Magistratura democratica
Tribuna aperta

Il mandato di arresto contro Putin nel contesto della crisi della Corte Penale Internazionale, prospettive future e pericoli sommersi

di Fabio Berca
dottore in giurisprudenza

Il 17 marzo la Camera Preliminare II della Corte Penale Internazionale (da qui in avanti CPI) ha spiccato due mandati di arresto nei confronti del Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin e di Maria Alekseevna L’vova-Belova, commissaria presidenziale per i diritti dei bambini in Russia. 

L’emissione di un mandato internazionale nei confronti di Putin rappresenta una notevole presa di posizione da parte della CPI, trattandosi del primo provvedimento di sorta notificato ad un Capo di Stato di una grande potenza globale, confermando la volontà della Corte di uscire dall’ottica Panafricana che per anni l’aveva contraddistinta, e per la quale ricevette numerose e fondate critiche[1]; muovendosi invece “verso Est”, allo scopo di perseguire le gravi violazioni della giustizia umanitaria verificatesi nel travagliato contesto dei conflitti fra Stati post-sovietici[2][3]

Tale manovra, tuttavia, rischia di produrre risultati opposti agli interessi della CPI: in primis dimostrandone la fragilità quale strumento di giustizia di transizione qualora Putin riuscisse, come Al-Bashir prima di lui, a sottrarsi indefinitamente alla giurisdizione della Corte e, secondariamente, aprendosi ad accuse di parzialità e ipocrisia nel caso in cui tale manovra non fosse seguita da equivalenti azioni nei confronti di soggetti colpevoli di crimini commessi in diversi contesti globali. 

Putin è accusato dall’Ufficio del Procuratore di aver commesso i crimini di guerra di aver organizzato e perpetrato deportazioni di abitanti dell’Ucraina occupata[4], e di aver illegalmente trasferito parte della popolazione, in particolare bambini, della nazione occupata nel territorio del proprio Paese[5]. I crimini presumibilmente commessi sono, chiaramente, della massima severità e si riferiscono ad azioni intraprese almeno a partire dal febbraio 2022[6]; la Camera preliminare ha peraltro riscontrato l’esistenza di ragionevoli motivi per ritenere che Putin sia individualmente responsabile secondo gli articoli 25(3)(a)[7] e 28(b)[8] dello Statuto di Roma. Circa i fatti alla base del provvedimento esistono pochi dubbi che essi siano stati effettivamente commessi: la commissaria L’vova-Belova ha grandemente pubblicizzato, sui suoi social media e attraverso i media convenzionali del proprio Paese, il trasferimento in massa di bambini ospiti di orfanotrofi, case famiglia e ospedali, dati poi in adozione a famiglie russe, descrivendo tale azione come uno “sforzo umanitario”[9]. Allo stesso tempo Putin, in virtù della sua posizione, ha emanato un decreto presidenziale che incentiva notevolmente la altrimenti difficile procedura di adozione di bambini provenienti da Stati esteri, a patto che la Nazione di provenienza sia l’Ucraina[10]. Fonti esterne alla Federazione Russa dipingono un programma ben definito e sistematico di rieducazione ed adozione dei bambini deportati, decisamente lontano dalle dichiarazioni di altruismo e umana decenza provenienti da L’vova-Belova, descrivendo un circuito di “campi ricreazionali” all’interno dei quali i bambini sono sottoposti ad una notevole pressione psicologica al fine di un indottrinamento in chiave russa e nazionalista[11]. Oltre ai minori trasferiti perché in presunto stato di abbandono, diverse testimonianze riportano casi di famiglie che, per necessità economiche o nella speranza di dare ai propri figli rifugio temporaneo alle realtà della guerra, accettano di partecipare volontariamente al sistema dei campi ricreazionali, spesso perdendo per mesi qualsiasi forma di contatto con i propri fanciulli o vedendosi negata la richiesta di rimpatrio in seguito al mutare della situazione bellica. Quale che sia l’effettiva condizione delle vittime, che dobbiamo augurarci essere la meno lesiva possibile, sta di fatto che le azioni operate dal Governo russo ricadono nella totale illegalità secondo lo Statuto di Roma; dovesse peraltro riscontrarsi il dolus specialis dell’intento di distruggere anche solo in parte il gruppo etnico ucraino, Putin sarebbe da ritenere responsabile anche del crimine di genocidio, per aver trasferito «con la forza bambini appartenenti al gruppo ad un gruppo diverso»12. 

Circa la responsabilità penale individuale di Putin la Camera ha ritenuto di agire secondo l’articolo 25(3)(a) dello Statuto, confermando indirettamente la forza degli elementi di prova raccolti dall’Ufficio del Procuratore; la ragione di questa affermazione risiede nel fatto che, tra le prescrizioni dell’articolo 25, la commissione costituisce il massimo livello di responsabilità individuale, e come tale va interpretata strettamente[12]. Nonostante questo, contro Putin potrebbero essere mosse nuove e altrettanto gravi accuse sulla base dei crimini compiuti secondo l’articolo 25(3)(c)[13], in assistenza, quindi, del perpetratore materiale. Raccogliendo la giurisprudenza del Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia (TPIJ), l’elemento psicologico dell’assistenza è perfezionato dalla mera conoscenza dell’intento, anch’esso fosse dolus specialis, del perpetratore, coniugato con l’effettiva assistenza materiale o morale a quest’ultimo fornita[14]. Tale interpretazione dell’articolo 25(3)(c) è stata da molti criticata in quanto esclude la necessità di dimostrare la mens rea del soggetto che fornisce l’assistenza, e va certamente sottolineato che la giurisprudenza dell’ICTY non è in alcuna forma vincolante per la CPI; tuttavia le argomentazioni del Tribunale risultano comunque autorevoli e convincenti. Nell’assistenza, per sua stessa natura di partecipazione ad un crimine commesso da altri, a definire il reato è il perpetratore; se la condotta di quest’ultimo è inquadrabile come crimine di guerra, o anche genocidio, chi fornisce il suo aiuto con coscienza delle intenzioni dell’esecutore sta senz’altro assistendo alla violazione della legge internazionale. Nessuna ulteriore forma di condivisione dell’intento è dunque necessaria, anzi se essa vi fosse si rientrerebbe nell’ambito della commissione congiunta[15]

Alla luce di quanto visto, e considerate anche le dichiarazioni pubbliche del Procuratore Khan17 e del Giudice Hofmanski[16], è possibile aspettarsi per il futuro una intensificazione delle indagini in Ucraina e anche nuove accuse contro l’establishment Russo. L’assistenza può configurarsi solo attraverso un supporto sostanziale alle azioni dell’esecutore materiale, quale può essere ad esempio la fornitura di armi ed equipaggiamento; premesso che l’ignoranza delle intenzioni criminose di alcune delle diverse milizie filo-russe, anche private, può solo ingenuamente essere immaginata al più alto livello della catena di comando politica, Putin potrebbe ritrovarsi a fronteggiare accuse non solo per i crimini commessi nel contesto del conflitto ucraino, ma anche in quello georgiano[17]

Per quanto riguarda il crimine di aggressione, che meglio di ogni altro sanziona il forte che, in virtù della propria malriposta potenza, commette la più grave delle violazioni contro la pace, la possibilità di una sua applicazione da parte della CPI al caso in esame va da considerarsi esclusa. Il crimine di aggressione è uno dei quattro crimini internazionali sui quali la Corte esercita la propria giurisdizione, tuttavia esso, a causa di una complessa e travagliata introduzione nel testo dello Statuto di Roma[18], è sottoposto ad un regime giuridico differente e ben più limitato rispetto a quello delle sue tre controparti. Unicamente un rinvio del Consiglio di Sicurezza dell’ONU può dare alla Corte l’autorizzazione a procedere anche nel caso in cui Stato aggredito o Stato aggressore non siano Stati contraenti; la posizione della Russia, la cui firma mai ratificata allo Statuto è stata ritirata nel 2016, quale membro permanente del CDS stronca sul nascere qualsiasi aspirazione dell’Ufficio del Procuratore di procedere in tale senso21. 

Riprendendo quanto affermato inizialmente, quindi, l’annuncio della Corte dell’Aia dimostra certamente una ferma volontà di fare giustizia rispetto ai gravissimi crimini commessi su territorio ucraino dalle forze armate russe; tuttavia l’ordine di cattura rischia di rivelarsi una lama a doppio taglio, minando la già fragile posizione della CPI. In particolare attraverso tale misura la Corte si espone a tre ordini di pericoli: 

In primo luogo, nonostante il mandato costituisca un obbligo giuridico di collaborazione per gli Stati contraenti, le possibilità che il Presidente della Federazione Russa venga, nel breve periodo, condotto di fronte alla Corte per essere sottoposto a giudizio sono realisticamente molto basse[19], tenendo anche in considerazione l’apparente indifferenza di alcuni Stati verso i propri obblighi nei confronti della CPI. Tale osservazione, combinata con il rifiuto della Corte di procedere in absentia, potrebbe portare ad un ripetersi di quanto già osservato nel caso Al-Bashir[20], con una conseguente ricaduta negativa sulla percezione della Corte quale efficace strumento di giustizia in grado di ristabilire una netta distinzione tra legalità e illegalità in contesti difficili e offrire closure alle vittime della condotta criminosa[21]

Secondariamente, attraverso il provvedimento inquadrato, la Corte si espone pericolosamente ad accuse di ipocrisia, dimostrando di non essere in grado di perseguire altrettanto gravi violazioni dei diritti umani quando effettuate in diversi contesti geografici, da diversi attori politici. La promulgazione dell’American Service-Members' Protection Act[22] durante l’amministrazione Bush, e le sanzioni promosse contro la Corte dall’amministrazione Trump, bloccarono qualsiasi tentativo da parte del Procuratore di perseguire cittadini americani per crimini commessi in Afghanistan e Iraq, Stati sui quali la corte ha giurisdizione. Similmente le indagini nei confronti del Regno Unito per presunti crimini di guerra furono accolte con aperta aggressività conducendo ad una diminuzione dei fondi dedicati al sostenere il lavoro della Corte. Anche in tal caso l’Ufficio del Procuratore, pur accertando l’effettiva commissione di crimini di guerra in Iraq da parte delle forze speciali britanniche, preferì non agire, citando l’adeguatezza delle indagini già avviate dal Governo Inglese, nonostante la riconosciuta assenza di incriminazioni nei confronti di alcun membro del personale militare di stanza nei territori occupati[23]. La realtà di una futura giustizia internazionale e globale non potrà mai essere raggiunta fintanto che la CPI continuerà nella propria condotta di investigare attentamente determinati Paesi, consentendo invece alle potenze occidentali di agire nella più totale impunità, rafforzando l’idea di una Corte che, lontana dall’essere un legittimo e imparziale strumento di diritto, altro non è se non un’arma impugnata dai Paesi forti contro i loro rivali geopolitici.     

Concludendo, lo Statuto di Roma si sta rivelando un testo già desueto, spesso incapace di fornire ai giudici gli strumenti necessari per riportare la giustizia adattandosi al caso concreto; in questa sua limitatezza si riscontra il terzo pericolo, forse il maggiore, per il futuro della CPI. Non ci si riferisce qui unicamente ai limiti riscontrati nell’applicazione del crimine di aggressione, ma anche alla criticatissima e bisognosa di riforma definizione di genocidio, ed all’elenco dei crimini di guerra, i quali nel loro stato attuale non sempre possono essere adattati all’effettiva realtà dei conflitti moderni[24]. Le proposte di un tribunale ad hoc per i crimini in Ucraina, dotato quindi di un proprio statuto e avente giurisdizione sul crimine di aggressione, provenienti in particolare da Stati Uniti[25] e Unione Europea[26] appaiono come una mera risoluzione palliativa, non realmente capace di colmare la lacuna normativa in una prospettiva di lungo periodo. L’unica via per affrontare realmente i limiti strutturali dello Statuto, appare quindi essere quella di una revisione del testo, sulla scia di quanto già realizzato a Kampala, al fine di rafforzare la posizione della Corte dall’interno[27]. La concretizzazione di tale programma, forse ottimistico e certamente ambizioso, dipenderà dalla volontà e dagli interessi politici degli Stati contraenti, tenendo sempre in dovuta considerazione il peso dei giganti geopolitici, Cina e Stati Uniti, che pur non avendo ratificato il trattato non possono permettersi una posizione di neutralità. 


 
[1] J. J. Vilmer, The African Union and the International Criminal Court: counteracting the crisis, in International Affairs, Volume 92, Issue 6, Novembre 2016, Pag. 1319–1342.

[2] I. Marchuk, A. Wanigasuriya, Venturing East: The Involvement of the International Criminal Court in Post-Soviet Countries and its Impact on Domestic Processes, in Fordham International Law Journal Vol. 44 Issue 3, 2021.

[3] M. Bezhanishvili, ICC Investigation in Georgia: A Success Story?, in EJIL-Talk!, 9 gennaio 2023.

[4] Statuto di Roma, art. 8(2)(a)(vii).

[5] Ivi, art. 8(2)(a)(vii).

[6] Corte Penale Internazionale, comunicato stampa del 17 marzo 2023.

[7] Per aver, quindi, commesso il reato: «a titolo individuale o insieme ad un’altra persona o tramite un’altra persona, a prescindere se quest’ultima è o meno penalmente responsabile».

[8] Nel non aver esercitato, in virtù di superiore gerarchico, un opportuno controllo sui reati commessi dai propri sottoposti, pur essendone a conoscenza, o trascurandone deliberatamente la commissione.

[9] M. Krever, The Russian official at center of alleged scheme to forcibly deport thousands of Ukrainian children to Russia, in BCC News, 16 febbraio 2023.

[10] Parlamento Europeo, risoluzione B9-0388/2022, lettera K.

[11] Russia’s systematic program for the re-education & adoption of ukraine’s children, in Yale school of Public Health, Humanitarian resarch lab, 14 febbraio 2023. 12 Statuto di Roma, art. 6(e).

[12] G. Werle, Individual Criminal Responsability in Article 25 ICC Statute, in Journal of International Criminal Justice, Volume 5, Issue 4, Settembre 2007, pag. 957.

[13] «In conformità del presente Statuto, una persona è penalmente responsabile e può essere punita per un reato di competenza della Corte […] quando, in vista di agevolare la perpetrazione di tale reato, essa fornisce il suo aiuto, la sua partecipazione o ogni altra forma di assistenza alla perpetrazione o al tentativo di perpetrazione di tale reato, ivi compresi i mezzi per farlo.»

[14] G. Werle, Individual Criminal Responsability in Article 25 ICC Statute, cit., pag. 969.

[15] Statuto di Roma, art. 25(3)(a): «quando commette tale reato […] assieme a tale persona o tramite un’altra persona». 17 Corte Penale Internazionale, Statement by Prosecutor Karim A. A. Khan KC on the issuance of arrest warrants against President Vladimir Putin and Ms Maria Lvova-Belova, 17 marzo 2023.

[16] Q&A: What the ICC arrest warrants mean for Russia’s Putin, in Al Jazeera il 17 marzo 2023.

[17] La Georgia ha ratificato lo Statuto di Roma nel 2003 e dal 2016 è oggetto di indagini da parte dell’Ufficio del Prosecutore per presunti crimini commessi nel contesto del conflitto russo-georgiano del 2008. Ad oggi tre alti membri dell’amministrazione della repubblica separatista dell’Ossezia, due dei quali cittadini russi, sono stati indicati come sospetti nella commissione di crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Tutti e tre hanno agito con il pieno supporto morale e materiale del governo Russo, contro di loro è stato spiccato un mandato di arresto.

[18] Ironicamente proprio la diffidenza di tre potenze occidentali quali Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia, ha portato all’inserimento nello Statuto di Roma del 1998 di una fattispecie priva di definizione, una mera tigre di carta. La dovuta integrazione normativa verrà solo nel 2010, a seguito della Conferenza di revisione di Kampala, presentando ai Paesi firmatari un emendamento entrato in vigore nel 2018 e per ora ratificato unicamente da 44 dei 139 Stati firmatari. G. Minervini, Considerazioni critiche sulla responsabilità da comando del Presidente Putin per i crimini internazionali in Ucraina, in Rivista di Diritto Internazionale, 2022, n.4, pag. 1126.

[19] Ivi, pag. 1134.

[20] Y. Liu, Do States Party to the International Criminal Court Statute have the Obligation to Arrest Vladimir Putin?, in EJIL-Talk!, 14 Aprile 2023.

[21] H. Woolaver, South Africa and the ICC Arrest Warrant for Vladimir Putin: Déjà Vu All Over Again?, in EJIL-Talk!, 5 aprile 2023.

[22] Soprannominato giornalisticamente “L’Atto per l’invasione dell’Aia”, tale strumento normativo, contraddistinto da una retorica minacciosa e militaresca, autorizza il Presidente degli Stati Uniti a «intraprendere qualsiasi azione […] al fine di portare al rilascio dalla prigionia di qualunque membro attivo delle Forze Armate […] e di certe altre categorie di persone, alleate, che si trovino detenute contro la propria volontà su richiesta della Corte».  

[23] Ufficio del Procuratore, Situation in Iraq/UK Final Report, 9 dicembre 2020.

[24] B. Van Schaack, Mapping War Crimes in Syria, in International Law Studies, Volume 92, 2016, pag. 331.

[25] C. Meloni, La Corte penale internazionale spicca uno storico mandato di arresto per Vladimir Putin mentre si continua a discutere di un tribunale speciale per l’aggressione in Ucraina, in Questione Giustizia, 23 marzo 2023.

[26] Parlamento Europeo, Risoluzione RC-B9-0063/2023.

[27] Corte Penale Internazionale, comunicato stampa del 5 Dicembre 2022.

29/05/2023
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