Magistratura democratica
Pillole di Sezioni Unite

Sentenze di luglio 2023

Le più interessanti sentenze emesse dalle Sezioni Unite penali nel mese di luglio 2023

1. In presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti che abbia richiesto l’applicazione del criterio moderatore di cui all’art.78 cod.pen. (per il superamento della soglia massima di anni trenta di reclusione) e che ricomprenda anche una condanna per reato ostativo, lo scioglimento del cumulo, a fini di ammissione a benefici penitenziari, va effettuato avendo riguardo alla pena relativa al reato ostativo nella sua entità originaria (Cass. SS. UU. n. 30753 del 15.12.2022, dep. 14 luglio 2023, Zavettieri). 

Le sezioni unite penali con la decisione n.30753 del 2023 hanno risolto un contrasto interpretativo relativo alle modalità applicative del principio del cd. scioglimento del cumulo (nel senso di imputazione ideale della quota di pena riferibile ai soli reati cd. ostativi in un ambito esecutivo composito) lì dove la pena inflitta (superiore in senso algebrico ai trenta anni di reclusione) sia stata determinata nel limite massimo dei trenta anni di reclusione previsto dall’art. 78 cod.pen. (criterio moderatore ex lege).

La questione interpretativa è sorta in riferimento ai casi in cui – sempre per l’accesso alle misure alternative o ai permessi premio – l’applicazione del criterio moderatore (i trenta anni di reclusione) sia avvenuta in riferimento ad un cumulo materiale che abbia ricompreso tanto reati inclusi nell’elenco di cui all’art. 4 bis ord. pen. (tradizionalmente definiti ostativi, in ragione delle particolari regole di accesso ai benefici penitenziari) che reati, per cosi dire, "comuni".

Ferma restando la necessità di procedere allo scioglimento del cumulo, regola generale (v. SS: UU. 1999 Ronga) per cui la pena inflitta per il reato più grave va scontata per prima, ci si è chiesti se – in simili casi – la applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 cod. pen. potesse o meno avere conseguenze in ordine al "frazionamento proporzionale" della quota dei trenta anni, in rapporto ai titoli di reato che la compongono.

In altre parole, se la somma algebrica delle pene inflitte (tra reati ostativi e comuni) arriva in concreto oltre i trenta anni e se la pena della reclusione viene "riportata" ex lege alla sua quota massima, come incide su tale quota la componente numerica riferibile ai reati cd. ostativi? 

Secondo un primo indirizzo interpretativo la quota riferibile ai reati ostativi è sempre quella inflitta nella sua originaria entità, senza tener conto della avvenuta conformazione legale del trattamento sanzionatorio (in tale direzione, tra le molte, Sez. I n. 18239 del 26.3.2019; Sez. I n. 24014 del 18.5.2022).

Secondo un altro indirizzo interpretativo il giudice della fase esecutiva avrebbe dovuto individuare il titolo di reato effettivamente in espiazione, realizzando una operazione algebrica tesa a stabilire – nell’ambito dei trenta anni di reclusione – in che proporzione il criterio moderatore abbia inciso sulla pena complessiva di tali reati risultante dal cumulo materiale (in tale direzione Sez. I n. 35974 del 8.3.2019; Sez. I n. 6013 del 19.12.2016, dep. 2017 ed altre).     

Le Sezioni Unite ritengono preferibile il primo indirizzo, affermando il principio di diritto secondo cui lo scioglimento del cumulo va effettuato, nei casi prima ricordati, avendo riguardo alla pena relativa al reato ostativo nella sua entità originaria.

Le principali ragioni poste a sostegno della decisione possono essere sintetizzate nel modo che segue:

a) principio comune ed indiscusso è quello del necessario scioglimento del cumulo, lì dove la detenzione sia imputabile a titoli di reato diversi, sicché la frazione di pena scontata per prima è sempre quella riferibile ai reati di maggiore gravità o che pongono limiti alla fruizione dei benefici previsti dall’ordinamento penitenziario;

b) quanto al tema specifico, viene evidenziata la particolare natura della disposizione di legge di cui all’art.78 cod.pen., tesa a stabilire, anche in funzione della necessità di rispettare il principio costituzionale del finalismo rieducativo, una particolare regola di "saturazione" della pena, che si riferisce alla sola pena complessiva e che prescinde dall’entità delle singole pene che confluiscono nel provvedimento di esecuzione delle pene concorrenti;

c) in tale ambito, il legislatore non ha operato secondo un criterio di riduzione proporzionale delle singole pene che compongono il cumulo materiale, ma semplicemente introducendo il limite massimo della specie di pena (la reclusione), il che impone di "recuperare" in sede di scioglimento del cumulo (ad ogni effetto) la entità numerica della pena inflitta nella sua originaria entità.

Da ciò deriva che se, in ipotesi, la pena inflitta per reati cd. ostativi sia quella di anni trenta di reclusione e l’avvenuta applicazione del criterio moderatore di cui all’art.78 cod.pen. sia dipesa dalla concorrenza di reati non ostativi, lo scioglimento del cumulo – secondo il principio affermato - porterà sempre alla quota di anni trenta di reclusione (l’intera pena in concreto) senza possibilità di riduzione "proporzionale" di simile entità numerica.

 

2. Ai fini del riconoscimento della recidiva reiterata è sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l’imputato risulti gravato da più sentenze definitive per reati precedentemente commessi ed espressivi di una maggiore pericolosità sociale, oggetto di specifica e adeguata motivazione, senza la necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice (Cass. SS. UU. n. 32318 del 30.03.2023, dep. 25 luglio 2023, Dinca). 

Con la decisione n.32218 del 2023 le Sezioni Unite hanno affrontato il tema dei presupposti della applicazione della recidiva reiterata (ai sensi dell’art. 99 comma 4 cod.pen.) ed, in particolare, quello relativo alla necessità o meno di una precedente dichiarazione di recidiva semplice contenuta in una decisione irrevocabile di condanna, per fatto commesso prima di quello oggetto di giudizio.

Il quesito giuridico – pure a fronte di un costante orientamento interpretativo teso a riconoscere come non necessaria una antecedente dichiarazione di recidiva semplice - sorge dalle modalità espressive utilizzate dal legislatore nel configurare l’istituto, lì dove si afferma, nel testo di legge «se il recidivo commette un altro delitto non colposo, l’aumento della pena...». Da qui la necessità di comprendere se si sia fatto riferimento, da parte del legislatore, ad una mera "condizione" (la avvenuta commissione di più delitti non colposi, indicativi di maggiore pericolosità) o se, in alternativa, alla necessaria, previa attribuzione espressa della circostanza aggravante (inerente alla persona del colpevole) in una delle decisioni che compongono la serie.

Nell’affrontare il tema, le Sezioni Unite riaffermano in primis la natura circostanziale della recidiva (aspetto da cui deriva l’obbligo di necessaria contestazione in sede di esercizio dell’azione penale) e la facoltatività della sua concreta applicazione (anche in riferimento alla ipotesi del comma 5 dell’art.99, sulla scorta di Corte Cost. n.185 del 2015).

Ciò posto, viene evidenziato che l’evoluzione giurisprudenziale intervenuta nel corso del tempo (si citano in particolare gli arresti Sez. Un. n.35738 del 2010, Calibè e Sez. Un.20798 del 2011, Indelicato) ha posto l’accento, quanto ai presupposti sostanziali della recidiva, sulla valutazione di ‘accentuata colpevolezza e pericolosità soggettiva’ derivante dalla commissione di un (nuovo) reato, pure a fronte della intervenuta condanna per condotte antecedenti. 

Il tema centrale è dunque rappresentato dalla constatazione, in sede di giudizio sul nuovo reato, della accresciuta attitudine a delinquere del reo.

Sul piano della interpretazione letterale della disposizione di legge di cui all’art.99 comma 4, viene inoltre evidenziato che nell’utilizzare il termine «recidivo» il legislatore ha semplicemente descritto, con una espressione di sintesi, la condizione del soggetto che (come descritto al primo comma) dopo essere stato condannato per un delitto colposo ne commette un altro, senza riferimento alla necessaria dichiarazione giudiziale della medesima. 

Si afferma, pertanto, il principio secondo cui la recidiva reiterata può essere (se contestata) ritenuta e applicata nei confronti di un soggetto recidivo, da considerarsi tale in quanto già condannato due volte per delitti non colposi – anche se tale condizione di recidivanza non sia stata ritenuta nel precedente giudizio – sempre che, con specifica ed adeguata motivazione il giudice dia conto, in un complessivo giudizio, della maggiore rimproverabilità del reo per non essersi fatto distogliere dalla risoluzione criminosa per effetto delle precedenti condanne (secondo i criteri esposti nella decisione Sez. Un. n.35738 del 2010, Calibè). 

 

3. Il provvedimento del giudice dell’udienza preliminare di rigetto della richiesta di dissequestro di beni sottoposti a sequestro probatorio non è impugnabile dall’interessato (Cass. SS. UU. n. 32938 del 19.01.2023, dep. 27 luglio 2023, Lorusso).

Le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunziarsi sulla esistenza o meno di un rimedio impugnatorio avverso la decisione in tema di mantenimento del sequestro probatorio emessa dal Giudice della udienza preliminare.

Nel caso concreto la domanda di restituzione della res sottoposta a sequestro era stata formulata dalla persona sottoposta al procedimento ed il GUP aveva respinto la domanda. 

Sul tema della impugnabilità di siffatta tipologia di provvedimento sono state espresse, nel corso del tempo, più posizioni interpretative, così sintetizzabili:

a) il provvedimento emesso dal GUP non è impugnabile, attesa l’assenza di una previsione espressa in tal senso ed il principio di tassatività dei casi e mezzi di impugnazione;

b) il provvedimento è da ritenersi impugnabile, in ragione della necessità di sopperire ad un vuoto di tutela, con applicazione analogica della previsione di cui all’art.263 comma 5 cod.proc.pen., dettata per la fase delle indagini preliminari;

c) il provvedimento è da ritenersi impugnabile, in ragione della necessità di sopperire ad un vuoto di tutela, con applicazione analogica della previsione di cui all’art.322 bis cod.proc.pen., in tema di appello avverso i provvedimenti in tema di sequestro preventivo;

d) il provvedimento è da ritenersi impugnabile, in ragione della necessità di sopperire ad un vuoto di tutela, con ricorso per cassazione in applicazione della generale previsione di cui all’art.111 Cost. .  

Le Sezioni Unite affermano, con nettezza, che il provvedimento in questione è da ritenersi non impugnabile, in ossequio ai principi di tassatività e tipicità dei mezzi di impugnazione di cui all’art.568 cod.proc.pen. . 

Vengono ritenute contrarie al principio di legalità processuale e contrarie ai limiti della interpretazione (primo tra tutti quello letterale) tutte le soluzioni tese a costruire una impugnabilità non testualmente prevista dal legislatore.

In particolare viene evidenziata in motivazione:

a) la ontologica diversità tra sequestro a fini di prova e sequestro preventivo, il che esclude la possibilità di ricorrere agli schemi procedimentali dettati per le decisioni in tema di sequestro preventivo;

b) la diversità di fase procedimentale tra l’indagine preliminare - nel cui ambito si colloca la disposizione regolatrice di cui all’art.263 cod.proc.pen.- e l’ udienza preliminare, caratterizzata dal contraddittorio pieno tra le parti;

c) l’impossibilità di ricorrere alla previsione generale di cui all’art. 111 Cost., trattandosi di un provvedimento non incidente sulla libertà personale e privo della natura di sentenza.

Viene dunque evidenziato che la tutela avverso una decisione sfavorevole emessa nel corso del procedimento non deve essere necessariamente realizzata attraverso una immediata impugnabilità della decisione medesima, come del resto accade durante il dibattimento, posto che l’art.586 cod.proc.pen. prevede (salvo il caso della decisioni incidenti sulla libertà personale) l’impugnabilità delle ordinanze in via congiunta con la sentenza che definisce il grado del giudizio e si precisa che la assenza di impugnabilità immediata non solleva dubbi di contrasto con i principi costituzionali e convenzionali, essendo limitata alla fase della udienza preliminare e potendo l’interessato reiterare la richiesta nelle successive fasi del giudizio di merito.  

 

4. Il giudice può subordinare, ai sensi dell’art. 165 cod.pen., il beneficio della sospensione condizionale della pena al pagamento della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno, nonché all’adempimento dell’obbligo della restituzione dei beni conseguiti per effetto del reato, solo a condizione che nel giudizio vi sia stata costituzione di parte civile (Cass. SS. UU. n. 32939 del 27.04.2023, dep. 27 luglio 2023, Selvaggio).

E’ sorta questione interpretativa, tra le sezioni semplici, sulla possibilità o meno di subordinare la sospensione condizionale della pena (ai sensi dell’art.165 cod.pen.) all’adempimento degli obblighi di «restituzione» di beni conseguiti per effetto del reato, in assenza della costituzione di parte civile.

Dandosi per scontato che in caso di subordinazione della sospensione al «risarcimento del danno» debba essere stata esercitata l’azione civile nel processo penale (ai sensi dell’art.538 cod.proc.pen.), in alcune decisioni emesse dalle sezioni semplici (v. Sez. II n. 16629 del 29.3.2007 ed altre) si è sostenuto che gli obblighi restitutori rappresentano una entità diversa dal risarcimento del danno e potrebbero essere imposti, come condizione della sospensione condizionale, anche a favore della persona offesa non costituitasi parte civile. 

Le Sezioni Unite escludono che dal testo dell’art.165 cod.pen. possa derivare simile effetto, confermando l’orientamento interpretativo maggioritario, che ricollega anche tale ipotesi di condizione alla avvenuta costituzione di parte civile nel processo penale (v. Sez. I n. 26812 del 20.12.2021, dep. 2022 ed altre).

Si precisa in particolare che l’obbligo delle restituzioni – indicato nella prima parte dell’art.165 cod.pen. – è sempre espressione del danno civilistico, del tutto distinto dalla "eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato", aspetto quest’ultimo preso in considerazione (come danno criminale) dalla seconda parte della disposizione in esame.

Non può, pertanto, ritenersi conforme alla disposizione di legge la subordinazione della sospensione condizionale ad un obbligo di "restituzione" in favore di un soggetto che non abbia esercitato l’azione civile nel giudizio che ha dato luogo alla condanna.  

17/11/2023
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