Magistratura democratica

I poteri del giudice comune nel rapporto con la Corte costituzionale e le Corti europee

di Elisabetta Lamarque

I poteri dei giudici comuni nella triangolazione con la Corte costituzionale e la Corte di Lussemburgo, da un lato, e con la stessa Corte costituzionale e la Corte di Strasburgo, dall’altro lato, si modellano giocando sul filo del rasoio tra vincoli costituzionali puramente interni e vincoli, parimenti costituzionali, derivanti dall’adesione dell’Italia all’Unione europea e alla Cedu. Lo scritto illustra lo stato attuale della giurisprudenza costituzionale e comune, che è comunque ancora alla ricerca di un punto di equilibrio.

1. Una fabbrica del duomo / 2. I giudici comuni tra la logica del sistema incidentale e la “tentazione di Carrère” / 3. È un mondo difficile, una vita intensa / 3.1. Giudici, Cedu, Corte costituzionale e Corte Edu / 3.2. Giudici, diritto Ue, Corte costituzionale e Corte di giustizia / 4. Felicità a momenti e futuro incerto / 4.1. Giudici, Cedu, Corte costituzionale e Corte Edu / 4.2. Giudici, diritto Ue, Corte costituzionale e Corte di giustizia  

 

1. Una fabbrica del duomo

I temi che il titolo del presente contributo imporrebbe di trattare sono al centro della riflessione dei giuristi italiani almeno da vent’anni, e cioè da quando, nel 1999, nella wider Europe del Consiglio d’Europa è entrato in funzione il sistema di ricorso individuale diretto per la tutela dei diritti garantiti dalla Cedu e poi, nel 2000, l’Unione europea si è dotata di una Carta dei diritti fondamentali.

Da allora, per quanto riguarda l’aspetto cruciale della tutela dei diritti fondamentali, il diritto in senso lato europeo ha costantemente aumentato il suo peso nel nostro ordinamento, portando con sé una corrispondente crescita esponenziale dell’influenza nelle nostre aule giudiziarie delle pronunce delle Corti di Lussemburgo e di Strasburgo, che di quel diritto fanno costante applicazione.

In questi vent’anni le novità sul fronte nazionale e sui due fronti europei si sono succedute a ritmo incessante. Sul versante normativo, in particolare, si sono avute la riforma costituzionale del 2001, che ha mutato il regime degli obblighi internazionali, e quindi anche della Cedu, nel nostro ordinamento, e la riforma dei trattati europei del 2009, che ha attribuito alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea lo stesso valore dei trattati. Sul versante giurisprudenziale, il coordinamento tra i diversi livelli di tutela giurisdizionale dei diritti fondamentali è stato affrontato da tutte le corti coinvolte sia con pronunce di importanza capitale e fondante, come fondamenta e muri portanti di un edificio in rapida costruzione, che con innumerevoli pronunce minori, come puntelli e aggiustamenti necessari per rendere l’edificio sicuro e funzionale alle esigenze di tutti coloro – giudici, avvocati e parti processuali – che quotidianamente lo frequentano.

Nel presente contributo si farà cenno soltanto a una minima parte di ciò che si potrebbe scrivere sull’argomento. Non si darà conto né della complessa evoluzione giurisprudenziale che in questi vent’anni ha permesso all’edificio di diventare quello che è attualmente, né tantomeno del profluvio di opinioni dottrinarie – nemmeno delle più autorevoli, e di questo già si chiede perdono ai loro autori – che a volte hanno consentito una crescita più armonica della costruzione, mentre altre volte l’hanno appesantita, rendendola più precaria. Del resto, una trattazione completa del tema, se anche fosse possibile, andrebbe non solo oltre le capacità di chi scrive, ma anche oltre le forze dello stesso lettore più motivato, come ognuno di noi può constatare quando tenta (di solito senza riuscirvi) di leggere un articolo di dottrina o un volume monografico relativo anche a uno soltanto degli aspetti che qui interessano, trattato nella sua evoluzione temporale.

Le conclusioni cui si perverrà in questo contributo, infine, devono intendersi valide solo allo stato degli atti e destinate a essere superate da nuovi sviluppi giurisprudenziali. L’impressione, infatti, è quella di trovarsi davanti a quella che da noi a Milano si chiama, con espressione sintetica ed efficace, la fabbrica del duomo[1]. Allo stesso modo della cattedrale milanese, anche la costruzione giurisprudenziale che fornisce ai giudici i percorsi logici-argomentativi da seguire nei casi che coinvolgono norme interne ed europee sui diritti fondamentali, e dunque implicano un dialogo diretto o a distanza con la Corte costituzionale o con le corti europee, è un’opera immane, frutto di uno sforzo collettivo e di un grande dispendio di risorse, che richiede continui interventi di rimaneggiamento, restauro e pulizia, e non può dirsi mai davvero compiuta.

Così come i milanesi sanno che non vedranno mai il duomo libero da impalcature, anche i giudici devono essere consapevoli che i lavori di manutenzione dei loro rapporti con la giurisdizione costituzionale e con quelle europee sono sempre in corso[2], e tenere sempre presente che le acquisizioni di ieri già oggi forse sono state superate, e le certezze di oggi già domani potrebbero venir meno.

 

2. I giudici comuni tra la logica del sistema incidentale e la “tentazione di Carrère”

Prima di illustrare le caratteristiche dell’edificio di cui qui ci si occupa può essere utile richiamare gli elementi che giustificano una trattazione unitaria di temi distinti, quali sono quelli dei poteri dei giudici comuni nella triangolazione da un lato con la Corte costituzionale e la Corte di Lussemburgo e, dall’altro lato, con la stessa Corte costituzionale e la Corte di Strasburgo.

La differenza tra i due argomenti, in effetti, sembra macroscopica. Nel primo caso i giudici italiani godono, secondo le norme positive costituzionali ed europee, di un rapporto diretto con entrambe le corti, e cioè sia con la Corte di Lussemburgo, alla quale devono o possono rivolgersi – a seconda che siano o meno giudici di ultima istanza – con il meccanismo del rinvio pregiudiziale, che con la Corte costituzionale, attraverso l’analogo meccanismo del giudizio incidentale. Ed è proprio ai giudici che hanno sollevato le domande che rispondono, in prima battuta, entrambe le corti, vincolandoli nella soluzione dei loro casi. Si possono porre, quindi, come in effetti in concreto si sono posti, problemi di coordinamento, o anche di concorrenza, tra i due poteri di rinvio di cui i giudici sono titolari, tanto più che nessuna delle esistenti norme positive affronta questi problemi.

Nel secondo caso, invece, il giudice comune non ha la possibilità di rivolgersi direttamente alla Corte di Strasburgo per chiedere la risoluzione dei propri eventuali dubbi sull’interpretazione della Cedu[3], mentre il suo canale di dialogo diretto con la Corte costituzionale resta sempre aperto. Veri e propri problemi di coordinamento processuale tra giurisdizioni, di conseguenza, non possono presentarsi, perché solo due lati del triangolo sono collegati tra loro, mentre il terzo segmento, la Corte di Strasburgo, non risponde all’iniziativa dei giudici, ma funziona, come sappiamo bene, su impulso di altri soggetti.

Tuttavia, nei contributi di dottrina relativi alla Corte costituzionale si è affermata una lettura unitaria delle sue relazioni con le due corti europee che consente di valutare nell’insieme il suo atteggiamento come più o meno europeista, e cioè aperto e di dialogo, o al contrario chiuso e conflittuale, oppure ancora di concorrenza (inter-court competition) sul piano dell’interpretazione[4]. E dato che l’atteggiamento della Corte costituzionale verso le due giurisdizioni esterne ha sicure ricadute ordinamentali interne, basterebbe questo a giustificare un tentativo di lettura unitaria anche dei temi oggetto di questo contributo.

Inoltre, per quanto riguarda i poteri in senso stretto dei giudici comuni, uno sguardo che abbracci allo stesso tempo le loro relazioni con la Corte costituzionale e con entrambe le corti europee offre il grande vantaggio di svelare – con grande sorpresa – che il punctum dolens è il medesimo.

I poteri dei giudici, infatti, in entrambi i casi si modellano giocando sul filo del rasoio tra diversi vincoli costituzionali: da una parte quelli puramente interni, e cioè la soggezione del giudice solo alla legge, e quindi a maggior ragione alla Costituzione, ex art. 101, secondo comma, Cost., e la scelta compiuta dalla legge cost. n. 1 del 1948 in favore di un sistema incidentale di controllo di costituzionalità della legge di tipo incidentale e concreto; dall’altra parte, i vincoli derivanti dall’adesione dell’Italia all’Unione europea, sulla base dell’art. 11 Cost., e dal recepimento con legge, nel 1955, di quel potente obbligo internazionale costituito dalla Cedu, sulla base dell’art. 117, primo comma, Cost.

La ricerca di un punto di equilibrio che consenta la contemporanea osservanza di tutti questi vincoli del medesimo rango costituzionale è complessa, data anche l’assenza di norme di diritto positivo che ne specifichino gli esatti confini e ne determinino i pur necessari raccordi. Restando individuabile solo in via giurisprudenziale, e tra l’altro non unilateralmente, ma con l’apporto di tutte le giurisdizioni coinvolte, l’equilibrio eventualmente raggiunto è sempre precario e, come si diceva in apertura del presente lavoro, soggiace a continui aggiustamenti, a cui seguono ogni volta inevitabili scosse di assestamento.

Ebbene. Chi scrive crede che in questa costante ricerca l’anello debole che rischia di cedere a ogni smottamento sia sempre la funzionalità del sistema incidentale di controllo di costituzionalità della legge, e che ciò che lo minaccia sia, in entrambi i casi di cui qui ora di occupiamo, un uso disinvolto da parte dei giudici comuni del diritto europeo e delle pronunce delle due corti europee che ne sono interpreti, che chiameremo la “tentazione di Carrère”.

Ma andiamo per ordine.

La logica e i pregi del judicial review all’italiana sono noti, ma è comunque opportuno sintetizzarli in due battute.

Iniziamo intanto con il ricordare che il sistema funziona grazie ai giudici comuni, se non altro perché senza le loro ordinanze di rimessione la Corte costituzionale non potrebbe svolgere il suo compito (fase ascendente), e perché senza un seguito conforme delle pronunce costituzionali da parte dei giudici i diritti fondamentali delle persone non sarebbero garantiti nei confronti del legislatore e in generale delle maggioranze di volta in volta al governo (fase discendente).

Nella sua essenza, la logica del sistema è la seguente: un giudice che abbia già compiuto la propria attività interpretativa letterale, logica e sistematica – compresa la valutazione di compatibilità della legge con la Costituzione e le norme in senso lato europee, e il conseguente tentativo di interpretazione conforme – e che nonostante tutto ciò continui a nutrire il dubbio che la legge violi Costituzione, non ha solo il potere, ma ha anche sempre il dovere, di investire del dubbio la Corte costituzionale prima di proseguire con il suo processo. Quando poi il dubbio si rivela fondato, il sistema valorizza in maniera straordinaria l’azione di quel giudice, conferendole una forza deflagrante, perché la legge da lui denunciata viene eliminata per tutti, e non solo per il suo processo, e tra l’altro con effetto parzialmente retroattivo.

Sono i giudici, in altre parole, e non la Corte costituzionale, i detentori nel sistema incidentale dell’unica, potentissima, arma capace di difendere i diritti di tutti i consociati nei confronti del legislatore. E non si deve mai dimenticare che il potere di valutare quando è necessario passare l’arma, già carica, alla Corte costituzionale implica anche una grande responsabilità, perché dal ritardo da parte anche di un solo giudice nell’attivare il controllo di costituzionalità, o peggio dall’inadempimento al suo dovere di attivazione quando ne ricorrano i presupposti, possono derivare conseguenze irrimediabili per i diritti non solo di uno, ma di qualcuno o di molti dei consociati, dato che la legge non denunciata, in ipotesi incostituzionale, resta in vigore e può continuare a produrre i suoi effetti.

Se è così, è chiaro anche che uno dei pericoli maggiori che minacciano la funzionalità del nostro judicial review è un uso superficiale o disinvolto da parte dei giudici delle norme e della giurisprudenza europea, Ue o Cedu, tale da ritardare o escludere in assenza di altre ragionevoli giustificazioni di tipo ordinamentale la chiamata in campo della Corte costituzionale.

È quella che si è più sopra chiamata la “tentazione di Carrère”. In uno dei due racconti che compongono il libro Vite che non sono la mia, infatti, Emmanuel Carrère narra la vicenda reale di Étienne e Juliette, due giudici di provincia – giudici di sinistra, li chiama lo scrittore francese – che non riescono ad assicurare giustizia alle migliaia di consumatori ingannati da alcune potenti società finanziarie perché le loro sentenze sono sempre ribaltate in Cassazione, ma che poi trovano quasi per caso una pronuncia della Corte di giustizia che sposa i loro argomenti: «È sempre spassoso, quando un capetto ti maltratta dicendo: è così, non si discute, non ho da rendere conto a nessuno, scoprire che sopra di lui c’è un grande capo, e che per giunta questo grande capo ti dà ragione. (…) Étienne di diritto comunitario non sapeva nulla, ma lo trovava già straordinario»[5].

Certo, l’ordinamento francese non conosce un sistema incidentale come il nostro, a portata di ogni organo giudicante, anche di primo grado, e quindi Étienne e Juliette non avevano altre strade, diverse dal diritto europeo, per liberarsi dal giogo di una legge percepita come lesiva di diritti fondamentali. E comunque qualche pagina dopo Étienne, convinto da Juliette, inizia a studiare sul serio il diritto europeo, ne diventa esperto e infine redige due rinvii pregiudiziali, che poi la Corte di giustizia accoglie con favore.

Ma noi fermiamoci a quel “trovare straordinario” un diritto europeo del quale non si sa “nulla”, nel senso che non si sa bene come trattarlo, e alla tentazione del giudice di preferirlo al diritto nazionale solo perché consente di raggiungere un risultato immediato per i casi dinanzi a lui pendenti.

È esattamente in questo atteggiamento entusiasta ma un po’ superficiale nei confronti tanto del diritto Ue quanto della Cedu, se coltivato da un giudice che potrebbe, e quindi dovrebbe, adire la Corte costituzionale, che si annida il pericolo di dimenticare i grandi vantaggi che offre il nostro sistema di controllo di costituzionalità, e di incepparne così il buon funzionamento.

 

3. È un mondo difficile, una vita intensa

Le relazioni tra corti, si diceva, sono molto complesse, sfaccettate, mutevoli nel tempo. Chi scrive, tuttavia, vorrebbe qui provare a dimostrare che il percorso tracciato in questi anni dalla Corte costituzionale, sia pure tra mille sfaccettature, segue una traiettoria ben precisa.

Appare evidente, infatti, che ciò che interessa, ed è sempre interessato, alla Corte costituzionale non è limitare o contenere l’utilizzo da parte dei giudici del diritto europeo, bensì soltanto mantenere efficiente e funzionante il sistema di controllo di costituzionalità della legge. Una volta messo al sicuro questo obiettivo, che corrisponde tra l’altro alla sua ragion d’essere nel nostro ordinamento, è la Corte la prima a valorizzare i poteri dei giudici italiani nei confronti del diritto Ue e della Cedu.

Ed è chiarissima anche la ragione di quest’ultimo atteggiamento. Nelle relazioni con le due corti europee la Corte costituzionale si presenta ormai come un giudice nazionale (uno dei tanti, se non fosse per la sua speciale autorevolezza). Le conviene dunque esaltare i poteri dei giudici comuni nei confronti del diritto e delle corti europee, perché nello stesso momento in cui li riconosce a loro li attribuisce anche a se stessa.

 

3.1. Giudici, Cedu, Corte costituzionalee Corte Edu

L’andamento del cammino della Corte costituzionale in relazione alla Cedu e alla Corte Edu è esemplare di quanto si è appena detto. La dura presa di posizione delle sentenze gemelle del 2007, infatti, era stata dettata proprio dalla necessità di salvaguardare il sistema incidentale di controllo di costituzionalità della legge. A fronte di numerosi giudici che, dopo la riforma costituzionale del 2001, disapplicavano la legge ritenuta in contrasto con la Cedu, il rischio era esattamente quello che gli eventuali dubbi circa il contrasto della medesima legge con i corrispondenti diritti garantiti dalla Costituzione italiana non potessero più pervenire alla Corte. Di qui, la richiesta ai giudici di trattare tutti gli eventuali profili di contrasto con la Cedu come dubbi di costituzionalità in relazione all’art. 117, primo comma, Cost., con la conseguente necessità di sollevare la questione di costituzionalità assumendo la Cedu come parametro interposto, eventualmente accanto al parametro costituzionale relativo al medesimo, o ad analogo, diritto.

Possiamo ormai dire, a molti anni di distanza dalle sentenze gemelle, che i giudici hanno seguito con convinzione e con grande senso di responsabilità questa prima indicazione, contribuendo così a mantenere vivo il sindacato accentrato di legittimità costituzionale sulle leggi ritenute sospette di violare i diritti fondamentali dei consociati.

Ma le sentenze gemelle, con altrettanta perentorietà, avevano dato anche una seconda indicazione, ponendo a carico di tutti i giudici nazionali un vincolo interpretativo. Seguendo la loro impostazione, dall’interpretazione del dettato della Cedu offerta dalla Corte di Strasburgo nessun organo giudicante italiano – Corte costituzionale compresa – si sarebbe potuto discostare né in sede di tentativo di interpretazione della legge in senso conforme alla Cedu, né in sede di valutazione dell’eventuale contrasto della legge con la Cedu.

Un simile giogo, tuttavia, si è rivelato presto insopportabile sia per i giudici comuni che per la stessa Corte costituzionale. Si pensi solo al fatto che una qualsiasi delle innumerevoli pronunce della Corte Edu – anche isolata, anche poco istruita o mal motivata – avrebbe potuto imporre a ogni giudice di sollevare la questione di legittimità costituzionale di una legge italiana, e alla Corte costituzionale di eliminarla[6].

Il cammino di liberazione dei poteri interpretativi dei giudici nei confronti delle pronunce della Corte Edu, abbastanza tortuoso, ha trovato un suo compimento, come è noto, grazie alla sentenza della Corte costituzionale n. 49 del 2015, a seguito della quale il vincolo internazionale costituito dalla Cedu ha assunto connotati molto diversi da quelli individuati dalle sentenze gemelle.

La sentenza ha il merito, tra l’altro, di offrire una guida dettagliata per il giudice che inciampi, nel suo cammino, in una pronuncia della Corte di Strasburgo che gli faccia dubitare della perdurante compatibilità con la Cedu della legge italiana che egli sta per applicare.

Il giudice non deve fare altro che procedere per semplici verifiche successive: una volta esclusa l’ipotesi A, egli deve passare all’ipotesi B, e se neppure quell’ipotesi si verifica nel caso di specie, deve andare avanti con la successiva ipotesi C, seguendo il percorso che qui di seguito si riassume.

A) Innanzitutto il giudice deve verificare se per caso la pronuncia della Corte europea è una “sentenza pilota” rivolta all’Italia. La circostanza è facile da stabilire sulla base di criteri formali, essendo tale la sentenza pronunciata dalla Corte Edu ai sensi dell’art. 61 del suo regolamento, per il caso di violazioni seriali della Cedu da parte di uno Stato che hanno già dato luogo a un alto numero di ricorsi. Qualora questo primo controllo abbia esito positivo, il giudice è obbligato a interpretare la Cedu nel senso indicato dalla Corte Edu, ed è tenuto a eseguire, nell’ordine, queste tre operazioni: A1) verificare se ciò che impone la sentenza pilota è conforme alla Costituzione e, se non lo è, sollevare questione di costituzionalità della legge italiana del 1955 che rende esecutiva la Cedu in Italia, nella parte in cui introduce nell’ordinamento italiano quello specifico obbligo convenzionale; A2) se invece il vincolo discendente dalla sentenza pilota non viola la Costituzione italiana, il giudice deve tentare di adeguare in via interpretativa la legge italiana alla sentenza europea; e, nel caso in cui l’interpretazione della legge in senso conforme alla Cedu, così come interpretata dalla sentenza pilota, non sia possibile, A3) è tenuto a sollevare questione di legittimità costituzionale della legge italiana assumendo come parametro l’art. 117, primo comma, Cost. e come parametro interposto la Cedu così come letta dalla sentenza pilota.

B) Quando la pronuncia della Corte europea non è una sentenza pilota, il giudice deve «collocare» la pronuncia della Corte europea in cui si è imbattuto «nel flusso continuo della giurisprudenza europea, per ricavarne un senso che possa conciliarsi con quest’ultima», e quindi verificare se essa sia espressione di una giurisprudenza europea “consolidata”. A tale scopo, la stessa sentenza n. 49 indica alcuni «indici idonei a orientare il giudice nazionale nel suo percorso di discernimento»: «la creatività del principio affermato, rispetto al solco tradizionale della giurisprudenza europea; gli eventuali punti di distinguo, o persino di contrasto, nei confronti di altre pronunce della Corte di Strasburgo; la ricorrenza di opinioni dissenzienti, specie se alimentate da robuste deduzioni; la circostanza che quanto deciso promana da una sezione semplice, e non ha ricevuto l’avallo della Grande Camera; il dubbio che, nel caso di specie, il giudice europeo non sia stato posto in condizione di apprezzare i tratti peculiari dell’ordinamento giuridico nazionale, estendendovi criteri di giudizio elaborati nei confronti di altri Stati aderenti che, alla luce di quei tratti, si mostrano invece poco confacenti al caso italiano». Qualora questo secondo controllo abbia esito positivo, e cioè quando il giudice italiano ha verificato che la pronuncia di Strasburgo in cui si è imbattuto è effettivamente espressione di un “diritto consolidato”, egli è tenuto ad eseguire, nell’ordine, tre operazioni: B1) verificare se questo diritto europeo consolidato è conforme alla Costituzione e, se non lo è, sollevare questione di costituzionalità della legge italiana del 1955 che rende esecutiva la Cedu in Italia, nella parte in cui introduce nell’ordinamento italiano quella specifica norma convenzionale; B2) se invece il diritto europeo consolidato rispetta la nostra Costituzione, il giudice deve tentare, ancora una volta, di adeguare in via interpretativa la legge italiana alla norma europea; e, nel caso in cui l’interpretazione conforme alla Cedu, così come costantemente interpretata da Strasburgo, non sia possibile, B3) è tenuto a sollevare questione di legittimità costituzionale della legge italiana ex art. 117, primo comma, Cost.

C) Quando la pronuncia europea non è né una sentenza pilota né espressione di diritto consolidato, secondo la sentenza n. 49 «non vi è alcuna ragione che obblighi il giudice comune a condividere la linea interpretativa adottata dalla Corte Edu», e anzi egli è tenuto a prevenire la proposizione della questione di legittimità costituzionale tramite l’interpretazione “costituzionalmente orientata” della stessa disposizione della Cedu. In altre parole, in questa ipotesi il giudice nazionale non deve interpretare la legge italiana alla luce della Cedu, così come interpretata dalla Corte di Strasburgo, ma è tenuto a compiere l’operazione opposta: deve cioè interpretare la Cedu alla luce della legge italiana, in modo da sciogliere ogni dubbio circa la compatibilità di quella legge con l’art. 117, primo comma, Cost. senza scomodare la Corte costituzionale.

Si tratta, come si vede, di indicazioni molto chiare, capaci di facilitare il lavoro dei giudici restituendo loro la pienezza dei poteri interpretativi che il vincolo cieco e assoluto all’interpretazione della Cedu offerta dalla Corte di Strasburgo aveva loro sottratto. Persistono soltanto le note difficoltà nel maneggiare la giurisprudenza di Strasburgo che derivano dall’ostacolo linguistico e dalla circostanza che il numero delle pronunce della Corte Edu su molti argomenti è altissimo e quindi pressoché ingestibile da parte di organi giudicanti gravati da un ingente carico di lavoro come sono quelli italiani.

 

3.2. Giudici, diritto Ue, Corte costituzionale e Corte di giustizia

Il tema dei poteri dei giudici nei confronti del diritto dell’Unione europea e della stessa Corte di giustizia già di per sé è molto più complesso di quello relativo alla Cedu. Basta ricordare che i criteri di risoluzione delle antinomie normative tra le fonti del diritto nazionale e le fonti europee di diritto primario e derivato previste dai trattati dipendono in parte anche dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, la quale modula gli stessi presupposti del rinvio pregiudiziale, mentre il diritto europeo prevede sanzioni agli Stati membri per gli errori e gli inadempimenti dei giudici nazionali.

Qui interessa, tuttavia, il problema di cosa può/deve fare un giudice italiano che dubiti della compatibilità della legge contemporaneamente con il diritto europeo e con la Costituzione. È su questo tema che ultimamente sono intervenute alcune novità, a seguito di una «precisazione» dell’orientamento tradizionale introdotta dalla Corte costituzionale in un obiter dictum della sentenza n. 269 del 2017, e poi dalla stessa Corte ulteriormente precisata[7].

Secondo l’orientamento tradizionale, lo si ricorderà, la norma europea poteva diventare parametro interposto nel giudizio costituzionale, ex artt. 11 e 117, primo comma, Cost., solo se priva di effetto diretto, mentre la legge italiana in contrasto con una norma europea dotata di effetto diretto doveva essere subito disapplicata, con la conseguenza che la questione di costituzionalità eventualmente sollevata su quella legge diventava inammissibile per irrilevanza.

La preoccupazione che spinge la Corte costituzionale a correggere il tiro, nel 2017, è ancora una volta, come era stato nei confronti della Cedu con le sentenze gemelle dieci anni prima, quella di evitare che, negli ambiti dell’ordinamento italiano in cui incide il diritto dell’Unione, che sempre più si occupa della tutela dei diritti fondamentali delle persone, i giudici preferiscano, per così dire, l’uovo oggi (la tutela del diritto fondamentale per il singolo caso concreto) alla gallina domani (la tutela del diritto fondamentale attuata con l’eliminazione della legge italiana che lo viola).

A fronte della possibilità per ogni giudice di disapplicare nel singolo caso una legge in contrasto con una norma europea dotata di effetto diretto che riconosce un diritto fondamentale corrispondente a un diritto garantito dalla Costituzione italiana, la Corte costituzionale teme infatti, e fondatamente, che il canale del controllo di costituzionalità in via incidentale venga trascurato o pretermesso, con conseguente perdita dei vantaggi ordinamentali che esso assicura.

Le novità introdotte rispetto all’orientamento tradizionale riguardano allora soltanto le ipotesi in cui il diritto dell’Unione che viene in gioco è una disposizione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, da sola[8] o in combinazione con una norma di diritto derivato a essa collegata di garanzia di un diritto fondamentale[9], oppure – secondo gli sviluppi più recenti – una qualsiasi norma europea corrispondente per contenuto a una norma della Costituzione italiana[10].

In questi casi – che tuttavia, come si è visto, la Corte costituzionale non ha ancora esattamente delimitato – è opportuno, secondo la Corte, che il giudice solleciti prima di tutto – e quindi prima di investire la Corte di giustizia di un dubbio interpretativo o di validità e/o prima di disapplicare la legge qualora ritenga che la norma europea sia dotata di effetto diretto – un intervento con effetti erga omnes della Corte costituzionale[11]. Sarà poi la Corte costituzionale, nella sua discrezionalità, a valutare se affrontare prima il denunciato contrasto della legge con il diritto europeo, parametro interposto, oppure con il parametro costituzionale, ed eventualmente dichiarare incostituzionale la legge per l’una o per l’altra, o per entrambe, le ragioni.

 

4. Felicità a momenti e futuro incerto

Riassumendo quanto si è detto finora, si può dire che nella giurisprudenza costituzionale le novità nella triangolazione “giudici - Corte costituzionale - Corte di giustizia” hanno ancora contorni un po’ incerti e sfuocati, dato che la «precisazione» della sentenza n. 269 del 2017 continua a essere a sua volta ulteriormente precisata, mentre le relazioni “giudici - Corte costituzionale - Corte Edu” sembrano avere trovato un loro assetto, perché l’impostazione della sentenza n. 49 del 2015, di cui sopra si è detto, non ha subito smentite o correzioni di rotta da parte dello stesso giudice costituzionale[12].

Resta da vedere il versante dell’autorità giudiziaria. Le indicazioni della Corte costituzionale come sono accolte? Sono apprezzate e seguite?

Si tratta di interrogativi importanti perché, come si diceva, nessuna costruzione giurisprudenziale può reggere se non è frutto di un lavoro condiviso da parte di tutte le corti coinvolte e perché, in mancanza di condivisione, la precarietà e l’incertezza dei percorsi da seguire si ripercuotono immediatamente sulla effettività delle garanzie giurisdizionali dei diritti fondamentali dei consociati.

 

4.1. Giudici, Cedu, Corte costituzionale e Corte Edu

Per quanto riguarda il trattamento giurisdizionale della Cedu, la risposta è positiva. Tra la Corte costituzionale e i giudici, e in particolare le magistrature supreme, sembra essere stato siglato un patto di ferro proprio nei termini indicati dalla sentenza n. 49, che evidentemente ha rappresentato anche per i giudici comuni un buon compromesso, capace di assicurare il contemporaneo rispetto dei vincoli costituzionali e internazionali.

Lo testimonia, per tutte, la sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione in tema di concorso esterno in associazione mafiosa[13]. La sentenza esamina i “contenuti decisori”[14], la “natura” e la “portata”[15] della pronuncia adottata dalla Corte Edu nel caso Contrada contro Italia[16] attendendosi scrupolosamente alla successione dei passaggi indicati dalla sentenza costituzionale n. 49. Al termine del percorso, la Cassazione giunge alla conclusione che l’interpretazione della Cedu offerta da Strasburgo non è vincolante per il giudice italiano, «in quanto la sentenza non è una sentenza pilota e non può considerarsi espressione di una giurisprudenza europea consolidata»[17]: di conseguenza, non solo respinge il ricorso del condannato che chiedeva l’applicazione nei suoi confronti dei principi affermati dalla sentenza Contrada, ma rifiuta anche di sollevare questione di costituzionalità ex art. 117 Cost.

È interessante notare che la Cassazione, nel recepire integralmente le indicazioni fornite dalla sentenza costituzionale n. 49, ha cura di aggiungervi un piccolo tassello, rendendo così davvero corale la costruzione giurisprudenziale. Secondo la Cassazione, infatti, alle pronunce della Corte Edu formalmente qualificabili come “pilota” ai sensi dell’art. 61 del suo regolamento, devono essere equiparate – ai fini delle valutazioni che il giudice italiano deve svolgere – le cosiddette sentenze “quasi pilota”[18], e cioè le pronunce della Corte Edu «a portata generale», nelle quali «il riscontro della violazione dei diritti individuali del proponente il ricorso contiene in sé anche l’accertamento di lacune ed imperfezioni normative o di prassi giudiziarie, proprie dell’ordinamento interno scrutinato, contrarie ai precetti della Convenzione, che assumono rilevanza anche per tutti coloro che subiscano identica violazione»[19]. Resta solo da vedere, ora, la reazione della Corte di Strasburgo, che non sembra volere lasciar correre, dato che lo scorso ottobre si è subito avviata a decidere nel merito il ricorso di Vincenzo Inzerillo, uno dei numerosi “fratelli minori” di Contrada.

 

4.2. Giudici, diritto Ue, Corte costituzionale e Corte di giustizia

Pur nel permanere di alcune incertezze nelle stesse indicazioni rivolte ai giudici comuni[20], come si è detto, la linea chiaramente seguita dalla Corte costituzionale in questi ultimi tre anni in tutti i casi nei quali il nostro ordinamento legislativo sembra entrare in frizione con diritti contemporaneamente garantiti dall’Unione europea e dalla Costituzione italiana è quella di persuadere i giudici – e non già obbligarli, data anche l’assenza di strumenti coercitivi – a chiedere senza ritardo, in prima battuta, il suo intervento.

Corte si dedica, con costanza e determinazione, a convincere i giudici che l’attivazione dell’incidente di costituzionalità è la strada migliore, «la via preferibile»[21], per garantire una tutela effettiva dei diritti dei consociati, se non altro perché soltanto la Corte costituzionale – e non il singolo giudice comune, che si pronuncia solo per il suo caso, né la Corte di giustizia, che non ha il potere di eliminare una legge nazionale – ha lo strumento per fare piazza pulita, una volta per tutte e con effetti generali, delle norme italiane lesive dei diritti fondamentali in gioco.

Come contropartita, la Corte costituzionale assicura ai giudici che nessun rilevante profilo di diritto dell’Unione sarà trascurato, e lo fa sia impegnandosi a prenderlo essa stessa in considerazione, eventualmente anche esercitando il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, sia dicendo e ripetendo che i poteri dei giudici nei confronti del diritto dell’Unione – di disapplicazione e di rinvio pregiudiziale – restano intatti all’esito dell’incidente di costituzionalità.

Alcuni recenti vicende testimoniano da una parte che l’opera di persuasione dei giudici comuni sta dando i suoi frutti e, dall’altra parte, che l’impegno di attento ascolto del diritto europeo assunto nei loro confronti dalla Corte costituzionale viene rispettato.

Il caso più significativo sotto entrambi i profili è quello del cd. “bonus bebè”, e cioè degli assegni di natalità e di maternità che la legge italiana assicura agli stranieri soltanto se titolari del permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo[22]. A fronte della generalità dei giudici di merito che disapplicavano la legge italiana per contrasto con una direttiva europea ritenuta dotata di effetto diretto, e dell’Inps che – all’opposto – continuava ad applicare la legge limitando la platea degli stranieri destinatari degli assegni, la Corte di cassazione sceglie di seguire le indicazioni della sentenza n. 269, e investe così la Corte costituzionale con ben dieci ordinanze di rimessione[23], denunciando il contrasto della legge tanto con i parametri costituzionali quanto con norme europee di analogo contenuto, tra cui l’art. 34 della Carta, relativo alla sicurezza sociale e all’assistenza sociale.

La vicenda del bonus bebè, che è ancora in corso, innanzitutto evidenzia che l’incidente di costituzionalità presenta un ulteriore, straordinario, vantaggio in termini di tutela dei diritti fondamentali, che manca invece al meccanismo della disapplicazione o non applicazione della legge: quello di riuscire a incidere in modo vincolante sul comportamento della pubblica amministrazione – nel caso di specie, l’Inps – notoriamente refrattaria all’applicazione diretta delle norme dell’Unione europea, appiattita sul dettato legislativo e incapace di discostarsene in mancanza di una declaratoria di illegittimità costituzionale[24].

Sotto questo profilo, si può notare che le intuizioni della Corte costituzionale riescono a produrre frutti e a innestare circoli virtuosi perché trovano terreno fertile presso la Cassazione. Non sembra un caso. Le supreme magistrature si fanno carico delle ricadute ordinamentali delle loro decisioni e condividono con il giudice costituzionale preoccupazioni di sistema che trascendono, pur includendolo, il singolo caso concreto[25].

In secondo luogo, la vicenda del bonus bebè, che oggi è ferma in attesa della decisione della Corte di giustizia sul rinvio pregiudiziale fatto dalla Corte costituzionale per chiarire il significato e l’ambito di applicazione dell’art. 34 della Carta dei diritti fondamentali[26], dimostra che la Corte, quando intende utilizzare la Carta come parametro interposto nei suoi giudizi, non esita a interpellare la Corte di giustizia, mantenendo così la promessa fatta ai “suoi” giudici.

 

 

 

1. In dialetto milanese l’espressione “Lungh’me la Fabrica del Domm” indica un lavoro interminabile.

2. Si riprende qui la metafora contenuta nella relazione del presidente Lattanzi relativa alla giurisprudenza costituzionale nel 2018, tenuta nel corso della riunione straordinaria della Corte costituzionale del 21 marzo 2019: «Ci muoviamo in un cantiere con lavori perennemente in corso, i cui esiti sono soggetti a una continua rimodulazione per trovare il miglior punto di incontro tra i mutamenti di prospettiva che provengono dalle fonti europee e le esigenze proprie del controllo di costituzionalità» (p. 19, www.cortecostituzionale.it/documenti/relazioni_annuali/lattanzi2019/Relazione_del_Presidente_Giorgio_Lattanzi_sull_attivita_svolta_nell_anno_2018.pdf).

3. Come è noto, l’Italia non ha ancora ratificato ed eseguito con legge il Protocollo n. 16 alla Cedu, già peraltro entrato in vigore con la ratifica da parte di dieci Stati del Consiglio d’Europa il 1° agosto 2018 e a cui, ad oggi, aderiscono quindici dei quarantasette Stati del Consiglio d’Europa, che introduce lo strumento della richiesta alla Corte europea di pareri consultivi, sia pure non vincolanti, su «questioni di principio relative all’interpretazione o all’applicazione dei diritti» della Cedu da parte delle «più alte giurisdizioni» nazionali. Al momento, la Camera dei deputati, dopo avere discusso il disegno di legge di autorizzazione alla ratifica congiuntamente dei Protocolli n. 15 e n. 16 alla Cedu, ha deciso di proseguire, per ora, soltanto all’adozione del primo dei due strumenti, rinviando a un futuro incerto l’adozione del secondo. Su queste recenti vicende e per riferimenti più precisi, rinvio al dibattito aperto sulla rivista Giustizia insieme e al mio contributo dal titolo La ratifica del Protocollo n. 16 alla Cedu: lasciata ma non persa, ivi, 18 novembre 2020, www.giustiziainsieme.it/it/europa-e-corti-internazionali/1398-la-ratifica-del-protocollo-n-16-alla-cedu-lasciata-ma-non-persa.

4. Così bene riassume i termini di un dibattito dottrinario infinito G. Martinico, Conflitti interpretativi e concorrenza fra Corti nel diritto costituzionale europeo, in Dir. soc., n. 4/2019, pp. 691 ss., al quale si rinvia per gli altri richiami di dottrina. Per una prospettiva temporale ancora più ampia è d’obbligo il richiamo D. Lustig e J.H.H. Weiler, Judicial Review in the contemporary World – Retrospective and Prospective, in International Journal of Constitutional Law, vol. 16, n. 2/2018, pp. 315 ss.

5. E. Carrère, D’autres vies que la mienne, P.O.L., Parigi, 2009, trad. it.: Vite che non sono la mia, Einaudi, Torino, 2011, p. 176. Non finirò mai di ringraziare Laura Cappuccio per avermi regalato quel libro e per avermi fatto conoscere l’Autore, che prima non avevo mai letto.

6. Per primo in questo senso, a commento della sentenza n. 49 del 2015, su cui mi soffermo appena infra nel testo, M. Bignami, Le gemelle crescono in salute: la confisca urbanistica tra Costituzione, CEDU e diritto vivente, in Dir. pen. cont., n. 2/2015, p. 290.

7. Dopo la «precisazione» di Corte cost., sent. n. 269/2017, le «precisazioni sulla precisazione» (M. Massa, Dopo la «precisazione». Sviluppi di Corte cost. n. 269/2017, in Osservatorio sulle fonti, n. 2/2019, p. 10, www.osservatoriosullefonti.it/mobile-saggi/fascicoli/2-2019/1443-dopo-la-precisazione-sviluppi-di-corte-cost-n-269-2017/file) si leggono in Corte cost., sentt. nn. 20 e 63/2019, ord. n. 117/2019 (preceduta da sent. n. 112/2019), sent. n. 245/2019, sentt. nn. 11 e 44/2020 e, infine, ord. n. 182/2020.

8. Così pareva leggendo la «precisazione» della sent. n. 269/2017.

9. A partire già da Corte cost., sent. n. 20/2019.

10. Così ritengono, a ragione, considerando Corte cost., sentt. nn. 11 e 44/2020, C. Padula, Uno sviluppo nella saga della “doppia pregiudiziale”? Requisiti di residenza prolungata, edilizia residenziale pubblica e possibilità di disapplicazione della legge, in Forum di Quad. cost., n. 2/2020, p. 11 e D. Tega, La Corte nel contesto. Percorsi di ri-accentramento della giustizia costituzionale in Italia, Bononia University Press, Bologna, 2020, p. 248.

11. Nella «precisazione» di Corte cost., n. 269/2017 si discorre in realtà di un dovere del giudice di dare priorità al giudizio della Corte costituzionale, mentre a partire da Corte cost., sent. n. 20/2019 si suggerisce che questo comportamento del giudice sia semplicemente (molto) opportuno, ma non più doveroso.

12. A partire dalla conferma contenuta in Corte cost., sent. n. 43 del 2018, relativa alla delicata questione del ne bis in idem.

13. Cass., sez. unite pen., 24 ottobre 2019 - 3 marzo 2020, n. 8544, Genco, in questa Rivista online, 27 maggio 2020, con nota di D. Cardamone, Le Sezioni Unite si pronunciano sulla non estensibilità degli effetti della sentenza della Corte EDU Contrada c. Italia del 14 aprile 2015 ai casi simili, vds. www.questionegiustizia.it/articolo/le-sezioni-unite-si-pronunciano-sulla-non-estensib_27-05-2020.php. 

14. Par. 3.

15. Par. 4.2.

16. Corte Edu, sez. IV, Contrada c. Italia (n. 3), ric. n. 66655/13, 14 aprile 2015.

17. Par. 7.

18. Per un’analisi di questa categoria si veda per tutti, in dottrina, A. Cannone, Violazioni di carattere sistemico e Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Cacucci, Bari, 2018, pp. 79 ss.

19. Questa la definizione fornita dalla stessa Cassazione, par. 4.2., della sentenza citata.

20. Da parte della dottrina non mancano proposte di precisazione dei criteri proposti dalla Corte costituzionale condotte alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia. Si veda, per tutti, F. Donati, I principi del primato e dell’effetto diretto del diritto dell’Unione in un sistema di tutele concorrenti dei diritti fondamentali, in federalismi, n. 12/2020, pp. 104 ss, www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=42212.

21. Così F. Viganò, La tutela dei diritti fondamentali della persona tra corti europee e giudici nazionali, in Quad. cost., n. 2/2019, p. 489.

22. Sulla vicenda, non a caso, si sofferma anche C. Padula, Le “spinte centripete” nel giudizio incidentale di costituzionalità, in questo fascicolo, pubblicato in anteprima in questa Rivista online, 23 ottobre 2020, www.questionegiustizia.it/articolo/le-spinte-centripete-nel-giudizio-incidentale-di-costituzionalita. 

23. Si tratta di ordinanze adottate dalla Corte di cassazione tutte il 17 giugno 2019, e iscritte ai nn. 175, 177-182 e 188-190 del registro ordinanze 2019.

24. Sul “valore aggiunto” dell’effetto erga omnes proprio dell’incidente di costituzionalità, in quanto capace di vincolare anche la pubblica amministrazione, diversamente dal meccanismo della disapplicazione, o non applicazione, della legge, si vedano M. Cartabia ed E. Lamarque, La giustizia costituzionale europea cento anni dopo (1920-2020), in Quad. cost., n. 4/2020, pp. 807 ss.

25. Sotto altri profili, differenti da quelli trattati nel presente contributo, tuttavia, non si possono ignorare gli attuali segnali di divisione tra Corte di cassazione e Corte costituzionale emersi proprio al cospetto del giudice europeo con il rinvio pregiudiziale sull’ampiezza dei motivi di impugnazione delle pronunce del Consiglio di Stato per motivi inerenti alla giurisdizione, nel quale le sezioni unite della Cassazione hanno messo in discussione davanti alla Corte di giustizia la lettura dell’art. 111 Cost. accolta dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 6/2018 (Cass., sez. unite, ord. 18 settembre 2020, n. 19598, su cui G. Costantino - A. Carratta - G. Ruffini, Limiti esterni e giurisdizione: il contrasto fra Sezioni Unite e Corte costituzionale arriva alla Corte UE. Note a prima lettura di Cass. SS.UU. 18 settembre 2002, n. 19598, in questa Rivista online, 19 ottobre 2020, www.questionegiustizia.it/articolo/limiti-esterni-e-giurisdizione-il-contrasto-fra-sezioni-unite-e-corte-costituzionale-arriva-alla-corte-ue-note-a-prima-lettura-di-cass-ss-uu-18-settembre-2020-n-19598). Mi auguro, tuttavia, che si tratti di un episodio isolato, dovuto soltanto alle particolari, delicate, dinamiche sottese al controllo esercitato dalla Suprema corte ordinaria sull’operato delle supreme corti amministrative per i profili relativi alla giurisdizione. Fa ben sperare, in questo senso, la successiva Cass., sez. unite, ord. 30 ottobre 2020, n. 24107, che evita di porsi in posizione conflittuale con la Corte costituzionale.

26. Corte cost., ord. n. 182/2020.