale e processo, in qualche modo si rinuncia anche ad affermare la pre-costituzione del diritto sostanziale, e quindi a rimettere ad una sfera soltanto politica un pezzo della Costituzione o pezzi di essa o addirittura tutta»[33].

Peraltro, un interessante elemento di novità rispetto al passato è costituito dal fatto che la Corte, quando “deroga” alla regola processuale, non nasconde la sua scelta provando a inserirla nel solco di propri precedenti, ma, al contrario, ne rivendica il significato e spiega la soluzione di volta in volta accolta[34], forse volendo proprio affermare una maggiore libertà.

Quanto sin qui osservato non vuole invece affatto escludere che la Corte possa innovare sul piano processuale, ma sarebbe importante che tali innovazioni non fossero ispirate alla logica del singolo caso, bensì fossero riconducibili a uno standard generalizzabile. Da questo punto di vista, è dunque apprezzabile la scelta della Corte di razionalizzare e formalizzare alcune regole del processo attraverso la modifica delle norme integrative – come avvenuto, da ultimo, sul ruolo dei terzi e sul potere istruttorio[35] – poiché questo rende più stabile e prevedibile l’applicazione della regola processuale.

In definitiva, è certamente presto per trarre delle conclusioni e affermare che le deroghe al diritto processuale costituzionale degli ultimi anni segnano uno spostamento verso una visione oggettiva della giustizia costituzionale. Nel contempo, poiché la rottura delle regole processuali, spesso dettate dalla volontà della Corte di entrare nel merito, è sempre più frequente, quelli segnalati sono certamente dati da monitorare, soprattutto se l’allentamento del rigore processuale si accompagna a un minore self-restraint della Corte rispetto alla discrezionalità legislativa. 

 

 

1. Cfr. G. Zagrebelsky, Diritto processuale costituzionale?, in G. Cattarino (a cura di), Giudizio “a quo” e promovimento del processo costituzionale, Giuffrè, Milano 1990, pp. 105 ss. e, con ampli riferimenti alla dottrina processualcivilistica che già si era occupata del tema, M. D’Amico, Dalla giustizia costituzionale al diritto processuale costituzionale: spunti introduttivi, in Giur. it., 1990, IV, pp. 480 ss. (e poi, più approfonditamente, della stessa Autrice, Parti e processo nella giustizia costituzionale, Giappichelli, Torino, 1991).

2. Sulla distinzione tra diritto processuale costituzionale e procedura costituzionale, riconducibile, la prima, alla giurisdizione di diritto soggettivo e, la seconda, alla giurisdizione di diritto oggettivo, vds. ora G. Zagrebelsky e V. Marcenò, Giustizia costituzionale II. Oggetti, procedimenti, decisioni, Il Mulino, Bologna, 2018, pp. 83-87.

3. F. Modugno, Corte costituzionale e potere legislativo, e G. Zagrebelsky, La Corte costituzionale e il legislatore, entrambi in P. Barile - E Cheli - S. Grassi (a cura di), Corte costituzionale e sviluppo della forma di governo in Italia, Il Mulino, Bologna, 1982, pp. 19 ss.

4. Op. cit. alla nota 1. Oltre ai saggi citati nelle note precedenti e successive, cfr., nello stesso volume, C. Mezzanotte, Processo costituzionale e forma di governo, pp. 63 ss.

5. Tra i lavori monografici specificamente dedicati, in quegli anni, a questioni di diritto processuale costituzionale, cfr. M. D’Amico, Parti e processo nella giustizia costituzionale, Giappichelli, Torino, 1991; Id., Giudizio sulle leggi ed efficacia temporale delle decisioni di incostituzionalità, Giuffrè, Milano, 1993; R. Pinardi, La Corte, i giudici e il legislatore. Il problema degli effetti temporali delle sentenze di incostituzionalità, Giuffrè, Milano, 1993; E. Catelani, La determinazione della «Questione di legittimità costituzionale» nel giudizio incidentale, Giuffrè, Milano, 1993; A. Spadaro, Limiti del giudizio costituzionale in via incidentale e ruolo dei giudici, ESI, Napoli, 1990; T. Groppi, I poteri istruttori della Corte costituzionale nel giudizio sulle leggi, Giuffrè, Milano, 1997. Anche se di qualche anno prima, vds. anche M. Luciani, Le decisioni processuali e la logica del giudizio costituzionale incidentale, Cedam, Padova, 1984; R. Romboli, Il giudizio costituzionale incidentale come processo senza parti, Giuffrè, Milano, 1985.

6. Il primo volume degli Aggiornamenti in tema di processo costituzionale (1987-1989), a cura di R. Romboli, è del 1990.

7. Il primo seminario fu significativamente intitolato «La giustizia costituzionale a una svolta» (i cui atti sono stati pubblicati a cura di R. Romboli nel 1991 da Giappichelli). Ad esso faranno seguito molte iniziative dedicate alla giustizia costituzionale. Sul “processo costituzionale” vanno poi ricordati il convegno annuale di Siena del 2007, dal titolo «I principi generali del processo comune ed i loro adattamenti alle esperienze della giustizia costituzionale» (i cui atti sono pubblicati, sempre con Giappichelli, a cura di E. Bindi, M. Perini e A. Pisaneschi), il seminario del 2012 «La Corte costituzionale vent’anni dopo la svolta» (il volume del 2011 è curato d R. Balduzzi, M. Cavino e J. Luther) e infine il convegno del 2017 «La Corte costituzionale e i fatti: istruttoria ed effetti delle decisioni» (atti a cura di M. D’Amico e F. Biondi, pubblicati con ES).

8. Oltre a G. Zagrebelsky, Diritto processuale costituzionale?, op. cit., vds. A. Pizzorusso, Uso e abuso del diritto processuale, in M. Bessone (a cura di), Diritto giurisprudenziale, Giappichelli, Torino 1996, p. 133. Il punto è ripreso da R. Romboli, Le oscillazioni della Corte costituzionale tra l’anima “politica” e quella “giurisdizionale”. Una tavola rotonda per ricordare Alessandro Pizzorusso ad un anno dalla sua scomparsa, in Id. (a cura di), Ricordando Alessandro Pizzorusso. Il pendolo della Corte. Le oscillazioni della Corte costituzionale tra l’anima “politica” e quella “giurisdizionale”, Giappichelli, Torino, 2017, pp. 10-11.

9. L. Elia, Considerazioni sul tema, in G. Cattarino (a cura di), Giudizio “a quo”, op. cit., p. 98.

10. Cfr. V. Angiolini, Il processo costituzionale vent’anni dopo, in R. Balduzzi - M. Cavino - J. Luther (a cura di), La Corte costituzionale vent’anni dopo la svolta, Giappichelli, Torino, 2011, pp. 165 ss., spec. pp. 166-167.

11. G. Silvestri, Del rendere giustizia costituzionale, pubblicato in anteprima in questa Rivista online, 13 novembre 2020, www.questionegiustizia.it/articolo/del-rendere-giustizia-costituzionale. Si legga – sul rapporto tra Corte e legislatore – il saggio di N. Zanon, I rapporti tra la Corte costituzionale e il legislatore alla luce di alcune recenti tendenze giurisprudenziali, in Federalismi, n. 3/2021, pp. 86 ss.

12. E. Olivito, Si può contestare una legge in via diretta davanti al giudice civile? L’ammissibilità delle questioni incidentali sollevate nel corso di azioni di accertamento, in C. Padula (a cura di), Una nuova stagione creativa della Corte costituzionale?, Editoriale Scientifica, Napoli, 2020, p. 140.

13. “Se”, “che cosa” e “quando” decidere – secondo V. Onida – dovrebbero essere sottratti alla disponibilità della Corte come giudice: vds. V. Onida, Relazione di sintesi, in G. Cattarino (a cura di), Giudizio “a quo”, op. cit., p. 305.

14. Non a caso il già citato volume collettaneo intitolato Il pendolo della Corte. Le oscillazioni della Corte costituzionale tra l’anima “politica” e quella “giurisdizionale”, curato da R. Romboli, contiene una intera sezione dedicata alla gestione “elastica” delle norme processuali.

15. Dai dati riportati nelle relazioni annuali dei presidenti della Corte costituzionale sull’attività svolta e dalle analisi statistiche elaborate dal Servizio studi si ricava una progressiva decrescita delle decisioni di inammissibilità, sia in termini percentuali che assoluti. Nel 2009, ad esempio, a fronte di un totale di 225 decisioni rese in sede di giudizio in via incidentale, si sono registrate 135 decisioni di inammissibilità (pari, quindi, al 60 per cento); in seguito, tale numero è progressivamente diminuito assestandosi attorno a una media di 70-80 declaratorie di inammissibilità ogni anno. Nel 2019, a fronte di 243 decisioni rese in sede di giudizio in via incidentale, 81 sono state quelle di inammissibilità (pari, quindi, al 33 per cento, ossia circa la metà in termini percentuali rispetto a quelle rese 10 anni prima), 79 quelle di non fondatezza e 45 quelle di accoglimento. 

16. Minoritaria è, invece, la posizione di chi nega in radice che si sia trattato di una deroga a una regola processuale: per tutti, C. Padula, A mo’ di premessa: realtà e mito nella creatività procedurale della Corte costituzionale, in Id. (a cura di), Una nuova stagione creativa, op. cit., pp. 14-16.

17. Per tutti, R. Bin, Chi è responsabile” delle «zone franche»?, in R. Romboli (a cura di), Ricordando Alessandro Pizzorusso. Il pendolo della Corte, op. cit., pp. 147 ss. Per una ricognizione della dottrina “critica” rispetto a questa giurisprudenza costituzionale, cfr. G. Repetto, Il canone dell’incidentalità costituzionale. Trasformazioni e continuità nel giudizio sulla legge, Editoriale Scientifica, Napoli, 2017, spec. pp. 49-58. Sul tema, si segnala anche il lavoro monografico di G. D’Amico, Azione di accertamento e accesso al giudizio di legittimità costituzionale, Editoriale Scientifica, Napoli, 2018.

18. Si leggano le considerazioni di N. Zanon, “Stagioni creative” della giurisprudenza costituzionale? Una testimonianza (e i suoi limiti), in C. Padula (a cura di), Una nuova stagione creativa, op. cit., p. 387. In dottrina, poi, per tutti, R. Romboli, Le oscillazioni, op. cit., p. 15. Sia però consentito rinviare anche a F. Biondi, Come decide la Corte dinanzi a questioni “tecniche”: la materia elettorale, in V. Marcenò e M. Losana (a cura di), Come decide la Corte dinanzi a questioni “tecniche”. Incontro sulla giurisprudenza costituzionale, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ), 2020, pp. 37 ss.

19. Critico anche rispetto a questa correzione F. Sorrentino, La Corte e i suoi precedenti: overruling o continuità?, in Giur. cost., n. 3/2015, p. 888.

20. Di recente, vds. la sentenza n. 116/2018.

21. Si legga, da ultimo, su questi temi, C. Nardocci, Il diritto al giudice costituzionale, Editoriale Scientifica, Napoli, 2020, pp. 237 ss.

22. Su cui M. D’Amico, Il “Caso Cappato” e le logiche del processo costituzionale, in Forum di Quaderni costituzionali, 24 giugno 2019, pp. 1 ss.

23. Si legga – anche per un confronto con la giurisprudenza precedente – M. Bignami, Cenni sugli effetti temporali della dichiarazione di incostituzionalità in un’innovativa pronuncia della Corte costituzionale, in questa Rivista online, 18 febbraio 2015, www.questionegiustizia.it/articolo/cenni-sugli-effetti-temporali-della-dichiarazione-_18-02-2015.php, nonché S. Catalano, Valutazione della rilevanza della questione di costituzionalità ed effetto della decisione della Corte sul giudizio a quo in M. D’Amico e F. Biondi (a cura di), La Corte costituzionale e i fatti: istruttoria ed effetti delle decisioni, Editoriale Scientifica, Napoli, 2018, pp. 366 ss.

24. Tale aspetto è messo bene in luce da R. Romboli, a partire dal saggio Natura incidentale del giudizio costituzionale e tutela dei diritti: in margine alla sentenza n. 10 del 2015, in Quaderni costituzionali, n. 3/2015, pp. 607 ss.

25. E, infatti, se ne occupa ampiamente G. Silvestri nel già citato saggio Del rendere giustizia costituzionale.

26. Su questo tema, cfr. P. Bonetti, I tempi dei giudizi costituzionali e l’esigenza di una loro ragionevole celerità, in E. Bindi - M. Perini - A. Pisaneschi (a cura di), I principi generali del processo comune ed i loro adattamenti alle esperienze della giustizia costituzionale, Giappichelli, Torino, 2008, pp. 269 ss. 

27. A favore della flessibilità nella gestione dei tempi, quale strumento di contenimento delle conseguenze delle pronunce di illegittimità costituzionale, si esprime S. Scagliarini, Tempi del processo ed impatto delle decisioni della Consulta, in M. D’Amico e F. Biondi (a cura di), La Corte costituzionale e i fatti, op. cit., pp. 559 ss.

28. In questo senso, vds. G. Zagrebelsky e V. Marcenò, Giustizia costituzionale II. Oggetti, procedimenti, decisioni, op. cit., p. 86. 

29. La stessa dottrina costituzionalistica fatica a distinguere il diritto processuale costituzionale dal diritto costituzionale sostanziale: si legga, su questo, il saggio di A. Ruggeri, Alla ricerca dell’identità del “diritto processuale costituzionale”, in Forum di Quaderni costituzionali, 2009.

30. Vds. già G. Abbamonte, Considerazioni sul tema, in Aa. Vv., Atti del seminario di svoltosi in Roma, Palazzo della Consulta, nei giorni 13 e 14 novembre 1989, Giuffrè, Milano, 1990, p. 49.

31. R. Romboli, Natura incidentale del giudizio costituzionale e tutela dei diritti: in margine alla sentenza n. 10 del 2015, in Quaderni costituzionali, n. 3/2015, p. 610.

32. Come osservato da E. Grosso, Il “rinvio a data fissa” nell’ordinanza 207/2018, in Quaderni costituzionali, n. 3/2019, p. 532, «se la condotta processuale tenuta nel singolo procedimento risultasse meramente funzionale e servente alle ragioni di merito sottese a quello specifico giudizio, verrebbe completamente meno la funzione stabilizzatrice che le norme processuali, quandanche elastiche sotto il profilo dell’interpretazione o – addirittura – dell’applicazione, hanno il compito di esercitare». 

33. Cfr. V. Angiolini, Relazione di sintesi, in E. Bindi - M. Perini - A. Pisaneschi (a cura di), I principi generali del processo comune ed i loro adattamenti, op. cit., pp. 498-499.

34. Tale ultimo aspetto è criticamente messo in luce da M. Nisticò, Lo sbilanciamento tra diritto costituzionale sostanziale e diritto processuale. Qualche osservazione a partire dalla più recente giurisprudenza della Corte, in R. Romboli (a cura di), Ricordando Alessandro Pizzorusso. Il pendolo della Corte, op. cit., pp. 218-219.

35. Si fa qui riferimento alla modifica delle norme integrative disposta con delibera 8 gennaio 2020, pubblicata in Gazzetta ufficiale il 22 gennaio 2020.