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Nota a Tribunale di Torre Annunziata, Sez. Penale, ordinanza 16 giugno 2020, di rimessione della questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 131-bis, comma 2 c.p.

Pubblichiamo, di seguito, una complessa e articolata ordinanza del Tribunale di Torre Annunziata, con cui – dopo il tribunale di Torino (https://www.questionegiustizia.it/articolo/l-impossibile-tenuita_03-03-2020.php) –  è stata nuovamente sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis, comma 2 c.p., nella parte in cui tale disposizione prevede che l’offesa non possa essere ritenuta di particolare tenuità ove si proceda per il delitto di resistenza a pubblico ufficiale ovvero quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni, per violazione degli artt. 77, 3, 25, comma 2, 27, commi 1 e 3 della Costituzione.

Il caso sottoposto all’esame del giudice a quo riguarda una persona che, in preda a profonda agitazione, aveva colpito degli operatori di polizia, intervenuti in un bar per sedare una lite. La persona, in un accesso di rabbia, aveva reagito all’intervento degli agenti mediante «modestissime violenze», accompagnate da minacce «non … dotate di una particolare carica intimidatoria», senza causare alcuna lesione a questi ultimi, verso i quali aveva infine assunto un atteggiamento ampiamente collaborativo.

In ordine a tale fatto il tribunale di Torre Annunziata, ritenutane la sussumibilità nell’ipotesi di cui all’art. 337 c.p., argomenta la sussistenza di tutti gli «indici-criteri della particolare tenuità dell’offesa e della non abitualità del comportamento» richiesti dall’art. 131-bis c.p.: la particolare tenuità del danno arrecato al regolare funzionamento della pubblica amministrazione, costituito dal semplice ritardo e dalla sola maggiore difficoltà incontrata dagli operatori nel compiere gli atti del loro ufficio, unita alla non abitualità del comportamento tenuto dall’imputato, gravato da un unico precedente, di indole diversa da quella del reato per cui si procede.

Alla definizione del giudizio in termini di particolare tenuità del fatto ostano, tuttavia, le modifiche introdotte dal cd. “decreto sicurezza bis” nel corpo dell’art. 131-bis c.p., ove è stata interpolata una «presunzione assoluta di non particolare tenuità dell’offesa» per i casi in cui si proceda per il reato di resistenza a pubblico ufficiale ovvero per reati commessi in danno di pubblici ufficiali, nell’esercizio delle loro funzioni.

Di tale novella, il giudice a quo esclude anzitutto la praticabilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata: «l’impiego del verbo al modo indicativo e del verbo ‘potere’, preceduto dalla locuzione ‘non’» sostiene, infatti, il tribunale «costituisce un indice evidente della natura assoluta e non soltanto relativa della presunzione, che dunque non ammette eccezioni e non può essere superata in via interpretativa».

Il tribunale di Torre Annunziata enumera, poi, diversi vizi d’incostituzionalità, di ordine sia formale che sostanziale, cui andrebbero incontro le modifiche dell’art. 131-bis c.p. apportate dal cd. “decreto sicurezza bis”.

Sul versante dei rilievi di natura formale, il giudice a quo ritiene anzitutto che la novella, introdotta in sede di conversione in legge del decreto-legge 14 giugno 2019, n. 53, non sia affatto omogenea rispetto all’oggetto e al contenuto del provvedimento normativo originario, ponendosi così in contrasto con l’art. 77 della Costituzione, che richiede l’esistenza di un nesso di interrelazione funzionale tra decreto-legge, formato dal Governo ed emanato dal Presidente della Repubblica, e legge di conversione, caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare rispetto a quello ordinario (Corte cost., sentenza 22/2012). La novella, infatti, «risulta manifestamente estranea, sia dal punto di vista oggettivo e materiale, sia dal punto di vista funzionale e finalistico, al contenuto originario del decreto», come peraltro a suo tempo rilevato anche dal Presidente della Repubblica, in una lettera indirizzata ai Presidenti dei due rami del Parlamento e al Presidente del Consiglio dei ministri.

Ma il parametro rappresentato dall’art. 77 Cost. è evocato dal giudice remittente anche sotto un altro profilo: quello della carenza originaria dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza legittimanti l’adozione di un decreto-legge, desunta «dall’assenza di una ratio unitaria che riconduca ad unità i diversi ambiti di intervento, [dal]la circostanza che la norma censurata sottenda una modifica “a regime” di una causa di non punibilità, unitamente all’assenza di ogni contingenza fattuale e storico-sociale che giustificasse l’urgente necessità di intervenire».

Esaurito così l’esame dei vizi formali, il tribunale passa poi ad esporre i vizi di natura sostanziale delle modifiche introdotte all’art. 131-bis c.p., evidenziando il contrasto della normativa censurata con i principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità (art. 3 Cost.), di personalità della responsabilità penale (art. 27, comma 1, Cost.) e della finalità rieducativa della pena (art. 27, comma 3 Cost.); principi che costituiscono un limite inderogabile alla discrezionalità politico-criminale del legislatore.

Tale inderogabile limite, ad avviso del giudice remittente, è stato tuttavia superato proprio con la introduzione di una presunzione iuris et de iure di non particolare tenuità dell’offesa, di per sé irragionevole perché basata su una valutazione assoluta e di tipo aprioristico, ancorata esclusivamente ad un titolo di reato e non già all’esame delle specifiche peculiarità dell’offesa o delle modalità della condotta caratterizzanti i connotati concreti del singolo fatto storico oggetto di vaglio giurisdizionale.

La normativa censurata determina, inoltre, un irragionevole trattamento differenziato di situazioni tra loro omogenee: la causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p., infatti, pur essendo stata esclusa per il delitto di cui all’art. 337 c.p., risulta tuttavia applicabile «per delitti ad esso del tutto analoghi quanto a bene giuridico tutelato e a modalità di aggressione (tra cui, ad esempio, quelli previsti dagli artt. 340 e 343 c.p.)»

Il tribunale di Torre Annunziata argomenta, ancora, il contrasto della normativa censurata con l’art. 27, comma 2 Cost., osservando che l’applicazione di una pena anche minima ad un illecito considerato di particolare tenuità, alla luce dei criteri previsti dallo stesso ordinamento, «costituisce una reazione sproporzionata dell’ordinamento, che sacrifica e banalizza la libertà personale dell’individuo, dichiarata “inviolabile” dall’art. 13 Cost., a fronte di fatti che non dimostrano alcun reale bisogno di pena».

Il giudice remittente, da ultimo, richiamando le sentenze della Consulta n. 341/1994, n. 140/1998 e n. 236/2016, individua nella normativa censurata la sola finalità di «rimarcare il ‘valore’ dell’istituzione e la sua (ritenuta) incondizionata preminenza sull’individuo», secondo un’anacronistica «concezione autoritaria e sacrale delle istituzioni, viste come un bene in sé e non già quale strumento al servizio del cittadino, propria dello stato etico e di altre e passate stagioni politiche, che non a caso la stessa Corte costituzionale si è da tempo incaricata di giudicare incompatibile con l’assetto di valori sotteso alla Costituzione, affermando che essa “è estranea alla coscienza democratica instaurata dalla Costituzione repubblicana, per la quale il rapporto tra amministrazione e società non è un rapporto di imperio, ma un rapporto strumentale alla cura degli interessi di quest’ultima”».

 

17/06/2020
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